FIg-2

The impact of continuous positive airway pressure on cardiac mechanics: findings from a meta-analysis of echocardiographic studies.

L’impatto della ventilazione a pressione positiva continua sulla meccanica cardiaca: risultati di una meta-analisi di studi ecocardiografici.

Marijana Tadic MD, PhD1 *; Elisa Gherbesi MD2; Andrea Faggiano MD2; Carla Sala MD2; Stefano Carugo MD2; Cesare Cuspidi MD3

1 University Clinical Hospital Centre “Dragisa Misovic”, Belgrade, Serbia.

2 Department of Clinical Sciences and Community Health, University of Milano and

Fondazione Ospedale Maggiore IRCCS Policlinico di Milano, Milan, Italy.

3 Department of Medicine and Surgery,University of Milano-Bicocca, Milano, Italy

*Correspondence

Marijana TadicMD, PhD, University Hospital “Dr. DragisaMisovic – Dedinje”, Department of Cardiology, Heroja Milana Tepica 1, Belgrade 11000, Serbia.

Email: marijana_tadic@hotmail.com

Pubblicazione : Aprile 2022 sul Journal of Clinical Hypertension, 2022;1-9. DOI: 10.1111/jch.14488  1

Abstract :

L’effetto della ventilazione a pressione positiva (CPAP) sulla meccanica cardiaca nei pazienti affetti da sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS) è ignoto. E’ stata condotta una metanalisi degli studi di ecocardiografia “speckle-tracking” che fornissero informazioni sulla meccanica del ventricolo sinistro (LV) e del ventricolo destro (RV), valutata mediante global longitudinal strain (GLS). La metanalisi, che includeva 337 pazienti con OSAS afferenti a 9 studi, ha mostrato un miglioramento significativo sia del LV-GLS ( SMD: 0.51±0.08; CI0.36-0.66), p=0.0001)  che della frazione d’eiezione (LVEF; SMD: 0.20±0.06,CI:0.08–0.33, p = 0.001 ) dopo CPAP.  Invece, per quanto concerne la funzione sistolica del RV, dopo CPAP si è assistito ad un miglioramento significativo limitato al RV-GLS (SMD: 0.28±0.07, CI:0.15–0.42, p = 0.0001) e non all’escursione sistolica del piano dell’anello tricuspidale (TAPSE; SMD 0.08±0.06, CI: -0.04/0.20, p = 0.21). In conclusione, nella valutazione dei pazienti affetti da OSAS l’ecocardiografia “speckle-tracking” permette di individuare alterazioni subcliniche della funzione sistolica e di monitorarne la risposta alla terapia con CPAP.

Articolo

La sindrome delle apnee ostruttive del sonno, una patologia sempre più diffusa e rilevante, è associata ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari e di mortalità per tutte le cause  2. La terapia con CPAP è raccomandata dalle linee guida come prima linea di trattamento nei pazienti affetti da OSAS di grado moderato e severo, e anche in coloro con OSAS lieve in cui le modifiche comportamentali si sono rivelate insufficienti 3. Numerosi studi hanno dimostrato che la CPAP, riducendo gli episodi ipossici notturni, comporta un miglioramento dei parametri emodinamici (ad es. pressione arteriosa, rigidità vascolare), ormonali (ad es. catecolamine) e cardio-metabolici (ad.es sindrome metabolica) 4. Non vi è invece chiara evidenza sul fatto che la CPAP possa migliorare la funzione cardiaca. Questo potrebbe essere anche imputabile al fatto che i canonici indici ecocardiografici utilizzati per esprimere la funzione biventricolare ( ad es. LVEF, TAPSE, FAC, S’) non siano sufficientemente sensibili nell’individuare modifiche subcliniche della funzione cardiaca. Il GLS, valutando la meccanica miocardica segmentaria, potrebbe invece essere in grado di rilevare modifiche subcliniche 5. Per tale motivo è stata condotta una metanalisi degli studi di ecocardiografia “speckle-tracking” che fornissero informazioni sulla meccanica miocardica biventricolare, valutata mediante GLS.

Tramite revisione sistematica ed analisi metanalitica, è stato possibile identificare 9 studi osservazionali ed un totale di 337 pazienti affetti da OSAS sottoposti a terapia con CPAP. La tabella 1 mostra i dati principali degli studi inclusi.

Author Year publication  OSA sample size (n)  CPAP  duration (months)Baseline AHI (h)  Final AHI (h)  Setting                                     Outcome  
Haruki                             2010                                                14356+195+8Moderate to severe OSA without CV diseaseLV GLS
Hammersting          2013                              82631+276+7Mild to severe OSA with prevalent CV diseaseRV GLS
Vitarelli                          201315459±94±2Severe OSA  without   comorbiditiesLV GLS
Vitarelli                           201515458+94+2Severe OSA  without    comorbiditiesRV GLS
D’Andrea                    201655635+155+8Mild to severe  OSA  without  CV diseaseLV and RV GLS
Vural                                2017                   2824nanaMild to severe OSA without pulmonary and CV diseaseLV GLS
Kim                                   2019263nanaSevere OSA without CV diseaseLV and RV GLS
Chou                          2020452450+165+2Severe OSA  without CV diseaseRV GLS
Zota                          2021                      57242+21naModerate to severe OSA with prevalent HTN, DM and obesityLV GLS

Dalla metanalisi emerge che per quanto riguarda la funzione del ventricolo sinistro, la terapia con CPAP permette un miglioramento significativo, osservabile sia mediante LVEF che GLS. Precisamente, i valori medi aggregati di LVEF incrementavano dal 59.9% ±1.6% del baseline al 61.9% ± 0.9% dopo terapia con CPAP , con una differenza media standardizzata (SMD) significativa (SMD 0.20±0.06, CI 0.08/0.33, p < 0.001). L’incremento della funzione ventricolare sinistra dopo CPAP risulta ancora più marcato quando oggettivato mediante LV-GLS ( -17.7%±0.6%  al baseline versus -19.6%±0.4% al follow-up) pari ad una SMD: 0.51±0.08, (CI 0.36/-0.66, p < 0.0001). Figura 1.

Riguardo la funzione ventricolare destra, la metanalisi non ha documentato modifiche significative del TAPSE, i cui valori medi aggregati corrispondevano a 21.8 mm ± 1.3 mm prima  e 21.1 mm ± 1.2 mm dopo terapia con CPAP ( SMD: 0.08±0.06, CI-0.04/0.20,p = 0.21). Invece, dalla metanalisi emerge un miglioramento significativo della meccanica ventricolare destra oggettivato dall’incremento del RV-GLS da -17.7±1.32% a -19.3±1.7% con una differenza media standardizzata pari a 0.28±0.07, CI 0.15/0.42, p < 0.0001). Figura 2 (Figura chiave)

Discussione e Conclusioni

Nei pazienti affetti da OSAS, i meccanismi sottostanti il miglioramento della funzione biventricolare indotto dalla terapia con CPAP  sembrerebbero essere relati alla:

  1. Riduzione della pressione negativa intratoracica. Tale meccanismo comporta una riduzione del ritorno venoso, del postcarico del ventricolo sinistro e del precarico del ventricolo destro.
  2. Riduzione degli eventi ipossici ed ipercapnici. Tale meccanismo comporta un’inibizione dell’attività ortosimpatica che a sua volta determina una riduzione della vasocostrizione periferica, della rigidità arteriosa di parete, della vasocostrizione ipossica del circolo polmonare e del postcarico del ventricolo destro.

I risultati della nostra metanalisi sottolineano la necessità di includere il LV-GLS e RV-GLS nella valutazione ecocardiografica di routine dei pazienti affetti da OSAS in modo da definire l’eventuale livello di disfunzione subclinica biventricolare. Infatti, LV-GLS e RV-GLS appaiono più sensibili dei convenzionali parametri ecocardiografici (LVEF e TAPSE, rispettivamente) nell’individuare fini cambiamenti della funzione sistolica nei pazienti affetti da OSAS, sia al basale che durante terapia con CPAP, permettendo così di ottenere un’affidabile valutazione riguardo l’efficacia della terapia e della compliance del paziente alla stessa.

Bibliografia

1.        Marijana Tadic MD P 1 EGMAFM 2, Carla Sala MD 2 Stefano Carugo MD1 Cesare Cuspidi MD 3. The impact of continuous positive airway pressure on cardiac mechanics: Findings from a meta-analysis of echocardiographic studies. J Clin Hypertens. 2022. doi:10.1111/jch.14488

2.        Jennum P, Tønnesen P, Ibsen R, Kjellberg J. Obstructive sleep apnea: effect of comorbidities and positive airway pressure on all-cause mortality. Sleep Med. 2017;36. doi:10.1016/j.sleep.2017.04.018

3.        Erratum: Obstructive sleep apnoea/hypopnoea syndrome and obesity hypoventilation syndrome in over 16s: Summary of NICE guidance (BMJ (2021) 375 (n2360) DOI: 10.1136/bmj.n2360). BMJ. 2022;376. doi:10.1136/bmj.o619

4.        Green M, Ken-Dror G, Fluck D, et al. Meta-analysis of changes in the levels of catecholamines and blood pressure with continuous positive airway pressure therapy in obstructive sleep apnea. J Clin Hypertens. 2021;23(1). doi:10.1111/jch.14061

5.        Tadic M, Cuspidi C, Grassi G, Mancia G. Obstructive sleep apnea and cardiac mechanics: how strain could help us? Heart Fail Rev. 2021;26(4). doi:10.1007/s10741-020-09924-0

Degenerazione caseosa dell’anello mitralico: un approccio di imaging multimodale

Musci Leone Giovanni, Colombi Riccardo, Margonato Davide, Paci Gabriele

‘Università Vita-Salute San Raffaele

Abstract:

La degenerazione caseosa dell’anello mitralico (caseous mitral annular calcification, CMAC) è una rara variante della calcificazione dell’anello mitralico (mitral annular calcification, MAC) il cui ruolo prognostico è ancora incerto. Un approccio di imaging multimodale è fondamentale per una corretta diagnosi e follow-up.  Presentiamo il caso clinico di una donna di 80 anni giunta alla nostra osservazione a causa di due pregressi eventi cerebrovascolari a eziologia indefinita. Escluse cause tipiche di eventi ischemici cerebrali, solo l’utilizzo dell’imaging multimodale ha permesso la diagnosi e la caratterizzazione di una forma atipica e mobile di CMAC come più probabile eziologia.

Introduzione:

La CMAC (caseous mitral annular calcification) è una rara variante della MAC (mitral annular calcification), definita da formazione di accumuli di tessuto caratterizzato da necrosi caseosa, con una prevalenza stimata nella popolazione generale dello 0.07% (1). Interessa tipicamente la popolazione anziana e il suo ruolo prognostico e il management più appropriato sono ancora incerti. Un approccio di imaging multimodale è raccomandato per una corretta caratterizzazione della componente caseosa, descritta come possibile fonte emboligena. Presentiamo qui il caso clinico di una paziente con storia di multiple embolie cerebrali a eziologia indefinita e diagnosi di CMAC atipica e mobile, ottenuta grazie a un approccio con imaging multimodale, come più probabile causa degli eventi clinici.

Figura 1: Imaging transtoracico e transesofageo.  A: Immagine transtoracica in parasternale asse corto della valvola mitrale; B: Immagine transtoracica in parasternale asse lungo; C: Immagine transesofagea con X-Plane in 4 camere; D: Immagine transesofagea off-axis        

Una donna di 80 anni giungeva alla nostra osservazione per un episodio di ipostenia e ipoestesia all’arto superiore destro. In anamnesi si segnalava un evento ischemico transitorio (TIA) esordito con transitoria perdita di memoria ad eziologia non definita, per cui veniva iniziata terapia antiaggregante con Clopidogrel. Da allora non venivano più segnalati eventi fino a marzo 2022, quando la paziente è stata ricoverata per minor stroke con ipostenia ed ipoestesia dell’arto superiore destro. La RMN encefalo ha mostrato multipli esiti di lesioni focali ischemiche di recente insorgenza nel territorio dell’arteria cerebrale media sinistra e lesione ischemica centimetrica acuta nel giro pre-centrale sinistro, come da possibile causa embolica. L’Holter ECG delle 24 ore non evidenziava eventi aritmici; veniva eseguito un Ecocolordoppler TSA, negativo per lesioni significative.

