Impiego preventivo del Levosimendan come Bridging-Therapy alla correzione chirurgica del difetto interventricolare post-infartuale: descrizione di un caso clinico

Pellegrino Ciampi, Massimiliano Camilli, Daniela Pedicino, Alessia D’Aiello, Tommaso Sanna, Massimo Massetti, Filippo Crea, Giovanna Liuzzo

Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Roma, Italia

Figura 1. Immagine ecocardiografica di DIV apicale con multipli jets al Color Doppler, determinante significativo shunt sinistro-destro (Qp/Qs 2.2)

Abstract:

Paziente di 78 anni che accedeva in Pronto Soccorso per STEMI anteriore, trattato efficacemente mediante angioplastica percutanea dell’arteria discendente anteriore. L’ecocardiogramma post-procedura mostrava la presenza di un difetto interventricolare para-apicale con significativo shunt sinistro-destro. Dopo posizionamento di contropulsatore aortico, il caso veniva collegialmente discusso in sede di Heart Team e si decideva, vista la stabilità del quadro clinico, di procrastinare l’intervento chirurgico per favorire la cicatrizzazione del tessuto miocardico. Un’infusione endovenosa di Levosimendan veniva iniziata con progressivo recupero della funzione contrattile biventricolare. In nona giornata, l’intervento cardiochirurgico veniva eseguito con successo.

L’impiego precoce del Levosimendan potrebbe rappresentare una valida strategia farmacologica come terapia di supporto nei pazienti con DIV post-infartuale in attesa di riparazione chirurgica.

Caso clinico:

Uomo di 78 anni, iperteso, dislipidemico, che accedeva in Pronto Soccorso per dolore toracico tipico e dispnea ingravescente. All’esame obiettivo, il paziente si presentava emodinamicamente stabile, con pressione arteriosa di 100/60 mmHg, frequenza cardiaca di 90 bpm, toni cardiaci netti con soffio sistolico 2/6 in mesocardio, saturazione arteriosa di ossigeno del 90% in aria ambiente, tachipnea e lievi crepitii tele-inspiratori bilaterali medio-basali.

Figura 2. DIV apicale con multipli jets al Color Doppler, determinante significativo shunt sinistro-destro (Qp/Qs 2.2)

L’ECG mostrava ritmo sinusale con marcato sopraslivellamento del tratto ST in sede antero-laterale. L’ecocardioscopia evidenziava significativa disfunzione contrattile del ventricolo sinistro (FE 37%), con estesa acinesia in sede setto-apicale ed ipocinesia delle pareti anteriore ed antero-laterale media, lieve disfunzione contrattile globale del ventricolo destro (TAPSE 15 mm, RV-FAC 33%) e moderata insufficienza tricuspidale. Veniva posta diagnosi di STEMI anteriore e, dopo premedicazione con Flectadol 250 mg, Ticagrelor 180 mg ed Eparina non frazionata 5000 UI, si eseguiva studio coronarografico, che documentava stenosi subocclusiva del tratto prossimale della discendente anteriore. Si procedeva quindi a rivascolarizzazione coronarica mediante impianto di stent medicato, con ripristino di flusso TIMI 3.

Durante il ricovero in Unità di Terapia Intensiva Cardiologica il paziente rimaneva asintomatico ed emodinamicamente stabile fino al giorno successivo, quando lamentava dolore epigastrico, in assenza di ulteriori modifiche del tracciato elettrocardiografico, ma con evidenza di tachicardia, ipotensione e lieve incremento dei lattati all’emogasanalisi arteriosa (3.5 mmol/L). L’ecocardiogramma rivelava la presenza di un difetto interventricolare (DIV) in sede para-apicale con multipli jets al Color Doppler (Figura 1, Figura 2), determinante significativo shunt sinistro-destro (Qp/Qs 2.2), significativa disfunzione contrattile del ventricolo destro (TAPSE 12 mm, RV-FAC 25%) e insufficienza tricuspidale severa.

Il paziente veniva rapidamente condotto in sala di emodinamica per il posizionamento di contropulsatore aortico. Al fine di ottenere una migliore caratterizzazione morfologica della lesione, veniva eseguita una cardio-TC che mostrava la presenza di un complesso difetto del setto interventricolare, ampio (24×22 mm), con aspetto irregolare, che escludeva la possibilità di riparazione percutanea (Figura 3).

