Rottura di arteria femorale in paziente sottoposto a litotrissia intravascolare durante TAVI: approccio ad un caso complesso e gestione delle complicanze

Carmen Spaccarotella1, Annalisa Mongiardo1, Sabato Sorrentino1, Alberto Polimeni1, Maria Petullà2, Salvatore De Rosa1, Ciro Indolfi1

1 Divisione di Cardiologia, Centro di Ricerche delle Malattie Cardiovascolari, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro

2 Divisione di Radiologia, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro

ABSTRACT

Presentiamo il caso di un paziente con stenosi aortica severa e calcificazioni diffuse a livello degli accessi vascolari periferici sottoposto a sostituzione valvolare aortica percutanea (TAVI), per il quale l’impianto di una valvola self-expandable da 34 mm è risultato possibile solo dopo l’utilizzo della litotrissia intravascolare (IVL). Dopo l’efficace posizionamento della protesi valvolare, tuttavia, è stata notata una importante complicanza coinvolgente il sito di accesso arterioso, che ha reso necessario l’impianto di uno stent ricoperto a livello dell’arteria femorale.

CASO

Un uomo di 82 anni, con anamnesi positiva per ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale permanente, diabete mellito di tipo 2, BPCO severa, ateromasia carotidea e pregressa abitudine tabagica, già sottoposto ad intervento di protesi d’anca destra, veniva ricoverato presso il nostro centro con sintomi di scompenso cardiaco di classe NYHA 3, tra cui soprattutto la dispnea da sforzo lieve. L’ecocardiogramma all’ingresso documentava: stenosi valvolare aortica di grado severo (con gradiente medio 48 mmHg ed area valvolare 0,7 cm2), dilatazione dell’atrio sinistro, insufficienza mitralica di grado moderato, ipertensione polmonare di grado severo (PAPs 75 mmHg) e lieve riduzione della funzione sistolica del ventricolo sinistro (FE 52%). Data l’età avanzata del paziente e le numerose comorbidità, l’Heart Team optava per una sostituzione valvolare aortica di tipo percutaneo (TAVI).

Figura 1

Si procedeva pertanto all’esecuzione di una angioTC per la valutazione delle dimensioni valvolari e dell’eventuale presenza di malattia coronarica e/o di stenosi a livello degli accessi vascolari periferici. Come mostrato nella fig. 1, l’arteria femorale comune destra presentava diffusa ateromasia calcifica con placche circonferenziali responsabili di una importante riduzione del lume vasale (diametro minimo 4,1 mm) e con evidenza di ulcera penetrante aterosclerotica (fig. 1C). L’arteria femorale controlaterale, nonostante la presenza di ateromasia calcifica, non mostrava invece particolari tortuosità ed aveva un diametro vasale accettabile (diametro minimo 5,5 mm) (fig. 1B).

Alla luce di questi riscontri, e dato che l’annulus valvolare risultava essere di 92 mm, si optava per l’impianto di una valvola self-expandable da 34 mm (Medtronic Evolut R) e per l’utilizzo dell’arteria femorale comune sinistra come sito di accesso principale; il vaso di destra veniva invece esclusivamente utilizzato per il posizionamento di un safety wire per l’asse controlaterale. Durante questo step si procedeva alla verifica del corretto posizionamento della guida nell’arteria femorale superficiale e non si notavano dissezioni o rotture della parete vasale. Tuttavia, data l’impossibilità di attraversare l’arteria femorale comune con il sistema di delivery per la valvola scelta, sia in presenza che in assenza dello sheath, si decideva di utilizzare la litotrissia intravascolare (IVL) con sistema Shockwave per ridurre le stenosi. Si procedeva quindi a quattro cicli di IVL utilizzando un pallone 7 x 60 mm dilatato fino a 6 atm; al termine degli stessi, risultava quindi possibile il superamento della criticità e si riusciva ad impiantare con successo la protesi valvolare attraverso un introduttore 20 F (fig. 2).

Figura 2 – IVL dell’arteria iliaca comune sinistra (A) e della femorale (B). L’introduttore 20-F e la valvola da 34 mm impiantata (C)

Tuttavia, nella fase conclusiva della procedura, alla luce dell’inefficacia di due sistemi di chiusura Proglide, si procedeva all’esecuzione di un’angiografia periferica, che mostrava una lunga dissezione con origine a partire dal segmento distale dell’arteria iliaca esterna (fig. 3A) ed estensione fino al sito di accesso, con evidenza di rottura di parete (fig. 3B). Pertanto, si decideva di impiantare uno stent ricoperto Viabahn 7 x 50 mm nell’arteria femorale comune sinistra, seguito da multiple postdilatazioni con pallone 8 x 20 mm. Alla fine della procedura si notava la completa ricanalizzazione del vaso senza extravasazione di mezzo di contrasto, con persistenza della dissezione distale dell’arteria iliaca lontano dal sito di accesso (fig. 3C).

Il paziente veniva quindi trasferito presso la nostra UTIC in condizioni cliniche ed emodinamiche stabili; l’ecocardiogramma post-procedurale documentava il corretto posizionamento della protesi, ed il gradiente transvalvolare medio risultava essere di 7 mmHg. Dopo un totale di dieci giorni di degenza, ed in assenza di ulteriori complicanze degne di nota dopo l’intervento, il paziente veniva infine dimesso in buone condizioni di salute. Il follow-up clinico ed ecografico eseguito dopo sei mesi dimostrava buona pervietà dei vasi e perfusione degli arti, in assenza di sintomatologia.

DISCUSSIONE

La sostituzione valvolare aortica percutanea è una strategia efficace per il trattamento della stenosi aortica severa soprattutto nei pazienti a rischio più alto, e si è dimostrata superiore alla chirurgia quando eseguita utilizzando un sito di accesso arterioso transfemorale. (1-4) Tuttavia, un numero significativo di soggetti potrebbe non essere eleggibile per questo tipo di approccio a causa della presenza di vasculopatia periferica e/o severa ateromasia calcifica. L’utilizzo della litotrissia intravascolare, grazie alla riduzione delle calcificazioni a livello intimale e medio ed all’aumento della compliance vascolare, potrebbe permettere l’estensione dell’approccio transfemorale ad un gruppo più ampio di pazienti. (5-7) Nel caso in questione, questa tecnica ha permesso di procedere in maniera efficace all’impianto della protesi valvolare con un supporto di calibro importante (sheath da 20 F), nonostante la complessa anatomia.

Figura 3

La IVL non è però esente da complicanze, compresa la possibile dissezione del vaso, documentata in circa il 14,6% dei casi, di cui 0,9% portano a limitazione del flusso. (8) Nel nostro caso si è verificata una lunga dissezione a carico dell’asse iliaco-femorale e la rottura della parete dell’arteria femorale in prossimità del sito di accesso. La TAVI in pazienti che presentano vasi severamente calcifici e stenotici rimane una procedura di non semplice esecuzione anche con l’aiuto di devices che migliorano la compliance vascolare, e in alcuni casi potrebbe essere necessaria la riparazione di eventuali lesioni. L’utilizzo di stent ricoperti sull’asse vascolare iliaco-femorale può portare esso stesso ad ulteriori complicanze, come le trombosi e le restenosi intrastent, l’occlusione di vasi collaterali ed i difetti di perfusione a carico degli arti inferiori. Tuttavia, in situazioni di emergenza, l’approccio intravascolare permette nella maggioranza dei casi una efficace riparazione del danno ed una rapida riperfusione dell’arto. Inoltre, in casi come questo può essere utile l’inserzione di una guida nel vaso controlaterale, da poter utilizzare in caso di necessità.

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Figura-1-principale

Early reduction of left atrial function predicts adverse clinical outcomes in patients with severe aortic stenosis undergoing transcatheter aortic valve replacement

Jolanda Sabatino1, Salvatore De Rosa1, Isabella Leo1, Antonio Strangio1, Sabrina La Bella1, Sabato Sorrentino1, Annalisa Mongiardo1, Carmen Spaccarotella1, Alberto Polimeni1, Ciro Indolfi1,2

1 Divisione di cardiologia, Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche, Università Magna Graecia di Catanzaro

2 Mediterranea Cardiocentro, Napoli

A cura di Antonio Bellantoni

La funzione sistolica del ventricolo sinistro è un marker prognostico ben riconosciuto nell’ambito delle malattie cardiovascolari. (1-2) Molto meno studiato è invece il ruolo della funzione atriale sinistra, nonostante alcuni studi abbiano mostrato come una precoce riduzione di funzionalità sia spesso presente prima che la dilatazione atriale diventi manifesta. (3-5) L’utilizzo dell’ecocardiografia 2D speckle-tracking (STE) si è dimostrato utile per analizzare la funzione atriale sinistra in adulti e bambini; nello specifico, parametri utili per la valutazione funzionale di questa camera cardiaca si sono rivelati lo strain (ovvero l’entità della deformazione delle fibre miocardiche) ed il relativo strain rate (ovvero la velocità della deformazione stessa). (6-14) È stato inoltre osservato come una ridotta funzionalità atriale sinistra sia associata ad una prognosi peggiore a lungo termine in pazienti affetti da varie cardiopatie, compresi i soggetti con stenosi aortica severa. (15-20)

Il seguente studio è andato ad investigare le modifiche ed il valore prognostico dello strain atriale sinistro nei pazienti con stenosi aortica severa sottoposti ad intervento di sostituzione valvolare aortica percutanea (TAVI). Sono stati inclusi pazienti sottoposti a TAVI nel nostro centro da dicembre 2016 a febbraio 2020, escludendo portatori di pacemaker, concomitante malattia valvolare significativa (stenosi od insufficienza valvolare almeno moderata), fibrillazione atriale al momento dell’esame, finestra acustica non ottimale. Il follow-up dopo la procedura è stato effettuato attraverso visite periodiche.

Oltre alle misurazioni ecocardiografiche di routine, per l’analisi speckle-tracking, sono state acquisite immagini in proiezione apicale 4 camere ed analizzate con un software dedicato. Sono quindi state create le curve dello strain longitudinale e dello strain rate durante il ciclo cardiaco: l’elongazione longitudinale della parete atriale sinistra durante la sistole ventricolare è stata misurata ed utilizzata per l’analisi (LA peak systolic strain, LAS). (13) Le modifiche del LAS dopo la TAVI rispetto al basale sono state calcolate come DLAS (fig. 1).

