1 Department of Cardiology, ACTION Study Group, Sorbonne Université- Univ Paris 06 (UPMC), INSERM UMRS 1166, Institut de Cardiologie, hôpital Pitié Salpêtrière, Paris, France.
La definizione di una strategia antitrombotica standardizzata durante e dopo impianto percutaneo di valvola aortica (TAVR) è un tema tutt’oggi di difficile definizione, reso ancor più controverso dall’esigua mole di dati disponibili in letteratura. Un’interessante meta-analisi recentemente pubblicata su JACC Cardiovascular Intervention ha posto l’accento su questo topic sempre più attuale. Sono stati inclusi 4 trials per un totale di 1086 pazienti di cui 547 erano maschi (50.5%), 293 (30%) diabetici e 851 (78.4%) ipertesi. Nella maggioranza dei pazienti reclutati è stata impiantata una valvola aortica per via percutanea attraverso accesso femorale (944 pazienti, 86.9%). Nei pazienti trattati con DAPT, il Clopidogrel veniva iniziato un giorno prima della procedura e continuato in media per circa 3 mesi. Il follow up mediano e stato di circa 4.5 mesi [IQ 2.5-7.5]. I risultati di questa metanalisi hanno dimostrato come, rispetto alla DAPT, la monoterapia era associata ad una riduzione dei sanguinamenti pericolosi per la vita e disabilitanti (2.6% vs. 4.6% RR:0.56; 95%CI: 0.30-1.07, p=0.08) e del rischio di sanguinamento maggiore (2.6% vs. 6.4% RR:0.40; 95%CI: 0.22-0.74, p=0.003). Inoltre, non veniva documentata alcuna differenza in termini di mortalità per tutte le cause, infarto del miocardio, o stroke (Figura).
Nonostante l’eterogeneità nel disegno degli studi coinvolti in questa analisi, in particolare una differente durata del follow up e della DAPT, questa meta-analisi supporta l’utilizzo di un singolo agente antiaggregante dopo TAVI.
Sinigiani G [1], Giordani AS [1], Cecchetto A [1], Sarais C [1], Napodano M [1], Rizzo S [2], Berno T [3], Brunello G [1].
[1] Dipartimento di Scienze Cardiache, Toraciche, Vascolari e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Padova. [2] Patologia cardiovascolare, Dipartimento di Scienze Cardiache, Toraciche, Vascolari e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Padova. [3] Dipartimento di medicina, unità di ematologia e immunologia clinica, Università degli Studi di Padova.
Abstract
Un uomo di 53 anni, senza precedenti cardiologici, veniva ricoverato per scompenso cardiaco. All’ecocardiogramma e a RM cuore venivano documentati ventricolo sinistro ipertrofico, di normali dimensioni e funzione, versamento pericardico non tamponante. L’elettroforesi sieroproteica, la biopsia del grasso periombelicale e la scintigrafia ossea risultavano negative. Ricompensato, il paziente veniva dimesso. Tuttavia, il quadro clinico recidivava quattro mesi dopo, per cui veniva ricoverato nuovamente e trasferito presso il nostro reparto. Qui gli esami laboratoristici e strumentali permettevano la diagnosi di amiloidosi cardiaca in mieloma multiplo e veniva impostata terapia con Bortezomib e Desametasone. Il paziente tuttavia decedeva due mesi dopo.
