Miocardite eosinofila, chi era costei?

Nicolina Conti, Mattia Garofalo

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale
IRCCS Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, Bologna

ABSTRACT

I dati anamnestici di diatesi allergica e pregressa gastroenterite eosinofila e l’evidenza clinico-strumentale di rash cutaneo, dolore toracico atipico con versamento pericardico, scompenso cardiaco acuto con severa disfunzione sistolica biventricolare di nuova insorgenza in assenza di dilatazione e danno miocardico acuto hanno portato alla diagnosi biopsy-proven di perimiocardite acuta eosinofila da ipersensibilità ad Amoxicillina/Clavulanato in un giovane adulto ricoverato per sepsi addominale con improvvisa insorgenza di astenia, dispnea e dolore precordiale in stato di pre-shock cardiogeno.

CASO CLINICO

Presentiamo il caso clinico di un paziente uomo, di 26 anni, fumatore, in assenza di ulteriori fattori di rischio cardiovascolare e precedenti cardiologici di rilievo. In anamnesi: asma allergico stagionale, quiescente dall’adolescenza; pregressa gastroenterite eosinofila in poliallergia alimentare; recente infezione paucisintomatica da SARS-CoV-2.

Fig. 1 – Rash eritematoso farmaco-indotto alla radice degli arti inferiori

Da qualche giorno il paziente lamentava febbre con brivido (TC massima 39°C) associata a dolore addominale ed alvo alterno, per cui aveva intrapresoantibioticoterapia empirica con Amoxicillina-Clavulanato. Per il persistere della sintomatologia, il paziente accedeva in Pronto Soccorso e veniva ricoverato presso il reparto di Medicina Interna in considerazione del quadro clinico-laboratoristico di sepsi addominale (rialzo della proteina C reattiva, della procalcitonina e della conta totale dei globuli bianchi con neutrofilia e linfopenia ed eosinofili nei limiti della norma). Il quadro clinico generale appariva stabile, con parametri vitali regolari salvo il rialzo termico, buon compenso cardiocircolatorio, tracciato elettrocardiografico (ECG) nei limiti ed indici epatorenali in range.

Si assisteva tuttavia al graduale peggioramento di un rash eritematoso pruriginoso, a partenza dalla radice degli arti inferiori e poi irradiatosi alla regione lombo-sacrale [Fig. 1], insorto al domicilio dopo le prime assunzioni di Amoxicillina-Clavulanato. Nel sospetto di ipersensibilità a tale principio attivo si procedeva quindi alla sostituzione dello stesso con Ciprofloxacina e Metronidazolo.

Nel corso del ricovero si verificava l’improvvisa insorgenza di astenia, dispnea e dolore toracico atipico (urente, modificabile con gli atti respiratori ed il decubito, non correlato allo sforzo), con solo un’aspecifica inversione dell’onda T in aVL e V2 all’ECG ma evidenza di danno miocardico acuto agli esami ematochimici (hs-cTnI 470 > 300 > 900 ng/L, v.n. < 19.8), per cui il paziente veniva trasferito presso l’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC).

Fig. 2 – ECG in fase acuta con evidenza di aritmia sinusale ed onde T piatte/negative nelle derivazioni inferiori, anteriori e laterali.

La valutazione in UTIC evidenziava pressione arteriosa (PA) 90/60 mmHg (drop pari a 40 mmHg dall’ingresso), frequenza cardiaca (FC) 98 bpm, SpO2 96% in aria ambiente, sensorio integro, arti ben perfusi, diuresi oraria 35 cc/h e lattati 1.3 mmol/L, mentre gli ECG seriati mostravano lo sviluppo di onde T piatte/negative in sede inferiore, anteriore e laterale [Fig. 2]. L’ecocardiogramma rilevava una severa disfunzione sistolica biventricolare (FEVS 25%, TAPSE 12 mm) con effetto smoke in ventricolo sinistro [Fig. 3], flusso rallentato in vena cava inferiore ed un minimo versamento pericardico, in assenza di dilatazione delle camere cardiache, valvulopatie di rilievo o segni di ipertensione polmonare.

Nell’ipotesi di perimiocardite acuta in fase di pre-shock cardiogeno veniva pertanto impostata terapia con corticosteroide ad alto dosaggio per via endovenosa, diuretico ed ACE-inibitore, con netto beneficio clinico, sia sintomatologico che emodinamico, nell’arco delle 12 ore successive, come evidenziato al cateterismo cardiaco destro documentante normali pressioni di riempimento biventricolari (PAD 7 mmHg, PCP 12 mmHg) in assenza di ipertensione polmonare (PAPm 16 mmHg) ma con indice cardiaco solo ai limiti superiori (4.2 L/min) a fronte di resistenze vascolari sistemiche ai limiti inferiori (10 uW), nel contesto della nota sepsi.

Veniva eseguita contestualmente una biopsia endomiocardica [Fig. 4] con riscontro di miocardite (infiltrati infiammatori, edema, fibrosi e danno miocellulare) eosinofila con pattern suggestivo di eziologia da ipersensibilità. Gli esami autoimmunitari e microbiologici condotti su siero e feci risultavano invece negativi.

In considerazione dell’anamnesi patologica remota (diatesi allergica, pregressa gastroenterite eosinofila), del quadro clinico-strumentale (rash cutaneo, danno miocardico acuto, scompenso cardiaco acuto con disfunzione sistolica biventricolare in assenza di dilatazione, dolore toracico pericarditico con minimo versamento pericardico) e del riscontro bioptico veniva quindi posta diagnosi di perimiocardite acuta eosinofila da ipersensibilità ad Amoxicillina/Clavulanato.

Fig. 3 – Proiezione ecocardiografica apicale quattro camere con evidenza di normali dimensioni endocavitarie biventricolari ma effetto smoke in ventricolo sinistro.

Veniva pertanto confermata la sospensione del farmaco trigger e proseguita terapia corticosteroidea per os e con ACE-inibitore. L’evoluzione clinica si dimostrava favorevole, sia in termini clinici (asintomaticità, stabilità emodinamica ed elettrica, risoluzione del quadro settico) che alla risonanza magnetica nucleare (RMN) cardiaca eseguita dopo una settimana (miglioramento FEVS sino a 50%, assenza di edema o fibrosi).

DISCUSSIONE

Il caso clinico è relativo ad una perimiocardite acuta eosinofila da ipersensibilità ad esordio con scompenso cardiaco acuto in un giovane paziente.

In considerazione dell’età, della bassa probabilità di coronaropatia (assenza di fattori di rischio, atipicità del dolore toracico, ECG non suggestivo), della severa disfunzione contrattile biventricolare in assenza di dilatazione (a favore di un processo acuto piuttosto che subacuto/cronico) e del contesto infettivo e allergico, l’orientamento diagnostico iniziale del danno miocardico acuto è stato indirizzato verso una sospetta perimiocardite acuta. Inoltre, in considerazione dell’eziologia non nota, del dato anamnestico di eosinofilia tissutale e della relativa instabilità emodinamica (stadio SCAI – Society for Cardiac Angiography and Interventions – tipo B (1), ovvero pre-shock cardiogeno) con alto rischio evolutivo, è stata eseguita una biopsia endomiocardica (2) che ha permesso di porre una diagnosi di certezza e di proseguire con il relativo trattamento.

Fig. 4 – Biopsia endomiocardica con evidenza di focolai infiammatori multipli con importante componente eosinofila (cellule rosa con nucleo bilobato), a distribuzione prevalentemente interstiziale, associati ad edema, fibrosi e danno degenerativo-necrotico miocellulare.

