Flutter atriale nel paziente con malattia critica COVID-19: strategia di controllo del ritmo per il compenso cardiorespiratorio

Rodolfo Francesco Massafra, Matteo Bertini, Francesco Vitali, Michele Malagù, Claudio Rapezzi

Centro Cardiologico Universitario, Università degli Studi di Ferrara, Arcispedale S. Anna, Ferrara

Abstract

Di seguito viene illustrato il caso di un paziente con malattia critica COVID-19 in cui la comparsa improvvisa di flutter atriale ad elevata risposta ventricolare ha giocato un ruolo determinante nel peggioramento dell’insufficienza respiratoria, e in cui dopo alcuni tentativi di controllo farmacologico del ritmo e della frequenza, una strategia di controllo del ritmo mediante ablazione transcatetere ha portato a un decisivo miglioramento del quadro clinico. Il caso evidenzia come la patologia COVID-19 abbia un impatto notevole sul sistema cardiovascolare anche per la possibile insorgenza di aritmie che possono aggravare il compenso cardio-respiratorio, creando un circolo vizioso.

Caso clinico

Figura 1 (Figura principale): (A) HRCT che mostra polmonite interstiziale bilaterale con ispessimento liscio dei setti intra ed interlobulari ed aree di ground glass (pattern “crazy paving”), evidenziato dalle frecce (3). (B) ECG a 12 derivazioni che mostra flutter atriale tipico ad elevata risposta ventricolare.

Un uomo di 61 anni, senza nessun precedente cardiovascolare noto né fattori di rischio cardiovascolari o comorbidità di rilievo, giungeva in PS per dispnea, tosse e febbre (39°C). Normoteso (PA 120/60 mmHg), tachipnoico (33 atti/minuto) e con SpO2 89%. Per il rapido peggioramento dell’insufficienza respiratoria veniva intubato. Alla HRCT emergeva un quadro di severa polmonite interstiziale bilaterale con aspetto “crazy paving” (Fig. 1A). Ricoverato in ambiente intensivo, l’ECG all’ingresso mostrava tachicardia sinusale a FC 100 bpm. Seguiva riscontro di positività del tampone nasofaringeo RT-PCR per RNA di SARS-CoV2. In nona giornata, per il miglioramento del quadro respiratorio, il paziente veniva estubato e posto in NIV con casco. Nella giornata successiva si assisteva a riacutizzazione di insufficienza respiratoria con evidenza al monitor ECG di flutter atriale tipico comune ad elevata risposta ventricolare (Fig. 1B).

Veniva eseguito ecocardiogramma transtoracico, che mostrava ventricolo sinistro con funzione sistolica ai limiti di norma (FE 50%), segni di aumento delle pressioni di riempimento (E/e’ media 16) e lieve dilatazione atriale destra. Alla luce della disfunzione diastolica e del mancato contributo atriale al riempimento ventricolare, ritenuta la correzione di tali elementi in grado di migliorare il compenso cardio-respiratorio, si decideva di attuare una strategia di controllo del ritmo. Visto il riscontro laboratoristico di alterazione degli indici di funzionalità epatica in contestuale verosimile sovrainfezione batterica, si decideva di eseguire tentativo di cardioversione elettrica esterna (CVE) a 120J, come da indicazioni ESC nel paziente emodinamicamente stabile (Classe I, LoE B) quale valida alternativa in prima istanza al controllo farmacologico della frequenza o del ritmo.1 La CVE esitava in transitorio ripristino di ritmo sinusale, ma pressoché immediata ricomparsa dell’aritmia. Seguiva nuovo tentativo di CVE a 150J in corso di amiodarone in infusione, con ripristino del ritmo sinusale, ma nuova recidiva dell’aritmia a distanza di ore. Fallito il controllo del ritmo, si optava per controllo della frequenza mediante infusione di metoprololo, verapamil e digossina a dosaggio pieno, (Classe IIa, LoE B) senza però alcun beneficio clinico.

Figura 2: Allestimento della sala di elettrofisiologia: paziente in posizione supina ventilato non invasivamente con casco; il sistema di fluoroscopia è posto al di fuori del campo operatorio.

Discusso il caso in team multidisciplinare (cardiologo clinico, elettrofisiologo, rianimatore e pneumologo), si continuava a imputare alla tachiaritmia un ruolo primario nell’alterazione del compenso cardio-respiratorio, perciò, ancora una volta si riteneva opportuno intraprendere strategia di controllo del ritmo. Inoltre, data la gravità del quadro clinico e la refrattarietà dell’aritmia a tutte le strategie terapeutiche disponibili indicate dalle linee guida ESC nello specifico setting acuto,1 si decideva per esecuzione di ablazione transcatetere con assistenza anestesiologica. In considerazione della presenza di ventilazione con casco, della conseguente difficoltà nell’utilizzo di fluoroscopia, e data l’impossibilità di mantenere a lungo il clinostatismo, si optava per procedura a raggi zero interamente guidata da mappaggio elettroanatomico tridimensionale, riducendo al minimo i tempi operatori. La procedura si svolgeva in conformità alle raccomandazioni internazionali per garantire la sicurezza del paziente e minimizzare l’esposizione professionale del personale impiegato (un elettrofisiologo senior, due anestesisti e un infermiere specializzato)2.

Posto il paziente in clinostatismo, ventilato con casco (Fig. 2), si procedeva a doppia puntura venosa femorale destra. Eseguito mappaggio endocardico, si confermava la presenza di flutter atriale istmo cavo-tricuspidalico dipendente, che veniva efficacemente trattato tramite ablazione mediante radiofrequenza, con ripristino di ritmo sinusale. Alla mappa di attivazione si confermava blocco bidirezionale istmo cavo-tricuspidalico durante stimolazione dall’ostio coronarico.3 (Fig. 3) La durata complessiva della procedura era inferiore a 60 minuti.

Al ripristino del ritmo sinusale il paziente mostrava un notevole e pressoché immediato miglioramento della funzionalità respiratoria, con passaggio della SpO2 dall’84% al 98% e miglioramento soggettivo della dispnea.

Figura 3: Mappa elettroanatomica tridimensionale dell’atrio destro in LAO caudata (a sinistra) e RAO (a destra), che mostra blocco antiorario dell’istmo critico durante pacing dall’ostio coronarico. Punti di erogazione di radiofrequenza lungo l’istmo cavo-tricuspidalico (punti bianchi e rossi).