All’ecocardiogramma transtoracico si evidenziava una MAC con elementi mobili ad alto rischio emboligeno, per cui veniva riferita al nostro centro per un inquadramento diagnostico.

Per approfondimento diagnostico si eseguiva un ecocardiogramma transesofageo che, esclusi forame ovale pervio e trombosi endocavitaria, confermava la presenza di un’ampia MAC con componente peduncolata mobile di dimensioni 3×15 mm, quest’ultima di non univoca interpretazione (fig. 1). Gli esami ematochimici, le emocolture e l’assenza di elementi clinici escludevano la diagnosi di endocardite infettiva.

Figura 2: Immagini di risonanza magnetica cardiaca. A: immagine RMN in asse corto T1- pesata; B: immagine RMN in asse corto T2-pesata; B: immagine RMN per LGE.

Veniva pertanto eseguita una risonanza magnetica cardiaca che mostrava la presenza di foci di ipointensità nelle sequenze T1 e T2-pesata localizzati sull’anello posteriore mitralico, in assenza di captazione di mezzo di contrasto nelle sequenze tardive. A carico della lesione si identificavano aree di calcificazione caseosa a livello anulare e miocardico con possibile fistolizzazione in corrispondenza dell’irregolarità descritta (Fig. 2).

Infine, la paziente è stata sottoposta a uno studio mediante TC cardiosincronizzata con mezzo di contrasto che confermava le caratteristiche precedentemente descritte delle masse, in particolare la componente ipodensa aggettante nell’atrio con lunghezza di dimensioni 8 x 3 mm di possibile origine dalla calcificazione caseosa (Fig. 3).  

Alla luce di tali reperti, si concludeva per la diagnosi di una variante atipica e mobile di CMAC.

Discussione:

La CMAC è una rara variante della MAC, descritta in letteratura come possibile causa di fonte embolica(2).

Nel caso da noi riportato, una volta escluse le tipiche cause di cardioembolismo (monitoraggio ECG telemetrico settimanale negativo per aritmie, assenza di PFO, ematochimica negativa per endocardite infettiva), l’imaging multimodale è risultato fondamentale per identificare la componente caseosa, il cui carattere evolutivo nel tempo è stato già riportato in letteratura(3). Varie sono le ipotesi di fisiopatogenesi del cardioembolismo, in particolare distacco di materiale calcifico, ulcerazione ed embolizzazione di materiale caseoso e sovrapposizione trombotica (4).

Figura 3: Immagini TC con mezzo di contrasto. A: sezione trasversale; B: sezione sagittale.

Un corretto studio con imaging multimodale è necessario per effettuare diagnosi differenziale con altre masse cardiache origini di ischemia cerebrale a prognosi peggiore, in particolare le vegetazioni endocarditiche, gli ascessi miocardici e i tumori endocavitari.

La gestione clinica di questa patologia è ancora oggetto di dibattito: nel nostro caso l’intervento cardiochirurgico, indicato in caso di disfunzione valvolare o embolismi ricorrenti, è stato escluso per alto rischio chirurgico.  Per quanto riguarda la terapia medica, veniva intrapresa anticoagulazione (utilizzando Coumadin), come proposto da alcuni autori(5), alla luce degli eventi ricorrenti e della dubbia composizione della lesione mobile, con un follow-up clinico negativo per eventi ischemici a 4 mesi.

BIBLIOGRAFIA

  1. Pomerance A. Patological and clinical study of calcification of the mitral valve ring. J Clin Pathol. 1970 May;23(4):354-61. doi: 10.1136/jcp.23.4.354. PMID: 5430424; PMCID: PMC476757.
  2. Simon M Frey, Verena Hofmann, Michael J Zellweger, Philip Haaf. Big mitral annular calcification: a case report of a dynamic liquefaction necrosis as a potential source of embolism. European Heart Journal – Case Reports, Volume 5, Issue 10, October 2021, ytab380, https://doi.org/10.1093/ehjcr/ytab380
  3. Gramenzi S, Mazzola AA, Tagliaferri B, Protasoni G, Brusoni D, d’Aloya G et al.  Caseous calcification of the mitral annulus: unusual case of spontaneous resolution. Echocardiography 2005;22:510–513.
  4. Elgendy IY, Conti CR. Caseous calcification of the mitral annulus: a review. Clin Cardiol 2013;36:E27–E31.
  5. Higashi H, Ohara T, Nakatani S, et al. A case of caseous calcification of the mitral annulus: a potential source of embolic stroke. J Cardiol Cases. 2010;2:e141–e143.

Figura-B

Scompenso cardiaco a frazione d’eiezione preservata: oltre la terapia medica ottimale

Antonella Rispoli (1), Angelo Giano (1), Vittoria Miano (1), Michele Tedeschi (1), Marco Torre (1), Antonia Alfano (2), Michele Manzo (2), Gennaro Galasso (1) 

1. Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli studi di Salerno, Italia 

2. A.O.U. “San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona”, Salerno, Italia 

Introduzione 

Lo scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata (HFpEF) è una sindrome clinica complessa caratterizzata da una frazione di eiezione del ventricolo sinistro superiore al 50% e da segni e sintomi dovuti alla disfunzione diastolica (1,2). 

Lo scompenso cardiaco è spesso associato a tachiaritmie sopraventricolari come la fibrillazione atriale (FA) e il flutter atriale (AFL). Infatti, HFpEF e tachiaritmie sopraventricolari hanno fattori eziopatologici e scatenanti comuni, soprattutto quando sono presenti altre comorbidità come diabete mellito e condizioni proinfiammatorie (3,4,5). 

Caso clinico 

Giunge alla nostra osservazione paziente maschio, 67 anni, in seguito ad un episodio di arresto cardiocircolatorio trattato mediante rianimazione cardiopolmonare con ripristino del ROSC. 

In anamnesi diagnosi di miocardio non compatto a coronarie epicardiche esenti da lesioni angiograficamente significative, flutter atriale tipico comune, ipertensione arteriosa, dislipidemia, insufficienza renale cronica, anemia sideropenica, pregressa nefrectomia per carcinoma renale e pregressa gastrectomia per ulcera perforante. 

Dopo aver escluso cause reversibili determinanti l’evento aritmico, il paziente viene sottoposto ad impianto di defibrillatore bicamerale in prevenzione secondaria. 

Il defibrillatore scelto è dotato di un sistema di monitoraggio da remoto che sulla base di un algoritmo multiparametrico consente di identificare precocemente segni di peggioramento di scompenso cardiaco (6,7). 

Durante i mesi successivi il paziente viene sottoposto a monitoraggio da remoto mediante il dispositivo impiantato e controlli ambulatoriali frequenti. Tuttavia, si assiste all’insorgenza di numerosi episodi di incremento della soglia del sistema di monitoraggio da remoto del defibrillatore che vengono prontamente trattati mediante valutazione ambulatoriale ed ottimizzazione della terapia medica (Figura 1A). 

Il sistema di monitoraggio remoto rileva inoltre il persistere di un ritmo da flutter atriale a frequenza cardiaca adeguatamente controllata. In considerazione dei frequenti episodi di incremento della soglia e contestuale peggioramento della dispnea del paziente nonché degli indici di funzione diastolica si decide di sottoporre il paziente ad ablazione del flutter atriale tipico comune. 

Il paziente pertanto esegue ablazione transcatetere con radiofrequenze dell’istmo cavo-tricuspidalico. Dopo l’ablazione, fino ad oggi, il paziente non ha più avuto episodi di peggioramento della dispnea, non si sono più verificati incrementi dei valori del monitoraggio remoto e non sono stati necessari aggiustamenti della terapia medica (Figura 1 B). 

Discussione 

HFpEF e AFL sono condizioni cliniche patofisiologicamente correlate. Il rimodellamento sfavorevole dell’atrio sinistro e l’incremento delle pressioni di riempimento nelle sezioni sinistre del cuore nonché la disfunzione diastolica favoriscono l’insorgenza di segni e sintomi di scompenso cardiaco (8,9). 

I pazienti affetti da scompenso cardiaco a frazione d’eiezione preservata hanno frequentemente un riarrangiamento patologico dell’atrio sinistro riconducibile alle incrementate pressioni di riempimento. Un atrio di volume aumentato costituisce un substrato aritmogeno che può pertanto favorire l’insorgenza di fibrillazione atriale o di altre tachiaritmie. Allo stesso tempo, la fibrillazione atriale di per sé determina un rimaneggiamento negativo dell’atrio sinistro che si associa a modifiche emodinamiche e pressorie dovute alle conseguenti alterazioni della sistole atriale e del riempimento ventricolare (10). 

Nel nostro caso, la modifica della terapia medica ha ridotto le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, consentendo una gestione ambulatoriale del paziente; tuttavia, non è stata sufficiente a ridurre il riesacerbarsi dei sintomi e dei segni di scompenso cardiaco. 

C’è stato un sostanziale miglioramento della stabilità clinica del paziente solo arrivando a un approccio multidisciplinare che tenesse conto della terapia medica ottimizzata ma anche del ricorso a trattamenti invasivi come l’ablazione transcatetere del flutter atriale con radiofrequenza. Il guadagno del ritmo sinusale ha permesso di stabilizzare lo stato clinico del paziente riducendo gli indici di disfunzione diastolica e migliorando conseguentemente l’equilibrio volemico del paziente (11). 

Conclusioni 

Il sistema di monitoraggio da remoto è utile per identificare precocemente le riacutizzazioni di scompenso cardiaco (12). 

In associazione alla terapia medica ottimizzata vanno considerati trattamenti invasivi per la gestione dello scompenso cardiaco (13). 

Bibliografia 

1. McDonagh TA, Metra M, Adamo M, Gardner RS, Baumbach A, Böhm M, Burri H, Butler J, Čelutkienė J, Chioncel O, Cleland JGF, Coats AJS, Crespo-Leiro MG, Farmakis D, Gilard M, Heymans S, Hoes AW, Jaarsma T, Jankowska EA, Lainscak M, Lam CSP, Lyon AR, McMurray JJV, Mebazaa A, Mindham R, Muneretto C, Francesco Piepoli M, Price S, Rosano GMC, Ruschitzka F, Kathrine Skibelund A; ESC Scientific Document Group. 2021 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure: Developed by the Task Force for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure of the European Society of Cardiology (ESC). With the special contribution of the Heart Failure Association (HFA) of the ESC. Eur J Heart Fail. 2022 Jan;24(1):4-131. doi: 10.1002/ejhf.2333. PMID: 35083827. 

2. Heidenreich PA, Bozkurt B, Aguilar D, Allen LA, Byun JJ, Colvin MM, Deswal A, Drazner MH, Dunlay SM, Evers LR, Fang JC, Fedson SE, Fonarow GC, Hayek SS, Hernandez AF, Khazanie P, Kittleson MM, Lee CS, Link MS, Milano CA, Nnacheta LC, Sandhu AT, Stevenson LW, Vardeny O, Vest AR, Yancy CW. 2022 AHA/ACC/HFSA Guideline for the Management of Heart Failure: A Report of the American College of Cardiology/American Heart Association Joint Committee on Clinical Practice Guidelines. Circulation. 2022 Apr 1:101161CIR0000000000001063. doi: 10.1161/CIR.0000000000001063. PMID: 35363499. 