L’endpoint primario era l’insieme di mortalità per cause cardiovascolari e l’ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Endpoint secondari includevano: mortalità per altre cause, eventi cardiovascolari maggiori come infarto miocardico e stroke/TIA. Degno di nota il fatto che i pazienti che hanno presentato eventi maggiori al follow-up, tali da rientrare nell’endpoint primario, avevano caratteristiche cliniche ed ecocardiografiche di base comparabili con quelli che non rientravano in questo gruppo. Dopo la TAVI inoltre non sono state osservate modifiche significative della FE né del volume atriale indicizzato (LAVi); il LAS è lievemente migliorato, anche se questa modifica non è risultata statisticamente significativa.

Durante un follow-up medio di 31 mesi, su un totale di 100 pazienti inclusi, 35 hanno raggiunto l’endpoint primario (insieme di mortalità per cause cardiovascolari ed ospedalizzazione per scompenso cardiaco). Un minore DLAS post-procedurale è risultato significativamente associato con una maggiore incidenza di effetti avversi di questo tipo (HR = 0,76 (0,67-0,86); p < 0,001). Non sono invece state riscontrate differenze significative per quanto riguarda la frazione di eiezione (FE), il rapporto E/E’, la pressione polmonare (PAPs), ed il volume atriale indicizzato (LAVi) pre-TAVI (fig. 2). È stata effettuata un’analisi multivariata includendo il DLAS, l’EuroSCORE II e la FE, che ha evidenziato il DLAS come predittore indipendente dell’endpoint combinato. Inoltre, le curve di Kaplan-Maier, stratificando la popolazione oggetto di studio in base al DLAS, hanno mostrato che i pazienti con un delta maggiore rispetto al valore medio hanno avuto una sopravvivenza priva di eventi significativamente maggiore rispetto a quelli sotto la media (fig. 3).

Nel contesto dei soggetti studiati, i pazienti con stenosi aortica di tipo low-flow low-gradient (LFLG) avevano in media un LAS basale e post-TAVI minore, ed un DLAS inferiore rispetto ai soggetti con stenosi ad alto gradiente; tuttavia; la presenza di stenosi LFLG non è risultata associata con una più alta incidenza di eventi avversi durante il follow-up.

Per quanto riguarda i predittori del peak systolic strain atriale sinistro dopo TAVI, l’analisi di regressione multivariata ha individuato un maggiore diametro telesistolico ventricolare pre-procedurale ed il sesso femminile come predittori indipendenti di un minore DLAS dopo la procedura.

È noto che il volume e la funzione atriale non si modificano di pari passo, poiché di solito la disfunzione precede la vera e propria dilatazione. (12, 17) Lo strain atriale sinistro, e più nello specifico lo strain longitudinale telesistolico di picco valutato tramite ecocardiografica speckle-tracking 2D, che è espressione della funzione di reservoir di questa camera, è uno strumento promettente per la valutazione della funzionalità atriale sinistra, e permette maggiore accuratezza rispetto al semplice valore del volume atriale. (6-13) Studi recenti hanno già mostrato come lo strain atriale sinistro sia ridotto nei pazienti con stenosi aortica rispetto ai controlli sani (17); altri lavori hanno dimostrato come questo valore sia un predittore indipendente di outcome in questo tipo di pazienti. (18, 20) Il presente studio conferma l’ipotesi che la mancanza di miglioramento nella funzionalità di reservoir atriale dopo TAVI, misurata attraverso il DLAS, è associata ad un outcome peggiore al follow-up. Anche il DLAVi (ovvero il differenziale tra il volume atriale pre e post-procedurale) è risultato numericamente maggiore nei pazienti che hanno presentato eventi avversi, anche se questa associazione non è stata statisticamente significativa. Questo fatto suggerisce che il DLAS potrebbe essere un marker prognostico più sensibile rispetto al DLAVi, particolarmente nei pazienti che si presentano in uno stadio fisiopatologico più precoce della malattia.

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Miocardite fulminante in malattia di Still dell’adulto

Dario Fabiani1, Marco Tontodonato1, Dario Catapano1, Francesco Loffredo1

  1. Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Ospedale Monaldi, Napoli

Abstract

La miocardite è una malattia infiammatoria del muscolo cardiaco che riconosce diverse cause. Il suo decorso clinico può variare da forme paucisintomatiche fino a casi di shock che necessitano di supporto farmacologico e/o meccanico al circolo1. La mortalità risulta elevata nelle forme a esordio fulminante ed è pertanto necessario un rapido e corretto inquadramento eziologico. Riportiamo il caso clinico di un paziente di 24 anni con riscontro  di shock cardiogeno secondario a miocardite fulminante. Il corretto inquadramento clinico-diagnostico e il rapido inizio di una terapia corticosteroidea ad alte dosi sono risultati fondamentali ai fini del miglioramento della prognosi.

Caso Clinico

Presentiamo il caso clinico di un giovane di 24 anni, fumatore, obeso, in assenza di farmaco allergie degne di nota e di familiarità per morte cardiaca improvvisa e/o cardiopatie congenite, fino a quel momento in apparente stato di buona salute. Tale paziente si è presentato al Dipartimento di Emergenza e Accettazione lamentando storia di febbre (T 40°C) da circa 7 giorni, associata a sensazione di malessere generale e dispnea. L’esame obiettivo ha rivelato ipotensione (PA 90/60 mmHg) e linfoadenopatia in sede cervicale, tachicardia (Fc 120 bpm) e tachipnea (Fr 40 atti respiratori/min).

Figura 1. Ecocardiogramma basale.

L’ECG mostrava tachicardia sinusale con bassi voltaggi nelle derivazioni periferiche e anomalie diffuse della ripolarizzazione ventricolare. L’emogasanalisi arteriosa evidenziava acidosi metabolica con iperlattacidemia e ipossiemia (SaO2 96% in FiO2 40%). Gli esami di laboratorio eseguiti in urgenza, mostravano una spiccata leucocitosi neutrofila (GB 47.900/mm3 con 94% di neutrofili) e aumentati livelli ematici dei seguenti markers: creatinina, AST/ALT, troponina I ad alta sensibilità, CK-MB massa PCT, PCR e NTpro-BNP. All’ecocardiogramma trans toracico si evidenziava un ventricolo sinistro globalmente ipocinetico con severa riduzione della funzione sistolica globale (FE 30%, GLSa -7,3%, SVi 26 ml/mq) associato a insufficienza mitralica e tricuspidale funzionale di grado moderato, versamento pericardico e vena cava inferiore dilatata e ipocollassante.

È stato inoltre eseguita un’analisi post hoc della funzionalità ventricolare sinistra tramite la tecnica del 2D-speckle tracking echocardiography (2D-STE) che mostrava un ridotto global longitudinal strain (GLS) (Figura 1). Eseguiva inoltre, presso il DEA, TC torace (versamento pleurico in assenza di segni di infiammazione polmonare), TC addome (epatosplenomegalia, linfoadenomegalie in sede lombo-aortica) ed ecografia del collo (multiple linfoadenomegalie confluenti lungo la catena laterocervicale e sopraclaveare sinistra).

Veniva, quindi, trasferito presso la nostra UTIC dove si confermava lo stato emodinamico di shock e dove il paziente veniva sottoposto a monitoraggio invasivo della pressione arteriosa sistemica e della pressione venosa centrale. E’ stato applicato un supporto  farmacologico al circolo tramite inotropi (dobutamina endovena) ed è stata introdotta antibioticoterapia empirica ad ampio spettro. Al momento del trasferimento, il paziente presentava un punteggio SOFA pari a 7.  

Figura 2. Biopsia endomiocardica.

Le emocolture eseguite sono risultate negative. La RT-PCR su tampone naso-faringeo per ricerca del genoma di SARS-CoV2 e dei principali virus respiratori era negativa. Risultavano negativi anche i test sierologici per la ricerca dei seguenti agenti patogeni: parvovirus B19, HBV, HCV, HIV, Toxoplasma, Mycoplasma, Coxsackievirus, Rickettsia, Bartonella, Borrelia, CMV e EBV. I test per dosaggio di ANA, ENA, lupus anticoagulant, anti-dsDNA, anti-cardiolipina, anti-beta2-microglobulina e fattore reumatoide presentavano esito negativo.

Dopo un giorno dal trasferimento presso la nostra UTIC, in assenza di miglioramento delle condizioni cliniche e dello stato emodinamico di shock, il paziente veniva sottoposto a cateterismo cardiaco destro, che confermava lo stato di bassa gittata con elevati valori di pressione di riempimento post-capillare (PAWP: 15 mmHg). Vista la clinica, in considerazione del sospetto di miocardite, è stata contestualmente eseguita una biopsia endomiocardica del ventricolo destro. L’esame istologico evidenziava la presenza di un infiltrato infiammatorio diffuso con prevalenza di linfociti NK, seguiti da T helper (CD4+) e da sporadici linfociti T soppressori (CD8+) (Figura 2). La RT-PCR praticata sui campioni bioptici risultava negativa per SARS-CoV2, Cytomegalovirus, EBV, HHV6, Parvovirus B-19, Adenovirs ed Enterovirus.

Dopo il riscontro istologico indicativo di infiammazione miocardica e del quadro clinico compatibile con miocardite fulminante, veniva introdotta una terapia corticosteroidea ad elevate dosi con 1.000 mg di metilprednisolone endovena al giorno per 3 giorni consecutivi. In seguito all’inizio della terapia corticosteroidea, si è osservato un rapido ed efficace miglioramento delle condizioni cliniche del paziente e degli esami di laboratorio (livelli ematici di GB, troponine, NTproBNP, AST/ALT, PCR e PCT rientrati nei limiti della norma). A stabilizzazione avvenuta del quadro emodinamico, è stata introdotta una terapia farmacologica anti-scompenso.

L’ecocardiogramma pre-dimissione (Figura 3) mostrava una completa ripresa della funzione contrattile globale (FE 60%; GLSa -18%), in assenza di segni di congestione centrale e/o periferica.

La cardio-RMN pre-dimissione confermava una normale geometria e contrattilità bi ventricolare. In particolare, non venivano riscontrate aree di elevata intesnsità di segnale nelle sequenze T2 escludendo edema regionale miocardico, mentre si evidenziava un’area di estensione limitata di “late gadolinium enhancement” a distribuzione supepicardica/intramiocardica a livello della parete postero-laterale del ventricolo sinistro (compatibile con danno miocardico di natura non ischemica).

Discussione

Figura 3. Ecocardiogramma pre-dimissione.