Conclusioni

Il caso clinico sottolinea il contributo ormai noto del flutter atriale ad elevata risposta ventricolare al deterioramento respiratorio nel paziente COVID-19,4,5 oltre che il potenziale ruolo terapeutico della strategia di controllo del ritmo mediante ablazione transcatetere, ad oggi largamente inesplorato in questo scenario.  Al momento in letteratura non vi sono evidenze di qualità circa l’efficacia della terapia medica finalizzata al controllo del ritmo o della frequenza nel flutter atriale nel paziente critico COVID-19.5 Tuttavia, l’efficacia della terapia medica in questi pazienti è da ritenersi potenzialmente bassa per una serie di ragioni, delle quali la patologia polmonare sottostante e lo stato infiammatorio sistemico assumono probabilmente un ruolo fondamentale, agendo da fattori scatenanti.4 Inoltre, l’utilizzo di amiodarone per il controllo del ritmo potrebbe esporre a severi effetti avversi pneumotossici da citotossicità diretta e da ipersensibilità, particolarmente problematici in questo genere di paziente. L’ablazione transcatetere è una procedura relativamente semplice, ed è il trattamento più efficace per il mantenimento del ritmo sinusale nel flutter atriale.3,6 Essa si mostra potenzialmente utile anche in alcuni scenari critici di insufficienza respiratoria acuta con severa pneumopatia sottostante, in cui diventa decisivo ristabilire un adeguato compenso cardiocircolatorio, qualora l’aritmia risulti refrattaria alle strategie terapeutiche attualmente indicate dalle linee guida.


References

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Sindrome di Takotsubo e vasospasmo coronarico: due facce della stessa medaglia?

Pier Pasquale Leone, Giuseppe Pinto

Dipartimento di Scienze Biomediche, Humanitas University, Pieve Emanuele (MI), Italia

IRCCS Humanitas Research Hospital, Rozzano (MI), Italia

ABSTRACT

La cardiomiopatia di Takotsubo non si verifica usualmente in pazienti giovani nè esordisce con arresto cardiocircolatorio. Indagando le possibili cause di arresto cardiaco in un paziente di 35 anni che lamentava da qualche giorno dolore toracico e con un riscontro imaging di cardiomiopatia di Takotsubo, veniva documentato un vasospasmo severo dell’arteria interventricolare anteriore. La disfunzione endoteliale rientra tra i meccanismi alla base sia del vasospasmo coronarico che della cardiomiopatia di Takotsubo: siamo davanti ad un epifenomeno della stessa malattia?

CASO CLINICO

Presentazione

Un paziente di 35 anni in buone condizioni di salute avvertiva dolore toracico mentre giocava a calcetto con gli amici. Aveva avuto dolore toracico che regrediva spontaneamente anche nei giorni precedenti. Il suo unico fattore di rischio cardiovascolare era il fumo attivo. Dopo alcuni secondi cadeva a terra e veniva immediatamente soccorso dai compagni. In assenza di segni di circolo veniva iniziata la Rianimazione Cardio-Polmonare (RCP) dagli astanti e successivamente dal personale medico. Il ritmo di presentazione dell’arresto cardiocircolatorio corrispondeva a una fibrillazione ventricolare. Dopo 3 DC shock comparsa di ritorno della circolazione spontanea (ROSC) per cui si interrompeva la RCP. Il paziente veniva quindi intubato e condotto in Pronto Soccorso presso il nostro ospedale.

Gestione clinica

Figura 1.
In alto. Sequenza T2 TIRM asse corto del ventricolo sinistro a livello basale, medio e apicale. Si nota iperintensità di segnale principalmente a livello apicale, riferibile a diffuso edema miocardico.
In basso. Acquisizione tardiva dopo somministrazione di MDC in asse corto a livello basale, medio e apicale. Si nota l’assenza di accumulo di LGE.

All’arrivo in PS i parametri vitali erano nella norma (PA 100/70 mmHg, FC 110 bpm, SpO2 100%). L’ECG documentava una tachicardia sinusale senza alterazioni significative del tratto ST. Agli esami ematochimici si riscontrava lieve rialzo degli indici di miocardionecrosi (hsTnI 80 ng/L, valori di riferimento 0-20 ng/L). L’EGA mostrava una lieve acidosi metabolica (pH 7.29, pO2 130, pCO2 39, HCO3- 18, lat 4). Veniva, quindi, effettuato un ecocardiogramma transtoracico che mostrava una severa disfunzione del ventricolo sinistro da ipocinesia diffusa con regionalità più marcata in apice (FEVS 25%) in assenza di valvulopatie di rilievo o di disfunzione ventricolare destra. 

Nonostante l’ECG non mostrasse segni di ischemia miocardica in atto, sulla base anche della sintomatologia descritta dai soccorritori, si decideva di condurre il paziente in sala di emodinamica. Alla coronarografia si documentava un albero coronarico epicardico esente da malattia. Alla luce dei risultati della coronarografia e dell’ecocardiogramma veniva posta diagnosi di cardiomiopatia di Takotsubo.

Dopo 24 ore di monitoraggio in terapia intensiva per l’ipotermia terapeutica, eseguita nonostante il tempo di no-flow fosse trascurabile per il tempestivo inizio della RCP, il paziente veniva estubato.

La RMN cardiaca confermava la severa disfunzione ventricolare sinistra con stunning del miocardio apicale e mostrava un edema diffuso in regione apicale in assenza di LGE (FIG 1).

Figura 2. Vasospasmo coronarico a livello dell’arteria interventricolare anteriore.

In considerazione della giovane età del paziente, non caratteristica per la classica presentazione della Takotsubo, si decideva di studiare in maniera più approfondita, anche con l’ausilio di imaging intracoronarico (OCT), l’albero coronarico epicardico, ed eventualmente effettuare un test provocativo con acetilcolina per escludere la possibilità di vasospasmo coronarico. Si repertava una lieve ateromasia non critica sull’arteria discendente anteriore ostio-prossimale: all’avanzamento del catetere OCT, però, veniva indotto un severo spasmo coronarico (FIG 2-3) con concomitante insorgenza di dolore toracico tipico e sopraslivellamento del tratto ST nelle derivazioni anteriori. Si procedeva quindi a iniezione di nitroglicerina intracoronarica con risoluzione del quadro.

Veniva quindi iniziata terapia con calcio antagonista ad azione centrale (diltiazem), cardioaspirina, statina (per la seppur minima malattia aterosclerotica coronarica) e ACE inibitore (per la prevenzione del rimodellamento cardiaco). Durante l’osservazione si assisteva a discreta ripresa della funzione contrattile del ventricolo sinistro. Il picco della curva di rilascio enzimatico si è verificato per valori di troponina pari a 2500 ng/L (valori di riferimento 0-20 ng/L). Veniva posta indicazione ad impianto di ICD in prevenzione secondaria e, visto il trend bradicardico e la necessità di terapia cronotropa negativa, si propendeva per device endocardico.