Caso Clinico
Un uomo di 53 anni, senza precedenti cardiologici, veniva ricoverato presso un reparto di cardiologia per edemi declivi e dispnea da sforzo. All’ecocardiogramma veniva documentato versamento pericardico non tamponante, ventricolo sinistro ipertrofico, di normali dimensioni e funzione di pompa con aumentata pressione telediastolica; una TAC del torace e dell’addome inoltre documentava versamento pleurico bilaterale. Venivano eseguite elettroforesi sieroproteica e dosaggio degli autoanticorpi, risultati negativi, ed impostata terapia diuretica ed antinfiammatoria. Il paziente veniva dimesso, dopo aver ottenuto un soddisfacente compenso emodinamico. Una successiva risonanza magnetica cardiaca documentava unicamente ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro. Nel sospetto di amiloidosi si eseguivano una biopsia del grasso periombelicale ed una scintigrafia ossea, risultate negative. Quattro mesi dopo, per recidiva della sintomatologia, veniva nuovamente ricoverato, con reperti strumentali sovrapponibili ai precedenti; il dosaggio dell’alfa galattosidasi ematica escludeva malattia di Fabry. Il paziente veniva trasferito presso il nostro reparto. Si ripeteva ecocardiogramma, che documentava moderata riduzione della frazione di eiezione ventricolare sinistra, lieve versamento pericardico, ispessimento delle valvole atrioventricolari, aspetto a “granular sparkling” del miocardio ventricolare ed aspetto “apicalsparing” all’analisi del global longitudinal strain. Una risonanza magnetica cardiaca documentava inoltre difficile reperimento del tempo di inversione nelle sequenze T1 scout e LGE a “zebra pattern”. L’elettroforesi sieroproteica e la proteinuria di Bence Jones risultavano nella norma; veniva però documentato un aumento considerevole delle catene leggere libere lambda, mai dosate in precedenza.
I valori di NT-proBNP e troponina risultavano essere rispettivamente di 10.800 ng/L e 180 ng/L. Alla luce di ciò e della scintigrafia ossea negativa effettuata nel ricovero precedente, nel sospetto di amiloidosi AL veniva ricercata una neoplasia ematologica, ed eseguita quindi biopsia osteomidollare che documentava mieloma multiplo. Il paziente veniva sottopostoper diagnosi di certezza di amiloidosi cardiaca AL a biopsia endomiocardica, che confermava la diagnosi. Pertanto, successivamente all’ottenimento di buon compenso emodinamico con terapia diuretica, si iniziava terapia con Bortezomib e Desametasone. La prognosi del paziente si prospettava tuttavia infausta (Stadio IV del Revised Staging System, mediana di sopravvivenza 6 mesi); a due mesi dalla dimissione dal nostro reparto, il paziente andava incontro ad arresto cardiaco e decesso.
Discussione
L’amiloidosi cardiaca è una patologia da accumulo, caratterizzata dal deposito di fibrille amiloide nel miocardio, che si originano a partire da un precursore proteico, a seconda del quale si distinguono diverse forme di amiloidosi, tra cui l’amiloidosi AL, ATTRwt e ATTRm. La prima ha come precursore una catena leggera di immunoglobulina; l’ATTRwt e ATTRm condividono il precursore, la transtiretina, ma nella prima è nativa, mentre nella seconda è mutata. Clinicamente sono caratterizzate, nelle prime fasi di malattia, da un quadro di scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata, e solo successivamente, si osserva uno scadimento della frazione di eiezione. Fondamentali per il sospetto di malattia sono le metodiche di imaging, ecocardiografia e risonanza magnetica cardiaca senza e con mezzo di contrasto. All’ecocardiogramma si osserva tipicamente ventricolo sinistro ipertrofico, con conservata funzione di pompa e disfunzione diastolica (finanche alla fisiologia restrittiva), dilatazione atriale sinistra, ispessimento del setto interatriale e delle valvole atrioventricolari, aspetto “granular sparkling” del miocardio e aspetto ad “apical sparing” dell’analisi del global longitudinal strain. Alla RM cuore caratteristiche sono la difficoltà a reperire il tempo di inversione nelle sequenze T1 scout, un valore di T1 nativo elevato al mapping T1, il pattern di LGE subendocardico diffuso o a “zebra pattern”. Se a seguito il sospetto è elevato, è indicata l’esecuzione di elettroforesi sieroproteica con immunofissazione su siero ed urine, ricerca della proteinuria di Bence Jones e dosaggio delle catene leggere libere sieriche e di scintigrafia ossea, la quale documenta intensa captazione del tracciante in caso di amiloidosi cardiaca da TTR. Sulla base degli esiti di questi esami, è possibile porre diagnosi di amiloidosi TTR, con successiva analisi genetica. Per la diagnosi di amiloidosi AL generalmente è indicata la biopsia cardiaca o extracardiaca. Una volta confermata la diagnosi di amiloidosi AL, è possibile in questo contesto stimare la prognosi mediante il Revised Staging System, che utilizza i valori di TnT, NT-proBNP e catene leggere libere. Per quanto riguarda la terapia, è essenziale giungere ad una diagnosi della discrasia ematologica alla base per poter intraprendere la terapia più appropriata, che, anche in riferimento al rischio clinico del paziente (stimato anche sul sistema di prognosi), può comprendere il trapianto e l’autotrapianto di midollo, farmaci inibitori del proteasoma, o chemioterapia classica.