La miocardite fulminante è una delle forme di presentazione clinica dell’infiammazione miocardica, che include uno stato di shock cardiogeno con funzione ventricolare severamente ridotta e possibili aritmie maligne. La miocardite inoltre è una causa importante di morte cardiaca improvvisa, rappresentando un burden del 7% dei bambini-giovani adulti e tra il 5 e il 12% nei giovani atleti6. Le cause principali di miocardite/cardiomiopatia infiammatoria includono l’origine infettiva (tra cui prevalgono le infezioni virali), la miocardite immuno-mediata e quella tossica (data da farmaci, metalli pesanti, agenti fisici, ormoni)7. Lo studio dei fattori causali è fondamentale per un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico nell’ambito di una patologia la cui gestione è fortemente variabile da paziente a paziente. Nel caso proposto, in seguito a consulenza reumatologica, sulla scorta dei dati clinici, laboratoristici e strumentali è stata, posta diagnosi di malattia di Still dell’adulto (adult onset Still disease, AOSD), una rara patologia infiammatoria sistemica a eziologia sconosciuta.

Il quadro clinico descritto, infatti, rispettava i criteri diagnostici di Yamaguchi2. La diagnosi di AOSD, infatti, è stata posta sulla base della presenza di miocardite, febbre, linfoadenomegalia poli-distrettuale, epatosplenomegalia ed ipertransaminasemia in presenza di test sierologici immunologici e di ricerca di agenti patogeni con esito negativo. La patogenesi della malattia è immuno-mediata, e si basa sulla insorgenza di uno “storm” citochinico (IL-1, IL-6, TNF-α) in soggetti con una predisposizione genetica, che determina uno stato infiammatorio sistemico con coinvolgimento multi-organo3. Sebbene il coinvolgimento cardiaco più frequente sia a carico del pericardio4, è descritto anche un esordio acuto del quadro clinico con insorgenza di miocardite, soprattutto in giovani di sesso maschile5.

Il corretto inquadramento diagnostico multidisciplinare, l’esclusione dello stato settico e il precoce inizio di una terapia corticosteroidea ad elevate dosi sono risultati fondamentali ai fini prognostici.

Dopo 6 mesi di follow-up, il paziente risulta asintomatico con quadro laboratoristico, elettrocardiografico ed ecocardiografico nella norma.

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  7. Caforio AL, Pankuweit S, Arbustini E, Basso C, Gimeno-Blanes J, Felix SB, Fu M, Heliö T, Heymans S, Jahns R, Klingel K, Linhart A, Maisch B, McKenna W, Mogensen J, Pinto YM, Ristic A, Schultheiss HP, Seggewiss H, Tavazzi L, Thiene G, Yilmaz A, Charron P, Elliott PM; European Society of Cardiology Working Group on Myocardial and Pericardial Diseases. Current state of knowledge on aetiology, diagnosis, management, and therapy of myocarditis: a position statement of the European Society of Cardiology Working Group on Myocardial and Pericardial Diseases. Eur Heart J. 2013 Sep;34(33):2636-48, 2648a-2648d. doi: 10.1093/eurheartj/eht210. Epub 2013 Jul 3. PMID: 23824828.
Illustrazione-principale

Short DAPT contro de-escalation della DAPT dopo angioplastica percutanea per sindrome coronarica acuta: una network meta-analysis

Autori: Claudio Laudani1 , Antonio Greco1 , Giovanni Occhipinti1 , Salvatore Ingala1 , Dario Calderone1 , Lorenzo Scalia1 , Federica Agnello1 , Marco Legnazzi1 , Maria Sara Mauro1 , Carla Rochira1 , Sergio Buccheri2 , Roxana Mehran3 , Stefan James2 , Dominick J Angiolillo4 , Davide Capodanno1

Affiliazioni:

1 Divisione di Cardiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico “G. Rodolico-San Marco”, Università degli Studi di Catania, Catania, Italia.

2 Department of Medical Sciences, Cardiology and Uppsala Clinical Research Center, Uppsala University, Uppsala, Sweden.

3 The Zena and Michael A. Wiener Cardiovascular Institute, Icahn School of Medicine at Mount Sinai, New York, New York, USA.

4 Division of Cardiology, University of Florida College of Medicine, Jacksonville, Florida, USA.

Commento di Marco Legnazzi, Divisione di Cardiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico “G. Rodolico-San Marco”; Università degli Studi di Catania – Catania

ABSTRACT

Nei pazienti con sindrome coronarica acuta sottoposti a PCI, le strategie per diminuire il rischio emorragico includono un accorciamento della DAPT (short DAPT) e il “depotenziamento” (de-escalation) della DAPT (uso di inibitore del recettore P2Y12 meno potente). Tuttavia, tali strategie non sono state mai confrontate direttamente in studi randomizzati. Abbiamo dunque realizzato una network meta-analysis di 50602 pazienti da 29 studi, che ha comparato indirettamente la short DAPT con la de-escalation, usando la DAPT standard come comune comparatore. Non abbiamo osservato una differenza significativa in termini di mortalità da tutte le cause; la de-escalation ha però ridotto il rischio di NACE, mentre la short DAPT è risultata il miglior trattamento per ridurre il rischio di sanguinamento maggiore.

COMMENTO

In pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA) trattati mediante angioplastica percutanea, la DAPT (dual antiplatelet therapy – duplice terapia antiaggregante) è raccomandata per 12 mesi in assenza di controindicazioni come l’alto rischio di sanguinamento. Il rischio emorragico, infatti, è il principale effetto avverso della DAPT ed è associato a morbilità e mortalità significative.

Attualmente, esistono due strategie di modulazione della DAPT per ridurre il rischio emorragico: l’accorciamento della DAPT (short DAPT) e la de-escalation (il passaggio ad un inibitore del recettore P2Y12  meno potente o con dosaggio ridotto). Nelle linee guida dell’European Society of Cardiology sulle SCA senza sopraslivellamento del tratto ST, pubblicate nel 2020, per i pazienti ad alto rischio di sanguinamento (stimato tramite score quali il PRECISE-DAPT o l’ARC-HBR), la strategia di short DAPT (3 mesi di DAPT seguita da monoterapia antiaggregante) è indicata come raccomandazione di classe IIa, mentre la de-escalation della DAPT è indicata come raccomandazione di grado IIb.

In assenza di un confronto diretto tra le strategie di short DAPT e DAPT de-escalation, abbiamo realizzato una network meta-analysis con metodologia frequentista e Bayesiana che ha comparato le due strategie, in maniera indiretta, attraverso l’analisi di 29 studi randomizzati o sottoanalisi di studi randomizzati, per un totale di 50602 pazienti.

Le fonti dei dati includevano studi riportati sui database MEDLINE, Cochrane e Web of Science, dal 1° Gennaio 2009 al 30 Ottobre 2021. Sono stati consultati anche siti web delle società e associazioni di riferimento, e la lista bibliografica di ogni studio eleggibile. Il rischio di bias è stato valutato per ogni studio della selezione finale attraverso la scala Cochrane RoB 2. Il bias di pubblicazione è stato valutato con il test di regressione di Egger e la verifica visuale dei funnel plot.

La network meta-analysis ha raccolto i risultati di diversi trial randomizzati su pazienti sottoposti a PCI per SCA:

  • Trials di short DAPT vs standard DAPT
  • Trials di de-escalation vs standard DAPT

Essendo soddisfatto il presupposto della transitività (simili caratteristiche demografiche e cliniche tra gli studi di short DAPT e di de-escalation), e poiché gli studi di short DAPT e di de-escalation presentavano un comparatore comune (standard DAPT), è stato possibile confrontare indirettamente le due strategie. La short DAPT è stata definita come interruzione a 1-6 mesi di uno dei due antiaggreganti; la de-escalation invece è stata definita come 12 mesi di DAPT con shift, ad un certo punto, da prasugrel o ticagrelor a clopidogrel o a dose dimezzata di prasugrel o ticagrelor; la standard DAPT, utilizzata come termine di paragone, è stata definita come DAPT per la durata standard di 12 mesi.

In considerazione dei risultati, le due strategie sono apparse equivalenti per molti aspetti, non essendoci differenze significative in termini di mortalità da tutte le cause, mortalità cardiovascolare, eventi cardiovascolari avversi maggiori, infarto miocardico, stroke, trombosi di stent. Sono tuttavia emersi dei meriti specifici, come il minor tasso di emorragie maggiori con la short DAPT e la minor incidenza di NACE (net adverse cardiovascular events) con la de-escalation. I risultati delle analisi frequentiste sono stati confermati dalle analisi Bayesiane e dalle multiple analisi di sottogruppo e di sensibilità eseguite.

Considerando la gerarchia delle evidenze scientifiche, un confronto indiretto è sicuramente subottimale rispetto ad un confronto diretto su larga scala, ma al momento questa meta-analisi rappresenta l’unico studio basato su dati randomizzati che mette a paragone le due strategie di modulazione della DAPT. Inoltre, l’utilizzo di modalità di analisi differenti (frequentistica e Bayesiana) e la loro concordanza corroborano l’affidabilità dei risultati riportati.

Dal punto di vista pratico, questi dati possono guidare la personalizzazione della DAPT in base agli obiettivi del trattamento e al profilo di rischio del singolo paziente. In caso di fondato motivo di preoccupazione relativo al sanguinamento, la short DAPT potrebbe essere preferibile alla de-escalation, che al contrario potrebbe rappresentare la strategia di scelta se la preoccupazione riguarda soprattutto la combinazione del rischio trombotico e ischemico.

FIGURA 1: Ogni strategia è rappresentata da un nodo, di dimensioni proporzionali al numero totale di soggetti che hanno ricevuto quel trattamento. I confronti tra strategie sono rappresentati da linee tra i nodi, con spessore delle linee proporzionale al numero di studi disponibile per quella specifica comparazione. Le linee solide raffigurano confronti diretti. Le linee tratteggiate raffigurano confronti indiretti. ASA = acido acetilsalicilico; DAPT= dual antiplatelet therapy – duplice terapia antiaggregante; P2Y12i = inibitore del recettore P2Y12.

ILLUSTRAZIONE PRINCIPALE: ASA = acido acetilsalicilico; BID = bis in die; C75 = clopidogrel 75 mg; DAPT = dual antiplatelet therapy – duplice terapia antiaggregante; NACE = net adverse cardiovascular events; OD = once daily – una somministrazione al giorno; P2Y12i = inibitore del recettore P2Y12; P5 = prasugrel 5 mg; P10 = prasugrel 10 mg; SAPT = single-antiplatelet therapy – monoterapia antiaggregante; SCA = sindrome coronarica acuta; SCR = sanguinamento clinicamente rilevante; T45 = ticagrelor 45 mg; T90 = ticagrelor 90 mg.]

BIBLIOGRAFIA:

  • Laudani C, Greco A, Occhipinti G, Ingala S, Calderone D, Scalia L, Agnello F, Legnazzi M, Mauro MS, Rochira C, Buccheri S, Mehran R, James S, Angiolillo DJ, Capodanno D. Short Duration of DAPT Versus De-Escalation After Percutaneous Coronary Intervention for Acute Coronary Syndromes. JACC Cardiovasc Interv. 2022 Feb 14;15(3):268-277. doi: 10.1016/j.jcin.2021.11.028.
  • Kereiakes DJ, Yeh RW. DES and DAPT in Evolution: Will Clinical Guidelines Follow? JACC Cardiovasc Interv. 2022 Feb 14;15(3):278-281. doi: 10.1016/j.jcin.2021.12.014.