La restante degenza risultava priva di complicanze e il paziente si manteneva asintomatico e in buon compenso cardiocircolatorio.

Alla visita di controllo dopo tre mesi dalla dimissione il paziente si presentava in buone condizioni generali e non riferiva episodi di dolore toracico né sincopi. All’interrogazione del device non si documentavano eventi aritmici.

Figura 3.
Imaging intracoronarico tramite OCT. Si nota il lume ristretto nell’immagine centrale per spasmo coronarico.

Conclusioni

La fisiopatologia della cardiomiopatia di Takotsubo è complessa e non ancora del tutto chiarita. La teoria più accreditata propende per un’iperattività del sistema simpatico con conseguente rilascio di un’aumentata quantità di catecolamine e contestuale alterato metabolismo cellulare e disfunzione del microcircolo. Recenti evidenze suggeriscono una connessione tra lo spasmo del circolo coronarico epicardico e la cardiomiopatia di Takotsubo. È ben appurato che lo spasmo coronarico possa essere esacerbato da fattori quali il fumo e l’iperventilazione: la prima condizione presente in anamnesi, la seconda verificatasi verosimilmente durante l’attività fisica del paziente. Per documentare il vasospasmo del circolo coronarico epicardico spesso è necessario ricorrere a test provocativo con acetilcolina o ergonovina durante coronarografia. Nel nostro caso non è servito eseguire questo test poiché il vasospasmo si è verificato semplicemente con uno stimolo meccanico. La disfunzione endoteliale è determinata da uno squilibrio tra molecole che, a livello endoteliale, mediano la vasodilatazione e hanno proprietà antimitogeniche e antitrombogeniche e sostanze con potenziale vasocostrittore, protrombotico e proliferativo. Questo squilibrio che determina iperreattività endoteliale è probabilmente alla base di due entità come la sindrome di Takotsubo e il vasospasmo coronarico. Resta ancora da capire se queste siano due aspetti della stessa malattia o due condizioni che possono coesistere con alla base meccanismi fisiopatologici simili.

References

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Abbreviazioni

ACE, angiotensin converting enzyme; ECG, elettrocardiogramma; EGA, emogasanalisi; FEVS, frazione d’eiezione del ventricolo sinistro; FV, fibrillazione ventricolare; ICD, implantable cardioverter defibrillator; LGE, late gadolinium enhancement; OCT, optical coherence tomography; PS, pronto soccorso; RCP, rianimazione cardio-polmonare; RMN, risonanza magnetica nucleare; ROSC, return of spontaneous circulation;

Abstract grafico commento MINOCA[1] - Sola lettura

Pharmacological therapy for the prevention of cardiovascular events in patients with myocardial infarction with non-obstructed coronary arteries (MINOCA): Insights from a multicentre national registry

Autori: Ciliberti G, Verdoia M, Merlo M, et al.

Commentary by Dr. Roberto Manfredi

Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare

SOD Clinica di Cardiologia e Aritmologia

Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti Umberto I – Lancisi – Salesi

Via Conca 71, 06126, Ancona, Italy

e-mail: manfredirobe@gmail.com

I pazienti con MINOCA costituiscono il 2-6% del totale degli infarti miocardici [1, 2], seppur con eterogeneità epidemiologiche e fisiopatologiche che li distinguono dalle sindromi coronariche acute CAD-relate [1, 2],. Per porre la diagnosi di MINOCA, è necessario che ci sia evidenza di un infarto miocardico acuto in assenza di stenosi coronariche epicardiche ³50% e con un meccanismo di tipo ischemico, cioè avendo ragionevolmente escluso ipotesi di miocardite o scompenso cardiaco [3].

Un documento dedicato della Società Europea di Cardiologia raccomanda di considerare la condizione di MINOCA come una “working diagnosis”, in un percorso volto all’approfondimento dei meccanismi fisiopatologici sottesi al fine di una corretta gestione terapeutica del caso [4].

In mancanza di evidenze da RCTs dedicati, le indicazioni terapeutiche sono spesso estrapolate da trial di prevenzione secondaria di sindromi coronariche acute CAD-relate [5], sebbene nella maggior parte degli studi esistenti gli attuali criteri diagnostici del MINOCA non siano applicati [6, 7].

Il lavoro in esame [6] è uno studio multicentrico retrospettico basato su una popolazione complessiva di 621 pazienti dimessi da 9 ospedali italiani “Hub” in un periodo di 6 anni con la diagnosi di MINOCA secondo i criteri definiti dalla IV Definizione Universale dell’Infarto Miocardico [1], con un follow-up mediano di 90 mesi [45.6 – 135].

Sono stati presi in considerazione aspetti demografici, anamnestici, elettrocardiografici, ecocardiografici, angiografici (tre sottogruppi: [i] assenza di stenosi ³30%, [ii] lieve malattia coronarica mono o bivasale con stenosi ³30% e <50%, [iii] malattia coronarica lieve trivasale o del tronco comune con stenosi ³30% e <50%), ematobiochimici e farmacologici.

L’endpoint primario dello studio costituiva un composito di mortalità per tutte le cause, IMA, SCA, scompenso cardiaco richiedente ospedalizzazione, stroke. Su 621 pazienti, 106 (17.1%) sono andati incontro all’endpoint primario, di cui 27 (4.3%) deceduti.

All’analisi multivariata i pazienti in terapia con ASA [HR 2.47 (1.05 – 5.78), p = 0.04], storia di fibrillazione atriale [HR 1.97 (1.17 – 3.32), p = 0.01], sopraslivellamento del tratto ST al ricovero [HR 2.28 (1.45 – 3.57), p < 0.001], funzione ventricolare sinistra ridotta (< 50%) al ricovero [HR 2.26 (1.06 – 2.63), p = 0.02], hanno mostrato associazione positiva indipendente con l’endpoint primario. Il contrario è stato osservato per i pazienti in terapia con betabloccanti [HR 0.49 (0.31 – 0.79), p = 0.02].

Va sottolineato come, anche in precedenti studi, l’impatto della terapia sull’outcome abbia mostrato risultati contrastanti. Un lavoro svedese ha dimostrato un miglioramento dell’outcome nei pazienti in terapia con statine o ACE-inibitori/ARB, mentre solo un trend benefico per i beta bloccanti [7], seppure la popolazione in esame risultasse altamente eterogenea. Un altro studio Coreano ha mostrato un significativo incremento di mortalità per tutte le cause per i pazienti non in terapia con bloccanti del sistema RAA e statine [8]. In ultimo, una meta-regression analysis di 44 studi e 36932 pazienti ha evidenziato una mortalità per tutte le cause più alta nei pazienti betabloccati [9].