L’eziologia (3) della miocardite eosinofila può essere idiopatica (circa 30% dei casi) o è da riferirsi ad una sindrome ipereosinofila, a malattie sistemiche immuno-mediate quali la granulomatosi eosinofila con poliangioite, ad infezioni parassitarie (e non solo), a neoplasie solide o ematologiche oppure, in circa un terzo dei casi, ad una reazione da ipersensibilità; in particolare, tra i farmaci più frequentemente responsabili troviamo antibiotici, antinfiammatori, farmaci neuroattivi, diuretici, ACE-inibitori ed inotropi (4; 5). Nelle forme da ipersensibilità il quadro può rientrare nel contesto della sindrome di DRESS (Drug Rash with Eosinophilia and Systemic Symptoms), forma severa di reazione allergica a coinvolgimento multisistemico ed esordio ritardato di qualche settimana rispetto all’esposizione (6).

La presentazione clinica della miocardite eosinofila acuta è variabile, dalla completa asintomaticità ad una pseudo-sindrome coronarica acuta o episodio di scompenso cardiaco acuto, con o senza instabilità elettrica, la quale può anche di per sé rappresentare l’esordio della patologia (3); il decorso può anche essere fulminante. Inoltre, alla fase acuta necrotico-infiammatoria può seguire una fase cronica fibrotica e trombotica, con fenotipo restrittivo ed eventuale formazione di trombi endoventricolari, a cui ci si riferisce con il termine di endocardite/cardiomiopatia di Loeffler (7). L’eosinofilia periferica è molto comune (75%) ma non mandatoria per la diagnosi, in particolare si rileva meno spesso nelle forme da ipersensibilità (8). Una peculiarità riguarda la distribuzione alla RMN cardiaca del ritardato wash-out di gadolinio, più comunemente patchy ma a localizzazione subendocardica (9; 10). Un altro dato interessante riguarda la prognosi tra i vari sottotipi (3): l’outcome peggiore si osserva nei casi ad eziologia da ipersensibilità, con una mortalità a 120 giorni pari a circa il 50%, verosimilmente a causa dell’assenza di ipereosinofilia periferica e del conseguente ritardo diagnostico; d’altro canto, una volta posta la diagnosi, sospeso il trigger ed impostata la terapia immunosoppressiva, la prognosi migliora drasticamente (7).

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Diagnosi incidentale di miocardio non compatto ed origine anomala delle coronarie in paziente con STEMI: case report

Dr.ssa Francesca Romana Prandi1, Dr.ssa Federica Illuminato1, Dott.ssa Chiara Galluccio1, Dott.ssa Marialucia Milite1, Dott. Massimiliano Macrini1, Dott. Alessio Di Landro1, Dott. Gaetano Idone1, Dott. Marcello Chiocchi2, Prof. Francesco Barillà1

1 Dipartimento di Cardiologia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata

2Dipartimento di Radiologia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata

ABSTRACT

Paziente di 33 anni, fumatore, dislipidemico non in trattamento, veniva ricoverato al Pronto Soccorso per dolore toracico. Posta diagnosi di STEMI anteriore, veniva sottoposto a coronarografia e PTCA primaria mediante impianto di DES su discendente anteriore (DA) prossimale; la coronarografia inoltre, metteva in evidenza un’origine anomala dell’arteria circonflessa dalla coronaria destra. L’ecocardiogramma color Doppler evidenziava ipertrabecolatura lungo la parete libera del ventricolo sinistro, fortemente suggestiva per miocardio non compatto, diagnosi confermata successivamente dalla risonanza magnetica cardiaca.

INTRODUZIONE

Il miocardio non compatto (MNC) è una rara patologia congenita del muscolo cardiaco caratterizzata da una marcata ipertrabecolatura parietale, dovuta all’arresto del processo di maturazione miocardica ed endocardica durante lo sviluppo fetale, che porta alla persistenza di strutture embrionali nel muscolo cardiaco1. Il MNC può essere una patologia isolata, ma talora può associarsi ad altre malformazioni congenite, come ad esempio disordini neuromuscolari, altre anomalie cardiache ed origine anomala delle coronarie2. Il dolore toracico non è inusuale in questi pazienti: esso può essere presente in circa il 40% dei casi e solitamente in assenza di lesioni coronariche significative3. In uno studio coronarografico su 74 pazienti con MNC, Stollberger e Finsterer hanno riscontrato un’anomalia delle coronarie in sette pazienti e lesioni coronariche significative in due pazienti2. Alcuni autori hanno evidenziato che nei pazienti con MNC è spesso presente una ridotta riserva di flusso coronarico, suggerendo che la disfunzione del microcircolo possa essere responsabile delle alterazioni della cinesi4. Pertanto, nel paziente con MNC l’angina può avere una origine duplice: o secondaria ad una ridotta riserva coronarica per una malattia aterosclerotica, oppure secondaria ad un’alterazione del microcircolo5.

Figura 1. A) Proiezione angiografica obliqua sinistra. Origine anomala dell’arteria circonflessa (freccia blu) dall’arteria coronaria destra. B) Proiezione angiografica anteroposteriore craniale. Stenosi critica a carico dell’arteria discendente anteriore prossimale, non visualizzabile (freccia blu). Ramo diagonale di grosso calibro (freccia bianca) C) Proiezione angiografica anteroposteriore craniale. Risultato dopo PCI primaria mediante impianto di un DES su DA prossimale (freccia blu) con efficace ripristino della pervietà del vaso e del flusso a valle. Ramo diagonale di grosso calibro (freccia bianca).

Frequentemente la diagnosi viene effettuata precocemente, ma può avvenire anche più tardivamente, in età adulta, e spesso è sottostimata. La diagnosi di MNC può essere effettuata mediante ecocardiogramma color-doppler e confermata mediante RMN cardiaca. I criteri morfologici ecocardiografici attualmente più diffusamente utilizzati sono i criteri di Jenni, che prevedono la coesistenza di due strati miocardici separati, uno compatto (C) epicardico ed uno non compatto (NC) endocardico, con un rapporto NC/C >2 in telesistole (sezione parasternale asse corto), associato alla presenza di segnale color Doppler all’interno dei recessi intertrabecolari6. I segmenti più frequentemente coinvolti sono localizzati a livello dell’apice e dei segmenti medi della parete laterale e inferiore, spesso ipocinetici per ipoperfusione subendocardica, ridotta riserva di flusso coronarico e disfunzione del microcircolo7.

Petersen et al. definiscono come criteri per la diagnosi di MNC su immagini cine-RM la presenza di un rapporto tra miocardio NC/C >2.3, su sezioni lungo-assiali in telediastole; la diagnosi può essere poi avvalorata da criteri clinici quali la familiarità di primo grado per la patologia, l’associazione con patologia neuromuscolare, la storia di eventi tromboembolici, la presenza di anomalie della cinetica regionale e di aritmie maligne8.

CASO CLINICO

Presentiamo il caso clinico di un paziente di 33 anni, di nazionalità rumena, fumatore, dislipidemico non in terapia farmacologica, in assenza di familiarità per malattie cardiovascolari e precedenti cardiologici di rilievo. Il paziente si recava presso il Pronto Soccorso in seguito ad esacerbazione di episodi di dolore toracico in sede precordiale irradiato al braccio sinistro, insorti da qualche giorno, di breve durata, non correlati allo sforzo fisico. L’esame obiettivo generale e l’obiettività cardiopolmonare risultavano nei limiti di norma, in assenza di dismorfismi facciali. Gli esami ematochimici documentavano incremento dei markers di miocardiocitonecrosi (Troponina I hs 49308.7 ng/L, Mioglobina 2494 ng/ml, CK-MB 252 ng/ml), e degli indici di funzionalità epatica (GOT 263 U/L, GPT 116 U/L), con normale funzionalità renale, emocromo ed emoglobina glicosilata.