Il caso in esame evidenza come l’amiloidosi cardiaca sia una patologia spesso misconosciuta, rapidamente ingravescente con prognosi infausta. Fondamentali sono il sospetto di malattia, metodo sistematico di ricerca ed esperienza.
Giulio Falasconi1 MD, Luigi Pannone1 MD, Carlo Gaspardone1 MD, Lorenzo Cianfanelli1 MD, Marco Bruno Ancona2 MD, Matteo Montorfano2 MD, Alberto Margonato1,3 MD, Massimo Slavich1 MD
1 Cardiologia clinica, IRCCS San Raffaele, Milano, Italia
2 Cardiologia interventistica Unit, IRCCS San Raffaele, Milano, Italia
3 Università Vita-Salute San Raffaele, Milano, Italia
Abstract
La diagnosi di infarto acuto del miocardio (IMA) in presenza di pacing ventricolare può dimostrarsi complessa. In questo case report presentiamo un caso di IMA diagnosticato sulla base di un sopraslivellamento del tratto ST visibile esclusivamente in corrispondenza di extrasistoli fascicolari con alterazioni del tratto ST non diagnostiche in presenza di pacing ventricolare.
Caso Clinico
Un uomo di 81 anni si è presentato in Pronto Soccorso (PS) del nostro Istituto per dolore toracico. L’anamnesi patologica remota era significativa per impianto di pacemaker monocamerale nel contesto di fibrillazione atriale con bassa risposta ventricolare. L’ECG in ambulanza mostrava fibrillazione atriale e pacing ventricolare (VPR); inoltre si osservava un sopraslivellamento del tratto ST di 3 mm nelle derivazioni anteriori che non raggiungeva i criteri di Sgarbossa per IMA in presenza di VPR (Figura centrale – 1, pannello A). Al secondo ECG in PS si osservava un bigeminismo ventricolare. Le extrasistoli ventricolari (BEV) erano più strette dei battiti da pacing ventricolare e avevano morfologia a blocco di branca destra più emiblocco posteriore sinistro compatibile con un’origine dal fascicolo anteriore (Figura centrale – 1, pannello B, asterisco). Un sopraslivellamento del tratto ST era evidente esclusivamente nelle PVC permettendo di concludere con diagnosi di STEMI. La coronarografia in urgenza mostrava un’occlusione trombotica acuta della discendente anteriore prossimale (Figura centrale – 1, pannello C, video 1) trattata con successo mediante angioplastica primaria e impianto di uno stent medicato (Figura centrale – 1, pannello D, video 2). Il giorno dopo la procedura, un ECG tipico per STEMI sub-acuto era evidente anche nei battiti con pacing ventricolare come dimostrato dalle onde T difasiche e negative nelle derivazioni precordiali V2-V6 (Figura centrale – 1, pannello E). Al follow up il paziente non ha avuto ulteriori eventi cardiovascolari o ospedalizzazioni. La diagnosi di IMA nel contesto di pacing ventricolare può essere difficile. In presenza di VPR, le alterazioni ischemiche possono essere riconosciute quando l’ECG è comparato con uno precedente; sfortunatamente spesso non si ha disponibilità di un tale ECG. Inoltre le aritmie ventricolari sono frequenti nella fase precoce dell’IMA (1). Questo case report dimostra la difficoltà della diagnosi di STEMI in presenza di VPR. La diagnosi è stata possibile esclusivamente in presenza di alterazioni del tratto ST nei BEV fascicolari mentre nei battiti con pacing la diagnosi di AMI non è stata possibile in quanto non venivano raggiunti i criteri di Sgarbossa. È possibile che l’ischemia della parete anteriore sia stata il trigger per i BEV dal fascicolo anteriore: in questi battiti la corrente di lesione è evidente da V2 a V5 permettendo la diagnosi di STEMI anteriore. I criteri di Sgarbossa sono stati derivati in pazienti con blocco di branca sinistra all’ECG di base nel trial GUSTO I. Nonostante la specificità riportata sia relativamente alta (>90% per ciascun criterio), la sensibilità è relativamente bassa (meno del 75% per il criterio più sensibile) e anche inferiore per il sottogruppo con VPR (meno del 55% per il criterio più sensibile), (2)(3).