3. Lee JZ, Cha YM. Atrial fibrillation and heart failure: A contemporary review of current management approaches. Heart Rhythm O2. 2021;2(6Part B):762-770. Published 2021 Dec 17. doi:10.1016/j.hroo.2021.11.006 

4. Packer M, Lam CSP, Lund LH, Redfield MM. Interdependence of Atrial Fibrillation and Heart Failure With a Preserved Ejection Fraction Reflects a Common Underlying Atrial and Ventricular Myopathy. Circulation. 2020 Jan 7;141(1):4-6. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.119.042996. Epub 2019 Dec 30. PMID: 31887078. 

5. Shah SJ, Borlaug BA, Kitzman DW, McCulloch AD, Blaxall BC, Agarwal R, Chirinos JA, Collins S, Deo RC, Gladwin MT, Granzier H, Hummel SL, Kass DA, Redfield MM, Sam F, Wang TJ, Desvigne-Nickens P, Adhikari BB. Research Priorities for Heart Failure With Preserved Ejection Fraction: National Heart, Lung, and Blood Institute Working Group Summary. Circulation. 2020 Mar 24;141(12):1001-1026. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.119.041886. Epub 2020 Mar 23. PMID: 32202936; PMCID: PMC7101072. 

6. Bertini M, Vitali F, Santini L, Tavoletta V, Giano A, Savarese G, Russo AD, Santobuono VE, Mattera A, Lavalle C, Amellone C, Pecora D, Calvanese R, Rapacciuolo A, Campari M, Valsecchi S, Calò L. Implantable defibrillator-detected heart failure status predicts atrial fibrillation occurrence. Heart Rhythm. 2022 Jan 20:S1547-5271(22)00035-2. doi: 10.1016/j.hrthm.2022.01.020. Epub ahead of print. PMID: 35066184. 

7. Calò L, Bianchi V, Ferraioli D, Santini L, Dello Russo A, Carriere C, Santobuono VE, Andreoli C, La Greca C, Arena G, Talarico A, Pisanò E, Santoro A, Giammaria M, Ziacchi M, Viscusi M, De Ruvo E, Campari M, Valsecchi S, D’Onofrio A; Full list of participant centers and investigators. Multiparametric Implantable Cardioverter-Defibrillator Algorithm for Heart Failure Risk Stratification and Management: An Analysis in Clinical Practice. Circ Heart Fail. 2021 Oct;14(10):e008134. doi: 10.1161/CIRCHEARTFAILURE.120.008134. Epub 2021 Jun 30. PMID: 34190592; PMCID: PMC8522625. 

8. Reddy YNV, Obokata M, Verbrugge FH, Lin G, Borlaug BA. Atrial Dysfunction in Patients With Heart Failure With Preserved Ejection Fraction and Atrial Fibrillation. J Am Coll Cardiol. 2020 Sep 1;76(9):1051-1064. doi: 10.1016/j.jacc.2020.07.009. PMID: 32854840; PMCID: PMC7455760. 

9. Pfeffer MA, Shah AM, Borlaug BA. Heart Failure With Preserved Ejection Fraction In Perspective. Circ Res. 2019 May 24;124(11):1598-1617. doi: 10.1161/CIRCRESAHA.119.313572. PMID: 31120821; PMCID: PMC6534165. 

10. Kotecha D, Lam CS, Van Veldhuisen DJ, Van Gelder IC, Voors AA, Rienstra M. Heart Failure With Preserved Ejection Fraction and Atrial Fibrillation: Vicious Twins. J Am Coll Cardiol. 2016 Nov 15;68(20):2217-2228. doi: 10.1016/j.jacc.2016.08.048. PMID: 27855811. 

11. Jani C, Arora S, Zuzek Z, Jaswaney R, Thakkar S, Patel HP, Lahewala S, Arora N, Josephson R, Deshmukh A, Viles-Gonzalez J, Osman MN, Sahadevan J, Hoit BD, Mackall JA. Impact of catheter ablation in patients with atrial flutter and concurrent heart failure. Heart Rhythm O2. 2020 Nov 22;2(1):53-63. doi: 10.1016/j.hroo.2020.11.005. Erratum in: Heart Rhythm O2. 2021 Jun 18;2(3):309. PMID: 34113905; PMCID: PMC8183960. 

12. Boehmer JP, Hariharan R, Devecchi FG, Smith AL, Molon G, Capucci A, An Q, Averina V, Stolen CM, Thakur PH, Thompson JA, Wariar R, Zhang Y, Singh JP. A Multisensor Algorithm Predicts Heart Failure Events in Patients With Implanted Devices: Results From the MultiSENSE Study. JACC Heart Fail. 2017 Mar;5(3):216-225. doi: 10.1016/j.jchf.2016.12.011. PMID: 28254128. 

13. Rillig A, Magnussen C, Ozga AK, et al. Early Rhythm Control Therapy in Patients With Atrial Fibrillation and Heart Failure. Circulation. 2021;144(11):845-858. doi:10.1161/CIRCULATIONAHA.121.056323 

Central-Illustration

Transcatheter Aortic Valve Replacement In Aortic Stenosis And Cardiac Amyloidosis: A Systematic Review And Meta-Analysis

Francesco Cannata1,2, Mauro Chiarito1,2, Giuseppe Pinto1,2, Alessandro Villaschi1,2, Jorge Sanz-Sánchez3,4, Fabio Fazzari2, Damiano Regazzoli2, Antonio Mangieri2, Renato M Bragato2, Antonio Colombo2, Bernhard Reimers2, Gianluigi Condorelli1,2, Giulio G Stefanini1,2

1 Department of Biomedical Sciences, Humanitas University, Via Rita Levi Montalcini, 4, Pieve Emanuele-Milan, Italy.
2 IRCCS Humanitas Research Hospital, Rozzano-Milan, Italy.
3 Hospital Universitario y Politecnico La Fe, Valencia, Spain.
4 Centro de Investigación Biomedica en Red (CIBERCV), Madrid, Spain

ABSTRACT

Lo studio ha valutato i dati presenti in letteratura riguardo ad efficacia e sicurezza della procedura di TAVI nei pazienti con stenosi aortica ed amiloidosi cardiaca, nei quali l’utilità della procedura è stata messa in dubbio. Tramite metanalisi di sette studi osservazionali, è stato dimostrato che il rischio di mortalità è minore nei pazienti sottoposti a TAVI, rispetto ad un approccio di sola terapia medica (OR 0.23, 95%CI 0.07-0.73, P=0.001), E con un profilo di sicurezza comparabile a quello della TAVI nei pazienti senza amiloidosi cardiaca, fatta eccezione per un aumentato rischio di impianto di Pacemaker (OR 1.76, 95%CU 0.91-4.09, p=0.085).

COMMENTO

La presente metanalisi, già premiata come uno dei migliori abstract presentati al congresso della Società Italiana di Cardiologia 2021 e successivamente pubblicata a giugno 2022 su ESC Heart Failure, valuta l’impatto della procedura di TAVI nei pazienti con stenosi aortica severa e amiloidosi cardiaca (CA-AS).(1)

Fino al 16% dei pazienti candidati a TAVI può presentare un quadro di cardiopatia infiltrativa secondaria a deposito di amiloide.(2) L’associazione delle due patologie comporta una peggiore capacità funzionale e un’aumentata mortalità rispetto ai pazienti con stenosi aortica isolata; nonostante ciò l’impatto prognostico della TAVI in questa popolazione è stato in passato dibattuto.

Tramite revisione sistematica ed analisi metanalitica, è stato possibile identificare 7 studi osservazionali: 3 lavori riportavano dati riguardanti la mortalità dei pazienti con CA-AS sottoposti a TAVI rispetto alla sola terapia medica, altri 3 studi valutavano complicanze e outcome clinici della procedura in pazienti con CA-AS rispetto a pazienti con stenosi aortica isolata mentre un ultimo studio è stato incluso in entrambe le analisi. (3-8) Figura 1

È stato quindi dimostrato un ridotto rischio di mortalità (18.2% vs 55.6%, OR 0.23, 95%CI 0.07-0.73, P=0.001, NNT=3) nella sottopopolazione di pazienti con CA-AS trattati tramite procedura di TAVI (n=44) rispetto alla sola terapia medica (n=36).Figura 2

Nella seconda analisi, i pazienti con CA-AS (n=75) presentavano una mortalità comparabile (28.6% vs 23.9%, OR 1.11, 95% CI 0.67 – 1.85, p=0.687) ai pazienti con stenosi aortica isolata sottoposta a TAVI (n=536), così come un simile rischio di ospedalizzazione per cause cardiovascolari o scompenso cardiaco (21.4% vs 14.1%, OR 1.45, 95% CI 0.77 – 2.73, p=0.251); si notava solamente una tendenza ad un aumentato numero di impianti di pacemaker permanenti (16.1% vs 8.9%, OR 1.76, 95% CI 0.91 – 4.09, p=0.085).Figura 3

Pertanto, come riassunto nella Central Illustration, i principali risultati dello studio nel gruppo di pazienti con stenosi aortica severa sintomatica e cardiopatia amiloide trattati con procedura TAVI sono i seguenti:

  1. Una miglior sopravvivenza rispetto ai pazienti con CA-AS trattati con sola terapia medica, possibilmente legata alla riduzione del post-carico e delle pressioni di riempimento ventricolare sinistro conseguente alla risoluzione dell’ostruzione a livello della valvola aortica.
  2. Un rischio di complicanze periprocedurali paragonabile a quello dei pazienti con stenosi aortica severa isolata trattati con TAVI, fatta eccezione per una tendenza ad un aumentato rischio di impianto di pacemaker, che potrebbe essere spiegata dalla maggior degenerazione amiloide-relata del sistema di conduzione.
  3. Un rischio solo numericamente più elevato di riospedalizzazioni per cause cardiovascolari e mortalità a lungo termine, rispetto ai pazienti con stenosi aortica severa isolata trattati con TAVI.

In conclusione, pur con i limiti intrinseci ad una metanalisi study level di studi osservazionali, lo studio corrobora l’idea che la procedura di TAVI non debba essere considerata futile nella popolazione di pazienti con CA-AS, sebbene studi prospettici e randomizzati siano necessari per chiarire in maniera certa l’impatto della procedura sulla prognosi di questo sottogruppo di pazienti.