More on:

https://www.jacc.org/doi/full/10.1016/j.jcin.2021.11.028

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35144783/

https://www.sciencedirect.com/journal/jacc-cardiovascular-interventions

Figures modified and reprinted from: JACC: Cardiovascular Interventions, Vol 15(3), Laudani C, Greco A, Occhipinti G et al. Short Duration of DAPT Versus De-Escalation After Percutaneous Coronary Intervention for Acute Coronary Syndromes, pages 268–277, Copyright 2022, with permission from Elsevier.

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UTILIZZO DI LEVOSIMENDAN NELLO SCOMPENSO CARDIACO DESTRO DURANTE LA PANDEMIA COVID-19: UN’ALTRA FRECCIA NELLA NOSTRA FARETRA?

F. Cribari1, C. Conte1, A. Ruggio2, M. Narducci2, A. D’Aiello2, D. Pedicino2, L. M. Biasucci2, G. Liuzzo2

1 Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, Italia

2 Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Toraciche, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Roma, Italia

ABSTRACT

L’infezione da Sars-CoV 2 è stata associata ad un aumentato rischio di insufficienza acuta del ventricolo destro (VD). In questo setting dal punto di vista terapeutico sembra interessante l’impiego del levosimendan, verosimilmente grazie alle proprietà anti-infiammatorie, anti-apoptotiche e anti-ossidanti che lo caratterizzano. Un uomo di 72 anni con infezione attiva da Sars-CoV 2 a lieve interessamento pneumonico bilaterale arrivava alla nostra attenzione per, ha accusato segni clinici di scompenso cardiaco destro. Il paziente è stato sottoposto ad un ciclo di Levosimendan, poiché mal responsivo alla terapia diuretica massimale, con netto beneficio in termini di sintomi e segni clinici e concomitante riduzione degli indici laboratoristici di infiammazione sistemica (IL-6 e PCR).  In tale setting, pertanto, il Levosimendan, grazie ad i suoi effetti pleiotropici aggiuntivi, potrebbe aiutare ad attenuare l’infiammazione sistemica.

CASO CLINICO

Un uomo di 72 anni accedeva presso il Pronto Soccorso (PS) per astenia, dispnea ingravescente e distensione addominale.

In anamnesi patologica remota erano descritti: storia di BPCO, cardiopatia ischemica cronica sottoposta a numerose rivascolarizzazioni coronariche per via percutanea, pregresso impianto di pacemaker (PMK) monocamerale per fibrillazione atriale a lenta risposta ventricolare media.

Il controllo ecocardiografico precedente mostrava normale funzione contrattile bi-ventricolare in assenza di valvulopatie significative; al controllo strumentale del PMK emergeva una percentuale di stimolazione ventricolare destra del 30%. 

 All’ingresso in PS il paziente è stato sottoposto a tampone nasofaringeo, risultato positivo per la ricerca di Sars-Cov 2; è stata eseguita una TC del torace-addome senza e con mezzo di contrasto , che ha mostrato lieve interessamento pneumonico bilaterale, significativo ingrandimento delle camere cardiache destre senza segni di embolia polmonare in atto, versamento ascitico diffuso, epatomegalia e segni radiografici compatibili con cirrosi cardiogena; altre possibili cause di congestione  e cirrosi epatica venivano escluse.

All’EGA arterioso (eseguito con FiO2 al 21%) si rilevava un rapporto P/F > 200 e Lattati 1.5 mmol/H; l’ECG evidenziava ritmo da fibrillazione atriale, blocco di branca destro, onde Q in sede inferiore.  

Veniva iniziata terapia diuretica infusionale e terapia tromboprofilattica con enoxaparina (PADUA Score 5), quindi il paziente veniva ospedalizzato.

Durante la degenza, il paziente non ha mai necessitato di supporto di ossigeno erogato mediato da HFNC e/o ventilazione non invasiva. Gli esami ematochimici eseguiti durante la degenza sono riportati in Tabella I.

L’ecocardiogramma transtoracico di ingresso mostrava importante dilatazione e disfunzione globale del ventricolo destro con insufficienza tricuspidalica massiva da gap di coaptazione (circa 20 mm) ed alterata geometria settale con D-shape del setto interventricolare, indicativa del sovraccarico volumetrico e pressorio del ventricolo destro (VD), vena cava inferiore pletorica con segni di stasi epato-cavale e significativo reflow sistolico nelle vene sovraepatiche al PW-Doppler; a sinistra lieve riduzione della funzione contrattile globale (FEVS 52%), in assenza di valvulopatie significative.

Non veniva eseguito il cateterismo cardiaco destro alla luce del quadro clinico (labilità dell’equilibrio emodinamico, paziente sintomatico) ed infettivo. 

Inizialmente si è deciso di massimizzare la terapia diuretica infusionale; tuttavia, per persistenza dei sintomi, il paziente è stato sottoposto ad un ciclo di Levosimendan.

L’ecocardiogramma transtoracico di controllo (eseguito tre giorni dopo l’ingresso) confermava la dilatazione del ventricolo destro e l’insufficienza tricuspidalica massiva, tuttavia, la funzione sistolica radiale e longitudinale del ventricolo destro risultavano significativamente migliorate (lieve-media disfunzione vs precedente severa disfunzione) rispetto al precedente esame. Da un punto di vista laboratoristico, si è assistito al calo degli indici di flogosi e contestuale riduzione dei livelli di IL-6 (Figura I).

Progressivamente i segni clinici di congestione periferica ed i sintomi del paziente sono migliorati; è stato possibile scalare il dosaggio della terapia diuretica e la frazione inalata durante ossigenoterapia, sino a sospensione della stessa. Il paziente è stato, quindi, dimesso a domicilio.

DISCUSSIONE

Il caso riportato riguarda un paziente con isolata insufficienza del cuore destro di neo-riscontro durante infezione da Sars-CoV 2 a lieve coinvolgimento polmonare, trattata con beneficio mediante un ciclo di levosimendan in relazione verosimilmente alle pleiotropiche azioni anti-infiammatorie, anti-ossidative ed anti-rimodellamento negativo del farmacostesso1.

Recenti evidenze enfatizzano come lo scompenso cardiaco acuto rientri ormai in una vera e propria sindrome caratterizzata da una risposta infiammatoria sistemica iperattivata: il miocardio che progressivamente diventa disfunzionante rappresenta esso stesso una fonte di citochine pro-infiammatorie (TNF-α, IL-1β, IL-6), le quali perpetuano il danno miocardico ed il rimodellamento negativo ventricolare, sino alla transizione clinica (dalla forma asintomatica alla forma sintomatica) di scompenso2,3.

Durante la pandemia COVID-19 relata, il rialzo anomalo di biomarcatori di danno miocardico è stato un riscontro frequente; in particolare l’infezione da Sars-CoV 2 è stata associata ad un aumentato rischio di insufficienza acuta del VD a causa di fragile equilibrio cardio-polmonare conseguente alla vasocostrizione ipossica durante polmonite e/o tromboembolismo polmonare. Tuttavia, è stata successivamente descritta anche una dilatazione e disfunzione del VD nei pazienti affetti da COVID-19 primitiva, ovvero senza un significativo impegno polmonare 4.

I meccanismi patogenetici sottesi a tale coinvolgimento primitivo includono l’effetto inotropo-negativo e la disfunzione micro- e macro-vascolare mediati dallo storm citochinico e dallo stress ossidativo, a cui si aggiungono il danno cardiaco diretto mediato dall’ enzima angiotensin-converting enzyme 2 (ACE2) e la conseguente perdita delle sue proprietà cardio-protettive 4.

I benefici derivanti dall’utilizzo del levosimendan nella disfunzione sisto-diastolica del VD sono ben noti in letteratura, ma i suoi effetti in altri scenari clinici tra cui lo scompenso cardiaco acuto durante infezione da Sars-CoV 2 rimangono ancora inesplorati 5.  Il levosimendan possiede, infatti, proprietà anti-infiammatorie, anti-apoptotiche e anti-ossidanti, che lo rendono particolarmente interessante in questo setting.

Èstato infatti osservato che esplica un effetto anti-infiammatorio, agendo sia sui cardiomiociti che sulle cellule endoteliali, attenuando l’espressione IL-1β- indotta dell’IL-6 e dell’IL-8 e riducendo l’espressione di proteine di adesione espresse sulle cellule endoteliali6.

Il levosimendan è in grado di attenuare, inoltre, il rimodellamento negativo spegnendo la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) IL-1β indotte, silenziando l’attivazione del nuclear factor-kappa B (NF kB) con conseguente capacità anti-apoptotica e modulando l’espressione proteica di molteplici geni, inclusi quelli coinvolti nel sistema renina-angiotensina-aldosterone7,8.

In aggiunta, sembra che il levosimendan sia in grado di agire anche sul metabolismo della matrice extracellulare attraverso la riduzione dei livelli di IL-6 locali, dell’espressione di proteine chemoattraenti i monociti, dei fattori di crescita del tessuto connettivo e, infine, delle metalloproteinase coinvolte nel catabolismo della stessa7,8.

BIBLIOGRAFIA

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  3. Narula J, Haider N, Virmani R, DiSalvo TG, Kolodgie FD, Hajjar RJ et AlBA. Apoptosis in myocytes in end-stage heart failure. N Engl J Med 1996; 335: 1182-1189
  4. Park JF, Banerjee S, Umar S. In the eye of the storm: the right ventricle in COVID-19. Pulm Circ 2020; 10: 2045894020936660
  5. Camilli M, Ciampi P, Pedicino D, D’Aiello A, Mazza A, Montone RA et Al. Use of Levosimendan as bridge therapy to surgical correction of post-infarction ventricular septal defect: a case report. Eur Rev Med Pharmacol Sci 2021; 25:3296-3299
  6. Krychtiuk KA, Watzke L, Kaun C, Buchberger E, Hofer-Warbinek R, Demyanets S, et Al. Levosimendan exerts anti-inflammatory effects on cardiac myocytes and endothelial cells in vitro. Thromb Haemost. 2015; 113: 350-362
  7. Trikas A, Antoniades C, Latsios G, Vasiliadou K, Karamitros I, Tousoulis D et Al. Long-term effects of levosimendan infusion on inflammatory processes and sFas in patients with severe heart failure. Eur J Heart Fail 2006; 8: 804-809.
  8. Farmakis D, Alvarez J, Gal TB, Brito D, Fedele F, Fonseca C, Gordon AC, et Al. Levosimendan beyond inotropy and acute heart failure: Evidence of pleiotropic effects on the heart and other organs: An expert panel position paper. Int J Cardiol 2016; 222: 303-312.