In conclusione nella pratica clinica quotidiana bisogna considerare i limiti della valutazione ECGrafica in presenza di VPR ed è necessario valutare sempre l’ECG nel contesto clinico.
References
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2. Sgarbossa EB, Pinski SL, Barbagelata A, et al. Electrocardiographic diagnosis of evolving acute myocardial infarction in the presence of left bundle-branch block. N. Engl. J. Med. 1996;334:481–487.
3. Sgarbossa EB, Pinski SL, Gates KB, Wagner GS. Early electrocardiographic diagnosis of acute myocardial infarction in the presence of ventricular paced rhythm. Am. J. Cardiol. 1996;77:423–424.
Enrico Guido Spinoni 1,2, Rocco Gioscia 1,2, Leonardo Grisafi 1,2, Andrea Rognoni 1, Marco Mennuni 1, Giuseppe Patti 1,2.
1 Università del Piemonte Orientale, Novara
2 AOU Maggiore della Carità, Novara
Abstract
Uomo di 52 anni ricoverato per episodio sincopale ed angina a riposo, veniva sottoposto a studio coronarografico documentante arterie coronarie esenti da stenosi critiche. Successivamente, veniva sottoposto a studio elettrofisiologico endocavitario che documentava comparsa di angor e di sopraslivellamento del tratto ST in sede inferiore in seguito ad infusione di isoproterenolo, totalmente regrediti in seguito ad infusione di verapamil. La prova da sforzo eseguita evidenziava comparsa di transitorio sopraslivellamento del tratto ST a riposo, regredito con nitrato spray. Veniva quindi posta diagnosi di angina vasospastica ed il paziente veniva dimesso con indicazione a terapia farmacologica con calcio-antagonista (diltiazem) e nitrato transdermico.
Caso Clinico
Un uomo di 52 anni, con familiarità per cardiopatia ischemica, in assenza di ulteriori fattori di rischio cardiovascolare, accedeva presso il pronto soccorso del nostro Nosocomio in seguito a comparsa di dolore toracico associato a malessere e successiva improvvisa perdita di coscienza testimoniata dalla moglie, in assenza di prodromi, con successivo rapido risveglio spontaneo dopo pochi secondi. Il paziente riferiva la persistenza da anni di episodi mattutini di dolore toracico tipico non correlati allo sforzo, per cui non aveva effettuato successivi accertamenti cardiologici. L’anno precedente era stata posta diagnosi di gastroduodenite con screzio pancreatico esordita con dolore toracico atipico (TnI negativa in quella occasione), per cui aveva iniziato terapia con gastroprotettore.
In pronto soccorso si eseguiva tracciato elettrocardiografico in paziente in quel momento asintomatico che documentava ritmo sinusale con atipie diffuse della ripolarizzazione, più marcate in sede inferiore (Figura 1). Agli esami ematici i markers di miocardiocitonecrosi risultavano ripetutamente negativi (TnI-hs primo punto 14 ng/L; secondo punto 19 ng/L). Eseguiva inoltre TC encefalo che risultava negativa per acuzie. In considerazione della tipicità della sintomatologia e del concomitante episodio sincopale, si ricoverava presso il reparto di Cardiologia con monitoraggio telemetrico 24 h nell’ipotesi diagnostica di angina instabile. L’ecocardiogramma eseguito al ricovero mostrava sfumata ipocinesia inferiore basale e postero-laterale distale; FE 55%; non valvulopatie di rilievo. Il giorno successivo, il paziente veniva sottoposto a studio coronarografico mediante accesso radiale destro, che mostrava albero coronarico con circolo coronarico a dominanza destra, esente da stenosi critiche.