La popolazione in esame era probabilmente differente da quelle dei precedenti studi a causa di criteri di esclusione più rigidi, seppure non sia escludibile una certa eterogeneità nella definizione di MINOCA.

Alcune possibili limitazioni erano la non disponibilità estensiva di metodiche diagnostiche avanzate come la RM cuore, la biopsia endomiocardica, i test provocativi per lo spasmo coronarico e l’imaging intracoronarico, che in una percentuale di casi avrebbe potuto identificare trombosi endoluminali, rotture o erosioni di placca misconosciute, cause non infrequenti di MINOCA, oltre a modificare il successivo iter terapeutico [10]. In ultimo, non erano disponibili dati disaggregati per morti cardiovascolari e non, che avrebbero potuto fornire ulteriori informazioni soprattutto nei pazienti in terapia con ASA.

I risultati del lavoro pongono degli interrogativi riguardo alla terapia che attualmente viene prescritta a pazienti con MINOCA, che costituisce un gruppo fisiopatologicamente eterogeneo, tanto da evidenziare degli effetti addirittura negativi dell’ASA in questo gruppo di pazienti. A tale scopo sono necessari ulteriori studi su più vasta scala al fine di trovare il percorso terapeutico ottimale.

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Read more: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33242505/

MINOCA da sindrome di anticorpi anti-fosfolipidi: un caso clinico di diagnosi “catastrofica”

Luca Paolucci, Giuseppe Verolino, Michele Mattia Viscusi, Francesco Piccirillo.

Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Università Campus Bio-Medico di Roma, Italia. Direttore: Prof. Francesco Grigioni

Abstract

Paziente donna di 49 anni con dolore toracico acuto in II giornata post-operatoria di isteroscopia operativa. In anamnesi, un episodio di embolia polmonare e due episodi di sindrome coronarica acuta con evidenza angiografica di coronarie indenni da lesioni; fra le patologie associate, si evidenziava un pattern trombofilico dominato da sindrome di anticorpi anti-fosfolipidi (APS). Il work-up diagnostico, comprensivo di ECG, esami ematochimici con curva della TnI e dosaggio degli anticorpi anti-fosfolipidi, ecocardiogramma con valutazione del global longitudinal strain, AngioTC torace, coroTC e RMN cardiaca, consentiva di porre diagnosi di infarto miocardico a coronarie indenni (MINOCA) nel contesto di APS catastrofica.

Caso clinico:

Donna di 49 anni con dolore toracico di nuova insorgenza, in II giornata post-operatoria di isteroscopia operativa per poliposi uterina. Alla valutazione, la paziente si presentava emodinamicamente stabile, con obiettività cardiologica e toracica nei limiti. L’ECG escludeva segni di ischemia acuta. L’anamnesi cardiovascolare includeva un’embolia polmonare nel 2001, per la quale paziente assumeva anticoagulante (anti-vitamina K – VKA), e due sindromi coronariche acute a coronarie indenni, già sottoposte a studio coronarografico e angio-TC coronarica, nel 2014 e nel 2015. Fra le patologie associate, si evidenziava un forte pattern trombofilico, con deficit delle proteine C ed S, una mutazione in eterozigosi per il gene dell’MTHFR e una diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS). Una settimana prima della comparsa di dolore, la paziente aveva sospeso il VKA ed iniziato bridging con Enoxaparina 8000 UI/Bid, era stata dunque sottoposta ad isteroscopia operativa ed in I giornata post-operatoria aveva iniziato a manifestare febbre, malessere generale e nausea.

Figura 1

Agli esami ematici, si rilevava aumento della TnI (35372 pg/ml; upper reference limit 15,6 pg/ml). La paziente veniva pertanto trasferita in UTIC per proseguire il work up diagnostico. Veniva eseguito un ecocardiogramma che non mostrava particolari anomalie al 2D (FE 55%, non valvulopatie rilevanti). Nel sospetto di un nuovo evento tromboembolico/dissezione aortica veniva eseguita una angio TC torace/addome che non mostrava difetti di riempimento a carico delle arterie polmonari e/o flap intimali. Come reperti collaterali, venivano descritti un quadro infiammatorio compatibile con aortite in sede sottorenale e un impegno parenchimale polmonare con aspetto a vetro smerigliato a carico dei lobi polmonari inferiori bilateralmente.

Una nuova valutazione ecocardiografica evidenziava una significativa riduzione del global longitudinal strain in sede antero-laterale e posteriore (GLS -11%) (Figura 1).

Alla luce delle documentate anomalie della cinesi segmentaria si procedeva, nel sospetto di SCA-NSTEMI, ad esecuzione di angio-TC coronarica, che non mostrava lesioni coronariche, coerentemente con il dato anamnestico. La paziente proseguiva il monitoraggio in UTIC durante il quale si eseguivano prelievi seriati della TnI, con un andamento compatibile con quello di un IMA tipico (picco TnI 115.000 pg/ml) (Figura 2).

Figura 2

Veniva pertanto eseguita risonanza magnetica cardiaca (Figura 3 – FIGURA CHIAVE), che documentava esiti ischemici a carico dei territori vascolarizzati da arteria discendente anteriore e coronaria destra (coerentemente con il dato ecocardiografico). Si poneva pertanto diagnosi di specific MINOCA.

Rimaneva comunque aperta la questione riguardante la ragione e l’evento scatenante il MINOCA. Anamnesticamente, questo rappresentava il terzo evento coronarico per la paziente, al quale si doveva aggiungere l’evento tromboembolico pregresso. Inoltre risultava, oltre quello miocardico, anche interessamento a carico dell’aorta addominale e del parenchima polmonare. Alla luce della nota APS, si procedeva ad un dosaggio seriato degli anticorpi tipicamente associati alla patologia, che mostravano tutti valori criticamente sopra la soglia di riferimento.

Dato il quadro combinato di MINOCA, aortite addominale ed infiammazione del parenchima polmonare in corrispondenza di una documentata riattivazione del quadro autoimmune correlato con la malattia, veniva posta diagnosi di sindrome catastrofica da anticorpi antifosfolipidi (CAPS).

Figura 3

In seguito a valutazione reumatologica, si iniziava terapia con alte dosi di corticosteroidi e reintroduzione del VKA (range di INR prefissato 2,5-3,5). Nel corso della degenza si assisteva a recupero pressoché completo della cinesi distrettuale e scomparsa del quadro infiammatorio a carico dell’aorta addominale. Il decorso successivo intra-ospedaliero risultava libero da complicanze e la paziente veniva dimessa con indicazione a terapia cronica con corticosteroidi e VKA.