TABELLA 1. Valori di laboratorio riscontrati durante l’ospedalizzazione

FIGURA 1. Trend dell’IL-6 durante l’ospedalizzazione

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Thrombotic risk in patients with COVID-19

A cura di Angelica Cersosimo

Prove emergenti dimostrano che la pandemia in corso della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) è strettamente legata alla coagulopatia anche se la polmonite appare come la principale manifestazione clinica. L’esatta incidenza degli eventi tromboembolici è in gran parte sconosciuta, per cui è stato condotto un numero

relativamente significativo di studi al fine di esplorare il rischio trombotico nei pazienti COVID-19.

Il principale punto di ingresso nelle cellule per SARS-CoV-2 è l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE-2), che è attaccato alla superficie esterna delle cellule nei polmoni, nelle arterie, nel cuore, nei reni e nell’intestino. Tuttavia, i picchi proteina spike S1 interagiscono anche con la proteina RBC Band3, in modo simile all’interazione dei picchi S1 e dei recettori ACE-2, determinando pertanto ipossia. 

Inoltre, la tempesta di citochine, mediata da interleuchine pro-infiammatorie, fattore di necrosi tumorale α e reagenti di fase acuta elevati, è la principale responsabile dell’ipercoagulopatia associata a COVID-19. Nei pazienti con sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (SARS-CoV-2) un ruolo chiave è svolto, in aggiunta, dalla risposta infiammatoria, segnalando la progressione del COVID-19, come dimostrato in uno studio retrospettivo cinese in cui i livelli plasmatici di IL-6 (il principale fattore scatenante della

cosiddetta “tempesta di citochine”) e la proteina C-reattiva (CRP) sono fattori predittivi indipendenti della gravità della malattia nei pazienti con COVID-19.

L’incidenza di TEV, infatti,  tra i pazienti ospedalizzati con COVID-19, è significativa, anche in quelli sottoposti a terapia anticoagulante.

L’analisi dei diversi fattori di rischio nei pazienti COVID-19 ha rivelato, pertanto, che una più alta conta dei globuli bianchi, un più alto livello di D-dimero e un più alto rapporto neutrofili/linfociti sono associati indipendentemente al TEV, sottolineando la stretta relazione tra coagulazione e vie infiammatorie.

Pertanto, possiamo riassumere l’effetto protrombotico dell’infezione da SARS-CoV-2 in:

facilitazione della deposizione estesa dei componenti del complemento terminale, formazione eccessiva di NET per rilascio di neutrofili ed interazione diretta con il TLR-7 delle piastrine con conseguente risposta trombo-infiammatoria, aumento della produzione di immunoglobuline e reclutamento dei linfociti T nei siti di danno vascolare.

Anche le comorbidità, come diabete, ipertensione e danno renale acuto, svolgono un ruolo nel promuovere il danno endoteliale e possono, di conseguenza, essere legate a complicanze legate al COVID-19.

Le comorbidità, associate alla infezione da SARS-COV-2 comportano una maggiore incidenza di  TEV , di tromboembolismo arterioso, di danno miocardico acuto, miocardite e CID.

E’ importante, pertanto, iniziare tempestivamente una terapia anticoagulante come profilassi valutando, durante la somministrazione, la modifica dei valori di D-dimero.

Presentazione atipica di cardiomiopatia aritmogena: dall’onset alla diagnosi definitiva

Vincenzo Battaglia*, MD; Dario Donia*, MD; Alessia Chiara Latini*, MD; Gianluca Mincione*, MD; Cristina Panico, PhD; Elena Corrada, MD; Lorenzo Monti, MD; Antonio Frontera, PhD.

IRCCS Humanitas, Rozzano, Italia

Abstract

La cardiomiopatia aritmogena (ACM) può manifestarsi durante il follow-up con un quadro atipico (definito “hot phase”) caratterizzato da dolore toracico, rilascio di enzimi di miocardiocitonecrosi ed alterazioni elettrocardiografiche, in assenza di anomalie coronariche. Diverse evidenze supportano l’ipotesi che episodi ricorrenti simil-miocarditici possano accompagnare l’evoluzione della malattia in soggetti geneticamente predisposti1.

Il caso presentato è emblematico di come attraverso il processo infiammatorio siano stati indotti dei cambiamenti fenotipici, dirimenti nel porre diagnosi definitiva di ACM, sebbene inizialmente tale ipotesi diagnostica fosse poco sospetta.

Caso clinico

Il paziente è un ragazzo di 17 anni che accedeva in PS per arresto cardiocircolatorio (ACC) testimoniato, durante partita di pallacanestro, in assenza di prodromi. Al monitor veniva registrata fibrillazione ventricolare, interrotta da singola scarica elettrica (1 DC-shock) con successivo ripristino della circolazione spontanea (ROSC).

Figura 1. ECG all’ingresso. Le frecce indicano onde T negative in V1-V2

In anamnesi non compariva familiarità per malattie cardiovascolari o morte cardiaca improvvisa (SCD). Entrambi i genitori non presentavano precedenti cardiologici. L’anamnesi patologica remota era muta.  All’ingresso, i parametri vitali e l’esame obiettivo risultavano nella norma. Si segnalava minimo movimento delle troponine, in progressiva riduzione nei giorni successivi al ricovero (da 26,1 ng/L a 8,2 ng/L), assenza di disionie, non compromissione della funzione renale. All’ECG d’ingresso si registrava ritmo sinusale con lieve ritardo di conduzione intraventricolare destro (terminal activation duration <55 ms, misurato dal nadir dell’onda S alla fine del QRS), con onde T invertite in V1-V2, in assenza di QRS frammentato o onde epsilon (figura 1).

All’ecocardiogramma transtoracico si documentava una lieve dilatazione del ventricolo destro (ATDi=14.7cm2/m2) con conservata funzione di pompa (TAPSE 21 mm), in assenza di chiare aree di bulging/aneurisma/discinesia. La.TC coronarica escludeva origine anomala delle coronarie. Alla RM cuore basale si evidenziava lieve dilatazione biventricolare (VTD VS = 210 ml, VTD VD = 270 ml) con funzione sistolica ai limiti inferiori (FE VS = 55 %, FE VD = 45%), in assenza di alterazioni miocardiche tissutali o della cinesi segmentaria. Tempo T1 (circa 1000±30 ms) e T2 (circa 45±4 ms) miocardico di valore globalmente normale, in assenza di aree di delayed enhancement.

Venivano eseguiti i test provocativi con flecainide (2 mg/kg somministrati in 10 minuti, con valutazione ripetitiva del tracciato con derivazioni standard e derivazioni precordiali ‘alte’) ed isoproterenolo (infusione di 45 µg/min in 3 minuti) che risultavano rispettivamente non conclusivi per pattern di Brugada e/o tachiaritmie ventricolari sostenute indotte. All’ ECG-Holter delle 24 ore, si documentava extrasistolia ventricolare (BEV isolati 1252, di cui almeno 500 a morfologia BBSn ad asse superiore).

Allo studio elettrofisiologico endocavitario, durante la stimolazione adrenergica con isoproterenolo, si osservava l’insorgenza di extrasistolia ventricolare di due diverse morfologie: la prima con morfologia compatibile con origine dal sistema di Purkinje destro (tipo BBSn, positività in D1, aVL. Negatività in DII, DIII, aVF. Piccola onda R in V1. Transizione in V6; la seconda morfologia (meno frequente) compatibile con origine dal tratto efflusso del ventricolo destro (RVOT) (transizione in V4, BBSn, asse inferiore).

Figura 2: (A) Gradient Echo Cine-RM; La freccia indica l’acinesia del tratto di afflusso del ventricolo destro, il cerchio indica gli artefatti residui; (B) Steady State Free Precession (SSFP) Cine-RM, non valutabile per artefatti; (C) Cine-RM ad inizio degenza, spessore di 7 mm della parete apicale (D) Cine-RM dopo “hot phase”; ipocinesia apicale del VSin, condizionante bulging, e aumento degli spessori della parete apicale (11 mm); in C e D aspetto ‘a pila di piatti’ del ventricolo destro.

A seguito di decisione collegiale, in prevenzione secondaria, veniva impiantato defibrillatore sottocutaneo (S-ICD).

Dopo alcuni giorni di degenza, a distanza dalle procedure interventistiche, si riscontrava occasionalmente, in assenza di sintomi, incremento dei valori di troponina ad elevata sensibilità (hsTnI), con picco fino a 30.000 ng/L. All’ECG veniva registrata un’accentuata inversione dell’onda T in V2. Alla coronarografia eseguita successivamente si documentava albero coronarico esente da stenosi, test all’acetilcolina negativo per vasospasmo e ventricolografia destra con aspetto “a pila di piatti”8. Con i limiti procedurali legati all’impianto dell’S-ICD, si ripeteva RM che mostrava, rispetto alla precedente, una riduzione della frazione d’eiezione del ventricolo sinistro (FE VS 52%) con comparsa di ipocinesia della parete inferiore e infero-laterale nei segmenti medio-apicali, contestualmente ad una dilatazione del ventricolo destro con funzione di pompa depressa (FE VD 34%), in presenza di area acinetica in apice e di ipocinesia del tratto di afflusso (figura 2).

Al monitoraggio telemetrico, veniva segnalata la presenza di extrasistoli ventricolari, in un caso organizzate in breve run di tachicardia ventricolare non sostenuta (TVNS), ad asse superiore e morfologia a blocco di branca destra; al successivo ECG di superficie si aveva presenza di onde T negative da V4 a V6, reperti non riscontrati precedentemente.

Dunque, in accordo con i criteri di Padova 2020, si poneva diagnosi clinica definitiva per cardiomiopatia aritmogena (ACM) biventricolare7.

Discussione

La cardiomiopatia aritmogena è una malattia primitiva del miocardio che coinvolge il ventricolo destro, sinistro o entrambi, caratterizzata da sostituzione fibro-adiposa di tessuto miocardico, in grado di condizionare una disfunzione ventricolare globale e/o regionale e predisporre a potenziali aritmie ventricolari fatali, soprattutto nei giovani atleti, indipendentemente dalla severità della disfunzione.  La prevalenza della patologia si stima essere 1:2000-1:5000 nella popolazione generale7. Studi di genetica molecolare hanno dimostrato un‘associazione tra l’ACM e alterazioni dei geni codificanti per le proteine strutturali delle giunzioni intercellulari: quelle più comuni sono a carico delle proteine desmosomiali, come placofillina (PKP2), desmoplachina (DSP), desmogleina (DSG2), e in misura minore delle proteine non desmosomiali, come fosfolambano (PLN), filamina-C (FLNC), laminina A/C (LMNA)1.