A questo punto, al fine di approfondire la sintomatologia e l’episodio sincopale, il paziente veniva sottoposto a studio elettrofisiologico endocavitario, che risultava negativo per anomalie della conduzione, ma che in corso di infusione di isoproterenolo risultava positivo per induzione di sintomatologia anginosa ed alterazioni significative del tracciato ECG, con evidenza di sopraslivellamento del tratto ST in sede inferiore (Figura 2) e successiva risoluzione dopo infusione di verapamil ev. Nell’ipotesi diagnostica di vasospasmo coronarico, veniva poi condotto test ergometrico al tapis-roulant secondo protocollo di Bruce, risultato massimale per frequenza cardiaca, in assenza durante lo sforzo di sintomatologia anginosa o dispnoica e di alterazioni ECG-grafiche significative per ischemia inducibile. Al 3° minuto di recupero il paziente lamentava comparsa di angor di breve durata, con concomitante registrazione all’ECG di sopraslivellamento transitorio del tratto ST di brevissima durata con specularità (Figura 3).
A questo punto veniva quindi confermata l’ipotesi diagnostica di vasospasmo coronarico ed impostata la terapia farmacologica specifica, con diltiazem per os 60 mg bid e nitrato transdermico 10 mg per 12 h. Si dimetteva il paziente con indicazione a controllo con test ergometrico ad 1 mese in terapia medica ottimizzata.
Conclusioni
Il caso riportato è un esempio di angina vasospastica appartenente all’entità patologica conosciuta come INOCA (ischemia in assenza di malattia coronarica ostruttiva), condizione responsabile di ischemia miocardica in assenza di lesioni coronariche emodinamicamente significative (>50%) all’esame coronarografico1. Nonostante le caratteristiche “benigne” di questa entità patologica, la prognosi e qualità della vita di questi pazienti ne sono fortemente inficiate, con una maggiore prevalenza nel sesso femminile, specialmente in età avanzata 1-3 .
L’INOCA include uno spettro di condizioni fisiopatologiche capaci di determinare ischemia, tra le quali di particolare nota sono l’angina microvascolare e l’angina vasospastica.
Dal punto di vista fisiopatologico, nell’angina microvascolare la microcircolazione coronarica presenta una limitata capacità vasodilatatrice in associazione a spiccata sensibilità agli stimoli vasocostrittori. Secondo il gruppo COVADIS la diagnosi di angina microvascolare può essere formulata in presenza di 4 criteri: sintomi tipici dell’ischemia miocardica; assenza di malattia ostruttiva coronarica; evidenza strumentale di ischemia miocardica; evidenza di alterata funzione microvascolare coronarica (tramite la valutazione della Coronary Flow Reserve mediante ecocardiogramma transtoracico sotto sforzo o tramite la valutazione dell’indice di resistenza miocardica con cateterismo intracoronarico)4. L’angina vasospastica (o di Prinzmetal) invece è caratterizzata da un’iperreattività a livello dei rami coronarici epicardici a stimoli vasocostrittori, con transitoria riduzione del flusso a valle e sofferenza ischemica del tessuto miocardico tributario. Clinicamente si manifesta con angina a riposo, transitoria, a risoluzione spontanea o con pronta risoluzione alla somministrazione di nitrati. E’ stato inoltre evidenziato un caratteristico ritmo circadiano della sintomatologia (più frequente nelle prime ore del mattino), la quale è spesso innescata dall’iperventilazione 5. Il COVADIS ha definito come gold standard per la diagnosi l’esecuzione di un test provocativo angiografico (con acetilcolina o meno frequentemente con ergotamina) che documenti uno spasmo coronarico con occlusione o subocclusione (> 90% del lume vasale) transitoria, a pronta regressione con infusione intracoronarica di nitrato6. Nonostante l’elevata specificità dei test provocativi, nella pratica clinica attuale i test provocativi vengono eseguiti in pochi centri di cardiologia interventistica, e la diagnosi di vasospasmo coronarico è avvalorata dalle caratteristiche cliniche del paziente, dalla sintomatologia e dalla presenza di segni di ischemia inducibile in assenza di coronaropatia ostruttiva critica.