Figura 3. Cardio-TC con evidenza di ampio DIV (24×22 mm) con aspetto irregolare e complesso

Il caso veniva collegialmente discusso in sede di Heart Team: in considerazione del profilo emodinamico del paziente e della stabilità del quadro clinico, si decideva di differire l’intervento cardiochirurgico e di adottare una strategia di “watchful waiting” allo scopo di guadagnare tempo per favorire la cicatrizzazione del tessuto miocardico ed accrescere la probabilità di successo della riparazione chirurgica.

Il Ticagrelor veniva sospeso e veniva iniziata una infusione continua di Tirofiban come terapia terapia anti-aggregante ponte.

In considerazione dei noti effetti del Levosimendan sulla funzione ventricolare destra e sulle pressioni polmonari, e visto il quadro clinico ed ecocardiografico del paziente, veniva iniziata la somministrazione di tale farmaco mediante infusione endovenosa continua senza bolo (dose iniziale 0.05 γ/kg/min titolato fino a 0.1 γ/kg/min per 48 ore), senza ipotensione, con progressivo miglioramento della performance bi-ventricolare, riduzione dei segni ecocardiografici di disfunzione ventricolare destra e ripristino di normali valori di pressione arteriosa media.

In nona giornata, veniva eseguito con successo l’intervento chirurgico di riparazione del DIV mediante patch di pericardio eterologo e anuloplastica modificata secondo De Vega. Il contropulsatore aortico veniva rimosso in terza giornata post-operatoria, senza complicanze. L’ecocardiogramma post-procedura evidenziava l’integrità del patch pericardico in assenza di shunt residui, lieve disfunzione contrattile del ventricolo sinistro (FE 43%), lieve disfunzione del ventricolo destro (TAPSE 14 mm, RV-FAC 32%) ed insufficienza tricuspidale trascurabile.

In quindicesima giornata, il paziente veniva dimesso dalla terapia intensiva cardiochirurgica e trasferito nel reparto di riabilitazione cardiologica in buone condizioni cliniche generali.

Conclusioni:

Il difetto del setto interventricolare post-infartuale è una rara ma temibile complicanza dell’infarto miocardico acuto, gravata da un elevato tasso di mortalità perioperatoria. Il timing della riparazione chirurgica rappresenta il maggior determinante della prognosi del paziente, ma la precisa finestra temporale in cui eseguire l’intervento rappresenta ancora una questione irrisolta. Le linee guida suggeriscono il posizionamento di contropulsatore aortico (classe di evidenza IIa C) e i dati a disposizione dimostrano che l’approccio chirurgico differito nel tempo potrebbe rappresentare la strategia terapeutica più opportuna.

Tuttavia, la terapia farmacologica più adeguata durante il periodo di “watchful waiting” non è mai stata propriamente indagata. Il Levosimendan è un farmaco calcio-sensibilizzante ad azione inotropa positiva e vasodilatatrice periferica, il cui impiego è stato ampiamente descritto nella gestione dello shock cardiogeno, ma non nello stadio precoce dello scompenso cardiaco acuto. In questo specifico scenario clinico, l’uso preventivo del Levosimendan come bridging therapy ha contribuito a supportare il paziente in una fase critica, riducendo lo shunt sinistro-destro attraverso tre meccanismi emodinamici: 1) inotropismo positivo con aumento della gittata sistolica del ventricolo sinistro; 2) diminuzione del postcarico attraverso la riduzione delle resistenze vascolari periferiche; 3) incremento dell’accoppiamento ventricolo arterioso destro mediante la combinazione di aumentata contrattilità ventricolare destra e riduzione delle resistenze vascolari polmonari e delle pressioni polmonari, che costituiscono un importante fattore prognostico in ambito cardiochirurgico. Inoltre, il profilo farmacocinetico del Levosimendan ha contribuito a mantenere nel tempo il suo effetto emodinamico, consentendo lo svezzamento precoce dal contropulsatore aortico.