Figura 2. Ecocardiogramma color-doppler A) Proiezione parasternale asse corto in telesistole che mostra un rapporto NC/C > 2 (Criteri di Jenni). B) Proiezione apicale quattro camere con evidente aspetto ipertrabecolato del ventricolo sinistro in corrispondenza dell’apice e della parete laterale

L’ECG mostrava RS alla FC di 65 bpm, con sopraslivellamento del tratto ST-T in sede anteriore ed anomalie diffuse della ripolarizzazione ventricolare. Posta diagnosi di STEMI anteriore, il paziente veniva inviato presso la sala di Emodinamica e sottoposto a coronarografia con riscontro di origine anomala della coronaria circonflessa dalla coronaria destra (Fig. 1, A) e stenosi critica sull’arteria discendente anteriore prossimale (Fig.1, B) trattata con PCI primaria ed impianto di un DES con buon risultato angiografico finale (Fig.1, C). Al termine della procedura il paziente veniva trasferito presso l’Unità di Terapia Intensiva Coronarica. Agli esami ematochimici, il profilo lipidico risultava oltre i limiti normali di riferimento (Colesterolo LDL 137 mg/dl). L’Ecocardiogramma color-doppler documentava ventricolo sinistro (VS) di dimensioni endocavitarie aumentate con aumentati spessori parietali, acinesia dell’apice in toto, del SIV e della parete anteriore, FE 30%, e si segnalava ipertrabecolatura della parete laterale del VS in presenza di multiple prominenti trabecolature, con profondi recessi intertrabecolari, comunicanti con le cavità, suggestiva per non compattazione ventricolare (Fig.2, A e B), non alterazioni morfo-flussimetriche di rilievo a carico degli apparati valvolari. Il paziente veniva pertanto sottoposto a RMN cardiaca (Fig.3, A e B) che documentava VS dilatato, FE: 34 %, assottigliamento della parete antero-settale ed anteriore di tutto il VS ed in sede apicale, acinesia della parete anteriore ed antero settale del VS (dove si riscontrava anche aumento dei valori di T1 mapping e aree di LGE dopo iniezione di mezzo di contrasto, compatibili con esiti ischemici) ed ipocinesia della parete infero-laterale. Si segnalava inoltre marcato incremento della trabecolatura a livello della parete libera del VS con rapporto miocardio non compatto/ compatto di circa 5 (v.n.< 2.3). Il ventricolo destro appariva di normali dimensioni, normocontrattile, e non venivano segnalate valvulopatie di rilievo. Il paziente veniva dimesso in condizioni cliniche stabili con indicazione ad eseguire ecocardiogramma color-doppler follow up a circa due mesi dalla dimissione, per valutazione ad eventuale impianto di ICD in prevenzione primaria.

DISCUSSIONE

In letteratura sono riportati rari casi di origine anomala delle coronarie in pazienti con MNC. L’incidenza di anomalie delle coronarie nei pazienti con MNC è sconosciuta, a causa della rarità di entrambe le condizioni. Mattson et al. riportano un caso di un paziente con MNC con origine anomala dell’arteria circonflessa dall’arteria coronaria destra. Questa anomalia coronarica è presente nello 0.37% delle coronarografie, e generalmente non è legata ad un aumentato rischio di morte cardiaca improvvisa9. Secondo le linee guida europee, il MNC in assenza di ulteriori fattori di rischio non rappresenta un’indicazione per l’impianto dell’ICD e per la stratificazione del rischio aritmico bisogna seguire i criteri utilizzati per la cardiomiopatia dilatativa non ischemica10.

Figura 3. Cine RM A) Scansione asse lungo cine-SSFP in telediastole che mostra un rapporto NC/C > 2,3 (Criteri di Petersen). B) Scansione asse corto cine-SSFP in telediastole che mostra l’ipertrabecolatura del miocardio non compatto

L’associazione tra sindrome coronarica acuta (SCA) e MNC è inusuale ed in letteratura sono stati descritti soltanto rari casi di infarto miocardico acuto (IMA) in pazienti con MNC. Nel dettaglio, sono stati descritti sette casi di IMA in pazienti con MNC7,11-16, di cui cinque erano STEMI anteriori in pazienti di sesso maschile ed età compresa tra i 45 ed i 63 anni7,12-15 ed uno era un’IMA in paziente con malattia trivasale sottoposto a CABG16. Panduranga et al., che descrivono un caso di STEMI in paziente con MNC non dislipidemico, ipotizzano che ci possa essere un singolo gene responsabile sia dello sviluppo del miocardio che dell’endotelio coronarico, che potrebbe essere coinvolto nella patogenesi del MNC e allo stesso tempo predisporre ad aterosclerosi coronarica7. E’ stato inoltre descritto da Swinkels et al. un caso di IMA subacuto trattato con CABG in paziente con MNC17. Fettouhi et al. hanno riportato un caso di un paziente con crisi convulsive e successivo riscontro di MNC e IMA apicale18. Salati et al. hanno descritto un caso di arresto cardiaco ed evidenza di malattia trivasale severa alla coronarografia ed insufficienza mitralica e MNC all’ecocardiogramma sottoposto a CABG e valvuloplastica mitralica19. Martini et al. hanno descritto dei casi di MNC familiare associati a dislipidemia familiare e forte familiarità per malattia coronarica documentata, concludendo che l’associazione tra MNC e malattia aterosclerotica coronarica (CAD) potrebbe essere legata alla dislipidemia familiare20. Finsterer et al. hanno descritto un caso di un maschio anziano con MNC, miopatia metabolica e CAD diagnosticata all’esame autoptico21.

In conclusione, il MNC è una condizione fisiopatologica che a volte può associarsi a CAD e meno frequentemente a SCA. Il caso da noi riportato, per la prima volta descrive un MNC in paziente con origine anomala della coronaria circonflessa, complicato da SCA. Ulteriori studi sono necessari per indagare i possibili meccanismi patogenetici che mettono in correlazione il MNC con lo sviluppo di malattia aterosclerotica delle coronarie.

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Embolia coronarica in un giovane paziente con endocardite trombotica non batterica correlata a sindrome antifosfolipidi.

Orazio Christian Trovato, Giuseppe Vadalà, Vincenzo Sucato, Davide Diana, Salvatore Evola, Alfredo Ruggero Galassi, Giuseppina Novo

Divisione di Cardiologia, Dipartimento di Promozione della Salute, Materno-Infantile, di Medicina Interna e Specialistica (ProMISE), A.O.U.P. “P. Giaccone”, Università degli Studi di Palermo.

Abstract

Un uomo di 29 anni viene ricoverato per infarto miocardico anteriore. L’ecocardiografia transtoracica rivela un’acinesia apicale del ventricolo sinistro e delle formazioni aderenti alle cuspidi aortiche. La coronarografia mostra un’occlusione dell’arteria interventricolare anteriore. Viene eseguita tomografia a coerenza ottica che rileva la presenza di un trombo endoluminale in assenza di segni di aterosclerosi sottostante. Dopo attenta valutazione si decide di adottare una strategia di stenting differito. L’ecocardiogramma transesofageo mostra delle formazioni mobili isoecogene nel versante ventricolare delle cuspidi, determinanti un rigurgito aortico severo. Si procede alla sostituzione della valvola aortica con protesi meccanica. Tra i markers autoimmunitari dosati, il titolo degli anticorpi antifosfolipidi risulta fortemente positivo.

Introduzione

L’embolia coronarica (EC) è una causa sottostimata di sindrome coronarica acuta (SCA)1. Un embolo coronarico può originare da un’endocardite della valvola aortica correlata alla sindrome da antifosfolipidi2. Mostriamo il ruolo decisivo delle tecniche di diagnostica per immagini non invasive e invasive per definire la diagnosi e la corretta opzione di trattamento in questo caso.