  • Cannata F, Chiarito M, Pinto G et al. Transcatheter aortic valve replacement in aortic stenosis and cardiac amyloidosis: a systematic review and meta-analysis. ESC Heart Fail 2022 Jun 29. doi: 10.1002/ehf2.13876.
  • Castaño A, Narotsky DL, Hamid N et al. Unveiling transthyretin cardiac amyloidosis and its predictors among elderly patients with severe aortic stenosis undergoing transcatheter aortic valve replacement. Eur Heart J 2017;38:2879–2887.
  • Nitsche  C,  Scully  PR,  Patel  KP, Prevalence and outcomes of concomitant aortic stenosis and cardiaca myloidosis. JACC 2021;77:128–139.7.
  • Cavalcante JL, Rijal S, Abdelkarim I et al Cardiac amyloidosis is prevalent in older patients with aortic stenosis and carries worse prognosis. J Cardiovasc Magn Reson 2017;19: 98
  • Scully  PR,  Patel  KP,  Treibel  TA, et al. Prevalence and outcome of dual aortic stenosis and cardiac amyloid pathology in patients referred for trans-catheter aortic valve implantation. Eur Heart J 2020;41: 2759–2767
  • Galat A, Guellich A, Bodez D et al Aortic stenosis and transthyretin cardiacamyloidosis: the chicken or the egg? Eur Heart J 2016;37: 3525–3531.13.
  • Chacko L, Martone R, Bandera F et al.  Echocardiographic phenotype and prognosis in transthyretin cardiac amyloidosis. Eur Heart  J 2020;0:1–10.14.
  • Rosenblum H, Masri A, Narotsky DL, et al.  Unveiling  outcomes  in coexisting severe aortic stenosis and transthyretin cardiac amyloidosis. Eur J Heart Fail2021;23: 250–258.15.
  •  Nitsche C, Aschauer S, KammerlanderAA et al. Light-chain and transthyretin cardiac amyloidosis in severe aortic stenosis: prevalence, screening possibilities, and outcome. Eur  J  Heart  Fail 2020;22:1852–1862

Matching Imaging and Remodulation Effects: Benefits of Cardiac Contractility Modulation Shown by Global Longitudinal Strain: A Case Report

Andrea Matteucci 1,2 , Giacomo Bonacchi 2 , Vincenzo Mirco La Fazia 2 , Giuseppe Stifano 2 e Domenico Sergi 2

1 Division of Cardiology, San Filippo Neri Hospital, Via Martinotti, 20, 00135 Rome, Italy

2 Division of Cardiology, University Hospital “Tor Vergata”, 00133 Rome, Italy;

Abstract

Il dispositivo per la Cardiac Contractily Modulation (CCM) è un device proposto per i pazienti affetti da scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta ancora sintomatici nonostante terapia medica ottimale. Presentiamo il caso di una paziente trattata con terapia medica massimale e angioplastica primaria per sindrome coronarica acuta senza elevazione persistente del tratto ST-T (NSTE-ACS). La paziente rifiutava l’impianto di un defibrillatore impiantabile e, per ridurre il numero di accessi per riacutizzazione di scompenso cardiaco, le è stato proposto l’impianto del device per la  Cardiac Contractily Modulation. Dopo l’impianto si è osservato un notevole miglioramento dei parametri ecocardiografici e della qualità di vita. Dopo nove mesi dall’impianto non si sono registrati riacutizzazioni di scompenso cardiaco. Abbiamo osservato con l’analisi speckle tracking come il miglioramento nel global longitutinal strain  può correlare con il rimodellamento dei miocardiociti.

Introduzione

Il dispositivo per la “Cardiac Contractily Modulation” (CCM) è stato proposto per i pazienti affetti da scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta ancora sintomatici nonostante terapia medica ottimale [1]. Questo agisce tramite modifiche epigenetiche sui cardiomiociti, migliorando la resistenza all’esercizio fisico e la qualità della vita, andando a ridurre il numero di accessi ospedalieri. Tramite l’analisi istologica è stato dimostrato uno shift dei geni espressi nel cuore scompensato, in particolar modo dei geni che agiscono sul pathway delle proteine regolatrici il ciclo del calcio. La CCM si è dimostrata efficace indipendentemente dalla durata del QRS [2]. In questo caso clinico abbiamo dimostrato l’utilità dello speckle tracking strain [3] nel confermare il miglioramento clinico-strumentale di questa paziente.

Caso clinico

Presentiamo il caso clinico di una paziente di 77 anni ricoverata presso il nostro reparto di cardiologia per peggioramento della dispnea e astenia marcata. La paziente, dislipidemica, ipertesa, diabetica era stata precedentemente sottoposta a triplice bypass aortocoronarico. Nell’ultimo anno aveva effettuato tre ricoveri per riacutizzazione di scompenso cardiaco. In passato aveva rifiutato l’impianto di un defibrillatore per paura di potenziali shock.

Figura 1. Percutaneous coronary intervention. (A) Arteria mammaria interna su arteria discendente anteriore; (B) Graf venoso a Y su un ramo marginale ottuso e su arteria discendente posteriore; (C) Arteria coronaria destra con occlusione distale; (D) Arteria coronaria sinistra; (E) Arteria coronaria destra dopo angioplastica percutanea e impianto di stent medicato.

Al momento del ricovero presso il nostro reparto la paziente presentava un valore di pressione arteriosa di 100/65 mmHg, edema perimalleolare. La terapia medica all’ingresso era ottimizzata secondo le condizioni cliniche della paziente. La prima valutazione ecocardiografica mostrava acinesia dell’apice e di tutti i segmenti distali, ipocinesia della parete anteriore e del setto interventricolare (LVEF 25%). La paziente veniva dunque sottoposta a studio coronarografico che mostrava pervietà dei bypass precedentemente confezionati e una nuova lesione sul tratto distale della coronaria destra trattato mediante angioplastica con impianto di uno stent medicato (Figura 1). Dopo 40 giorni la paziente si presentava ancora in condizioni cliniche scadute e veniva effettuata nuova valutazione ecocardiografica della LVEF con metodica speckle tracking strain, una tecnica quantitativa per stimare la funzionalità miocardica attraverso un’analisi della deformazione miocardica indipendente dai movimenti di traslazione ‘in plane’ e dall’angolo di insonazione [4]. L’analisi mostrava una deformazione longitudinale AP3 (LD) −10.3%, AP2 LD −11.3%, AP4 LD −13.2%, global LD −11.0%. L’ LVEF calcolata con metodo Simpson biplano era 26% (Figura 2A), e dunque in assenza di miglioramenti dal giorno del ricovero. È stata valutata la capacità di esercizio fisico e la qualità di vità tramite six-minute walking test (SMWT), e questionario Minnesota Living with Heart Failure (MLWHFQ). La paziente era riuscita a percorrere una distanza di 50 metri con una saturazione del 88% e il punteggio del MLWHFQ era 84 punti.

In considerazione della persistenza della ridotta LVEF, dei numerosi accessi ospedalieri per riacutizzazioni di scompenso cardiaco si procedeva ad impianto di dispositivo CCM. A un mese dalla dimissione la paziente riferiva un notevole miglioramento nei sintomi e nella dispnea da sforzo. La valutazione ecocardiografica dello strain del ventricolo sinistro mostrava un valore nella proiezione apicale tre camere di -13.35, nella due camere di -15.8% e nella quattro camere di -16,2% con un risultato globale di -15%; con un miglioramento nelle regioni stimolate (Figura 2B). Dopo tre mesi dalla dimissione veniva mostrato un ulteriore miglioramento: la distanza percorsa al 6MWT era di 230 metri senza desaturazione e il punteggio MLWHFQ era 58. Dopo sei mesi dalla dimissione veniva confermato il miglioramento della frazione d’eiezione che risultava 46% (Figura 2C). Dopo nove mesi dalla dimissione venivano confermati sia i parametri ecocardiografici che quelli della  qualità di vita in assenza di nuovi accessi per riacutizzazioni di scompenso cardiaco.

Discussione

In questo caso clinico la CCM si è dimostrata efficace nel migliorare i sintomi e ridurre il numero di ospedalizzazioni di una paziente affetta da scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta. La CCM è un dispositivo impiantabile che emette impulsi elettrici bifasici ad alto voltaggio durante il periodo refrattario assoluto. È costituito da un generatore che viene collocato nella regione sottoclaveare e da due elettrocateteri posizionati sul setto interventricolare che influenzano la biologia del miocardiocita aumentandone la contrattilità senza aumentare il consumo di ossigeno.

Figura 2. GLS del ventricolo sinistro prima e dopo l’impianto di CCM. (A) GLS del ventricolo sinistro il giorno prima dell’impianto della CCM; (B) Follow-up a 30 giorni: il segmento medio delle regioni infero-settali mostra il maggior miglioramento; (C) Follow-up a 6 mesi: l’apice, il setto basale anteriore e la parete basale antero-laterale mostrano un ulteriore miglioramento. Come si vede dall’immagine il volume telediastolico non ha subito grossi cambiamenti nel primo mese, si è però ridotto dopo 6 mesi. Il volume telesistolico si è ridotto immediatamente dopo l’impianto. Questo può essere dovuto all’aumentato inotropismo e lusotropismo come risultato della terapia con CCM.

È stato dimostrato che questi segnali ristabilizzano la corretta fosforillazione di proteine regolatrici come il fosfolambano che migliora l’uptake di calcio tramite la proteina SERCA2a aumentandone la contrattilità ventricolare sinistra e risultando in un miglioramento nella tolleranza nell’esercizio e nella capacità funzionale [4]. Dopo 40 giorni dalla rivascolarizzazione si è osservato solo un piccolo miglioramento nella frazione eiezione ventricolare sinistra. Dopo l’impianto del device si è dimostrato un miglioramento della contrattilità a carico dei segmenti più vicino agli elettrocateteri correlando dunque con le aree sottoposte al maggior rimodellamento genico [5]. Questo caso mostra l’efficacia del GLS nel dimostrare il miglioramento della performance ventricolare sinistra, in accordo con la valutazione clinica, ed è il primo a valutare l’effetto del rimodellamento della CCM usando il GLS. L’analisi dello strain ventricolare sinistro ha mostrato di essere utile nel monitoraggio della terapia con la CCM correlando l’imaging e il riarrangiamento dei geni miocardici indotto dal device.

References

1. Seferovic, P.M.; Ponikowski, P.; Anker, S.D.; Bauersachs, J.; Chioncel, O.; Cleland, J.G.F.; de Boer, R.A.; Drexel, H.; Ben Gal, T.; Hill, L.; et al. Clinical practice update on heart failure 2019: Pharmacotherapy, procedures, devices, and patient management. An expert consensus meeting report of the Heart Failure Association of the European Society of Cardiology. Eur. J. Heart Fail. 2019, 21, 1169–1186.

2. Kahwash, R.; Burkhoff, D.; Abraham, W.T. Cardiac contractility modulation in patients with advanced heart failure. Expert Rev. Cardiovasc. Ther. 2013, 11, 635–645. 

3. Giallauria, F.; Vigorito, C.; Piepoli, M.F.; Coats, A.J.S. Effects of cardiac contractility modulation by non-excitatory electrical stimulation on exercise capacity and quality of life: An individual patient’s data meta-analysis of randomized controlled trials. Int. J. Cardiol. 2014, 175, 352–357.

4. Mando, R.; Goel, A.; Habash, F.; Saad, M.; Ayoub, K.; Vallurupalli, S.; Maskoun, W. Outcomes of Cardiac Contractility Modulation: A Systematic Review and Meta-Analysis of Randomized Clinical Trials. Cardiovasc. Ther. 2019, 2019, 9769724. 

5. Anker, S.D.; Borggrefe, M.; Neuser, H.; Ohlow, M.-A.; Röger, S.; Goette, A.; Remppis, B.A.; Kuck, K.-H.; Najarian, K.B.; Gutterman, D.D.; et al. Cardiac contractility modulation improves long-term survival and hospitalizations in heart failure with reduced ejection fraction. Eur. J. Heart Fail. 2019, 21, 1103–1113.

Figura-1-PRINCIPALE

Impatto della correzione del metodo PISA 2D per la quantificazione della severità dell’insufficienza tricuspidalica funzionale

Michele Tomaselli1,2, Luigi P. Badano1,2, Roberto Menè1,2, Mara Gavazzoni1, Francesca Heilbron1,2, Noela Radu3, Sergio Caravita2,4, Claudia Baratto1, Giorgio Oliverio1, Diana R. Florescu2,5, Gianfranco Parati2, and Denisa Muraru1,2

1Department of Medicine and Surgery, University of Milano-Bicocca, Milan, Italy;

2Department of Cardiology, Istituto Auxologico Italiano, IRCCS, P.le Brescia 20, 20149 Milan, Italy;

3Carol Davila University of Medicine and Pharmacy, Bucharest, Romania;

4Department of Management, Information and Production Engineering, University of Bergamo, Dalmine, Italy;

5University of Medicine and Pharmacy of Craiova, Craiova, Romania

Abstract

Nei pazienti con insufficienza tricuspidalica funzionale (FTR), il tethering dei lembi valvolari e la velocità relativamente bassa del jet di rigurgito possono alterare la geometria del flusso prossimale di rigurgito, causando quindi una sottostima dell’entità dell’insufficienza. La modifica che proponiamo all’equazione per il calcolo della proximal isovelocity surface area (PISA) bidimensionale potrebbe correggere questa sottostima. In una coorte di 102 pazienti con FTR abbiamo confrontato l’area effettiva di rigurgito (EROA) e il volume di rigurgito (RegVol) calcolati tramite metodo PISA convenzionale, metodo PISA corretto e metodo volumetrico tridimensionale (VM), usando quest’ultimo come metodo di riferimento. Quando calcolati tramite PISA corretto, rispetto al PISA convenzionale, sia l’EROA che il RegVol risultavano significativamente di maggior entità, e il 37% dei pazienti veniva riclassificato in gradi superiori di insufficienza valvolare. Il PISA corretto ha mostrato inoltre una migliore concordanza con il VM.