Le opzioni terapeutiche includono le modifiche dello stile di vita e la correzione dei fattori di rischio, a cui si aggiungono agenti farmacologici rappresentati dai calcio-antagonisti (sia per l’angina vasospastica che per angina microvascolare) e dai beta-bloccanti, ranolazina e ivabradina (per l’angina microvascolare)7.
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Department of Advanced Biomedical Sciences, Federico II University Hospital, Via S. Pansini, 5, 80131 Napoli NA, Italy
Dobutamine stress echocardiography (DSE) is a sensitive diagnostic tool to detect inducible ischemia, thanks to its good diagnostic accuracy. However, it remains a subjective method, limited by operators experience on image acquisition and interpretation. Moreover, the detection of myocardial ischemia during DSE seems to be even more challenging in the presence of pre-existing wall motion abnormalities.
Nowadays, speckle tracking allows an objective quantification of regional wall function. To date, few reports have described the ability of speckle tracking to detect myocardial ischemia during DSE and mostly in patients without previous regional wall motion abnormalities. Considering the exclusion of patients with previous history of coronary artery disease from these studies, their results cannot be extended to this subset of patients.
In the present study, we aimed to investigate the feasibility and accuracy of global (GLS) and regional longitudinal strain (RLS) during DSE to detect significant coronary stenosis (SCS), in both patients with and without previous wall motion abnormalities.
We conducted a prospective, observational, multicenter study, including 88 patients undergoing DSE for suspected CAD. Patients with negative DSE (n=33), suboptimal RLS (n=2) and that refused consent (n=3), were excluded from further analysis. The remaining 50 patients (82% males, mean age 66.3±8.2 years) with positive DSE underwent subsequent invasive coronary angiography (CA). Besides visual regional wall motion score index (WMSI), GLS and RLS were determined at rest and at peak stress by a dedicated software (Automated Function Imaging) incorporated in a quoad-screen of the echo machine and activated by automatic quantification. Obstructive CAD was defined as >70% stenosis or intermediate stenosis combined with fractional flow reserve <0.80.
We found that speckle tracking can be performed during DSE, allowing a correct and almost complete analysis of myocardial deformation, at every stages of stress protocol (the feasibility of RLS was 96% in the pooled population). Fifteen patients did not show significant coronary artery stenosis whereas obstructive CAD was detected in 35 patients. At peak stress, both GLS reduction (p=0.037) and WMSI worsening (p=0.04) showed significant agreement with coronary angiography for detecting SCS. When single lesion was considered, peak stress GLS and LAD RLS were lower in the obstructed LAD regions than in normo-perfused territories (17.4±5.5 vs 20.5±4.4%, p=0.03; 17.1±7.6 vs 21.6±5.5%, p<0.02, respectively). Furthermore, the addition of RLS to regional WMSI was able to improve accuracy in LAD SCS prediction (AUC 0.68, p=0.037). Conversely, in presence of LCX or RCA SCS, longitudinal strain was less accurate than WMSI at peak stress.
This incremental value of strain imaging at DSE peak could represent an additional tool in reducing false negative results obtained by visual assessment, especially in patients with suspected LAD disease. LAD is usually the largest of the 3 epicardial coronary artery and subtends about 50% of the LV myocardial mass. The presence of significant LAD disease has been associated with worse prognosis than SCS involving other coronary arteries. Thus, given the extent and functional relevance of the myocardial territories supplied by LAD coronary artery, a properly and timely detection of LAD stenosis represents an appealing task. Moreover, the incremental value of GLS and RLS in the detection of LAD SCS seems to be even more useful in patients with previous wall motion abnormalities, in whom the identification of residual and/or new areas of ischemia is even more challenging.
In conclusion, AFI-based strain quantitative analysis appears to be highly feasible during DSE and more accurate than the visual wall motion assessment for the detection of myocardial ischemia in presence of LAD. Conversely, strain accuracy is suboptimal in patients with LCX and RCA stenosis, possibly due to scarce visualization of myocardial segments perfused by these two arteries and/or to perfusion territory overlap. Future multicenter study on larger population sample size are needed to test the usefulness of strain imaging during DSE.