L’infarto miocardico a coronarie indenni (MINOCA) è una condizione clinica complessa, caratterizzata da elevazione dei marker di miocardionecrosi e sintomatologia compatibile con una sindrome coronarica acuta in assenza di lesioni coronariche (1). Rappresenta una diagnosi prevalentemente di esclusione e tutt’ora la sua definizione e il suo work-up diagnostico sono oggetto di costante revisione nelle più recenti linee guida (2). Nonostante spesso non sia facile raggiungere una diagnosi univoca, dietro ad un MINOCA può celarsi un quadro sindromico più complesso.

La CAPS è condizione piuttosto rara associata alla APS in cui la riattivazione del sistema immunitario provoca un coinvolgimento multisistemico, con la comparsa di eventi ischemici ed infiammatori polidistrettuali (3). Nell’ultimo consensus specifico (3), la sindrome viene definita dall’interessamento di almeno 3 organi diversi, dalla comparsa della sintomatologia in un arco di tempo inferiore ad una settimana e da un titolo anticorpale associato > 40 UI/L, in assenza di diagnosi alternative. I fenomeni causali tipicamente associati alla CAPS sono molteplici, ma fra essi risultano frequentemente associate la sospensione dei VKA, gli interventi chirurgici e le patologie dell’apparato pelvico.

In specifici quadri patologici ad altissimo rischio ischemico (quali l’APS), la sospensione dell’anticoagulante può rappresentare un pericoloso trigger per eventi cardiovascolari maggiori ed il bridging con l’eparina sotto cute (anche a dosaggi anticoagulanti), pur rappresentando una corretta strategia di diminuzione del rischio ischemico, potrebbe non essere sufficiente a garantire una significativa riduzione dello stesso (4).

Bibliografia:

1.         Ibanez B, James S, Agewall S, Antunes MJ, Bucciarelli-Ducci C, Bueno H, et al. 2017 ESC Guidelines for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation: The Task Force for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation of the European Society of Cardiology (ESC). European heart journal. 2018;39(2):119-77.

2.         Agewall S, Beltrame JF, Reynolds HR, Niessner A, Rosano G, Caforio AL, et al. ESC working group position paper on myocardial infarction with non-obstructive coronary arteries. European heart journal. 2017;38(3):143-53.

3.         Cervera R, Rodríguez-Pintó I, Colafrancesco S, Conti F, Valesini G, Rosário C, et al. 14th International Congress on Antiphospholipid Antibodies Task Force Report on Catastrophic Antiphospholipid Syndrome. Autoimmunity reviews. 2014;13(7):699-707.

4.         Baron TH, Kamath PS, McBane RD. Management of antithrombotic therapy in patients undergoing invasive procedures. The New England journal of medicine. 2013;368(22):2113-24.

Presentazione-standard2

Takotsubo syndrome in COVID-19 era: Is psychological distress the key?

First author: Lucia Barbieri

Division of Cardiology, ASST Santi Paolo e Carlo, Milan, Italy.

Commentary by Luca Allievi, MD, Department of Cardiology, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, University of Milan, Milan, Italy.

COVID-19 pandemic has radically changed our lives: the world has been completely overwhelmed by the fear of being infected, demonstrated by the significant decrease in the number of emergency department visits and cardiology procedures. The social isolation and quarantine contributed to the onset of pessimism, mental disorders and marked stress.

Stress is a risk factor for cardiovascular diseases. The relationship between Tako-Tsubo syndrome (TTS) and stressful events has been demonstrated by several studies, though the pathophysiology has not been completely understood yet. The decrease in cortisol and the increase in catecholamines has been associated with TTS.

During the COVID-19 pandemic (February to May 2020), Barbieri et al. detected a higher number of admissions for TTS compared to the same period of 2019 (11 vs. 3). Two patients were male, positive for COVID-19 and both unfortunately deceased. Six of the remaining women (all negative for COVID-19) underwent a psychological assessment, which consisted of the evaluation of allostatic overload, psychological distress, traumatic experiences and the fear of COVID-19 through questionnaires and scales (DCPR-R, HADS, IES-R, Fear COVID-19 scale, respectively). They reported a particularly stressful experience at IES-R in the last year, without presenting the symptoms of a post-traumatic stress disorder; in addition, all patients were positive about the allostatic overload. Therefore, subjects with pre-pandemic psychological distress may have experienced additional psychological overload with a series of physiological alterations (as the secretion of cortisol and catecholamines), making the subject more vulnerable to the onset of TTS.

This study suggests the existence of a relationship between psychological distress caused by the COVID-19 pandemic and TTS. Male patients are less likely to develop TTS, but the SARS-COV-2 infection may have triggered TTS by further increasing the pre-existing psychological distress; afterwards, COVID-19 infection and TTS certainly had a synergic effect in determining the poor prognosis in these patients.

For this reason, it would be important to relieve stress and anxiety among people, mainly through social media, which often have an opposite effect instead

Read more at https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33242703/

Un raro caso di massa sessile dell’arteria polmonare: dalla clinica all’imaging

Gianmarco Angelini, Laura Piscitelli

Dipartimento dell’Emergenza e dei trapianti d’organo (D.E.T.O), Università Degli Studi di Bari, Bari, Italia

ABSTRACT

Le masse a livello dell’arteria polmonare sono entità rare, che nella maggior parte dei casi possono entrare in diagnosi differenziale sia dal punto di vista clinico che di imaging con quadri di embolia polmonare.

Figura 1 (Figura principale). L’immagine mostra il TTE 2D in cui si osserva il tratto di efflusso del ventricolo destro lievemente dilatato con la massa isoecogena fissa all’interno.

CASO CLINICO

Uomo di 47 anni, fumatore, senza ulteriori fattori di rischio cardiovascolari, con familiarità per malattia neoplastica polmonare, si presentava presso il pronto soccorso del nostro Policlinico per dispnea da sforzo. Nell’ultimo periodo non aveva avuto nessun altro sintomo ed aveva goduto di buona salute. I parametri emodinamici erano stabili con FC 70 bpm, PA 140/90 mmHg e SpO2 95% in aria ambiente. L’esame obiettivo cardiaco e polmonare risultava nella norma. L’ECG documentava una deviazione assiale destra ed onde T alte nelle derivazioni precordiali. L’emogas mostrava un quadro di alcalosi respiratoria con lieve ipossiemia ed ipocapnia. Nel sospetto di embolia polmonare, il paziente veniva sottoposto ad un angio TC polmonare che evidenziava un difetto di riempimento di circa 22 mm di diametro all’origine dell’arteria polmonare determinante  stenosi di grado severo. Dopo l’inizio della terapia anticoagulante con Enoxaparina, l’ecocardiogramma transtoracico e transesofageo confermavano la presenza di una massa sessile fissa di 17×13 mm a livello del tratto di efflusso del ventricolo destro, appena prima della valvola polmonare, con gradiente massimo di 100 mmHg e gradiente medio di 68 mmHg. Il ventricolo destro risultava lievemente dilatato ed ipertrofico, con una lieve disfunzione ventricolare (Figure 1 e 2).