Commento

L’ecocardiogramma transtoracico è la metodologia di scelta nella quantificazione della gravità dell’insufficienza tricuspidalica funzionale (FTR)1. Due dei parametri quantitativi utilizzati per determinare tale gravità sono l’area effettiva di rigurgito valvolare (EROA) e il volume di rigurgito (RV) calcolati tramite il metodo del proximal isovolumetric surface area (PISA). Questo metodo si basa su una serie di assunzione geometriche e fisiologiche che sono frequentemente disattese in quanto: (1) l’entità del rigurgito è dinamica e varia durante la sistole; (2) la viscosità del sangue fa sì che questo non si comporti come un fluido ideale; (3) la forma dell’orifizio di rigurgito non è necessariamente circolare ma, più frequentemente, ellissoidale o a stella; (4) infine, nei pazienti con FTR, la bassa velocità del jet di rigurgito e la deformazione del piano valvolare causato dal tethering dei lembi potrebbero portare ad un appiattimento della sfera del PISA e ad una conseguente sottostima della gravità dell’insufficienza2.

Sono state proposte delle correzioni al metodo PISA che, tenendo in considerazione l’angolo sotteso dai lembi tricuspidalici e la velocità relativamente bassa del jet di rigurgito, si è ipotizzato possano migliorare l’accuratezza di tale metodo3. Nello specifico, la formula convenzionale del metodo PISA (PISAconv) si basa sul prodotto fra il quadrato del raggio della sfera di rigurgito (r) e la velocità di aliasing al momento della misurazione del raggio (Va), diviso per la velocità massima del jet di rigurgito (Vp). Il metodo PISA corretto (PISAcorr) prevede la moltiplicazione di tale valore per la dimensione dell’angolo sotteso dai lembi tricuspidalici sul versante ventricolare (α), diviso per 180°, e per il rapporto ponderato fra velocità massima di rigurgito e velocità di aliasing (Figura 1).

L’obiettivo del nostro studio è stato verificare se queste correzioni portino effettivamente ad una stima più accurata dell’entità di rigurgito tricuspidalico.

Abbiamo arruolato retrospettivamente 102 pazienti con FTR sottoposti a ecocardiogramma transtoracico presso il nostro centro. In questi pazienti abbiamo calcolato l’EROA e il RegVol tramite PISAconv, PISAcorr e metodo volumetrico tridimensionale (VM), utilizzando quest’ultima come metodica di riferimento. Come da linee guida, i pazienti sono stati classificati in cinque differenti gradi di gravità di insufficienza tricuspidalica sulla base dell’EROA e del RegVol.

Quando calcolati tramite metodo PISAcorr, sia il RegVol (24.5+20 vs. 18.5+14.25 mL; p 0.001) che l’EROA (0.29+0.26 vs. 0.22+0.21 cm2; p 0.001) risultavano significativamente maggiori rispetto a quelli calcolati tramite PISAconv. Utilizzando l’EROA e il RegVol ottenuti tramite PISAcorr, 38 su 102 pazienti (37%, p 0.001) venivano riclassificati in un grado di insufficienza tricuspidalica di gravità maggiore (Figura 2).

I grafici Bland-Altman (Figura 3) hanno inoltre mostrato che EROA e RegVol calcolati tramite PISAcorr, piuttosto che con PISAconv, erano significativamente più simili a quelli calcolati con VM (bias = -3.7 vs. -11.3 ml, LOA ± 2.8 vs. 13.9 ml; bias = -0.05 vs. -0.16 cmq, LOA ± 0.03 vs. 0.30 cmq, rispettivamente).

In conclusione, nei pazienti con FTR l’utilizzo del metodo PISA corretto, rispetto a quello convenzionale, porta a una stima più accurata dell’EROA e del RegVol. Il metodo PISA convenzionale porta a una sottostima dell’entità dell’insufficienza tricuspidalica in un numero considerevole di pazienti.

Bibliografia

1.        Vahanian A, Beyersdorf F, Praz F, et al. 2021 ESC/EACTS Guidelines for the management of valvular heart disease: Developed by the Task Force for the management of valvular heart disease of the European Society of Cardiology (ESC) and the European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS). 2022;75(6):524. doi:10.1016/j.rec.2022.05.006

2.        Badano LP, Hahn R, Zanella H, Araiza Garaygordobil D, Ochoa-Jimenez RC, Muraru D. Morphological Assessment of the Tricuspid Apparatus and Grading Regurgitation Severity in Patients With Functional Tricuspid Regurgitation: Thinking Outside the Box. JACC Cardiovasc Imaging. 2019;12(4):652-664. doi:10.1016/J.JCMG.2018.09.029

3.        Rivera JM, Vandervoort PM, Mele D, et al. Quantification of tricuspid regurgitation by means of the proximal flow convergence method: a clinical study. Am Heart J. 1994;127(5):1354-1362. doi:10.1016/0002-8703(94)90056-6

Sindrome di Kounis – Un magnifico paradigma naturale

Roberta Lotti, Università degli Studi di Genova.

Abstract

La Sindrome di Kounis rappresenta una sindrome coronarica acuta caratterizzata dal verificarsi nel contesto di una reazione di ipersensibilità, di un’allergia o di un’anafilassi. E’ classificata in tre tipi: la prima da spasmo coronarico in presenza arterie normali, la seconda da instabilità delle placche in arterie coronariche aterosclerotiche e la terza da trombosi di stent coronarici [1, 2].

Vi riportiamo il caso di un paziente di 67 anni che, a seguito di puntura di un insetto, andava incontro ad anafilassi con evidenza di elevazione del segmento ST-T all’elettrocardiogramma successivamente regredito. La coronarografia evidenziava un quadro di ateromasia diffusa con erosione di placca e, all’analisi OCT, trombo intraluminare nel contesto di ateromasia fibrolipidica diffusa. Veniva dunque posta diagnosi di sindrome di Kounis di tipo 2. La lesione rilevata veniva infine trattata con impianto di stent medicato.

Caso clinico

Presentiamo il caso di un uomo di 67 anni, normotipo, sovrappeso, iperteso e dislipidemico in terapia con un sartano ed una statina a bassa dose. In anamnesi non si rilevavano precedenti cardiovascolari e/o allergologici.

 A seguito di una puntura di insetto, il paziente riportava un episodio lipotimico, in assenza di angor, per cui veniva allertato il 112. All’arrivo dei soccorsi il paziente veniva trovato privo di coscienza, ipoteso ( P.A. 70/40 mmHg), si evidenziava inoltre un sovraslivellamento del tratto ST in inferiore all’ECG (Figura 1). Veniva immediatamente avviata soluzione fisiologica ad infusione rapida con ripresa dello stato di coscienza e stabilizzazione emodinamica. Veniva inoltre pretrattato con ASA ed enoxaparina e allertata la sala di emodinamica.

Figura 1. Elettrocardiogramma di presentazione. Evidenza di sovraslivellamento ST in sede inferiore.

 Il paziente accedeva presso la nostra UTIC, asintomatico, emodinamicamente stabile, con la presenza di un diffuso rush cutaneo. All’ECG si osservava quasi completa risoluzione delle alterazioni, mentre all’ecocardiografia al letto si rilevava una modesta ipocinesia medio-basale inferiore in presenza di funzione sistolica globale conservata e assenza di altri reperti. Il primo dosaggio della troponina I risultava di 8.6 ng/dl, i livelli di triptasi erano inoltre elevati.

 Il paziente veniva inviato in sala di emodinamica con riscontro coronarografico di ateromasia diffusa con stenosi significative di arteria interventricolare posteriore (IVP) e ramo diagonale di modesto calibro. Poiché si osservava un’immagine di minus angiografico a livello della Cx media (sospetta presenza di trombo) si procedeva ad analisi OCT per meglio ottimizzarne l’interpretazione e la successiva eventuale strategia terapeutica (Figura 2). Mediante OCT, si evidenziava un’erosione di placca con presenza di trombo intraluminare nel contesto di ateromasia fibrolipidica diffusa.

 Se pur esistono studi preliminari sul trattamento conservativo in questi casi, in assenza di studi clinici randomizzati si decideva di trattare la lesione con impianto di stent medicato (DES), ottimizzato grazie alla rivalutazione OCT che permetteva di evidenziare una lieve mal apposizione.

Nei giorni successivi il paziente era asintomatico e stabile, veniva avviata e mantenuta la duplice anti-aggregazione e venivano effettuati controlli allergologici con il dosaggio di IgE totali e specifiche che dimostravano una sensibilizzazione per tafano e vespidi, ed alti livelli di Triptasi.

Ipotizzavamo pertanto che la reazione anafilattica fosse il fattore scatenante della sindrome coronarica acuta (SCA), confermata dall’associazione di alterazioni dell’ECG, aumento dei livelli di troponina cardiaca e comparsa contemporanea di sintomatologia allergica. Veniva dunque formulata diagnosi di sindrome di Kounis (SK) tipo II.

Figure 2a e 2b. Analisi OCT. Evidenza di erosione di placca con trombo intraluminale.

L’approccio ai pazienti con sindrome coronarica acuta nel contesto di una reazione allergica dovrebbe essere diretto non soltanto all’evento coronarico, ma anche alla reazione allergica che lo induce.

Poiché il vasospasmo è il meccanismo primario, venivano somministrati i calcio-antagonisti non-diidropiridinici (DHP) come terapia di prima linea, evitando l’uso dei betabloccanti.

L’adrenalina è alla base del trattamento dell’anafilassi. Successivamente, al paziente viene prescritta adrenalina autoiniettabile con le istruzioni per l’uso in caso di reazione anafilattica dopo puntura con sintomi respiratori – cardiocircolatori.

Il controllo evolutivo del dosaggio delle IgE specifiche e di triptasi è richiesto alcune settimane dopo la reazione ed è prevista una successiva rivalutazione e l’esecuzione di test cutanei per valutare la possibilità di un trattamento di iposensibilizzazione specifica.

Discussione

La SK, descritta per la prima volta nel 1991, è definita come la concomitante presenza di una SCA ed una reazione allergica o da ipersensibilità, anafilattica o anafilattoide (tutte condizioni in cui abbiamo attivazione di piastrine e mastociti) [1].

Successivamente, lo stesso Kounis, distinse tre diversi tipi: tipo I il cui meccanismo della SCA è lo spasmo in pazienti con coronarie normali (o quasi); tipo II, per rottura/erosione di placca «vulnerabile» pre-esistente; tipo III trombosi di stent con tromboaspirato positivo per presenza di eosinofili e mastociti oppure morte cardiaca improvvisa (SCD) con esame istologico indicativo di infiltrazione eosinofilo-mastocitaria in prossimità dello stent [2].

La sindrome è scatenata dal rilascio di tutti i mediatori della risposta infiammatoria quali istamina, PAF, acido arachidonico e citochine presenti in grande quantità nelle reazioni allergiche.

L’azione di queste molecole a livello coronarico (sia tessuto muscolare liscio che endotelio) è alla base del meccanismo del danno (vasospasmo, trombosi).