Pertanto, l’utilizzo profilattico del Levosimendan in aggiunta al supporto meccanico del contropulsatore aortico potrebbe rappresentare una valida scelta terapeutica nei pazienti con DIV post-infartuale candidati a correzione chirurgica.

Video. DIV apicale con multipli jets al Color Doppler, determinante significativo shunt sinistro-destro (Qp/Qs 2.2)

FFRandAge modificato

Impact of aging on the effects of intracoronary adenosine, peak hyperemia and its duration during fractional flow reserve assessment

First author: Monica Verdoia

Division of Cardiology, Department of Translational Medicine, Azienda Ospedaliera-Universitaria ‘Maggiore della Carità’, Eastern Piedmont University, Novara, Italy;

Department of Cardiology, UMC St Radboud, Nijmegen Division of Cardiology, Department of Cardiology, ISALA Hospital, Zwolle, The Netherlands.

La valutazione funzionale mediante FFR (fractional flow reserve) rappresenta oggi il gold standard per lo studio delle stenosi coronariche di grado intermedio, in assenza di evidenza di ischemia nei test non invasivi (1). Il ruolo dell’FFR risulta importante anche nel selezionare le lesioni su cui eseguire PCI nel contesto di una coronaropatia multivasale (2), sia nei pazienti con malattia coronarica cronica che nel contesto della sindrome coronarica acuta, dove la rivascolarizzazione FFR-guidata delle lesioni “non-culprit” è superiore alla sola terapia medica ottimizzata (3).

Tale metodica è davvero così precisa o esistono delle condizioni che possono influenzarne i risultati? Purtroppo, esistono fattori clinici e angiografici che possono influenzare le misurazioni FFR. Tra questi, uno dei più comuni, ma forse meno indagati è rappresentato dall’invecchiamento, in quanto l’età avanzata si associa ad alterazioni micro e macrovascolari ed a disfunzione endoteliale, più elevate pressioni telediastoliche ed una perdita della risposta vasodilatatoria, condizioni che possono ridurre il gradiente pressorio attraverso una stenosi coronarica e determinare valori più elevati alla misurazione FFR, rischiando quindi di sottostimare la rilevanza di una stenosi (4).

Il presente lavoro rappresenta uno dei primi studi in cui è stato valutato il ruolo dell’invecchiamento nelle misurazioni FFR in 276 pazienti con lesioni coronariche intermedie (40-70% all’angiografia). Nei pazienti con più di 70 anni sono stati osservati valori FFR più elevati e una ridotta risposta all’adenosina, con una minore durata dell’iperemia indotta dopo boli crescenti di adenosina rispetto ai pazienti più giovani. Pertanto, questa popolazione più anziana, che rappresenta quella più frequentemente osservata nei nostri laboratori di Emodinamica, rappresenta ancora una sfida, in quanto a rischio di incorrere in misurazioni FFR falsamente negative. Tuttavia, il nostro lavoro non ha valutato l’impatto prognostico di tale risultato. Pertanto, ulteriori studi sarebbero necessari per definire l’impatto della sottostima dell’FFR sul rischio di eventi cardiovascolari negli anziani e per identificare strategie alternative per la valutazione funzionale delle stenosi coronariche, con particolare attenzione alle metodiche adenosina-indipendenti.

1)Neumann F-J, Sousa-Uva M, Ahlsson A, Alfonso F, Banning AP, Benedetto U, et al. 2018 ESC/EACTS Guidelines on myocardial revascularization. Eur Heart J. 2018 Aug 25.

2) Tonino PA, De Bruyne B, Pijls NH, Siebert U, Ikeno F, van’ t Veer M, Klauss V, Manoharan G, Engstrom T, Oldroyd KG, Ver Lee PN, MacCarthy PA, Fearon WF; FAME Study Investigators. Fractional flow reserve versus angiography for guiding percutaneous coronary intervention. N Engl J Med 2009; 360:213–224.

3) De Bruyne B, Pijls NH, Kalesan B, Barbato E, Tonino PA, Piroth Z, Jagic N, Mobius-Winkler S, Rioufol G, Witt N, Kala P, MacCarthy P, Engstrom T, Oldroyd KG, Mavromatis K, Manoharan G, Verlee P, Frobert O, Curzen N, Johnson JB, Juni P, Fearon WF; FAME 2 Trial Investigators. Fractional flow reserve-guided PCI versus medical therapy in stable coronary disease. N Engl J Med 2012; 367:991–1001.