Figura 2. L’immagine mostra il TTE 3D che caratterizza meglio a livello volumetrico la massa sessile situata eccentricamente nel tratto di efflusso appena prima della valvola polmonare.

Per approfondire la natura della lesione, il paziente veniva sottoposto a risonanza magnetica cardiaca, che caratterizzava la massa come una vegetazione fibrosa di 13×53 mm localizzata accanto al lembo anteriore della valvola polmonare ed estesa fino alla biforcazione polmonare (Figura 3). Per l’elevato sospetto di natura neoplastica, il paziente veniva sottoposto a PET/TC con 18F-FDG che, inaspettatamente, documentava un intenso assorbimento di glucosio nel lobo superiore del polmonare sinistro, ma non della massa sessile. Il paziente veniva successivamente sottoposto ad un’angio TC polmonare di controllo , che mostrava persistenza della massa a livello dell’arteria polmonare, nonostante la terapia anticoagulante iniziata da circa due mesi.

L’angio TC polmonare, inoltre, documentava una neoformazione solida di circa 7 cm al lobo superiore del polmonare sinistro. Con tecnica eco-guidata, veniva eseguita una biopsia del parenchima polmonare interessato, il cui risultato evidenziava un sarcoma pleomorfo di alto grado. Dopo discussione collegiale con cardiochirurgo, oncologo e patologo, si decideva di soprassedere alla tipizzazione istologica della massa a livello dell’arteria polmonare per l’elevato rischio di complicanze intra e periprocedurali per il paziente, e si decideva di intraprendere terapia chemioterapica con Doxorubicina, Ifosfamide, Mesna in cicli di 3 settimane, fino ad un massimo di 6 cicli. Dopo circa 3 mesi, l’angio TC polmonare e la risonanza magnetica cardiaca non mostravano alcun cambiamento della massa a livello dell’arteria polmonare, ma documentavano un incremento delle dimensioni della massa polmonare (18 cm), e la comparsa di una nuova lesione a livello del lobo inferiore del polmonare destro. Pertanto, in considerazione della progressione di malattia, si decideva di passare ad un trattamento chemioterapico di seconda linea con Gemcitabina e Docetaxel in cicli di 3 settimane. Dopo 5 mesi, purtroppo, il paziente è deceduto al domicilio per insufficienza respiratoria acuta.

Figura 3. L’immagine mostra il TEE 2 D in asse corto a 30°. La massa sessile è situata nel tratto di efflusso del ventricolo destro.

DISCUSSIONE

A causa della rarità delle masse a livello dell’arteria polmonare, la diagnosi iniziale di questo paziente è stata erroneamente quella di embolia polmonare, ritardando il processo diagnostico-terapeutico. La particolarità di questo caso clinico, infatti, risiede proprio nella sfida della diagnosi differenziale tra embolia polmonare e masse a livello dell’arteria polmonare. La multimodalità nelle indagini diagnostiche di imaging ha aiutato a caratterizzare la massa a livello dell’arteria polmonare. La persistenza della massa all’angioTC di controllo nonostante i due mesi di terapia anticoagulante, insieme alla mancata captazione del glucosio alla PET/TC con 18-FDG, in contrasto con il sarcoma riscontrato a livello polmonare, ci hanno permesso di diagnosticare la natura benigna della massa a livello dell’arteria polmonare, con una improbabile relazione tra questa e la massa polmonare. La sede, la forma e la struttura, ci fanno propendere per un fibroelastoma sessile, un tumore benigno cardiaco, che può essere pericoloso a causa del rischio di embolizzazione periferica. Alcune ipotesi plausibili includono anche una reazione fibroelastica alla neoplasia polmonare (sindrome paraneoplastica). Una diagnosi istologica della lesione avrebbe portato alla diagnosi definitiva ma sarebbe stata troppo pericolosa per il paziente.

Figura 4. L’immagine mostra la risonanza magnetica cardiaca in cui si evidenzia la massa adesa al tratto di efflusso del ventricolo destro, con un segnale omogeneo ipointenso.

CONCLUSIONI

I tumori dell’arteria polmonare per la loro bassa incidenza e per la loro presentazione clinica, possono essere facilmente scambiati per processi tromboembolici. In questi casi risulta essenziale il ruolo dell’imaging multimodale nella diagnosi e di un team multidisciplinare nella gestione clinica-terapeutica.

Bibliografia:

  • Kahlbau H, Antunes HT, Rodrigues I, Carvalho R, Fragata J. Pulmonary artery sarcoma masquerading as subchronic pulmonary thromboembolism. J Card Surg 2016;31:529–530;
  • Chen P-W, Liu P-Y. Pulmonary artery sarcoma mimicking pulmonary embolism. BMJ Case Rep 2018;2018:bcr2018226999;
  • George JC, Tang A, Markowitz A, Gilkeson R, Hoit BD. Papillary fibroelastoma of the pulmonic valve: evaluation by echocardiography and magnetic resonance imaging. Echocardiography 2008;25:433–435.
myocardial workflow

Non-invasive myocardial work is reduced during transient acute coronary occlusion

Commento di Isabella Leo, Università Magna Graecia, Catanzaro

È noto come la tempestività nella diagnosi di ischemia miocardica acuta abbia delle ripercussioni rilevanti dal punto di vista prognostico e terapeutico. A tal riguardo, le alterazioni ecocardiografiche rappresentano uno degli eventi più precoci della cascata ischemica [1], rendendo tale esame cruciale nella valutazione di tali pazienti. L’ecocardiografia nel setting acuto è sicuramente incentrata sulla valutazione della motilità regionale dei vari segmenti miocardici; tale assessment qualitativo ha tuttavia delle ben note limitazioni e non sempre è in grado di riconoscere correttamente segni indiretti di ischemia [2]. Recentemente, la speckle tracking echocardiography (STE) ha dimostrato di discriminare con buona accuratezza aree di disfunzione ventricolare, pur avendo come limite la dipendenza dalle condizioni di carico [4]. La stima non-invasiva del Myocardial Work (MW) si propone di superare questo limite implementando le informazioni ottenute dall’ analisi strain con i valori di pressione endoventricolare, stimati a partire dal valore di pressione arteriosa periferica e dal timing degli eventi valvolari [4].