Presentazione del caso clinico

Un uomo di 29 anni è stato ricoverato per infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST anteriore (STEMI). L’ecocardiografia trans-toracica ha mostrato una frazione di eiezione ventricolare sinistra conservata (FEVS 55%) con acinesia apicale ed ispessimento delle cuspidi della valvola aortica con un rigurgito aortico rilevante (Fig. 2A). L’angiografia coronarica ha rivelato un’occlusione dell’arteria interventricolare anteriore (IVA). Non sono state riscontrate altre lesioni coronariche significative (Fig. 1 A-B). La PCI primaria (PPCI) è stata eseguita attraverso l’arteria radiale. Dopo la ricanalizzazione dell’arteria IVA con il filo guida, è stata tentata più volte la trombectomia con aspirazione manuale (MAT) utilizzando un tromboaspiratore, ma con scarso beneficio. Quindi, è stata eseguita una predilatazione a 6 atm con un palloncino semi-compliante con un modesto guadagno endoluminale. È stata eseguita una tomografia a coerenza ottica (OCT) che ha confermato la presenza di un trombo endoluminale, in assenza di segni di aterosclerosi sottostante e/o la lacerazione intimale. (Fig.1 E-F). Quindi è stata eseguita una dilatazione più aggressiva con un palloncino non compliante a 12 atm. L’angiogramma finale ha mostrato una stenosi residua critica con un flusso TIMI di grado 3 senza alcuna embolizzazione distale (Fig. 1 C-D). In considerazione del risultato angiografico accettabile, considerando la persistenza del trombo alla valutazione finale dell’OCT, è stata adottata una strategia di stenting differito, ossia si è rimandato l’eventuale impianto dello stent successivamente ad una nuova valutazione coronarica del paziente.

Per completare il work-up diagnostico, è stato anche effettuato un ecocardiogramma transesofageo (TEE) che ha mostrato delle formazioni mobili isoecogene nel lato ventricolare delle cuspidi, determinanti un grave rigurgito aortico (Fig. 2 B). E’ stata intrapresa antibioticoterapia empirica e sono state effettuate emocolture seriate risultate negative. TEE ha escluso trombo all’interno dell’auricola atriale sinistra ed eventuali comunicazioni interatriali (Fig.2 C-D). Una TC total body ha escluso altri reperti embolici sistemici. La coronaro-TC, eseguita a 6 settimane, ha rilevato assenza di stenosi residua su IVA. La sostituzione della valvola aortica è stata eseguita con protesi meccanica in minitoracotomia. L’esame intraoperatorio macroscopico della valvola aortica ha confermato la presenza di enormi vegetazioni nel versante ventricolare delle cuspidi. Tra i markers autoimmunitari dosati nel siero, il titolo degli anticorpi antifosfolipidi (ACA-IgG; beta2- GP1-IgG) è risultato fortemente positivo mentre non è stata riscontrata positività al panel anticorpale dei microrganismi intracellulari.

Discussione

Una piccola proporzione di SCA non ha una eziopatogenesi aterosclerotica1. La tipica manifestazione angiografica della EC è rappresentata da un elevato carico trombotico e da difetti di riempimento localizzati in più territori coronarici, in assenza di evidenza di placca aterosclerotica in altri segmenti1. Gli esami di imaging intravascolare periprocedurale aggiuntivi come l’ultrasonografia intravascolare (IVUS) o la tomografia a coerenza ottica (OCT) forniscono una visualizzazione dettagliata dell’anatomia coronarica intraluminale e transmurale, superando molti dei limiti dell’angiografia. In assenza di placca aterosclerotica sottostante alla trombosi nell’arteria colpevole, lo stent potrebbe non essere necessario.

Conclusioni

Il nostro caso mostra come l’embolia coronarica, probabilmente sottodiagnosticata nella pratica clinica, possa essere una causa di SCA in pazienti giovani con nessun fattore di rischio cardiovascolare e che quindi debba essere sospettata in questi scenari.

Inoltre, emerge l’importanza di diversi strumenti diagnostici nel contesto della SCA: ciò permette una adeguata terapia.

Infatti, l’ecocardiografia trans-toracica urgente (TTE) ha permesso di considerare l’ipotesi embolica, successivamente confermata dall’OCT. Quest’ultimo è utile per determinare se è presente un’aterosclerosi coronarica e se un intervento coronarico percutaneo con stent deve essere considerato al momento della procedura indice o differito. Sebbene le linee guida raccomandino lo stenting immediato nello STEMI, nel nostro caso abbiamo preso in considerazione una strategia di stenting differito. In tale contesto, un approccio multi-imaging integrato è essenziale per definire l’opzione di trattamento adeguata.

Bibliografia

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Valve-in-valve di bioprotesi aortica disfunzionante: procedura eseguita mediante utilizzo della tecnica “buddy balloon”

Francesca Maria Di Muro, Francesca Ciatti, Pierluigi Demola, Alessio Mattesini, Miroslava Stolcova, Francesca Ristalli, Carlo Di Mario, Francesco Meucci

Interventistica Cardiologica Strutturale, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, AOU Careggi, Firenze

Abstract

L’impianto transcatetere di bioprotesi valvolare aortica (TAVI) è attualmente considerato un trattamento efficace e sicuro non solo in pazienti con stenosi valvolare aortica severa ma anche nei portatori di bioprotesi aortiche impiantate per via chirurgica e successivamente degenerate, considerati ad alto rischio per reintervento chirurgico (mortalità variabile dal 2 al 30% in pazienti ad alto rischio)1. Negli ultimi decenni le protesi biologiche sono state ampiamente utilizzate per l’intervento chirurgico di sostituzione della valvola aortica, da un lato per il minor rischio di trombosi rispetto alle protesi meccaniche e dall’altro perché tali valvole non richiedono un trattamento anticoagulante permanente. Tuttavia, data la loro limitata durabilità e l’aumento dell’aspettativa di vita, si è registrato un incremento dei pazienti con degenerazione della protesi biologica. Tale compromissione del funzionamento della protesi può comportare il verificarsi di restenosi, insufficienza o steno-insufficienza valvolare. Per i pazienti ad alto rischio chirurgico nei quali il reintervento con chirurgia tradizionale non è praticabile è attualmente proponibile una soluzione percutanea tramite impianto valve-in-valve (VIV)2 3.

Caso clinico

Riportiamo il caso clinico di una donna di 80 anni affetta da bicuspidia aortica sottoposta nel 2012 ad intervento chirurgico di sostituzione della valvola aortica con bioprotesi Sorin Mitroflow 23mm (valvola stented con cuspidi montate esternamente allo stent). La paziente accedeva al pronto soccorso per astenia e dispnea per sforzi moderati (NHIA III), negando angina o equivalenti anginosi. Gli esami ematochimici risultavano nei limiti della norma eccetto che per incrementati valori di di NT-proBNP (5936 pg/ ml) compatibile con il quadro di insufficienza cardiaca congestizia. L’ecocardiografia transtoracica evidenziava iperriflettenza e ridotta mobilità delle cuspidi valvolari protesiche, con riscontro all’analisi con metodica doppler di stenosi aortica severa (AVA 0,9 cm2, Gmax 62 mmhg, Gmed 42 mmHg). Considerato l’elevato rischio chirurgico della paziente (EuroSCORE logistico 23.7% e STS per mortalità-morbilità 22%) dopo valutazione collegiale in Heart Team, è stata posta indicazione a procedura transcatetere di ViV.

Figura 1. Tomografia computerizzata che mostra degenerazione di bioprotesi aortica Sorin Mitroflow 23mm con lembi valvolari ispessiti.

Il planning preprocedurale TC guidato ha suggerito in seguito allo studio delle diametrie dell’apparato protesico e degli accessi vascolari di procedere al posizionamento di un dispositivo Corevalve Evolute 26 mm Figura 1. Nel planning pre-procedurale è stata d’aiuto anche l’applicazione ViV Aortic, progettata dal Dr Vinayak Bapat4, disponibile anche online presso gli app store, che fornisce le caratteristiche costruttive di ogni dispositivo protesico nonché informazioni sul loro aspetto fluoroscopico.