Sebbene la malattia nella sua forma “classica” (ARVC) si caratterizzi per un precoce coinvolgimento del ventricolo destro, con un interessamento del ventricolo sinistro nelle fasi avanzate, in letteratura ci sono crescenti evidenze di varianti fenotipiche con precoce coinvolgimento del ventricolo sinistro, che può evolvere parallelamente (variante “biventricolare”), come il caso riportato, o prevalere rispetto a quello del ventricolo destro (variante a “dominanza sinistra”, ALVC).

Figura 3 : TVNS con asse superiore e morfologia a blocco di branca destra, successivo a “hot phase”

Data l’assenza di alterazioni patognomoniche per la malattia, in accordo con i criteri di Padova 2020, la diagnosi di ACM si basa su un approccio multiparametrico che tiene conto di parametri morfo-funzionali e strutturali, elettrocardiografici, di imaging e genetici, nonché della storia clinica e familiare del paziente, raggruppati in 6 categorie1,7.

Nel caso esaminato, il paziente all’ingresso non manifestava un fenotipo conclamato per forma “classica” di cardiomiopatia aritmogena, sia per la modalità atipica d’esordio (ACC secondario a fibrillazione ventricolare, più caratteristico di ALVC)8, sia per il soddisfacimento di un solo criterio minore di ARCV – presenza di onde T negative in V1 e V2 in assenza di blocco di branca destra completo.

Pertanto, l’approccio adottato è stato quello di condurre degli accertamenti diagnostici volti ad escludere le principali cause di aritmie ventricolari maligne nella popolazione giovanile.

L’assenza di ipertrofia settale interventricolare all’ecoscopia permetteva di escludere una cardiomiopatia ipertrofica, prima causa epidemiologica di SCD nel giovane atleta.3

Anche in considerazione del fatto che la risonanza magnetica cardiaca non evidenziasse inizialmente alterazioni della cinesi, presenza di late gadolinium enhancement (LGE) o franche alterazioni morfo-strutturali, il fenotipo non lasciava propendere per una specifica cardiomiopatia. 

All’ECG di superficie l’intervallo QT corretto risultava nei limiti di norma, dunque non suggestivo di sindrome da QT lungo (LQTS) o da QT corto (SQTS), e non evidenziava sopraslivellamento del punto J, nel sospetto di early repolarization syndrome. 9

Il test alla flecainide non ha slatentizzato un pattern di Brugada. 10 Allo stesso modo, al fine di valutare la risposta al trigger adrenergico, potenzialmente responsabile dell’arresto nel sospetto di tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica (CPVT), si decideva di sottoporre il paziente a test provocativo con isoproterenolo: non è stata indotta alcuna aritmia ventricolare sostenuta 11. Veniva unicamente osservata la comparsa di notched T-waves parallelamente ad incremento dell’intervallo QT corretto rispetto al basale (461 ms versus 425 ms): benchè questi ultimi reperti facessero propendere per un fenotipo LQTS2, il trigger psico-fisico – e non sensoriale (uditivo) – dell’evento aritmico poco correlava con tale sindrome.   

Escluse cause cardiache strutturali, ischemiche e primitive, in assenza di un substrato di FV, si prendeva in considerazione la fibrillazione ventricolare idiopatica (IVF) come plausibile eziologia (causa di SCD nei giovani adulti dal 14% al 23% dei casi)12: tale ipotesi era avvalorata dal fatto che alla telemetria e al SEF fossero stati registrati BEV isolati, con verosimile origine dalle fibre destre del Purkinje e da RVOT, tra i siti più frequentemente coinvolti nella genesi di IVF.4

Solamente in seguito al sostanziale rialzo troponinico in assenza di dolore toracico, alla luce delle alterazioni regionali della cinesi e delle dilatazioni di entrambi i ventricoli – riscontrate alla successiva RM – e dei concomitanti eventi aritmici a partenza dai segmenti del ventricolo sinistro morfostrutturalmente alterati, è stato possibile porre diagnosi “definitiva” di ACM nella variante biventricolare.

Analogamente al caso presentato, è stata recentemente descritta in letteratura una forma  simil-miocarditica – piuttosto atipica – di presentazione della malattia (“hot phase”)1,6, frequentemente segnalata nei giovani (27±16 anni).

CONCLUSIONI

Nell’ambito dello spettro fenotipico della ACM, i dati strumentali ed elettrocardiografici inizialmente raccolti apparivano maggiormente suggestivi per un variante destra (ARVC): ciononostante, come descritto in letteratura la modalità d’esordio dell’ACC (FV) poco correlava con una forma classica della patologia7. Il caso riportato enfatizza come solo esclusivamente a seguito di un evento simil-miocarditico, proprio della storia naturale della malattia (“hot phase”), sia stato slatentizzato un fenotipo prima misconosciuto con coinvolgimento del ventricolo sinistro, giustificando la fibrillazione ventricolare come onset clinico.

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Figura-4

Un particolare caso di Sindrome di Wolff-Parkinson-White: non solo un problema elettrico

Sofia Capocci1, Francesca Rubino1, Martina Setti1, Caterina Butturini1, Giacomo Mugnai1,

Flavio Luciano Ribichini1

1 Università di Verona, Sezione di Cardiologia, Dipartimento di Medicina, Italia

Abstract

La sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW) è una patologia congenita con una prevalenza di 1 su 450 nella popolazione generale; la sua manifestazione clinica è caratterizzata dalla presenza di tachicardie reciprocanti da rientro atrioventricolare dovute alla presenza di uno o più fasci accessori. Illustriamo il caso clinico di un giovane paziente affetto da WPW che ha rivelato una cardiomiopatia sottostante di complessa e non univoca interpretazione.

Presentazione iniziale

Un uomo di 35 anni accedeva al Pronto Soccorso (PS) del nostro Ospedale per cardiopalmo. All’elettrocardiogramma (ECG) di ingresso si documentava una tachicardia a QRS largo con morfologia a blocco di branca sinistra e presenza di onda delta. (Fig.1). Si eseguivano manovre vagali senza beneficio, quindi si somministravano due boli di adenosina (6+12 mg) con ripristino del ritmo sinusale, confermando l’ipotesi del rientro atrio-ventricolare alla base dell’aritmia1. Al tracciato elettrocardiografico basale (successivo al ripristino del ritmo sinusale) si documentava la presenza di pre-eccitazione ventricolare (Fig. 2).

Fig. 1 ECG di presentazione in PS

Fig. 2 ECG dopo ripristino di ritmo sinusale

Il paziente era affetto da sindrome di WPW già sottoposta in passato, presso altri centri, a due ablazioni di fascio di Kent occulto superoanteriore/anterolaterale destro con parziale successo (la prima all’età di 8 anni e la seconda all’età 20 anni). Non si segnalavano altre patologie in anamnesi e nessuna familiarità per problematiche cardiache.

Ad eccezione di un singolo episodio di tachicardia avvenuto nell’anno successivo all’ultima ablazione trattato con propafenone endovena, il paziente si era poi mantenuto in benessere soggettivo; aveva proseguito terapia antiaritmica per os con flecainide, eseguendo follow-up regolare. Nello specifico aveva eseguito ecocardiografie risultate sempre nella norma (l’ultima delle quali risalente a 5 anni prima rispetto all’accesso in PS) e test da sforzo al cicloergometro che segnalava scomparsa della pre-eccitazione ventricolare a frequenze cardiache elevate ed assenza di aritmie. Inoltre, agli ECG eseguiti durante le visite cardiologiche di controllo (l’ultimo dei quali risalente sempre a 5 anni prima rispetto all’accesso in PS) si evidenziava, talvolta, una minima pre-eccitazione ventricolare.

Il paziente lamentava però, negli ultimi mesi, sempre più frequenti episodi di cardiopalmo, circa 2-3 a settimana, di breve durata.

Il paziente si ricoverava pertanto nella Unità Operativa di Cardiologia per gli accertamenti del caso.

Iter diagnostico e trattamento

All’ingresso in reparto il paziente si presentava asintomatico; agli ematochimici si riscontrava un minimo incremento della Troponina T ed un rialzo dell’nt-pro-BNP (706 ng/L). Veniva eseguito ecocardiogramma trans-toracico che evidenziava una severa dilatazione e disfunzione del ventricolo sinistro con ipocinesia parietale diffusa (frazione di eiezione 26%), insufficienza mitralica di grado medio ed una iniziale disfunzione diastolica (E/A 1.2, E/e’12, dilatazione atriale sinistra di grado medio); la funzione ventricolare destra risultava nei limiti (Fig. 3).

In considerazione del quadro anamnestico e della presentazione clinica si poneva indicazione a nuovo studio elettrofisiologico con eventuale ablazione trans-catetere previa esecuzione di risonanza magnetica (RMN) cardiaca con gadolinio per il nuovo riscontro di disfunzione ventricolare sinistra. 

La RMN confermava l’ipocinesia parietale diffusa del ventricolo sinistro con dissinergia settale e funzione sistolica globale severamente ridotta. Mostrava, inoltre, presenza di late gadolinium enhancement (LGE) a livello del setto anteriore basale, della parete inferiore medio-basale con distribuzione sub-epicardica e qualche più piccolo focus infero-laterale basale, con pattern fibrotico non ischemico; documentava assenza di aree di iper-intensità di segnale nelle sequenze T2 STIR ascrivibili ad edema intramiocardico ed assenza di aree di infiltrazione adiposa alle sequenze T1 dipendenti (Fig. 4).

Allo studio elettrofisiologico si evidenziava la presenza di due distinti fasci anomali di Kent, uno postero-settale destro (capace di conduzione anterograda e retrograda), e l’altro antero-laterale destro (capace solo di retrocondurre). In dettaglio, si inducevano due tipi di tachicardie atrio-ventricolari reciprocanti: una tachicardia da rientro atrioventricolare antidromica mediata da fascio di Kent postero-settale destro in senso anterogrado e da sistema nodo-hissiano in retrogrado; e l’altra ortodromica sostenuta in senso anterogrado da nodo-His e in senso retrogrado alternativamente da fascio di Kent antero-laterale destro e posterosettale destro. Il mappaggio mediante sistema elettro-anatomico non fluoroscopico (a raggi zero) permetteva di identificare ed eradicare il fascio di Kent postero-settale destro all’imbocco del seno coronarico, mentre il residuo fascio di Kent anterolaterale destro (sede di pregressa ablazione) veniva eradicato a ore 11 dell’anello tricuspidalico mediante mappaggio del segnale atriale retrogrado più precoce durante la tachicardia ortodromica. Eseguita pertanto ablazione efficace di entrambi i fascicoli anomali, residuava all’ECG blanda pre-eccitazione ventricolare che rimaneva invariata durante stimolazione atriale continua incrementale e programmata – con HV invariato – suggestiva di una connessione anomala di tipo atrio-hissiano (Fig 5). Al termine della procedura si documentava l’assenza di retroconduzione atriale durante stimolazione ventricolare. Non risultavano più inducibili tachicardie atrio-ventricolari reciprocanti.