S.C. Cardiologia – AOU Policlinico di Modena. Scuola di Specializzazione in Malattie dell’apparato cardiovascolare. Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
Caso Clinico
Una donna di 59 anni senza fattori di rischio cardiovascolare giunge all’attenzione di un cardiologo del territorio a seguito dell’insorgenza subacuta (circa 4-6 mesi) di dispnea per sforzi moderati. In anamnesi la paziente riferisce il riscontro occasionale di un Forame Ovale Pervio di “grandi dimensioni” (referto originale smarrito) circa 10 anni prima e di essere in follow-up clinico ed ecografico per angiomi epatici multipli. Il collega che per primo valuta la paziente riporta il riscontro obiettivo di un soffio continuo sisto-diastolico maggiormente udibile a livello marginosternale destro e ad un ecofocus reperta una “massa” a contenuto anecogeno a livello atriale destro. L’elettrocardiogramma registrato durante la visita mostra un ritardo incompleto della branca destra in assenza di alterazioni significative della ripolarizzazione ventricolare. Sulla base di tali reperti, invia la paziente presso il nostro Echolab per approfondimento diagnostico.
L’ecocardiografia transtoracica conferma la presenza di una struttura a contenuto anecogeno a livello dell’atrio destro e mostra un seno coronarico (CS) severamente dilatato, oltre ad una moderata dilatazione dell’origine della coronaria destra (RCA). Al color-doppler appare evidente un flusso continuo sisto-diastolico a livello del seno coronarico. (fig. 1)
Per indagare la persistenza di una vena cava superiore sinistra, viene effettuata un’ecocardiografia con iniezione di salina agitata in arto superiore sinistro che non mostra precoce opacizzazione del CS rispetto alle camere di destra. (Fig. 2)
Il quadro viene ulteriormente approfondito con ecocardiografia transesofagea (ETE) che esclude shunt intracardiaci e conferma la severa dilatazione del CS, il quale impronta la parete posteriore dell’atrio destro, dando origine dell’immagine a contenuto anecogeno vista dall’approccio transtoracico. Il riscontro di CS ectasico, l’entità del flusso sisto-diastolico, l’esclusione di anomali ritorni venosi e la dilatazione dell’emergenza della RCA portano alla formulazione del sospetto di fistola artero-venosa coronarica (CAVF) tra RCA e CS.La TC cardiaca con ricostruzione 3D conferma il sospetto e mostra come sia la RCA sia il CS siano estremamente dilatati (diametro sul piano assiale 2.1 e 4.5 cm, rispettivamente) e non sia possibile visualizzare l’opacizzazione della vena cardiaca magna. L’esame esteso al torace e all’addome mostra inoltre minuti difetti di riempimento segmentari a livello del lobo polmonare superiore destro e un voluminoso emangioma cavernoso nel lobo epatico destro. (Fig.3)
Vista l’ottimale definizione anatomica della malformazione ottenuta con la ricostruzione TC 3D, non appare indicato procedere a studio angiografico invasivo.
La successiva risonanza magnetica cardiaca non evidenzia ischemia a livello del territorio di competenza della RCA. Ad ulteriore completamento diagnostico, una angio-RM cerebrale esclude la presenza di ulteriori malformazioni vascolari a livello cerebrale.
Il caso della paziente viene discusso collegialmente con i colleghi della cardiochirurgia. Visto il riscontro occasionale del reperto e la non diretta correlazione tra il dato anatomico e la lieve dispnea da sforzo, la non evidenza di alterazioni significative della perfusione cardiaca e della complessità dell’approccio cardiochirurgico, viene posta indicazione ad atteggiamento “watchful waiting” con follow-up annuale, da anticipare in caso di comparsa di sintomatologia suggestiva di complicanze.