La procedura è stata eseguita in sedazione cosciente e dopo opportuno reperimento degli accessi: doppio accesso arterioso femorale (destro 14F e sinistro 6F) ed accesso venoso femorale sinistro 6F per il posizionamento nel ventricolo destro del pacemaker temporaneo. Dopo posizionamento di guida Safari Extra-small ed esecuzione di valvuloplastica con pallone VACS II 16 mm è stata riscontrata notevole difficoltà al passaggio della protesi. Per garantire il crossing della valvola protesica chirurgica, una seconda guida supportiva è stata introdotta all’interno del ventricolo sinistro e successivamente è stato avanzato un nuovo pallone VACS II 16 mm parallelamente al delivery della Corevalve per eseguire la tecnica del buddy-balloon avanzando il dispositivo Medtronic e ritirando contemporaneamente il palloncino, creando così un gioco di lievi pressioni e trazioni che consentissero il superamento della bioprotesi precedentemente impiantata. L’impianto di protesi Corevalve Evolute R 26 mm è stato eseguito durante stimolazione ventricolare a 120 bpm, con successiva post dilatazione con pallone VACS II 20 mm. Alla valutazione angiografica finale, la protesi è risultata correttamente posizionata senza evidenza di rigurgito residuo od ostruzione coronarica Figura 2. A fine procedura il gradiente di picco valutato a livello della valvola aortica risultava di 17 mmHg. Al successivo follow up a tre mesi la paziente ha presentato un miglioramento clinico-strumentale con riduzione della classe funzionale NYHA da classe III alla classe II.

Work -up

Figura 2 Immagine angiografica post impianto percutaneo di bioprotesi valvolare aortica (Corevalve Evolute R 26 mm) all’interno della bioprotesi degenerata Sorin Mitroflow 23mm.

In questo caso clinico abbiamo utilizzato la tecnica con buddy balloon, dall’arteria femorale controlaterale, utilizzata per facilitare il crossing della valvola aortica5 6. La tecnica facilita il successo della procedura nei casi in cui vi sia un blocco del sistema di delivery a livello della parete aortica per calcificazioni e/o tortuosità. Non è raro incorrere in difficoltà di questo tipo, soprattutto in quei casi in cui vi siano angolazioni non favorevoli (aorta orizzontale), un grado elevato di calcificazioni, nei casi di fusione commissurale e nella bicuspidia aortica7 8. Nei pazienti con anatomia complessa, pertanto, possono essere necessarie manovre specifiche per facilitare l’attraversamento dell’anello valvolare nativo o della protesi chirurgica. Tra queste, una delle più semplici è la “buddy balloon technique”, occasionalmente utilizzata durante interventi coronarici percutanei per il superamento di segmenti tortuosi o molto calcifici9 10. Consiste nell’impiego di un secondo filo guida, accanto a quello utilizzato per far avanzare stent o altri dispositivi, su cui viene caricato un piccolo pallone gonfiato a bassa pressione che genera una lieve trazione permettendo al dispositivo di superare la lesione o la tortuosità. La stessa tecnica, applicata al device Corevalve, permette che i lembi valvolari si aprano sufficientemente per consentire il superamento dell’anulus valvolare.

Discussione

Questo caso sottolinea l’importanza della ViV come valida alternativa al reintervento chirurgico in pazienti con età avanzata e molteplici fattori di rischio. Un adeguato planning pre procedurale e la conoscenza di tecniche rescue da poter utilizzare durante la procedura sono necessari per l’ottimizzazione del risultato e per la prevenzione delle complicanze. Ancora oggi mancano concrete e dirette evidenze in supporto della procedura VinV rispetto al reintervento chirurgico, tuttavia, in studi più recenti, è stata considerata l’indicazione anche in pazienti a rischio chirurgico non proibitivo. In tal senso sarò cruciale un follow up a lungo termine11.

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Il ruolo della doppia terapia antiaggregante personalizzata nella gestione dei pazienti ad alto rischio ischemico ed emorragico dopo sindrome coronarica acuta.

Nicola Verde, Attilio Leone, Marisa Avvedimento, Maria Scalamogna, Cristina Iapicca, Domenico Angellotti, Federica Ilardi

Università Federico II di Napoli, Napoli

La scelta della adeguata terapia antiaggregante in pazienti con sindrome coronarica acuta rappresenta una delle sfide maggiori per i cardiologi, data la contemporanea presenza in larga fascia della popolazione di criteri di rischio ischemico ed emorragico.

Figura 1. Ramo Interventricolare Anteriore pre-PCI (sinistra) e post-PCI (destra)

Il nostro caso clinico tratta di un paziente maschio, di 51 anni, con numerosi fattori di rischio tra i quali abitudine tabagica, ipertensione arteriosa, diabete mellito in terapia con ipoglicemizzanti orali ed insulina, dislipidemia, obesità, arteriopatia obliterante degli arti inferiori, cirrosi epatica HCV correlata ed insufficienza renale cronica al III stadio.

Nell’aprile 2017 era stato sottoposto ad angioplastica transluminale percutanea (PTA) di arteria tibiale anteriore e posteriore sinistra e nel marzo 2018 ad amputazione dell’avampiede sinistro. Nel giugno 2018 si era recato in pronto soccorso con copiosa ematemesi dovuta a rottura di varici esofagee ed era stato sottoposto a multiple trasfusioni di emazie concentrate.

Giungeva nel novembre 2019 mediante trasferimento da altro centro dove si era recato per dolore toracico e innalzamento degli indici di necrosi miocardica per cui veniva posta diagnosi di SCA-NSTEMI. Contestualmente veniva riscontrata all’ecocardiogramma una riduzione della frazione di eiezione che si attestava al 32%.

Figura 2. Criteri di alto rischio emorragico secondo il consensus dell’Academic Research Consortium for High Bleeding Risk (ARC-HBR) (2)

All’angiografia coronarica si evidenziava una stenosi emodinamicamente significativa del Ramo Interventricolare Anteriore al tratto medio (FFR 0.78), per cui veniva impiantato uno stent Xience Sierra 3.5 x 18 mm con un buon risultato finale, confermato dalla valutazione post-PCI con OCT ed una stenosi del 60% non emodinamicamente significativa (FFR 0.82) sul secondo ramo del margine ottuso.

A questo punto si poneva il dilemma del regime antiaggregante da utilizzare data la contestuale presenza di fattori determinanti elevato rischio ischemico ed emorragico.

Tra i fattori di rischio ischemico andavano annoverati la presenza di comorbidità quali malattia aterosclerotica polidistrettuale, il diabete mellito e l’insufficienza renale cronica (eGFR 40 ml/min/m2), la presentazione clinica come sindrome coronarica acuta e la malattia coronarica multivasale.1

Figura 3. Fattori determinanti nella scelta della terapia antitrombotica nei pazienti con cardiopatia ischemica (1).
In blu sono rappresentati fattori intrinseci (le caratteristiche del paziente, la presentazione clinica e le comorbidità), mentre in giallo le variabili estrinseche (la terapia e gli aspetti procedurali). La scelta dell’adeguato trattamento antitrombotico (la scelta del farmaco, il dosaggio e la durata del trattamento) deve essere attentamente valutata in base al peso di tali fattori sul rischio ischemico ed emorragico.

Il rischio emorragico veniva invece valutato come elevato secondo i criteri validati ARC-HBR, essendo il paziente affetto da cirrosi epatica ed emoglobina al baseline <11 g/dL (10.8 g/dL).2

Si decideva dunque di avvalersi degli score clinici raccomandati dall’update della società europea di cardiologia sulla duplice terapia antiaggregante quali Precise DAPT score e DAPT score.3

Il primo, che valuta prevalentemente il rischio emorragico, collocava il paziente nella categoria ad alto rischio (valore calcolato = 60). Il secondo, invece, benchè validato ad un anno di distanza dalla PCI, ci consentiva di considerare ancor di più il paziente ad alto rischio ischemico (valore calcolato = 5).

Diversi trial randomizzati negli ultimi anni hanno confrontato regimi antiaggreganti alternativi alla doppia terapia antiaggregante (DAPT) standard per 12 mesi.  

Figura 4. Curve di Kaplan-Meier per l’endpoint primario dell’analisi Glassy (5)
In rosso è rappresentato il gruppo sperimentale (Aspirina+Ticagrelor 90 mg per 1 mese seguiti da 23 mesi di monoterapia con Ticagrelor 90 mg) mentre in blu il gruppo di controllo (12 mesi di doppia terapia antiaggregante seguiti da 12 mesi di monoterapia con Aspirina).

