Le attuali linee guida per la diagnosi e trattamento dello scompenso cardiaco sono adatte alla complessità clinica della patologia e del paziente?

Paolo Severino, Andrea D’Amato, Silvia Prosperi, Alessandra Dei Cas, Anna Vittoria Mattioli, Pasquale Pagliaro, Massimo Mancone, Francesco Fedele.

Università di Roma La Sapienza

Abstract

L’insufficienza cardiaca (IC) è una sindrome clinica caratterizzata da segni e sintomi associati ad anomalie strutturali e/o funzionali cardiache che determinano una portata cardiaca inadeguata e/o  aumento delle pressioni di riempimento intraventricolari. Nell’Agosto 2021 la società europea di cardiologia ha pubblicato le ultime linee guida sulla diagnosi e trattamento dell’IC, secondo le quali la frazione d’eiezione continua a rimanere un parametro cardine per la valutazione, stratificazione del rischio e gestione terapeutica del paziente affetto da IC, malgrado i suoi ben noti limiti. Infatti i meccanismi fisiopatologici dell’IC sono molteplici e complessi comprendendo inizialmente solo il cuore, esitando poi in un’insufficienza multiorgano. In questi termini, l’IC è assimilabile alla malattia neoplastica. Alla luce di queste considerazioni, una revisione del concetto di IC è necessaria per superarne la semplicistica visione.

Introduzione

L’ insufficienza cardiaca (IC) è una sindrome clinica caratterizzata da segni e sintomi associati ad anomalie strutturali e/o funzionali cardiache che determinano una portata cardiaca inadeguata e/o aumento delle pressioni di riempimento intraventricolari [1,2]. Nell’Agosto 2021 la società europea di cardiologia (ESC) ha pubblicato le ultime linee guida sulla diagnosi e trattamento dell’IC, continuando a considerare la frazione d’eiezione (FE) un parametro cardine per la valutazione, stratificazione del rischio e gestione terapeutica dei pazienti, malgrado i suoi ben noti limiti[3-10]. Recentemente, è stato proposto un approccio innovativo per classificare l’IC basato sui fenotipi clinici. L’uso di fenotipi clinici, lungo l’intero spettro dell’IC, per categorizzarne i pazienti rappresenta certamente un approccio pratico per portare ordine nella complessità della patologia [3]. Benché tale approccio superi la natura categoriale della classificazione dell’IC secondo la FE, potrebbe risultare troppo semplicistico per una malattia dalle molte sfaccettature come l’IC. L’approccio “fenotipico” considera l’IC come una malattia continua ed in evoluzione, dando più enfasi alle comorbidità e fattori di rischio. Tuttavia, conserva la medesima visione cardiocentrica della FE: diversi fenotipi di IC sono estrapolati da una relazione non lineare tra variabilità della FE e volume telediastolico ventricolare. Ulteriori sforzi sono necessari per ottimizzare la classificazione dell’IC. In particolare dovrebbe essere data più enfasi al coinvolgimento multiorgano progressivo che renderebbe l’IC simile alla malattia neoplastica. Molteplici aspetti clinici, come il coinvolgimento renale e polmonare, l’anemia, la disfunzione epatica e neurologica, come anche specifici biomarkers circolanti sono spesso non considerati, malgrado abbiano un grande impatto sulla morbidità e mortalità dei pazienti con IC, indipendentemente dalla FE [1,11]