 All’inizio di una reazione allergica, l’allergene si lega alle corrispettive IgE ed avviene la degranulazione con il rilascio di sostanze, sia pre-formate (granuli) sia prodotti de-novo, localmente e nella circolazione sistemica.

I mastociti sono coinvolti anche in altre condizioni, altri attivatori innescano la loro degranulazione e il rilascio di composti che contribuiscono all’infiammazione e ad altri processi coinvolti nella destabilizzazione delle placche aterosclerotiche. Il rilascio di istamina e renina dai mastociti può̀ innescare il vasospasmo coronarico [3, 6]. In particolare:

– L’istamina induce vasocostrizione coronarica e l’espressione del fattore tissutale e attiva le piastrine;

– Le proteasi neutre (Chinasi, Triptasi, Catepsina) possono attivare le metalloproteasi della matrice, che possono degradare il cappuccio di collagene e indurre l’erosione e la rottura della placca;

– I leucotrieni, potenti vasocostrittori, la cui sintesi è potenziata nella fase acuta dell’angina instabile;

– Il trombossano, potente mediatore dell’aggregazione piastrinica con proprietà vasocostrittrici;

– Il PAF, che nell’ischemia miocardica agisce sia come vasocostrittore diretto, sia attraverso l’attivazione di leucociti e piastrine.

È stato visto che i mastociti vengono attivati da trigger non allergici spesso senza degranulazione ma con il rilascio selettivo di sostanze [7].

È stata inoltre descritta l’associazione della SK e la Sindrome di Takotsubo: gli impulsi provenienti dai centri corticali alti dopo stress emotivo e depressogeno, attraverso una cascata di azioni, stimolazioni, secrezioni e interazioni, possono portare allo sviluppo della sindrome di Kounis, così come durante una reazione allergica il distress respiratorio (broncospasmo, edema della glottide), e la necessità di infondere adreanlina (anafilassi) possono indurre una Takotsubo [8].

I vasi con stent costituiscono un ambiente ideale per il danno e la disfunzione endoteliale, insieme alla turbolenza che si può creare, alla disfunzione piastrinica e alterazioni della coagulazione. La trombosi dello stent ha sicuramente un’eziologia multifattoriale: l’endotelizzazione ritardata, la lunghezza degli stent, la complessità delle lesioni, l’inserimento subottimale dello stent, la turbolenza di flusso, l’aderenza alla terapia antitrombotica. E tra queste cause abbiamo anche l’ipersensibilità ai componenti dello stent che è più probabile che accada in paziente atopici. È stato infatti proposto l’uso di DES con rilascio di farmaci stabilizzatori dei mastociti in pazienti con trombosi di stent in seguito ad una reazione di ipersensibilità [9].  Una recente revisione della letteratura suggerisce il ruolo importante dei mastociti nelle malattie cardiovascolari e soprattutto il ruolo chiave che hanno i mastociti in alcune condizioni nell’ambito delle malattie cardiovascolari. È stato proposto l’uso di stabilizzatori dei mastociti il cui più famoso è il disodio cromoglicano che inibisce l’attivazione dei mastociti IgE-dipendente [10]. Per quanto riguarda l’eziologia, secondo alcune revisioni prospettiche, le cause più frequenti di anafilassi includono cibo, farmaci e punture di insetti. Sintomi alla presentazione più comuni erano orticaria, dispnea, dolore toracico [4]. In uno studio prospettico è stata effettuata la risonanza magnetica cardiaca entro 24h dall’evento che ha mostrato un coinvolgimento subendocardico nelle impregnazioni precoci di Gadolinio ed edema (aree di iperintensità) nelle immagini T2 pesate (indicatore di ischemia) in tutti i pazienti con ipocinesia.  L’impregnazione tardiva è normale in tutti i pazienti dimostrando che non c’è danno cardiaco permanente nella SK di tipo I [5]. È importante sottolineare come, nonostante si conoscano i protagonisti alla base della fisiopatologia, vi sia ad oggi ancora difficoltà nel predire il rischio di SK in pazienti con episodi allergici (non esiste un livello soglia nel dosaggio di triptasi, chimasi, livello assoluto di eosinofili). Per quanto riguarda il trattamento distinguiamo [2]:

  • SK tipo I: il solo trattamento dell’evento allergico può abolire i sintomi, possono essere utilizzati corticosteroidi ev come idrocortisone e antistaminici come la Difenidramina. La somministrazione di vasodilatatori come Ca-antantagonisti e nitrati può inoltre abolire il vasospasmo, benché i nitrati possano aggravare l’eventuale ipotensione e la tachicardia.
  • SK tipo II: il protocollo della SCA insieme a corticosteroidi ed antistaminici. L’uso di B-bloccanti può aumentare lo spasmo coronarico; l’adrenalina, dato in caso di anafilassi, può aggravare l’ischemia e peggiorare il vasospasmo coronarico; la morfina, per il dolore, deve essere data con cautela in quanto può causare una massiccia degranulazione dei mastociti (meglio usare il fentanil e i suoi derivati);
  • SK tipo III: dopo l’aspirazione del trombo è importante l’esame istologico per la colorazione degli eosinofili (ematossilina ed eosina) e mastociti (Giemsa), si usano antistaminici insieme a corticosteroidi e stabilizzatori dei mastociti.

Conclusioni

La SK, per quanto rara, rappresenta una forma peculiare di SCA con plurimi meccanismi fisiopatologici, nei quali un ruolo fondamentale è rivestito dall’attivazione di mediatori allergenici. Il trattamento andrebbe pertanto indirizzato non solo alla cura della sindrome coronarica acuta, ma anche alla sottostante reazione anafilattica. L’utilizzo di imaging coronarico avanzato, quale l’OCT, può aiutare a classificarne la tipologia e pertanto ad ottimizzarne il trattamento.

Referenze

[1] Kounis NG, Zavras GM. Histamine-induced coronary artery spasm: the concept of allergic angina. Br J Clin Pract. 1991;45(2):121-128.

[2] Kounis NG, Patsouras N, Grapsas N, Hahalis G. Histamine induced coronary artery spasm, fish consumption and Kounis syndrome. Int J Cardiol. 2015;193:39-41. doi:10.1016/j.ijcard.2015.05.038

[3] Theoharides TC, Sismanopoulos N, Delivanis DA, Zhang B, Hatziagelaki EE, Kalogeromitros D. Mast cells squeeze the heart and stretch the gird: their role in atherosclerosis and obesity. Trends Pharmacol Sci. 2011;32(9):534-542. doi:10.1016/j.tips.2011.05.005

[4] Cha YS, Kim H, Bang MH, et al. Evaluation of myocardial injury through serum troponin I and echocardiography in anaphylaxis. Am J Emerg Med. 2016;34(2):140-144. doi:10.1016/j.ajem.2015.09.038

[5] Akoz, Ayhan & Tanboga, Halil & Emet, Mucahit & Bayramoglu, Atif & Kizrak, Yesim & Kantarci, Mecit & Aslan, Sahin. (2013). A prospective study of kounis syndrome: Clinical experience and cardiac magnetic resonance imaging findings for 21 patients. Acta Medica Mediterranea. 29. 811-816.

[6] Varricchi G, Marone G, Kovanen PT. Cardiac Mast Cells: Underappreciated Immune Cells in Cardiovascular Homeostasis and Disease. Trends Immunol. 2020;41(8):734-746. doi:10.1016/j.it.2020.06.006

[7] Theoharides TC, Kalogeromitros D. The critical role of mast cells in allergy and inflammation. Ann N Y Acad Sci. 2006;1088:78-99. doi:10.1196/annals.1366.025

[8] Kounis NG, Kounis GN, Kouni SN, Soufras GD. The heart, the brain, and the Kounis syndrome. Eur Heart J. 2006;27(6):757-758. doi:10.1093/eurheartj/ehi776

[9] Kounis NG, Hahalis G, Theoharides TC. Coronary stents, hypersensitivity reactions, and the Kounis syndrome. J Interv Cardiol. 2007;20(5):314-323. doi:10.1111/j.1540-8183.2007.00283.x

[10] Hermans M, Lennep JRV, van Daele P, Bot I. Mast Cells in Cardiovascular Disease: From Bench to Bedside. Int J Mol Sci. 2019;20(14):3395. Published 2019 Jul 10. doi:10.3390/ijms20143395

FIgura-2

Incidence of Acute Myocarditis and Pericarditis during COVID19 pandemic: comparison with the pre-pandemic period.

Giovanni Donato Aquaro, MD1, Roberto Licordari, MD2, Giancarlo Todiere, MD PhD1, Umberto Ianni, MD3, Santo Dellegrotaglie MD4, Luca Restivo, MD5, Crysanthos Grigoratos, MD PhD1, Francesco Patanè, MD PhD6, Andrea Barison, MD PhD1, Antonio Micari, MD PhD7, Gianluca Di Bella, MD PhD2

1Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa, Italy

2 Department of Clinical and experimental medicine, University of Messina, Italy

3 Instituteof Cardiology, “G. D’Annunzio” University, Chieti, Italy,

4 Division of Cardiology, Ospedale Medico-Chirurgico Accreditato “Villa dei Fiori”, 80011 Acerra, Italy

5 Division of Cardiology Cardiothoracovascular Department, University of Trieste, Italy

6 Cardiac Surgery Unit, Papardo Hospital, Messina, Italy

7 Department of Biomedical and Dental Science and of Morphological and Functional Images, University of Messina, Italy

ABSTRACT

Alcuni autori suggeriscono che l’incidenza di miocarditi e pericarditi è aumentata durante la pandemia COVID19. Lo scopo dello studio è stato quello di analizzare l’incidenza di queste malattie comparando il periodo della pandemia con un simile periodo prepandemico. Si è notata una riduzione significativa dell’incidenza di miocarditi acute (8,1/100000/anno vs 5,9/100000 anno; p=0,047); corrispondente ad una riduzione del 27%. In particolare la maggiore riduzione è stata osservata nei pazienti giovani sotto i 34 anni di età. Simili sono state, invece le incidenze delle pericarditi acute negli stessi periodi (4,03/100000 vs 4,47/100000 p=0,61).

COMMENTO

Miocarditi e pericarditi sono state chiamate in causa come parte delle manifestazioni cardiologiche dell’infezione da Sars-Cov2.

Lo scopo dello studio è stata valutare l’incidenza e la prevalenza di queste patologie prima e durante la pandemia da COVID-19.

Questo è uno studio di coorte retrospettivo che valuta l’incidenza e la prevalenza di miocarditi, pericarditi, miopericarditi e perimiocarditi nelle province di Pisa, Lucca e Livorno (popolazione totale di 1141285 abitanti), confrontando due periodi: a) PRECOVID, dal 1giugno 2018 al 31 maggio 2019, e b) COVID, dal 1 giugno 2020 al 31 maggio 2021.

Per la diagnosi di miocardite acuta (AM) è stato usato un algoritmo diagnostico adattato dalle linee guida della Società Europea di Cardiologia.1

Una pericardite acuta (AP) è stata sospettata quando erano presenti almeno due dei seguenti criteri: dolore toracico tipico, sfregamento pericardico, modifiche ECG suggestive, versamento pericardico (nuovo o in peggioramento). 2,3 La diagnosi definitiva di AP è stata formulata con la Risonanza Magnetica (RM), in presenza di iperintensità dei foglietti pericardici nella sequenza T2-STIR e/o nelle immagini LGE con o senza versamento pericardico. 