Tra questi, il Global Leaders, confrontava in una popolazione di 15968 pazienti, una strategia di DAPT standard per 12 mesi seguita da monoterapia con aspirina per il successivo anno, con una strategia basata su un mese di doppia terapia antiaggregante con Ticagrelor bis in die (bid) e aspirina, seguito da 23 mesi di singola terapia antiaggregante con Ticagrelor 90 mg bid4; tuttavia l’ approccio sperimentale non risultava superiore per l’endpoint primario di mortalità per tutte le cause e infarto-Q a 2 anni. Successivamente lo studio Glassy (sottoanalisi del trial principale) evidenziava una non inferiorità della terapia sperimentale rispetto al braccio di controllo per l’endpoint ischemico con una riduzione dei sanguinamenti maggiori (BARC 3-5) nei pazienti che si presentavano con sindrome coronarica acuta.5

Lo studio Twilight confrontava invece una strategia di monoterapia con ticagrelor 90 mg bid dopo 3 mesi di doppia terapia antiaggregante, rispetto ad una strategia standard DAPT in termini di sanguinamenti maggiori, dimostrando una superiorità del braccio sperimentale rispetto al braccio di controllo, con una riduzione significativa dei sanguinamenti ad 1 anno, senza incremento del rischio di morte, infarto miocardico o stroke.6

La nostra scelta sulla base delle evidenze scientifiche è stata quella di optare per un mese di doppia terapia antiaggregante con Aspirina e Ticagrelor 90 mg bid seguita da 11 mesi di monoterapia con Ticagrelor 90 mg bid, e successivamente da monoterapia con Ticagrelor 60 mg bid, oltre all’ ottimizzazione della terapia per lo scompenso cardiaco.

Figura 5. Associazione tra DAPT score e rischio ischemico ed emorragico (7)
Associazione tra DAPT score e rischio di infarto del miocardio e trombosi di stent (in rosso) e sanguinamenti BARC 3 o 5 (in blu).

A 18 mesi dall’ evento il paziente non ha sperimentato eventi ischemici né emorragici e all’ ultimo controllo ecocardiografico mostrava una frazione di eiezione del 40%. In conclusione una DAPT personalizzata si è dimostrata d’ aiuto nel bilanciamento tra rischio ischemico ed emorragico, e la monoterapia con ticagrelor ha consentito una riduzione del rischio di sanguinamento senza determinare un incremento di quello ischemico. 

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torino

Machine learning-based prediction of adverse events following an acute coronary syndrome (PRAISE): a modelling study of pooled datasets

Authors: Fabrizio D’Ascenzo, Ovidio De Filippo, Guglielmo Gallone, Gianluca Mittone, Marco Agostino Deriu, Mario Iannaccone, Albert Ariza-Solé, Christoph Liebetrau, Sergio Manzano-Fernández, Giorgio Quadri, Tim Kinnaird, Gianluca Campo, Jose Paulo Simao Henriques, James M Hughes, Alberto Dominguez-Rodriguez, Marco Aldinucci, Umberto Morbiducci, Giuseppe Patti, Sergio Raposeiras-Roubin, Emad Abu-Assi, Gaetano Maria De Ferrari

Commentary by: Fabrizio D’Ascenzo

Division of Cardiology, Cardiovascular and Thoracic Department, Città della Salute e della Scienza, Turin, Italy

Patients with acute coronary syndrome (ACS) are at high risk for ischaemic and bleeding events, with both being drivers of adverse prognosis. Careful evaluation of these risks plays a fundamental role in the clinical management of each patient, with important implications regarding the choice of optimal medical therapy for secondary prevention. To this aim, several predictive tools have been developed to estimate ischaemic and bleeding risks following an ACS, some of which have potential to support clinical decision making around the optimal duration of dual antiplatelet therapy (DAPT). However, the overall accuracy of these scores, along with their generalisability to external cohorts, remains modest, representing an unmet need for individualised patient management strategies.

            Thus, to overcome the analytical limitations of current predictive tools, D’Ascenzo et al. adopted a machine learning-based approach to develop a risk stratification model to predict all-cause death, recurrent acute myocardial infarction, and major bleeding after ACS.

            A dataset of 19 826 adult patients with ACS obtained from the observational BleeMACS and RENAMI intercontinental registries served as derivation cohort. A dataset of 3444 adult patients with ACS obtained from the European SECURITY randomised controlled trial, the FRASER registry, the Prospective Registry of Acute Coronary Syndromes in Ferrara and the Clinical Governance in Patients with ACS project of the Fondazione IRCSS Policlinico S Matteo served as the validation cohort.

The structured dataset included 25 variables: 16 clinical variables (age, sex, diabetes, hypertension, hyperlipidaemia, peripheral artery disease, estimated glomerular filtration rate [EGFR; using the Modification of Diet in Renal Disease study formula21], previous myocardial infarction, previous percutaneous coronary intervention, previous coronary artery bypass graft, previous stroke, previous bleeding, malignancy, ST-segment elevation myocardial infarction [STEMI] presentation, haemoglobin, and left ventricular ejection fraction [LVEF]), five therapeutic variables (treatment with β blockers, angiotensinconverting enzyme inhibitors or angiotensin-receptor blockers, statins, oral anticoagulation, and proton-pump inhibitors), two angiographic variables (multivessel disease and complete revascularisation), and two procedural variables (vascular access and percutaneous coronary intervention with drug-eluting stent).

Four machine learning models using different classifiers were developed to predict the occurrence of each of three outcomes: all-cause death, recurrent acute myocardial infarction, and major bleeding 1 year after discharge.

The derivation cohort was randomly split into two datasets: a training (80%) cohort, which was used to train the four machine learning models and tune their parameters, and an internal validation (20%) cohort, which was used to test the developed models on unseen data and to fine-tune the hyperparameters. The best-performing model for each study outcome (that resulted to be the adaptive boosting classifier for all the outcomes) was selected as the PRAISE model.

The PRAISE score showed an AUC of 0.82 (95% CI 0.78–0.85) in the internal validation cohort and 0.92 (0.90–0.93) in the external validation cohort for 1-year all-cause death; an AUC of 0.74 (0.70–0.78) in the internal validation cohort and 0.81 (0.76–0.85) in the external validation cohort for 1-year myocardial infarction; and an AUC of 0.70 (0.66–0.75) in the internal validation cohort and 0.86 (0.82–0.89) in the external validation cohort for 1-year major bleeding (Figure 1).

            To translate the model data into clinically relevant information, the 23 270 patients of the pooled dataset were grouped into levels of low, intermediate, and high risk with thresholds reflecting clinically meaningful gradients in risk from one group to the next, and cross-classification of the pooled cohorts with myocardial infarction and major bleeding risk scores was determined (i.e., classes were established by combining the risk categories of the myocardial infarction and major bleeding PRAISE scores, Figure 2). The hypothetical trade-off between ischaemic and bleeding risks for each patient was assessed by plotting the absolute observed risk difference between myocardial infarction and major bleeding in each of the nine risk classes against the predicted myocardial infarction and major bleeding risk in each class (Figure 3). Among patients classified as being at high risk of myocardial infarction, the absolute observed risk difference between myocardial infarction and major bleeding events supported a consistent prevailing ischaemic risk regardless of the major bleeding PRAISE risk class (with the exception of the highest PRAISE bleeding risk decile). For patients classified as being at low risk of myocardial infarction, their risk of major bleeding exceeded their risk of myocardial infarction once they were classified as being at intermediate-to-high risk of major bleeding.

            In summary, the PRAISE scores presented excellent discriminative abilities for the prediction of 1-year all-cause death, myocardial infarction, and major bleeding following an ACS, also when externally validated. Clinically meaningful risk cutoffs for all-cause death, myocardial infarction, and major bleeding PRAISE scores would classify 60% of patients with ACS as being at low risk (<1% probability) of post-discharge ischaemic and bleeding events 1 year after discharge, and 10% of patients with ACS as being at high risk (>19%) of these events. Moreover, robust hypothetical trade-offs in the occurrence of ischaemic and bleeding events were observed for each patient according to their myocardical infarction and major bleeding score classes, that may in theory allow for DAPT tailored treatment, if prospectively studied and validated in a randomized fashion.