Questo lavoro ha valutato gli effetti sulla funzione ventricolare dell’occlusione coronarica acuta transitoria (TACO), ottenuta mediante gonfiaggio di catetere a palloncino per 60 secondi, su 50 pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica. I valori di MW Index (MWI) di Myocardial Constructive Work (MCW) e di MW Efficiency (MWE) si riducevano in maniera significativa durante TACO (p < 0.001 per MWI, MCW e MWE) e tornavano ai valori basali dopo riperfusione. I valori di Myocardial Wasted Work (MWW) aumentavano invece significativamente durante TACO (p=0.03). Inoltre, all’ analisi regionale il MWE si riduceva significativamente nelle aree a rischio ischemico (IRA) rispetto a quelle non a rischio con una performance diagnostica valutata mediante curve ROC che mostrava un’area under the curve (AUC) maggiore (AUC = 0.835, p<0.001) rispetto al Post Systolic Index regionale (PSI) (AUC = 0.792, p<0.001) ed al Longitudinal Strain (LS) segmentale (AUC = 0.803, p<0.001).

I risultati di questo studio dimostrano dunque l’affidabilità della valutazione non-invasiva del MW nell’identificare variazioni della performance cardiaca durante TACO. 

Bibliografia

  1. Nesto RW, K. G. (1987, Mar 9). The ischemic cascade: temporal sequence of hemodynamic, electrocardiographic and symptomatic expressions of ischemia. Am J Cardiol. , p. 59(7):23C-30C.
  2. Kvitting J-PE, Wigstro¨m L, Strotmann JM, Sutherland GR. How Accurate Is Visual Assessment of Synchronicity in Myocardial Motion? An In Vitro Study with Computer-Simulated Regional Delay in Myocardial Motion: Clinical Implications for Rest and Stress Echocardiography Studies. Journal of the American Society of Echocardiography. 1999; 12(9):698–705.
  3. Choi J-O, Cho SW, Song YB, Cho SJ, Song BG, Lee S-C, et al. Longitudinal 2D strain at rest predicts the presence of left main and three vessel coronary artery disease in patients without regional wall motion abnormality. European Journal of Echocardiography. 2009; 10(5):695–701
  4. Russell K, Eriksen M, Aaberge L, Wilhelmsen N, Skulstad H, Remme EW, et al. A novel clinical method for quantification of regional left ventricular pressure–strain loop area: a non-invasive index of myocardialwork. European Heart Journal, 2012.

Read More:https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33370359/

Aortite e cardiopatia ipocinetica da possibile malattia IgG4 correlata

Domenico Filomena MD, Giulio Montefusco MD, Francesca Fanisio MD, Giorgio Scarcella MD, Luciano Agati MD, Francesco Fedele MD

Dipartimento di Scienze Cliniche Internistiche, Anestesiologiche e Cardiovascolari, “Sapienza” Università di Roma, A.O.U. Policlinico Umberto I, Roma 

Abstract La malattia IgG4-correlata è un processo fibro-infiammatorio che può colpire diversi organi, dalle ghiandole salivari al pancreas, dai vasi linfatici a quelli sanguigni. Si presenta spesso con una sintomatologia atipica e per questo è di difficile inquadramento diagnostico. Riportiamo un caso di possibile malattia IgG4-correlata manifestatasi con aortite, multiple lesioni ulcerative aortiche e cardiopatia ipocinetica non ischemica. Il paziente è stato trattato con successo con metil-prednisolone con conseguente miglioramento del quadro clinico e strumentale.

Background La malattia IgG4-correlata è una patologia sistemica, immunomediata, a coinvolgimento multiorgano. Può mimare diverse patologie infettive e condizioni infiammatorie notevolmente differenti tra di loro. Il coinvolgimento aortico è talvolta complicato da dilatazione e/o aneurismi infiammatori. Il coinvolgimento cardiaco è una possibile e rara manifestazione della malattia da IgG4. Per l’eterogeneità delle sue manifestazioni, è necessario integrare dati clinici, laboratoristici, strumentali ed istopatologici per una diagnosi definitiva.

Case report Un uomo di 50 anni accedeva al pronto soccorso per intenso dolore interscapolare a riposo. 

In anamnesi riferiva: ex abitudine tabagica, emicrania con aurea, episodio di encefalite in età pediatrica, pregressi episodi ricorrenti di Herpes oculare, interventi di timpanoplastica e ernioplastica inguinale. Non assumeva terapia domiciliare.

Il paziente si presentava con febbre (temperatura 37.8°C), la PA era 110/65 mmHg, FC 90 bpm, spO2 96% (FiO2 0.21). L’esame obiettivo cardiovascolare risultava nei limiti; i polsi periferici erano presenti, validi e isosfigmici. Gli esami ematochimici mostravano anemia ipocromica microcitica, trombocitosi, lieve aumento delle transaminasi e significativo incremento della proteina C reattiva (110 mg/L, con v.n. < 5 mg/L). La radiografia del torace e l’elettrocardiogramma erano nei limiti della norma. All’ecocardiogramma si documentava ectasia dell’aorta ascendente ed iperecogenicità delle sue pareti. Il ventricolo sinistro era di dimensioni, spessori parietali nei limiti della norma. La funzione sistolica globale era moderatamente ridotta (frazione di eiezione 40%) con globale ipocinesia. Il paziente, peraltro asintomatico, veniva sottoposto a trattamento con beta-bloccante ed ACE-inibitore.

Per la persistenza dell’intenso dolore interscapolare, per escludere una dissezione aortica il paziente è stato sottoposto a TC torace-addome con mezzo di contrasto. L’esame documentava un diffuso ispessimento parietale dell’aorta toraco-addominale (massimo 6 mm), esteso sino in sede sotto-renale e una formazione a margini lobulati nel ventaglio mesenteriale. Non rilevando flap intimali né falso lume veniva esclusa la presenza di dissezione aortica. Al contrario, per il diffuso ispessimento parietale aortico, veniva posto il sospetto di un processo flogistico a carico del vaso. Dopo una settimana per monitorare l’evoluzione del processo infiammatorio, veniva ripetuta TC con mdc di controllo che mostrava ulteriore incremento dell’ispessimento parietale aortico (massimo 12 mm) con enhancement periferico. Venivano inoltre riscontrate multiple immagini riferibili ad ulcere parietali penetranti. Tali reperti venivano confermati con angio-RMN. La formazione polilobulariforme in corrispondenza della radice del mesentere risultava di dimensioni massime 7 cm, iperintensa in T2, senza potenziamento post-contrastografico.

Una risonanza magnetica cardiaca confermava la presenza di una cardiopatia ipocinetica con moderata riduzione della funzione sistolica del ventricolo sinistro (FE 37%) senza edema, né potenziamento patologico dopo mezzo di contrasto. Tuttavia, i valori di T1 mapping risultavano significativamente aumentati come da fibrosi miocardica diffusa.