I pitfalls della FE

La classificazione dell’IC basata sulla FE ha diversi limiti. In primo luogo, non considera il meccanismo fisiopatologico e l’eziologia specifica sottostante l’IC [4,5]. Inoltre, diversi sono i limiti tecnici di acquisizione di tale parametro. Infatti, la FE è derivata da un assunto geometrico che possiede una variabilità inter e intra osservatore molto elevata [4,12]. La FE è una misura dipendente dal carico volemico. E’ rilevante come la classificazione dell’IC basata sulla FE non sia strettamente correlata alla prognosi. Spesso i pazienti con FE preservata hanno una prognosi peggiore in termini di mortalità e ospedalizzazioni, di quelli a FE ridotta [4]. Nonostante l’assenza di riduzione della FE ventricolare sinistra sia criterio fondamentale per la diagnosi di IC a FE preservata, diversi studi hanno mostrato alterazioni della funzione sistolica come la riduzione dell’escursione sistolica del piano valvolare mitralico e la riduzione dello strain longitudinale [13-16]. Oltretutto, l’alterazione del valore di S’, con la tecnica del Doppler tissutale, appare intimamente collegata alla disfunzione diastolica a dimostrazione che la disfunzione sistolica è spesso presente nei pazienti con IC a FE preservata. L’IC a FE ridotta e quella a FE preservata condividono meccanismi fisiopatologici comuni: l’ipofosforilazione della titina [3,17,18]. Un altro meccanismo condiviso è rappresentato dall’ingrandimento atriale sinistro. La sua funzione e il suo volume correlano con la capacità di esercizio e hanno un valore prognostico indipendente dalla FE. [11,19]. Tali evidenze dimostrano che termini come “preservata”, “ridotta”, “sistolica” e “diastolica” possano risultare sovrapponibili e ingannevoli per la stratificazione dei pazienti con IC.

La gestione terapeutica dell’IC: le indicazioni ingannevoli.

Figura 1

Forti evidenze suggeriscono come la compliance alla terapia per l’IC sia correlata ad una prognosi migliore [20,21]. La maggior parte dei pazienti affetti da IC ha una bassa aderenza e incongrua titolazione della terapia [22,23]. Questo aspetto potrebbe avere una base fisiopatologica, poiché tali pazienti hanno una malattia complessa con coinvolgimento multiorgano, e, per tale ragione, non immediatamente adatti ad iniziare tutti i farmaci previsti. Il coinvolgimento renale, per esempio, è presente in circa il 50% della popolazione con IC, ed ha un ruolo determinante nell’aumentare la morbi-mortalità nell’IC [24]. Ciò è dovuto ad un gradiente ridotto lungo il capillare glomerulare determinato da un aumento della pressione venosa centrale e riduzione della gittata anterograda [25]. La disfunzione renale, in particolare l’insufficienza renale acuta, può rappresentare un limite per i numerosi farmaci indicati come gli ACEi/ARNi. Per quanto concerne gli anti-aldosteronici (MRA), nell’EMPHASIS-HF trial, pazienti trattati con Eplerenone hanno mostrato un peggioramento della funzione renale ed un aumento della kaliemia rispetto ai placebo [26]. Tuttavia, diversi trial clinici hanno mostrato diversi benefici nei pazienti con IC e malattia renale cronica trattati con MRA [27]. L’azione nefroprotettiva è stata ampiamente dimostrata per i farmaci SGLT2i [28-30]. Questo paradosso sottolinea un altro limite nell’attuale approccio terapeutico tetrafarmacologico, raccomandato nelle recenti linee guida ESC [1]: il trattamento è basato sulla FE, e non considera i differenti stadi di severità dell’IC e del coinvolgimento renale. La terapia proposta dalle attuali linee guida è attuabile solo in una piccola percentuale di pazienti, in quanto non è possibile sempre somministrare tutti i farmaci suggeriti immediatamente.

Una revisione estesa dell’attuale paradigma dell’IC dalla definizione alla terapia è richiesta a causa delle limitazioni esposte (Figura 1). La valutazione della FE e dei sintomi tramite la classe NYHA appare troppo semplicistica ed inaccurata per la diagnosi, per la stratificazione prognostica e la gestione terapeutica dei pazienti con IC. L’IC è paragonabile alla malattia neoplastica in quanto inizia come malattia cardiaca, diventando progressivamente multiorgano. Come per il cancro, la sopravvivenza, la morbidità e l’ospedalizzazione sono collegati non solo alla massa neoplastica primitiva ma soprattutto alla diffusione metastatica.

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