In conclusion, this study showed that a machine learning-based approach in the setting of post-ACS risk prediction is feasible and effective with potentially important implications on the optimization of the quality of care.

Read More: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33453782/

Un Caso di Cardiomiopatia Ipertrofica Ostruttiva del Ventricolo Destro

Martina Settia, Luca Maritana, Caterina Butturinia, Annachiara Beninia, Mariantonietta Cicoiraa

a University of Verona, Section of Cardiology, Department of Medicine, Italy

ABSTRACT

La varietà di espressione fenotipica della cardiomiopatia ipertrofica (CMPI) richiede un’interpretazione integrata di sintomi clinici ed indagini strumentali. Il ruolo dell’interessamento del ventricolo destro nella CMPI dal punto di vista clinico, prognostico e terapeutico rimane ad oggi ancora da definire, data la casistica limitata, in assenza di linee guida specifiche. In questo caso clinico presentiamo una paziente con CMPI ostruttiva del ventricolo destro e l’iter diagnostico-terapeutico intrapreso.

Presentazione del paziente

Una donna di 57 anni con diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica (CMPI) non ostruttiva accedeva al nostro ambulatorio di Scompenso Cardiaco Avanzato. La patologia le era stata diagnosticata da circa dieci anni, grazie ad uno screening cardiologico, intrapreso dopo la diagnosi di difetto del setto interventricolare del figlio in età pediatrica e il successivo sviluppo di CMPI. Inoltre, la prima figlia della donna era deceduta per ventricolo unico.

La paziente non aveva fattori di rischio cardiovascolari o altre patologie rilevanti. A livello sintomatologico lamentava astenia ingravescente, palpitazioni e occasionale dolore toracico sotto sforzo, in assenza di storia di sincopi. All’esame obiettivo, si notava un soffio sistolico di intensità 3/6 in focolaio mesocardico.

Work-up iniziale

Al tracciato elettrocardiografico (Figura 1) si documentava ritmo sinusale a 62 battiti per minuto, con ingrandimento bi-atriale ed onde Q nelle derivazioni inferiori e onde T negative in quelle antero-laterali.

Figura 1. Elettrocardiogramma
Ritmo sinusale, 62 battiti per minuto, allargamento dell’atrio sinistro e destro, onde Q patologiche in DII e DIII, onde T negative nelle derivazioni antero-laterali.

Veniva inoltre eseguito un ecocardiogramma transtoracico (Figura 2), che rivelava un’ipertrofia asimmetrica (spessore massimo 22 mm) del setto anteriore, della parete antero-laterale e dell’apice con funzione contrattile del ventricolo sinistro aumentata (frazione d’eiezione 78%). Il diametro antero-laterale dell’atrio sinistro risultava 33 mm. Al doppler, non si registrava alcun segno di ostruzione del tratto di efflusso del ventricolo sinistro, in condizioni basali, dopo manovra di Valsalva e squatting-standing. Al contrario, si evidenziava un’ostruzione del tratto di efflusso del ventricolo destro (gradiente di picco di 39 mmHg).

Veniva pertanto eseguito una valutazione ecocardiografica durante sforzo su letto-ergometro (ecostress), che confermava l’assenza di gradiente del tratto di efflusso del ventricolo sinistro e mostrava un significativo aumento del gradiente pressorio del tratto di efflusso destro (da 40 a 80 mmHg).

Al referto dell’Holter ECG delle 48 ore, eseguito il mese precedente, si notavano complessi ventricolari prematuri e un episodio di tachicardia ventricolare non sostenuta (4 battiti, a 135 battiti per minuto).

Veniva anche richiesta una risonanza magnetica cardiaca (RMC, Figura 3), che mostrava zone di late-gadolinium-enhancement (LGE) con pattern intramurale, nelle aree ipertrofiche di entrambi i ventricoli.

Era infine programmato un test cardiopolmonare, in cui si dimostrava una moderata riduzione della capacità funzionale, per limitazione cardiogenica (VO2 picco 13.8 ml/kg/min, corrispondente al 57% del predetto, AT 39% del predetto, RQ 1.06) e sovraccarico polmonare vascolare (VE/VCO2 slope 33.9), in assenza di aritmie indotte dall’esercizio.

Diagnosi e trattamento

 Alla valutazione iniziale, la paziente era in terapia con beta-bloccante (nadololo, 40 mg al giorno), con persistenza dei sintomi. Veniva, pertanto, aggiunta disopiramide (125 mg due volte al giorno), con parziale beneficio. Non è stata titolata ulteriormente la disopiramide, anche visto il riscontro di QTc pari a 455 ms all’ECG di controllo, eseguito ad una settimana dall’inizio della terapia.

Figura 2. Ecocardiogramma
Sinistra) Parasternale asse corto, ipertrofia del tratto di efflusso del ventricolo destro
Destra) Parasternale asse corto, gradiente pressorio del tratto di efflusso del ventricolo destro (gradiente di picco 39 mmHg).

Al controllo successivo, dopo un mese, la paziente riferiva miglioramento dell’astenia e degli episodi di dolore toracico, nonostante il persistere di gradiente del ventricolo destro.

Il figlio della nostra paziente non era ancora stato sottoposto a test genetico nel centro di riferimento, pertanto è stata richiesta l’analisi genetica delle mutazioni comunemente associate a CMPI per la donna, risultata però negativa.

In assenza di specifiche indicazioni per questo raro fenotipo di CMPI nelle linee guida della Società Europea di Cardiologia, che precludeva la mera applicazione dello score di rischio ESC per morte cardiaca improvvisa, abbiamo scelto un approccio ad hoc. Tenuti in considerazione l’età della paziente, lo spessore massimo miocardico, la presenza di ostruzione del tratto di efflusso del destro e la tachicardia ventricolare non sostenuta ventricolare e l’evidenza di LGE nelle aree ipertrofiche, abbiamo considerato la paziente a elevato rischio di morte improvvisa. Dopo esserci consultati con i colleghi elettrofisiologi e aver condiviso la scelta con la paziente, si è deciso di impiantare un defibrillatore sottocutaneo.

Discussione

Il coinvolgimento del ventricolo destro nella CMPI dovrebbe essere sempre ricercato, valutandone sia la struttura sia la funzione.

L’ecocardiogramma rappresenta l’esame di prima linea per porre il sospetto e poi la diagnosi di CMPI (1), ma non sono ancora stati stabiliti criteri universali per definire il coinvolgimento e l’ostruzione del ventricolo destro (2). Gli indici ecocardiografici tradizionali spesso non risultano efficaci nel dimostrare precocemente una disfunzione del ventricolo destro ipertrofico di questi pazienti. La RMC rappresenta la metodica non invasiva con maggiore potenzialità per lo studio di morfologia, funzione e substrato miocardico dei ventricoli, in particolare quello destro. Ci sono, inoltre, alcune evidenze che la RMC possa aggiungere informazioni sulla quantificazione della fibrosi miocardica e sulla sua distribuzione in entrambi i ventricoli, con possibili risvolti sulla stratificazione prognostica (3,4).

Figura 3. Risonanza magnetica cardiaca
Sinistra) proiezione del tratto di efflusso del ventricolo destro
Destra) asse corto, ipertrofia asimmetrica

In generale, l’ipertrofia del ventricolo destro della CMPI è associata con peggioramento della presentazione clinica e della prognosi in pazienti in classe funzionale NYHA III o IV, aumentato rischio di aritmie ventricolari e sopraventricolari, dispnea severa (4) e tromboembolismo polmonare (5). Inoltre, risulta esserci correlazione tra lo spessore della parete del ventricolo destro e un aumentato rischio di aritmie ventricolari maligne e morte cardiaca improvvisa (5).