Durante la restante degenza non si evidenziava alcun tipo di tachicardie rilevanti al monitoraggio telemetrico e si impostava terapia medica anti-neurormonale completa di ARNI, anti-aldosteronico, betabloccante e SGLT2 inibitore2.

Il paziente veniva dimesso con Life-Vest per salvaguardarlo da eventuali aritmie maligne, vista la severa disfunzione ventricolare e la giovane età, in attesa di rivalutazione clinica e strumentale dopo tre mesi di adeguata terapia anti-rimodellamento. 

Il paziente verrà rivalutato presso il Day Hospital dello scompenso cardiaco con ecocardiografia di controllo e valutazione genetica (follow up in corso).

Fig. 3 Ecocardiografia (A4CH)                                       

Fig. 4 RMN cuore (LGE

Fig. 5 ECG pre-dimissione

Discussione

La presenza di una cardiomiopatia dilatativa in un paziente giovane affetto da WPW è una sfida diagnostica. Ci sono almeno tre possibili condizioni patologiche da tenere presente, in particolare modo per quel che riguarda il caso da noi illustrato.

L’ipotesi diagnostica più immediata è quella di una cardiomiopatia dilatativa con associata una sindrome di WPW con plurime vie accessorie. Il pattern subepicardico di LGE alla risonanza magnetica rende, però, necessaria la diagnosi differenziale tra una cardiomiopatia post-infiammatoria3 (nonostante l’assenza di episodi infettivi e di recenti episodi di dolore toracico) ed una cardiomiopatia dilatativa geneticamente determinata (seppur l’anamnesi familiare muta). 

A rendere più complesso il quadro è la presenza in letteratura di alcuni, seppur rari, casi di cardiomiopatia dilatativa indotta da pre-eccitazione ventricolare, anche in assenza di aritmie, in bambini e giovani adulti. In particolare, sono riportati casi di vie accessorie soprattutto settali e para-settali destre, completamente asintomatiche per quel che riguarda le aritmie, ma in cui il paziente sviluppa segni e sintomi di scompenso cardiaco con riscontro ecocardiografico di una cardiomiopatia dilatativa; in tali casi dopo ablazione della via anomala e talvolta introduzione di terapia antiscompenso e/o resincronizzazione cardiaca si ha recupero della funzione ventricolare sinistra e ripristino del volume ventricolare4. La patogenesi di tale cardiomiopatia non è del tutto chiara. E’ stato ipotizzato che i pazienti con conduzione anterograda manifesta della via accessoria abbiano un movimento asincrono della parete ventricolare a causa della propagazione anormale dell’impulso; questo avverrebbe soprattutto in caso di localizzazione settale o postero-settale della via anomala, in cui ci sarebbe una precoce attivazione del setto interventricolare ed una ritardata attivazione della parete libera del ventricolo sinistro. Tale meccanismo determinerebbe una dissinergia/ipocinesia settale, simile a quello che avviene nella stimolazione ventricolare destra da pace-maker o nel blocco di branca sinistra. Nel tempo tale dissinergia/discinesia settale indurrebbe un rimodellamento ventricolare e conseguente dilatazione. Nelle vie laterali sinistre, invece, la porzione di miocardio pre-eccitato è molto piccola a causa del lungo tempo di conduzione dello stimolo dal nodo seno-atriale all’inserzione atriale della via accessoria che porta ad una attivazione pressoché normale del ventricolo sinistro attraverso la conduzione del nodo atrioventricolare. In modo analogo, in caso di via laterali destre, l’attivazione del ventricolo sinistro avviene quasi del tutto attraverso la normale via di conduzione con un’area pre-eccitata limitata alla parete libera del ventricolo destro5-9. Rispetto ad una cardiomiopatia dilatativa primaria, quella secondaria a pre-eccitazione ventricolare tende a recuperare in 3-6 mesi dall’inizio della terapia anti-scompenso e dall’ablazione della via accessoria.

Nel caso clinico presentato, vi è una disfunzione ventricolare sinistra che è sicuramente comparsa dopo i 30 anni poiché le ecografie precedenti mostravano sempre una frazione d’eiezione del ventricolo sinistro superiore al 50%; gli ECG risalenti allo stesso periodo, inoltre, mostravano, talvolta, una minima pre-eccitazione ventricolare, analoga a quella che permane all’ECG basale dopo quest’ultima ablazione. Questo fa pensare che la conduzione anterograda tramite la via accessoria postero-settale destra abbia iniziato a manifestarsi successivamente e che abbia potuto determinare un rimodellamento ventricolare in questo lasso di tempo. Alla risonanza magnetica cardiaca è presente dissinergia settale (dovuta alla pre-eccitazione); meno chiara è la presenza di aree di LGE, anche per l’assenza di studi clinici in merito.

Nella diagnosi differenziale non dimentichiamo, inoltre, di considerare la tachicardiomiopatia; infatti, durante il ricovero, nei giorni precedenti all’ablazione, si segnalavano alcuni episodi di tachicardia documentati al monitoraggio telemetrico, solo a volte sintomatici. Inoltre, allo studio elettrofisiologico le tachicardie erano facilmente inducibili. Nelle tachicardiomiopatie, possono essere presenti, anche se non di frequente, aree di LGE alla risonanza magnetica, inversamente correlate ad un buon recupero della frazione d’eiezione ventricolare sinistra.10 Tuttavia, è difficile quantificare il numero di aritmie che il paziente possa aver avuto negli ultimi anni poiché non possediamo documentazione in merito.

L’eventuale reverse remodeling ventricolare sinistro e il risultato dell’analisi genetica aiuteranno a fare chiarezza sulla natura della cardiomiopatia e sul successivo iter diagnostico-terapeutico da intraprendere.

In futuro, un ruolo importante potrebbe essere ricoperto dalla risonanza magnetica cardiaca, un esame strumentale che è entrato nella pratica clinica negli ultimi anni; a tal proposito sarebbero necessari studi per valutare se la dilatazione ventricolare sinistra eventualmente determinata dalla conduzione anterograda attraverso la via anomala possa determinare sviluppo di LGE alla risonanza magnetica cardiaca.

Se tale ipotesi fosse confermata, diverrebbe fondamentale eseguire un’ablazione precoce, anche in assenza di tachicardie da rientro atrio-ventricolare e/o di rischio di aritmie ventricolari maggiori, soprattutto in caso di particolari localizzazioni della via accessoria.

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Senza-titolo-2

Valore prognostico dell’ECG d’ingresso nei pazienti ospedalizzati per COVID-19 a basso rischio.

Autori: Martino PEPE1, Gianluigi NAPOLI1, Gaetano BRINDICCI2, Eugenio CARULLI1, Palma L. NESTOLA1, Carmen R. SANTORO2, Giuseppe BIONDI-ZOCCAI3,4, Arturo GIORDANO5, Fabrizio D’ASCENZO6, Plinio CIRILLO7, Annalisa SARACINO2,8, Stefano FAVALE1.

1 UO Cardiologia Universitaria, Dipartimento di Emergenza e Trapianti d’Organo (DETO), Università di Bari “Aldo Moro”, Piazza G. Cesare 11, Bari (BA), 70124, Italia.

2 UO Malattie Infettive, Policlinico di Bari, Piazza G. Cesare 11, Bari (BA), 70124, Italia.

3 Dipartimento di Scienze medico-chirurgiche e Biotecnologia, Università Sapienza di Roma, Corso della Repubblica 79, Latina (LT), 04100, Italia.

4 Cardiocentro Mediterranea, Via Orazio 2, Napoli (NA), 80122, Italia.

5 UO Cardiologia Invasiva, Ospedale “Pineta Grande”, Via Domitiana km 30, Castel Volturno (CE), 81030, Italia.

6 Divisione di Cardiologia, Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino, Ospedale “Città della salute e della scienza”, Torino (TO), 10126, Italia.

7 Divisione di Cardiologia, Università di Napoli “Federico II”, Napoli (NA), 80131, Italia.

8 Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Università di Bari “Aldo Moro”, Piazza G. Cesare 11, Bari (BA), 70124, Italia.

a cura di Gianluigi Napoli

ARTICOLO

Il coinvolgimento cardiaco contribuisce significativamente alla mortalità dei pazienti affetti COronaVIrus-Disease-19 (COVID-19)1-5 mediante molteplici meccanismi: danno miocardico diretto, eventi tromboembolici, tossicità delle terapie, ipossia tissutale legata a mismatch tra domanda e offerta di ossigeno e la tempesta citochinica pro infiammatoria in grado di determinare miocarditi fulminanti6-9 10 11.

L’Elettrocardiogramma (ECG) costituisce un valido strumento di screening per identificare precocemente i pazienti ospedalizzati per COVID-19 caratterizzati da un decorso intraospedaliero sfavorevole sebbene inizialmente classificati a basso rischio. Gli studi finora condotti hanno valutato il valore predittivo dell’ECG nei pazienti ospedalizzati per COVID-19 indipendentemente dalla presentazione clinica d’ingresso. Questo approccio “all-inclusive” tuttavia pone il dilemma che i parametri elettrocardiografici basali costituiscano un semplice marker di malattia avanzata piuttosto che dei predittori di decorso sfavorevole.

Il nostro studio osservazionale monocentrico ha incluso 348 pazienti consecutivi ospedalizzati per COVID-19 presso l’AOU Policlinico di Bari tra marzo 2020 e marzo 2021 con un basso profilo di rischio clinico (non necessitanti di iniziale ricovero in terapia intensiva, ventilazione meccanica invasiva o supporto cardiocircolatorio meccanico o farmacologico). Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad ECG all’ingresso, refertato da 2 cardiologi indipendenti.

Gli outcome primari erano: mortalità intraospedaliera e l’outcome composito di morte e intubazione orotracheale (IOT). Durante il ricovero 29 pazienti (7.5%) sono deceduti e 44 pazienti (11.5%) hanno raggiunto l’outcome composito di morte e/o intubazione orotracheale (IOT).