In presenza di entrambi i segni di infiammazione miocardica e pericardica è stata definita come miopericardite in caso di pericardite con minimi segni di coinvolgimento miocardico e, al contrario, perimiocardite quando la miocardite era associata a lievi segni di coinvolgimento pericardico.4

In tutto sono stati evidenziati 259 casi. L’incidenza è stata di 11,3 casi per 100000 abitanti. 138 casi si sono verificati nel PRECOVID e 121 nel periodo COVID. Le incidenze totali nei due periodi non sono risultate significativamente diverse: 12,1/100000 in PRECOVID vs 10,3/100000 nel periodo COVID (IRT 1,17, IC 95% 0,91-1,5, p=0,22).

Durante il periodo PRECOVID, sono stati evidenziati 89 casi (64,5%) di miocardite, 25 (18,1%) pericardite e 21 (15,2%) casi di miopericardite e 3 (2,2%) perimiocardite.

Nel periodo COVID sono stati registrati 64 casi (54,2%), con 29 (24,6%) pericardite e 22 (18,6%) casi di miopericardite e 3 (2,4%) perimiocardite.

Complessivamente, i casi di miocardite (incluse le perimiocarditi) sono stati 92 in PRECOVID e 67 nel periodo COVID. L’incidenza annuale di miocardite è stata significativamente più alta in PRECOVID rispetto al COVID: rispettivamente 8,1/100000/anno vs 5,9/100000 anno (IRT 1,37, IC 95% 0,99-1,99, p=0,047), consistente in una riduzione netta del 27% dei casi.

La massa del ventricolo sinistro era significativamente più alta nel gruppo COVID rispetto a PRECOVID (p=0,01). Le miocarditi COVID hanno avuto più frequentemente anomalie di cinetica (p=0,047) e più segmenti con LGE (p=0,02).

Come si evince in figura 1, l’incidenza di miocarditi è stata significativamente minore nel COVID rispetto al PRECOVID nella classe di età 18-24 anni (p=0,048).

l’incidenza annuale di pericardite (incluse le miopericarditi) non è stata significativamente diversa tra i due periodi di tempo (4,03/100000 vs 4,47/100000 p=0,61, IRT 0,9, IC 95% 0,5-1,4).

L’incidenza annuale di pericardite per 100000 abitanti è mostrata in figura 1 per tutte le classi di età dai 12 ai >74 anni.

I principali risultati sono:

1) rispetto al periodo PRECOVID, durante la pandemia è stata riscontrata una riduzione del 27% di incidenza di miocarditi;

2) la diminuzione dell’incidenza è stata evidenziata nei pazienti di età inferiore ai 34 anni;

3) Le miocarditi del periodo COVID avevano una maggiore gravità con più anomalie della cinetica, un numero maggiore di segmenti con LGE e un indice di massa ventricolare più elevato rispetto a quelli osservati nel periodo PRECOVID;

4) non è stata osservata alcuna differenza per quanto riguarda l’incidenza di pericarditi acute tra i due periodi.

Il distanziamento sociale e le restrizioni come anche le procedure profilattiche (mascherine, guanti e gel igienizzanti) potrebbero aver mitigato l’incidenza di miocarditi acute durante la pandemia da COVID19.

BIBLIOGRAFIA

1.         Caforio ALP, Pankuweit S, Arbustini E, et al. Current state of knowledge on aetiology, diagnosis, management, and therapy of myocarditis: a position statement of the European Society of Cardiology Working Group on Myocardial and Pericardial Diseases. European Heart Journal 2013;34(33):2636–48.

2.         Adler Y, Charron P, Imazio M, et al. 2015 ESC Guidelines for the diagnosis and management of pericardial diseases. European Heart Journal 2015;36(42):2921–64.

3.         Klein AL, Abbara S, Agler DA, et al. American Society of Echocardiography Clinical Recommendations for Multimodality Cardiovascular Imaging of Patients with Pericardial Disease. Journal of the American Society of Echocardiography 2013;26(9):965-1012.e15.

4.         Imazio M, Trinchero R. The spectrum of inflammatory myopericardial diseases. International Journal of Cardiology 2010;144(1):134.

FIGURA 1: Nel pannello superiore incidenza annuale di miocarditi acute per classi di età: rispetto al periodo PRECOVID (linea blu), l’incidenza di miocarditi acute nel periodo COVID (linea rossa) è diminuita significativamente, in particolare nella classe di età 18-24, ma è rimasta sostanzialmente invariata per i soggetti di età compresa tra > 35 anni.  Nel pannello inferiore incidenza annuale di pericardite acuta per classi di età: non è stata riscontrata alcuna differenza significativa in nessuna classe di età tra il COVID (linea rossa) e il periodo PRECOVID (linea blu).

FIGURA 2: miocarditi nel periodo PRECOVID e COVID: nei pannelli superiori immagini di risonanza magnetica cardiaca di un caso di miocardite acuta durante il periodo PRECOVID. Nei pannelli inferiori viene mostrato un caso di miocardite del periodo COVID.

Per saperne di più

Aquaro GD, Licordari R, Todiere G, Ianni U, Dellegrotaglie S, Restivo L, Grigoratos C, Patanè F, Barison A, Micari A, Di Bella G. Incidence of acute myocarditis and pericarditis during the coronavirus disease 2019 pandemic: comparison with the prepandemic period.

J Cardiovasc Med (Hagerstown). 2022 Jul 1;23(7):447-453. doi: 10.2459/JCM.0000000000001330. 

Ritardi di conduzione interventricolare come guida alla terapia di resincronizzazione cardiaca: la stimolazione fisiologica su misura del paziente.

Maria Barilli1, Carmine Marallo1, Carlo Alberto Belli1, Giulia Elena Mandoli1, Claudia Baiocchi2, Amato Santoro2, Matteo Cameli1

1Dipartimento Biotecnologie Mediche, Clinica di cardiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Siena, Italia
2Dipartimento Cardio-toraco-vascolare, Clinica di cardiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Siena, Italia.

Abstract

La valutazione dei ritardi di conduzione interventricolari per predire il successo di resincronizzazione delle due camere cardiache nel pacing biventricolare (BiVP) o nel Pacing del Sistema di Conduzione (PSC), non è di pratica comune. Un intervallo di conduzione intrinseco ventricolo destro – ventricolo sinistro sentito (RVs – LVs) > 70 msec o un intervallo ventricolo destro stimolato – ventricolo sinistro sentito (RVp – LVs) > 145 msec è in grado di pronosticare la risposta ventricolare alla terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT). Il nostro manoscritto descrive un caso di resincronizzazione cardiaca guidato da intervalli di conduzione interventricolare spontanei e stimolati, ottenuti in modalità BiVP, che ha portato al cambiamento intraoperatorio dell’approccio di stimolazione. Una strategia decisionale per la resincronizzazione cardiaca tramite pacing CSP/BiVP basata sugli intervalli di conduzione interventricolare potrebbe rappresentare un metodo pratico e affidabile per ottenere un QRS stretto e migliorare la risposta alla CRT.

Introduzione:
Le ultime linee guida sulla stimolazione cardiaca e lo scompenso cardiaco raccomandano l’utilizzo della CRT nei pazienti in cui la dissincronia interventricolare ha un forte impatto sulla morbidità e la mortalità. In questi casi, la CRT può essere in grado di migliorare il rimodellamento cardiaco inverso, in sincronia con la terapia medica ottimale (1,8). Tutti i pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione severamente ridotta (FE < 35%, HFrEF), classe NYHA II-IV, in ritmo sinusale con QRS di durata o morfologia predisponente a dissincronia ventricolare, quali Blocco di Branca sinistro (BBsn) e durata > 130 msec, trovano beneficio da tale trattamento. L’evidenza maggiore in termini di mortalità e/o ospedalizzazione per scompenso cardiaco è riportata per quei pazienti con BBsn e QRS > 150 msec (1,2).

Figura 2: a. Potenziale hissiano all’EGM con il segno “W” sulla precordiale V1; b. ECG e QRS finale in LBBp; c. Posizionamento dell’elettrocatere per stimolazione LBBp in visione antero-posteriore; d. finestra ecocardiografica sottocostale raffigurante la punta intrasettale profonda dell’elettrocatetere; e. ECG post impianto.


Nonostante i benefici della CRT, il tasso di non-responders rimane un problema clinicamente rilevante. Il posizionamento del catetere ventricolare sinistro basato unicamente su criteri anatomici, infatti, non ha mostrato un impatto significativo sull’outcome (3). Lo studio più specifico dei casi di dissincronia elettrica interventricolare potrebbe migliorare il tasso di risposta alla CRT. In letteratura è descritto che il riscontro di un ritardo ventricolo destro – ventricolo sinistro intrinseco (RVs – LVs) > 70-80 msec o un intervallo ventricolo destro stimolato – ventricolo sinistro sentito (RVp – LVs) > 146 msec sia in grado di predire un miglior outcome di resincronizzazione (3,7). Intervalli RVs – LVs o RVp – LVs subottimali registrati durante il posizionamento del catetere sinistro portanto frequentemente ad ottenere un QRS largo con persistenza di dissincronia.


La stimolazione del sistema di conduzione (CSP) ha dimostrato essere una tecnica realizzabile ed efficace per l’ottenimento di un pacing fisiologico lungo il naturale sistema di conduzione. La modalità BiVP rimane la metodica di prima linea per la CRT però, come suggerito dalle linee guida europee, il CSP dovrebbe essere considerato nei casi di fallimento del posizionamento del catetere sinistro. L’approccio di stimolazione hissiana (HBP) presenta alcuni svantaggi, quali la necessità di soglie di stimolazione più elevate, l’ottenimento di onde R di bassa ampiezza, il rischio di oversensing delle onde atriali o undersensing dei potenziali ventricolari. La stimolazione della branca sinistra (LBBP) permette il superamento di tali limitazioni4 diventando una tecnica alternativa di CSP (5).

Caso clinico:
Un uomo di 68 anni, portatore di protesi valvolare aortica biologica e affetto da HFrEF in un quadro di cardiomiopatia dilatativa di origine valvolare a coronarie indenni, accedeva presso il nostro dipartimento d’emergenza per un quadro di scompenso congestizio acuto su cronico (Classe NYHA III-IV). In seguito a stabilizzazione e proseguimento della terapia medica ottimalizzata, l’ecocardiogramma transtoracico mostrava una frazione di eiezione del 18% con severa disfunzione biventricolare. All’elettrocardiogramma si evidenziava un ritardo di conduzione tipo BBsn con durata del QRS 142 msec (Figura 1 a). In considerazione delle più recenti linee guida europee sullo scompenso cardiaco, al paziente veniva posta indicazione per impianto di ICD-biventricolare (8).

Descrizione della procedura:
A seguito del posizionamento del catetere coiled in ventricolo destro, abbiamo incannulato il seno coronarico (CS) usando un catetere quadripolare Josephson curvo diagnostico. Il delivery è stato avanzato lungo il quadripolare con successiva esecuzione di venografia del CS: veniva evidenziata una vena tributaria antero-laterale utile all’incannulamento del quadripolare per ottenere il BiVP. I ritardi EGM misurati successivamente al posizionamento del catetere sinistro mostravano un intervallo RVs – LVs di 80 msec e un RVp – LVs di 100 msec. L’ECG misurato in modalità BiVP riportava un QRS di 192 msec (Figura 1 b). Le figure 1c e 1d evidenziano la posizione degli elettrocateteri in fluoroscopia. In considerazione dell’alta probabilità di insuccesso di resincronizzazione in presenza di tali predittori di scarso outcome, il catetere sinistro quadripolare veniva rimosso. Si procedeva successivamente ad eseguire mappaggio dell’His tramite catetere Josephson quadripolare, dimostrando un blocco sub-Hissiano (intervallo HV 105 msec). Vista la possibilità di stimolazione diretta della branca sinistra, avvantaggiata da un’area target più ampia rispetto al fascio di His, si optava per l’esecuzione di un sistema di pacing CSP tipo LBB. Tramite specifico sistema di delivery per impianto di LBBP con catetere 3830 (Medtronic Inc, Minneapolis, MN) si otteneva un EGM come da branca sinistra. La guaina veniva avanzata con guida floroscopica raggiungendo il setto interventricolare destro, 1-1.5 cm sopra il sito hissiano in proiezione obliqua anteriore destra (RAO) 30°. L’orientamento a livello settale si confermava in proiezione obliqua anteriore sinistra (LAO) 40°. Il QRS mostrava morfologicamente il notch al nadir lungo la derivazione precordiale V1, noto come “pattern W” (Figura 2 a).