Una TC delle coronarie documentava l’assenza di placche di significato emodinamico a carico del circolo coronarico.

Per la definizione eziologica del processo flogistico aortico e della cardiopatia ipocinetica associata venivano eseguiti accertamenti infettivologici e immunologici. L’esito degli esami mostrava solo un significativo aumento della sottoclasse di immunoglobuline IgG4 pari a 253 mg/dl (v.n. < 86 mg/dl). Obiettivamente non erano state riscontrate lesioni ulcerative a carico del cavo orale né dei genitali esterni compatibili con la diagnosi di malattia di Behçet né dolore o dolorabilità nella regione dell’arteria temporale da riferire a arterite di Horton. Venivano inoltre eseguite tipizzazione HLA B51 e B27, risultate negative, ed ecografia delle arterie temporali che risultava nei limiti.

In considerazione dell’ispessimento e del potenziamento post-contrastografico delle pareti aortiche con multiple lesioni ulcerative suggestivi di aortite, della lesione polilobulariforme mesenteriale compatibile con lesione infiammatoria pseudotumorale, dei valori significativamente aumentati di IgG4 e dell’assenza di criteri diagnostici per altre vasculiti specifiche, veniva posta la diagnosi di possibile malattia IgG4-correlata. La conferma diagnostica mediante biopsia non è stata possibile per l’impossibilità tecnica di ottenere materiale bioptico degli organi coinvolti.

Veniva impostata terapia con metilprednisolone e nei giorni seguenti si assisteva a negativizzazione degli indici di flogosi e significativa riduzione dell’ispessimento parietale aortico alla TC di controllo.

Al follow-up il paziente era asintomatico. Gli indici di flogosi risultavano negativi. Una TC-PET non documentava la presenza di lesioni captanti il tracciante. Ha eseguito angio-RMN seriate che documentavano progressiva riduzione dell’ispessimento parietale aortico e riduzione delle dimensioni delle lesioni ulcerative. Gli ecocardiogrammi seriati hanno documentato una stabilità della funzione sistolica del ventricolo di sinistra. Il paziente è rimasto in terapia corticosteroidea a bassi dosaggi per il controllo della patologia vasculitica.

Discussione e conclusioni La malattia IgG4-correlata è una complessa patologia multiorgano, immunomediata, caratterizzata da infiltrazione linfoplasmacellulare e fibrosi tissutale. Le sue manifestazioni cliniche sono molteplici e dipendono dall’organo target del processo infiammatorio e fibrosante. La più frequente manifestazione cardiovascolare è l’aortite/peri-aortite ma è stato anche descritto il coinvolgimento delle coronarie, delle valvole e del pericardio. Il coinvolgimento diretto del miocardio con infiammazione e/o fibrosi è stato raramente descritto.

Nella pratica clinica il riscontro radiologico di ispessimento delle pareti aortiche con potenziamento post contrastografico deve far porre il sospetto diagnostico di aortite. La diagnosi differenziale è complessa e deve includere patologie infettive (aortite luetica, S. aureus, S.pneumoniae, Salmonella spp., Mycobacterium spp.), disturbi autoimmunitari (arterite di Takayasu, arterite giganto-cellulare, artrite reumatoide, malattia di Behçet, sindrome di Cogan, artriti sieronegative HLA B27 correlate, vasculiti ANCA-associate), sarcoidosi, neoplasie, aortite isolata, aneurismi aterosclerotici ed esiti di dissezione aortica.

Bibliografia

  1. Kamisawa T, Zen Y, Pillai S, Stone JH. IgG4-related disease. Lancet. 2015 Apr 11;385(9976):1460-71. doi: 10.1016/S0140-6736(14)60720-0. Epub 2014 Dec 4. PMID: 25481618.
  2. Nikiphorou E, Galloway J, Fragoulis GE. Overview of IgG4-related aortitis and periaortitis. A decade since their first description. Autoimmun Rev. 2020 Dec;19(12):102694. doi: 10.1016/j.autrev.2020.102694. Epub 2020 Oct 22. PMID: 33121641.
  3. Mavrogeni S, Markousis-Mavrogenis G, Kolovou G. IgG4-related cardiovascular disease. The emerging role of cardiovascular imaging. Eur J Radiol 2017;86: 169–75. https://doi.org/10.1016/j.ejrad.2016.11.012.

Figura 1 (Figura chiave) Tomografia computerizzata toraco-addominale con mezzo di contrasto che mostra ispessimento delle pareti aortiche (freccia) e ulcere parietali penetranti (testa di freccia).

Figura 2 Ricostruzione tridimensionale mediante risonanza magnetica dell’aorta che documenta la presenza di multiple ulcere penetranti (freccia)

Figura 3 Risonanza magnetica cardiaca che documenta assenza di edema e di potenziamento post-contrastografico patologico (A1: asse corto T2 pesata, A2: asse corto T1 pesata post-contrasto, B1: asse lungo 2 camere T2 pesata, B2: asse lungo 2 camere T1 pesata post-contrasto).

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Very short vs. long dual antiplatelet therapy after second generation drug-eluting stents in 35785 patients undergoing percutaneous coronary interventions: a meta-analysis of randomized controlled trials

A cura di Roberta Lotti, Università degli studi di Genova

L’utilizzo della duplice terapia antiaggregante nei pazienti affetti da sindrome coronarica, sia acuta sia cronica, presenta ancora numerose controversie: tra queste, l’efficacia e la sicurezza di un trattamento estremamente breve rispetto al “tradizionale” trattamento prolungato per 12 mesi. Infatti, una duplice antiaggregazione di lunga durata garantirebbe una più solida protezione dal rischio ischemico, tuttavia a prezzo di un aumento del rischio di sanguinamento, mentre, al contrario, una duplice antiaggregazione di breve durata risulterebbe più sicura dal punto di vista emorragico offrendo, però, una minor efficacia sul rischio ischemico. Tale problema è anche maggiormente amplificato quando ci troviamo a gestire pazienti affetti da concomitanti comorbilità che comportano un elevato rischio di sanguinamento.

Questa interessante meta-analisi ha confrontato una strategia di lunga durata (12 mesi) contro una strategia di durata molto breve (1 o 3 mesi) in  35 785 pazienti provenienti da trials clinici randomizzati e dimostra come l’utilizzo di una duplice antiaggregrazione molto breve sia comparabile all’utilizzo di una duplice antiaggregazione tradizionale in termini di efficacia sul rischio ischemico. Inoltre, il trattamento breve si associa ad una significativa riduzione degli eventi emorragici in confronto al trattamento prolungato. Tutto ciò sembra dunque supportare la fattibilità e la sicurezza di una duplice antiaggregrazione di breve durata. Per saperne di più leggete l’articolo completo!

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