4) XiongjieJin, Hong-Seok Lim, Seung-JeaTahk, Hyoung-Mo Yang, Myeong-Ho Yoon, So-Yeon Choi, et al. Impact of Age on the Functional Significance of Intermediate Epicardial Artery Disease. Circ J 2016; 80; 1583 -1589.

Commento di Rocco Gioscia, Università del Piemonte Orientale, Novara

Read More: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33471468/

Patients with acute myocardial infarction and non-obstructive coronary arteries: safety and prognostic relevance of invasive coronary provocative tests

First Author: Rocco A. Montone

Department of Cardiovascular and Thoracic Sciences, Catholic University of the Sacred Heart, L.go A. Gemelli, 8, 00168 Rome, Italy.

Le alterazioni funzionali delle coronarie, sia a livello epicardico che microvascolare, svolgono un ruolo importante nel determinare ischemia miocardica. I test provocativi con acetilcolina o ergonovina intracoronarica sono molto utili per diagnosticare la presenza di alterazioni della vasomotilità coronarica. In questo lavoro abbiamo valutato la safety e il valore prognostico dei test provocativi nei pazienti con infarto miocardico acuto e coronarie non ostruite (MINOCA).

Abbiamo dimostrato come il tasso di complicanze dei test provocativi nel contesto acuto sia sovrapponibile a quelle dei pazienti con sindrome coronariche croniche. Inoltre, la presenza di un test provocativo positivo si associava ad una prognosi peggiore sia in termini di hard endpoint (mortalità generale, morte cardiovascolare, ricorrenza di ACS) che in termini di qualità di vita (SAQ score). Nei pazienti con test provocativo positivo, la sospensione o la riduzione del dosaggio di ca-antagonisti al follow up si associava ad un aumento del numero di eventi cardiovascolari.

Read More: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29228159/

Vitamin D deficiency is independently associated with the extent of coronary artery disease

First Author: Monica Verdoia

Division of Cardiology, Azienda Ospedaliera-Universitaria “Maggiore della Carità”, Eastern Piedmont University, Novara, Italy.

Commentary on: Vitamin D deficiency is independently associated with the extent of coronary artery disease

By Ilaria Coccia, Policlinico Tor Vergata, Roma

Vitamin D is a secosteroid hormone, well known for its role in calcium and phosphate metabolism and bone health homeostasis. In the last decades, a stronger evidence about the correlation between vitamin D and coronary artery disease (CAD) is spreading in the Scientific Community. This is the first large study to investigate the relationship between vitamin D levels and the extent of CAD.

Some studies showed that the binding of vitamin D to vitamin D receptor (VDR) regulates numerous genes involved in cell proliferation and differentiation, apoptosis, oxidative stress, membrane transport, matrix homeostasis and cell adhesion. Merke et al. demonstrated the presence of VDR in bovine aortic endothelial cells and in human dermal capillaries and Norman and J.T. Powell discovered a real vitamin D micro-endocrine system in the cardiovascular cells.

These discoveries opened the way to further studies about the connection between Vitamin D levels and myocardial infarction. Vitamin D may modulate the pathogenesis of atherosclerosis influencing the immune system: on the one hand it increases the expression of anti-inflammatory cytokines such as IL-10 and on the other hand it decreases the expression of pro-inflammatory molecules, it suppresses TH1 and TH17 cells favouring the differentiation of Treg and TH2 cells.[59] Both 1,25(OH2) D and 25(OH)D inhibit the production of tumour-necrosis factor-α (TNFα) and IL- 6 by targeting monocyte/macrophage mitogen-activated protein kinase phosphatase-1. This is highly relevant to atherosclerosis given that cytotoxic T cells and leukocytes’ enzymes, as matrix metalloproteinase 9 (MMP-9), promote the vulnerability of the plaque.

Vitamin D also plays a role in vascular calcification, a multifactorial process with deep clinical implications. In addition to this everal papers have reported a relationship between vitamin D levels and Hypertension, describing Vitamin D as a negative regulator of the renin-angiotensin-aldosterone system (RAAS) in VDR knockout models.