Non è ancora stato identificato alcun trattamento standardizzato della CMPI con coinvolgimento del ventricolo destro (3). Come nella CMPI ostruttiva del tratto di efflusso del ventricolo sinistro, la terapia si basa sull’utilizzo di farmaci beta-bloccanti e, in assenza di miglioramento dello stato clinico, si dovrebbe aggiungere la disopiramide (4). La persistenza dell’ostruzione del ventricolo destro in pazienti sintomatici può richiedere la miectomia chirurgica, per ridurre il gradiente e migliorare la sintomatologia (4, 6,7).

Per stratificare il rischio aritmico delle CMPI e decidere se è necessario impiantare il defibrillatore in profilassi primaria, è stato sviluppato uno score, che include parametri inerenti soltanto al ventricolo sinistro. Dato il numero limitato di studi nei pazienti con ipertrofia del ventricolo destro ed ostruzione, è difficile quantificare in modo preciso il rischio di morte improvvisa ad essa connessa. Il nostro caso sottolinea come siano pertanto necessari altri studi per valutare pazienti con CMPI e coinvolgimento del ventricolo destro, così come il loro eventuale rischio di morte improvvisa.

Bibliografia

1.         Elliott PM, Anastasakis A, Borger MA, Borggrefe M, Cecchi F, Charron P, Hagege A, Lafont A, Limongelli G, Mahrholdt H, McKenna WJ, Mogensen, Nihoyannopoulos P, Nistri S, Pieper PG, Pieske B, Rapezzi C, Rutten FH, Tillmanns C, Watkins H. 2014 ESC Guidelines on diagnosis and management of hypertrophic cardiomyopathy The Task Force for the Diagnosis and Management of Hypertrophic Cardiomyopathy of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J, 35 (2014), pp. 2733-2779, doi:10.1093/euheartj/ehu284.

2.         Maron MS, Hauser TH, Dubrow E et al.,Right ventricular involvement in hypertrophic cardiomyopathy, Am J Cardiol, 100 (2007), pp. 1293-1298.

3.         Keramida K et al ., Right ventricular involvement in hypertrophic cardiomyopathy: Patterns and implications, Hellenic Journal of Cardiology, https://doi.org/10.1016/j.hjc.2018.11.009.

4.         McKenna WJ, Kleinebenne A, Nihoyannopoulos P, Foale R, Echocardiographic measurement of right ventricular wall thickness in hypertrophic cardiomyopathy: relation to clinical and prognostic features, J Am Coll Cardiol, 11 (1988), pp. 351-358.

5.         Roşca M, Călin A, Beladan CC et al., Right ventricular remodeling, its correlates, and its clinical impact in hypertrophic cardiomyopathy. J Am Soc Echocardiogr, 28 (11) (2015 Nov), pp. 1329- 1338.

6.         Maron BJ, McIntosh CL, Klues HG, Cannon III RO, Roberts WC, Morphologic basis for obstruction to right ventricular outflow in hypertrophic cardiomyopathy, Am J Cardiol, 71 (1993), pp. 1089- 1094.

7.         Butz T, Horstkotte D, Langer C et al., Significant obstruction of the right and left ventricular outflow tract in a patient with biventricular hypertrophic cardiomyopathy, Eur J Echocardiogr, 9 (2008), pp. 344-345.

figura_montalto

Optimal P2Y12 inhibition in older adults with acute coronary syndromes: A network meta-analysis of randomized controlled trials


Claudio Montalto 1Nuccia Morici 2Andrea Raffaele Munafò 1Antonio Mangieri 3Alessandro Mandurino-Mirizzi 1Fabrizio D’Ascenzo 4Jacopo Oreglia 2Azeem Latib 5Italo Porto 6 7Antonio Colombo 3Stefano Savonitto 8Stefano De Servi 9Gabriele Crimi 6 7

Affiliazioni

  • 1Division of Cardiology, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia, Italy.
  • 2Dipartimento Cardio-toracovascolare, SS UTIC/SC Cardiologia 1-Emodinamica, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano, Italy.
  • 3GVM Care and Research, Maria Cecilia Hospital, Cotignola, Ravenna, Italy.
  • 4Division of Cardiology, Department of Medical Sciences, University of Turin, Turin, Italy.
  • 5Department of Cardiology, Montefiore Medical Center, Bronx, New York, USA.
  • 6Department of Cardiology, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, AOU San Martino IST, Università di Genova, Genova, Italy.
  • 7IRCCS Italian Cardiovascular Network.
  • 8Division of Cardiology, A. Manzoni Hospital, Lecco, Italy.
  • 9University of Pavia, Pavia, Italy.

Commento di Claudio Montalto, Policlinico San Matteo, Pavia.

Uno dei temi più dibattuti e di difficile applicazione nel trattamento delle sindromi coronariche acute è quale terapia antiaggregante scegliere per i soggetti anziani, che, e per fragilità intrinseca, e per comorbidità (quali insufficienza renale cronica, anemia, o piastrinopenia), presentano sia un rischio di recidiva ischemica che un rischio emorragico elevato. Come scegliere dunque, tra una terapia antiaggregante più potente (ma pro-emorragica) con i nuovi inibitori P2Y12 prasugrel e ticagrelor oppure alla terapia standard con clopidogrel? Le linee guida internazionali non si sbilanciano in tal senso in mancanza di studi dedicati, e nonostante la popolazione anziana rappresenti una grande porzione del totale dei soggetti affetti da infarto.

In aiuto del clinico viene una recente meta-analisi pubblicata su European Heart Journal – cardiovascular Pharmacotherapy, in cui sono stati inclusi tutti i trial clinici randomizzati che hanno anche una popolazione di soggeti anziani, per un totale di 14,485 pazienti-anno con infarto miocardico inclusi nello studio.(1) Attraverso un’analisi bayesiana si è evidenziato come l’uso di prasugrel sia associato ai migliori risultati in termini di riduzione di morte, infarto e ictus ischemico, mentre il clopidogrel è risultato il miglior farmaco per ridurre i sanguinamenti (Figura). Il ticagrelor non si è dimostrato particolarmente favorevole in questa sottopopolazione, dimostrando un vantaggio solo in termini di riduzione del rischio di trombosi di stent.

Dunque, nei soggetti anziani il rischio ischemico e di sanguinamento dovrebbero essere soppesati attentamente e la terapia antiaggregante bilanciata di conseguenza, non evitando, ma anzi prediligendo, l’uso di prasugrel nei soggetti senza un elevato rischio di sanguinamento, per i quali invece è preferibile l’uso del clopidogrel.

I soggetti anziani non dovrebbero essere considerati ad alto rischio solo sulla base della loro età, e per aiutare il clinico nell’individuazione dei soggetti anziani ad elevato rischio di sanguinamento, il PRECISE-DAPT score(2) è stato validato anche in questa popolazione. E’ un pratico tool di calcolo, che richiede solo 5 semplici parametri: età, funzione renale, emoglobina, globuli bianchi, e precedente storia di sanguinamento.(3) Un calcolatore online gratuito è disponibile al sito web: http://www.precisedaptscore.com/ e anche su dispositivi mobile Apple e Android

Bibliografia

1.        Montalto C, Morici N, Munafò AR, Mangieri A, Mandurino-Mirizzi A, D’Ascenzo F, et al. Optimal P2Y12 inhibition in older adults with acute coronary syndromes: A network  meta-analysis of randomized controlled trials. Eur Hear journal Cardiovasc Pharmacother. 2020 Aug;

2.        Costa F, van Klaveren D, James S, Heg D, Räber L, Feres F, et al. Derivation and validation of the predicting bleeding complications in patients undergoing stent implantation and subsequent dual antiplatelet therapy (PRECISE-DAPT) score: a pooled analysis of individual-patient datasets from clinical trials. Lancet. 2017;389(10073):1025–34.

3.        Montalto C, Crimi G, Morici N, Piatti L, Grosseto D, Sganzerla P, et al. Bleeding Risk Prediction in Elderly Patients Managed Invasively for Acute Coronary Syndromes: External Validation of the PRECISE-DAPT and PARIS Scores. Int J Cardiol. 2020 Apr;2020:22–8.

Read More https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32835355/