Discussione
Questo caso clinico può avere una duplice valenza: da un lato, ricordare l’approccio diagnostico e le possibili diagnosi differenziali della dilatazione del CS; dall’altro mostrare una delle più rare tra queste diagnosi, ovvero la CAVF. Nel nostro caso la dilatazione del CS e della RCA era tale da improntare la parete posteriore dell’atrio destro dando una “falsa immagine” di massa anecogena atriale. Una volta inquadrata l’immagine nel contesto di un CS dilatato, il primo passaggio è stato escludere ritorni venosi anomali mediante bubble test con iniezione dai due arti superiori ed ETE. La corretta interpretazione dei reperti ecocardiografici ed un approccio multi-imaging hanno portato al riconoscimento di una CAVF come causa di CS dilatato.
Le CAVF sono una rara entità e si presentano nella maggior parte dei pazienti con dolore toracico, palpitazioni o sincope1, sebbene possano essere occasionalmente riscontrate in pazienti asintomatici. Un soffio continuo sisto-diastolico è il reperto obiettivo più frequente.2 Le fistole tra RCA e CS sono la forma più frequente e rappresentano circa il 7% di tutti i casi di CAVF.3 L’ecocardiografia bidimensionale corredata dall’esame color-doppler può mostrare l’origine, il decorso e l’entità del flusso ematico nelle corrispondenti camere cardiache. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, un approccio multi-imaging è necessario per confermare il sospetto di CAVF. In particolare, la TC con ricostruzione 3D è in grado di fornire una ottimale definizione anatomica e, in una buona parte dei casi, permette di evitare l’esame angiografico invasivo. Le CAVF congenite vanno incontro infrequentemente a chiusura spontanea. Il trattamento, pertanto, può essere chirurgico o percutaneo sulla base dell’opinione dell’heart team. 4
Referenze
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3. Sharma, U. M., Aslam, A. F. & Tak, T. Diagnosis of coronary artery fistulas: clinical aspects and brief review of the literature. The International journal of angiology : official publication of the International College of Angiology, Inc22, 189–192 (2013).
4. Ali, M., Kassem, K. M., Osei, K. & Effat, M. Coronary artery fistulae. J. Thromb. Thrombolysis48, 345–351 (2019).
Ivan Altamar Bermejo et al. Department of Pediatric Cardiology. Royal Brompton Hospital. Sydney Street London SW3 6NP, United Kingdom
Commentary Roberta Lotti
A seguito della diffusione dell’infezione pandemica da Sars-CoV2, nuove entità cliniche sono state progressivamente riconosciute, benché il loro inquadramento sia ancora in corso. In particolare, nella popolazione pediatrica, dall’aprile 2020 è stata riscontrata la comparsa della cosiddetta “Sindrome Infiammatoria Multisistemica”, che, inizialmente misdiagnosticata come forma di Sindrome di Kawasaki, è stata successivamente identificata come entità clinica propria. La correlazione al Sars-CoV2 è evidente dal momento che essa è emersa durante la pandemia, tuttavia l’esatto meccanismo fisiopatologico è tuttora oggetto di ricerca. Questa sindrome colpisce prevalentemente bambini di età più avanzata, si verifica generalmente a poche settimane di distanza da una infezione da Sars-CoV2 asintomatica o paucisintomatica ed è caratterizzata dalla comparsa di febbre persistente, sintomi gastrointestinali, rash cutanei e ipereremia congiuntivale. Il coinvolgimento cardiovascolare in tale contesto non è infrequente e può manifestarsi con disfunzione ventricolare sinistra (da lieve sino allo shock cardiogeno), aneurismi coronarici e aritmie. Tuttavia, se poco si sa finora della malattia stessa, ancora meno è noto sulle sequele che essa provoca.
Qui abbiamo la fortuna di poter leggere un primo interessantissimo studio di follow-up a breve termine sulle sequele cardiologiche valutate tramite Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) cardiaca. Lo studio ha raccolto ben 44 pazienti con diagnosi di Sindrome Infiammatoria Multisistemica che abbiano avuto coinvolgimento cardiaco valutato come disfunzione ventricolare sinistra, aneurismi coronarici, o rialzo di troponine o NTproBNP. I pazienti sono stati sottoposti a RMN cardiaca a distanza di 12-72 giorni dall’insorgenza dei sintomi e hanno dimostrato risultati incoraggianti. Per saperne di più leggete questo splendido articolo!