Figura 1: a. ECG raffigurante il QRS basale; b. ECG raffingurante il QRS in modalità BiVP; c. Posizionamento dei cateteri BiVP in LAO 20°; d. Posizionamento dei cateteri BiVP in RAO 30°.

A seguito di riscontro di intervallo ventricolare locale EGM a LBB di 35 msec abbiamo eseguito un test di cattura decrementale con ottenimento di transizione della morfologia del QRS da LBB non-selettivo a selettivo. Il tempo al picco di attivazione del LV lungo le precordiali V5-V6 < 80 msec confermava il corretto orientamento del catetere di pacing. Pertanto, la punta veniva mantenuta perpendicolare alla superficie settale usando la guaina per conferire stabilità, con successivo impianto intrasettale raggiungendo il subendocardio del ventricolo sinistro tramite una profondità di penetrazione di circa 6-8 mm. L’avanzamento veniva eseguito in LAO 40°.
La posizione veniva accertata grazie alla presenza del “fulcrum sign” in fluoroscopia LAO 30° (Figura 2b), mentre il “W” all’EGM su V1 risultava essere un pattern a BBdx. L’impedenza di pacing in setting unipolare era aumentata gradualmente fino all’attesa caduta a 100-200 Ω al raggiungimento del subendocardio. La stimolazione ad alti e bassi voltaggi mostrava una riduzione della durata del QRS fino a 110 msec con una soglia di stimolazione a 1V x 0.4 msec. Tutti i parametri sono stati ricontrollati a seguito di rimozione del delivery, per scongiurare un’eventuale dislocamento. All’ecocardiografia post-impianto si poteva notare il posizionamento intrasettale profondo dell’elettrocatetere sinistro (Figura 2 c-d). Successivamente al follow-up è stata dimostrata l’efficace risposta alla CRT-CSP con un miglioramento della frazione d’eiezione del 17%.

Discussione e conclusioni
L’attuale indicazione per la CRT standard in modalità BiVP è basata su solide evidenze riguardanti la sua efficacia e sicurezza (Classe di evidenza livello A)8, rendendola la terapia gold standard per la resincronizzazione cardiaca. La letteratura suggerisce l’utilizzo della stimolazione Hissiana in caso di fallito impianto di catetere sinistro tramite seno coronarico1. Utilizzando la stimolazione diretta della branca sinistra sono stati descritti numerosi vantaggi, tra i quali la maggiore area di impianto e la necessità di soglie minori, ma ancora non abbiamo a disposizione dati a lungo termine (4). L’uso di ritardi di conduzione intracardiaci per predire la risposta alla CRT sono già stati descritti (3,6) e, nel nostro caso, in congiunta all’ottenimento di un QRS in modalità BiVP di lunga durata, risultavano essere markers di scarso outcome. Pertanto, nonostante il cannulamento di una vena antero-laterale dal CS risulti essere idoneo per impianto dell’elettrocatetere sinistro secondo la letteratura, il nostro approccio ha portato a preferire l’utilizzo di una modalità di stimolazione fisiologica del sistema di conduzione. In specifico, visto il ritardo H-V prolungato, abbiamo optato per un LBBp. La procedura è stata eseguita come precedentemente descritta4 raggiungendo soglie di stimolazione basse e durata del QRS ottimale. In considerazione della necessità di inserimento a livello settale profondo dell’elettrocatetere, l’utilizzo di conoscenze dei segnali EGM, del segno “W” e della precisa anatomia del sistema di conduzione risulta essere fondamentale per tale applicazione, insieme ai marker anatomici in fluoroscopia. Questo caso mostra quindi come, tramite lo studio intraprocedurale degli intervalli LVp – RVs e RVp – LVs si possa ottimizzare la terapia di resincronizzazione specifica per ogni paziente, con il raggiungimento di un effettivo rimodellamento ventricolare. Studi con ampie coorti di pazienti sono necessari per la validazione di tale approccio.

Bibliografia

  1. Glikson M, Nielsen JC, Kronborg MB, et al. 2021 ESC Guidelines on cardiac pacing and cardiac resynchronization therapy. European Heart Journal. 2021;42(35):3427-3520. doi:10.1093/eurheartj/ehab364
  2. Moss AJ, Hall WJ, Cannom DS, et al. Cardiac-resynchronization therapy for the prevention of heart-failure events. N Engl J Med2009;361:1329–38
  3. Gold MJ , Singh JP, Ellenbogen KA, Yu Y, Wold N et al., Interventricular Electrical Delay Is Predictive of Response to Cardiac Resynchronization Therapy, 10.1016/j.jacep.2016.02.018
  4. Mulia EPB, Amadis MR, Julario R, Dharmadjati BB. Left bundle branch pacing: An evolving site for physiological pacing. Journal of Arrhythmia. 2021;37(6):1578-1584. doi:10.1002/joa3.12638
  5. Ponnusamy S S, Arora V et al., Left bundle branch pacing: A comprehensive review, J. of Cardiovascular Electrophysiology, doi:10.1111/jce.14681
  6. Naqvi, S.Y., Jawaid, A., Goldenberg, I. et al. Non-response to Cardiac Resynchronization Therapy. Curr Heart Fail Rep 15, 315–321 (2018). https://doi.org/10.1007/s11897-018-0407-7 1 LG
  7. Moubarak, G., Sebag, F.A., Socié, P., Villejoubert, O., Louembe, J., & Ferchaud, V. (2020). Interrelationships between interventricular electrical delays in cardiac resynchronization therapy. Journal of Cardiovascular Electrophysiology, 31, 2405 – 2414.
  8. McDonagh TA, Metra M, Adamo M, Gardner RS, Baumbach A, Böhm M, Burri H, Butler J, Čelutkienė J, Chioncel O, Cleland JGF, Coats AJS, Crespo-Leiro MG, Farmakis D, Gilard M, Heymans S, Hoes AW, Jaarsma T, Jankowska EA, Lainscak M, Lam CSP, Lyon AR, McMurray JJV, Mebazaa A, Mindham R, Muneretto C, Francesco Piepoli M, Price S, Rosano GMC, Ruschitzka F, Kathrine Skibelund A; ESC Scientific Document Group. 2021 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure. Eur Heart J. 2021 Sep 21;42(36):3599-3726. doi: 10.1093/eurheartj/ehab368. Erratum in: Eur Heart J. 2021 Oct 14;: PMID: 34447992.
Figura 1

Durata della doppia terapia antipiastrinica e tipologia della successiva monoterapia in pazienti sottoposti ad impianto di stent medicato: una network meta-analisi.

Benenati S1, Crimi G2, Canale C1, Pescetelli F1, De Marzo V1, Vergallo R3, Galli M, Della Bona R, Canepa M1,2, Ameri P1,2, Crea F3,4, Porto I1,2

  1. Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche (DIMI), Università di Genova, Largo R. Benzi 15, 16132 Genova, Italy.
  1. Unità di Malattie Cardiovascolari, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova, Italy – IRCCS Cardiovascular Network.
  2. Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Italy.
  3. Università Cattolica del Sacro Cuore, Italy.

La doppia terapia antipiastrinica (dual antiplatelet therapy – DAPT), intesa come combinazione di aspirina e un bloccante del recettore P2Y12, rappresenta il gold standard per la prevenzione secondaria degli eventi aterotrombotici nei pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica percutanea (percutaneous coronary intervention – PCI) con impianto di stent medicato. Dal momento che la somministrazione di farmaci antipiastrinici predispone al sanguinamento, la strategia antipiastrinica ottimale dopo PCI andrebbe tuttavia stabilita non solo in relazione al rischio ischemico, ma anche a quello emorragico. I trial randomizzati controllati (randomized controlled trials – RCT) pubblicati fino ad oggi hanno testato due principali strategie: il semplice accorciamento del periodo di associazione di aspirina e P2Y12-inibitore ovvero l’impiego di monoterapie con P2Y12-inibitore dopo DAPT abbreviata. Nonostante le numerose evidenze accumulate negli anni, questa materia rimane ad oggi oggetto di acceso dibattito. Il gruppo dell’Università di Genova ha realizzato un’analisi comparativa delle diverse strategie antipiastriniche testate dopo PCI con impianto di stent medicato.

Il progetto ha incluso 21 RCT precedentemente pubblicati, per un totale di 110059 pazienti-anno. I risultati sono stati analizzati con la metodica della network meta-analysis, che ha consentito di effettuare un confronto di tutte le strategie di trattamento, anche quando queste non fossero mai state direttamente confrontate tra loro, sulla base di un solido approccio statistico. In particolare, l’analisi primaria ha confrontato una durata molto breve (≤3 mesi), breve (6 mesi), standard (12 mesi) ed estesa (>12 mesi) di DAPT. Gli endpoint primari erano un composito di morte cardiaca, infarto miocardico non fatale e trombosi di stent (endpoint di efficacia) e il sanguinamento maggiore (endpoint di sicurezza). Sono state condotte numerose sotto-analisi volte a testare la solidità dei risultati ottenuti ed esplorare le possibili fonti di eterogeneità.

I risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista European Heart Journal – Cardiovascular Pharmacotherapy. È stato dimostrato come la DAPT estesa si associ a minor incidenza di infarto miocardico non fatale e trombosi di stent rispetto alle altre strategie. Al contrario, la DAPT breve (6 mesi) riduce il sanguinamento minore, mentre solo la DAPT molto breve (≤3 mesi) si associa ad una riduzione dei sanguinamenti maggiori. In una sotto-analisi, i trattamenti sono stati ulteriormente stratificati tenendo conto delle monoterapie somministrate dopo DAPT molto breve. Si è potuto così dimostrare come la DAPT molto breve seguita da monoterapia con P2Y12-inibitore fosse la strategia associata al miglior compromesso tra rischio di infarto miocardico e rischio di sanguinamento maggiore.

Lo studio mette in discussione il concetto di terapia antipiastrinica “standardizzata” per tutti i pazienti sottoposti ad impianto di stent coronarico, evidenziando come la personalizzazione del trattamento sulla base del rischio ischemico ed emorragico del singolo individuo sia essenziale per garantire il migliore outcome del paziente. Secondo i risultati di questo studio, l’accorciamento della DAPT (fino addirittura ad 1 o 3 mesi) non espone, in casi selezionati, ad un incremento di rischio ischemico, pur salvaguardando il paziente da quello emorragico. Inoltre, molto promettente sembra essere il ruolo delle monoterapia con P2Y12-inibitori.

Abstract

La migliore strategia antipiastrinica dopo angioplastica coronarica percutanea con impianto di stent rimane dibattuta. Abbiamo eseguito una network meta-analisi di 21 trial randomizzati controllati (110059 pazienti-anno) che confrontavano strategie antipiastriniche diverse in termini di durata e monoterapie successive. L’impiego di doppia terapia antiaggregante estesa (>12 mesi) si associa ad una riduzione di infarto miocardico e trombosi di stent. Riducendo la durata a 6 mesi, si diminuisce la frequenza di sanguinamenti minori, mentre una doppia antiaggregazione di 1-3 mesi minimizza il rischio anche di sanguinamenti maggiori. L’impiego di una doppia antiaggregazione abbreviata seguita da monoterapia con inibitori di P2Y12 sembra essere la strategia di scelta per assicurare un compromesso tra rischio ischemico ed emorragico.