I pazienti con outcome peggiore erano caratterizzati da una maggiore prevalenza di diabete mellito di tipo 2, ipertensione arteriosa, storia di malattia cardiovascolare e uso di terapia antiaggregante o betabloccante.

Alla regressione logistica univariata, i predittori elettrocardiografici di mortalità intraospedaliera sono risultati: fibrillazione atriale (FA), scarsa crescita dell’onda R in V1-V6, tachicardia, bassi voltaggi del QRS nelle derivazioni precordiali, sottoslivellamento del tratto ST in qualsiasi derivazione, e/o in sede laterale e/o precordiale, onde T negative in qualsiasi derivazione e/o in sede laterale, intervallo QT corretto (QTc), blocco di branca destra (BBD) ed emiblocco anteriore sinistro (EAS). L’analisi multivariata ha confermato che la FA, la tachicardia, la scarsa crescita dell’onda R in V1-V6 e il BBD sono significativamente associati alla mortalità intraospedaliera.

Analogamente, l’analisi univariata ha evidenziato come predittori di morte e/o IOT: FA, scarsa crescita dell’onda R in V1-V6, il sottoslivellamento del tratto ST in sede laterale o precordiale, le onde T negative in qualsiasi sede o in sede laterale, la tachicardia, il QTc, il BBD e l’EAS. Alla regressione logistica multivariata la FA, la scarsa crescita dell’onda R, la tachicardia, il QTc e il BBD sono risultati predittori indipendenti di morte e/o IOT. (figura 1)

I principali risultati del presente studio sono:

  1. Nei pazienti affetti da COVID-19 a basso rischio, l’ECG costituisce un esame rapido, economico, facilmente effettuabile e ad elevata capacità di stratificazione prognostica;
  2. la tachicardia, la FA, la scarsa crescita dell’onda R in V1-V6 e il BBD all’ECG di ingresso costituiscono predditori indipendenti di mortalità; questi stessi parametri, assieme al QTc, sono inoltre fortemente associati all’outcome composito di morte e/o IOT;
  3. tra tutti i parametri citati, il BBD si è rivelato il più forte predittore sia di morte (OR 8.039, IC 1.229-52.603; p = 0.03) che di morte e/o IOT (OR 9.196, IC 1.600-52.852; p=0.013).

L’unicità dello studio riguarda il focus sui pazienti a basso rischio (come testimoniato dalla mortalità intraospedaliera del 7.5%, notevolmente inferiore rispetto ai recenti report su coorti di pazienti non selezionate).12, 13 Ciò permette di identificare la categoria di pazienti che può beneficiare maggiormente dalla modulazione dell’approccio diagnostico-terapeutico intraospedaliero, mediante uno stretto monitoraggio clinico-laboratoristico, una valutazione cardiologica precoce e un trattamento farmacologico più aggressivo, permettendo inoltre una migliore allocazione delle risorse in un contesto emergenziale.

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9.         Santoro, F., et al., Anticoagulation Therapy in Patients With Coronavirus Disease 2019: Results From a Multicenter International Prospective Registry (Health Outcome Predictive Evaluation for Corona Virus Disease 2019 [HOPE-COVID19]). Crit Care Med, 2021. 49(6): p. e624-e633.

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11.       Tavazzi, G., et al., Myocardial localization of coronavirus in COVID-19 cardiogenic shock. Eur J Heart Fail, 2020. 22(5): p. 911-915.

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13.       Akhtar, Z., et al., Prolonged QT predicts prognosis in COVID-19. Pacing Clin Electrophysiol, 2021. 44(5): p. 875-882.

MCS, mechanical circulation support; IMV, invasive mechanical ventilation; PRWP, poor R wave progression; RBBB, right bundle branch block; AF, atrial fibrillation; QTc, QT corrected interval.

Figura 1 catania. png

Un caso inconsueto di ipertensione polmonare “post-capillare”

G. Passanitia, M. Mulèb, M. Legnazzia, M. Barbantia, C. Tamburinoa

a Divisione di Cardiologia, AOU Policlinico “G. Rodolico- San Marco”, Università degli Studi di Catania

b UOPI per le Interstiziopatie e le Malattie rare del polmone, Policlinico “G. Rodolico- San Marco”, Catania

Abstract

Lo scompenso cardiaco ad alta gittata costituisce un’entità clinica abbastanza rara, spesso sottovalutata, che può sfociare in ipertensione polmonare, apparentemente post-capillare, in pazienti che non presentano patologie del cuore sinistro. Attualmente, questo tipo di ipertensione polmonare non rientra in nessun gruppo della classificazione WHO, nonostante ci siano cause irreversibili che possano determinarlo. In questo report, presentiamo il caso di una paziente con ipertensione polmonare, controllata per molti anni con diuretici e poi scoperto essere dovuta alla presenza di una fistola artero-venosa iatrogena, il cui trattamento ha portato alla completa risoluzione della patologia.

Caso clinico

Presentiamo il caso di una paziente donna di 57 anni, ipertesa e dislipidemica. In anamnesi, due gravidanze a termine con parto spontaneo ed intervento per ernia discale lombare (L4-L5) nel 2005, con successivo re-intervento per complicanze nel 2007. Nel gennaio 2009 ha iniziato ad accusare tosse stizzosa e dispnea da sforzo e, nel settembre dello stesso anno, sono comparsi edemi declivi ed incremento di gamma-GT sierica. Si è quindi sottoposta a visita cardiologica e, all’ecocardiogramma transtoracico, si è evidenziato “ventricolo sinistro normale per dimensioni cavitarie, spessori parietali e funzione sistolica globale e segmentaria. E/A >1. Atrio sinistro lievemente dilatato. Cavità destre lievemente dilatate. Lieve insufficienza mitralica e tricuspidale. PAPs aumentata. Vena cava inferiore dilatata, ipocollassante”(Figure 1,2). È stata quindi sottoposta ad Angio-TC torace per escludere embolia polmonare e questa ha mostrato “incremento di calibro dei rami arteriosi e venosi polmonari intraparenchimali di ambo i lati, assenti lesioni focali a carico del parenchima. Assenti minus di natura tromboembolica”. Nel Gennaio 2010, la paziente è stata dunque sottoposta ad ecocardiogramma transesofageo, che ha escluso cardiopatie congenite con shunt e, successivamente, a cateterismo destro (RHC) che ha mostrato PAPw 16 mmHg, s/d/mPAP 33/16/21 mmHg. Quindi, è stata posta diagnosi di ipertensione polmonare post-capillare.

Da allora, stabilità clinica ed emodinamica fino al 2016, mantenuta con graduale incremento della dose di furosemide. Nel 2017, repentino peggioramento della sintomatologia, con insorgenza di dispnea per sforzi lievi. Dopo i controlli routinari  è stata sottoposta a nuovo RHC che ha mostrato lieve ipertensione polmonare, normali resistenze vascolari polmonari, elevata portata cardiaca e marcato incremento della SpO2 in vena cava inferiore. Eseguita nuova TC torace, con evidenza di normale calibro dell’arteria polmonare e nessun segno di embolia. Effettuando un approfondito esame obiettivo, è stato evidenziato un soffio sistolico significativo in regione inguinale sinistra: la paziente è stata sottoposta dunque ad angio-TC, con riscontro di fistola artero-venosa tra l’arteria iliaca comune e la vena iliaca comune omolaterale (Figura 2 ). Perciò, è stata fatta diagnosi di scompenso cardiaco ad alta gittata con conseguente ipertensione polmonare. La fistola artero-venosa è stata trattata per via percutanea (Figura 3) con completa risoluzione della sintomatologia della paziente e normalizzazione dei valori pressori polmonari. Al TTE di controllo tre mesi dopo si è evidenziato “atrio destro e ventricolo destro nella norma, gradiente atrio-ventricolo destro nei limiti, Vena cava inferiore di normali dimensioni, normocollassante con gli atti del respiro”.

Discussione:

Lo scompenso cardiaco ad alta gittata è una forma abbastanza rara di scompenso cardiaco. Le cause possono essere ricercate o in una maggiore richiesta di ossigeno per aumentato metabolismo corporeo o nella presenza di uno shunt che consente al sangue di bypassare le arteriole ed il letto capillare, con conseguente maggior afflusso di sangue ossigenato nella circolazione venosa.[1] Entrambi questi processi hanno come risultato un aumento della gittata cardiaca (che può arrivare anche ad 8 L/min) dovuto od a rimodellamento cardiaco o ad incremento della frequenza cardiaca per aumento di volume circolante [2].

  • Nel dettaglio, tra le cause più frequenti di scompenso cardiaco ad alta gittata è possibile riconoscere l’ipertiroidismo (l’aumento degli ormoni tiroidei determina maggior inotropismo, tachicardia ed aumento del metabolismo corporeo), le malattie mieloproliferative (l’elevato turnover cellulare determina un incremento del metabolismo basale), il beri-beri (il deficit di tiamina determina aumento dei livelli di piruvato e lattato e influenza direttamente i cardiomiociti determinando ipertrofia e fibrosi[3]), fistole arterovenose congenite o acquisite, cirrosi epatica, anemia, shock settico, malattia di Paget dell’osso e obesità.

Inoltre, nel caso descritto, la fistola della paziente non era congenita, bensì è stata conseguente agli interventi di chirurgia spinale a cui è stata sottoposta. La fistola artero-venosa, infatti, rappresenta una complicanza rara e potenzialmente fatale di questi interventi, in quanto difficile da riconoscere perché i sintomi sono aspecifici e la presentazione è tardiva.[4] La prognosi dello scompenso cardiaco ad alta gittata è variabile, in quanto dipende dalla causa sottostante. Il trattamento si basa prima sul management acuto dei sintomi dello scompenso e successivamente sulla ricerca della causa e, se possibile, sulla sua risoluzione.

Bibliografia

  1. Reddy YNV, Melenovsky V, Redfield MM, Nishimura RA, Borlaug BA. High-Output Heart Failure: A 15-Year Experience. J Am Coll Cardiol. 2016 Aug 02;68(5):473-482.
  2. Singh S, Sharma S. High-Output Cardiac Failure. [Updated 2021 Jun 24]. In: StatPearls [Internet]. Treasure Island (FL): StatPearls Publishing; 2022 Jan-. Available from: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK513337/
  3. Ikram H, Maslowski AH, Smith BL, Nicholls MG. The haemodynamic, histopathological and hormonal features of alcoholic cardiac beriberi. Q J Med. 1981 Autumn;50(200):359-75
  4. Ocal, O., Peynircioglu, B., Eldem, G., Akpinar, E., Onur, M. R., & Kabakci, G. (2017). Iliac arteriovenous fistulas after lumbar spinal surgery. Turkish journal of emergency medicine17(3), 109–111. https://doi.org/10.1016/j.tjem.2017.03.001