Verdoia et al. enrolled 1484 patients undergoing elective angiography in a cross-sectional study. Hypovitaminosis D was observed in 70.4 % of them. Patients were divided into vitamin D tertiles (<9.6;9.6-18.4;18.4) and after a data adjustment for baseline characteristics (age, gender, renal failure, smoking, acute presentation, calcium antagonists, diuretics, beta-blockers, statins, haemoglobin, platelet count, total and LDL cholesterol, triglycerides), the association between vitamin D levels and CAD reached a statistical significance (adjusted OR [95%CI] = 1.32[1.1–1.6], P = 0004). Moreover, vitamin D levels were significantly lower in patients with severe CAD (adjusted OR[95% CI] = 1.73[1.18–2.52], P = 0005), and especially for patients with vitamin D values < 10 ng/mL, that should be regarded as those at higher potential cardiovascular risk. In addition, Verdoia et al. identified a significant association between vitamin D and major risk factors, finding that vitamin D is directly related to haemoglobin levels (P < 0001) and inversely to platelet count (P = 0002), total and low-density-lipoprotein (LDL) cholesterol (P = 0002 and P < 0001, respectively) and triglycerides (P = 001).

However, despite this clinical evidence, contrasting results have been reported with cholecalciferol supplementation in cardiovascular prevention and further studis are nedeed to establish if vitamin D could be used in the prevention and therapy of CAD.

Read more: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29656938/

Effects of glucagon-like peptide-1 receptor agonists on major cardiovascular events in patients with Type 2 diabetes mellitus with or without established cardiovascular disease: a meta-analysis of randomized controlled trials

First Authors: Fabio Marsico and Stefania Paolillo

Department of Advanced Biomedical Sciences, University of Naples Federico II, Via Pansini, 5, I-80131 Naples, Italy.

Glucagon-like peptide-1 (GLP-1) receptor agonists are recommended by European guidelines as first choice in diabetic patients with known cardiovascular (CV) disease or at high CV risk, or as second choice in patients already taking metformin. RCTs reported inconsistent effects on myocardial infarction (MI) and stroke, and limited data in diabetic patients without established CV disease are available. In this trial-level meta-analysis, we analyzed data from randomized placebo-controlled CVOTs assessing efficacy and safety of GLP-1 receptor agonists in type 2 diabetic subjects, including an overall of 56.004 patients. We observed that in the entire population GLP-1 receptor agonists significantly reduced by 12% the risk of major adverse CV events (MACE) (HR 0.88, 95% CI 0.80–0.96) together with a significant reduction in the risk of CV mortality (HR 0.88, 95% CI 0.79–0.98), all-cause mortality (HR 0.89, 95% CI 0.81–0.97), fatal and non-fatal stroke (HR 0.84, 95% CI 0.76–0.94), and heart failure hospitalization (HR 0.92, 95% CI 0.86–0.97). No significant effect was detected for MI (fatal and non-fatal). Interestingly, no differences in efficacy on MACE were found between patients with established CV disease and patients with CV risk factors only (HR 1.06, 95% CI 0.85–1.34) (secondary vs. primary CV prevention). These data sustain the recent ESC/EASD recommendations, providing a strong support to a favorable protective effect of GLP-1 receptor agonists at earlier stages of the CV disease course in diabetic patients.

Read More: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29228159/

Out-of-Hospital Cardiac Arrest during the Covid-19 Outbreak in Italy

First Author: Enrico Baldi

Department of Molecular Medicine, Section of Cardiology, University of Pavia, Pavia, Italy; Cardiac Intensive Care Unit, Arrhythmia and Electrophysiology and Experimental Cardiology, Italy.

Dramatic spike in out-of-hospital cardiac arrest incidence in an highly affected region (Lombardy, northern Italy) during the first 40 days of COVID-19 pandemic

Podcast

Read more: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32348640/

You Don’t Have To Be A Big Corporation To Start It

Yet I feel that I never was a greater artist than now. When, while the lovely valley teems with vapour around me, and the meridian sun strikes the upper surface of the impenetrable foliage of my trees, and but a few stray gleams steal into the inner sanctuary.