La verità è spesso ciò che non appare: un caso di tachicardia atriale focale che mima una recidiva di flutter atriale tipico comune

Luca Barca1, Giuseppe Mascia2, Paolo Sartori2, Daniele Bianco2, Paolo Archetti1, Sofia Hassan1, Paolo Di Donna2, Italo Porto1,2

1 Department of Cardiology, Department of Internal Medicine, University of Genoa, Italy.
2 Department of Cardiology, Cardiovascular Disease Unit, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova, Italy.

ABSTRACT
L’approccio ablativo trans-catetere è attualmente utilizzato nel trattamento delle tachicardie sopra ventricolari (TSV). Tuttavia, la presenza di precedenti lesioni ablative può cambiare il quadro di presentazione delle TSV e renderne difficile la diagnosi all’elettrocardiogramma (ECG).
Riportiamo il caso di un uomo di 62 anni sottoposto in precedenza ad ablazione dell’istmo cavo-tricuspidalico (ICT) per un flutter atriale tipico comune, presentatosi in pronto soccorso per dispnea e cardiopalmo con riscontro all’ECG di una tachicardia a complessi stretti con caratteristiche suggestive per recidiva di flutter atriale tipico comune. Tuttavia, lo studio elettrofisiologico e il mappaggio elettro-anatomico hanno permesso di definire la reale natura del substrato aritmico, compatibile con una tachicardia atriale focale, con conseguente trattamento ablativo e ripristino del ritmo sinusale.

INTRODUZIONE
L’elettrocardiogramma (ECG) di superficie è uno strumento fondamentale nella diagnosi delle tachicardie sopraventricolari (TSV) e l’approccio ablativo è una tecnica consolidata ed ampiamente utilizzata nel trattamento della maggior parte di queste aritmie [1]. Tuttavia, in caso di procedure ripetute per recidive aritmiche, la concomitante presenza di precedenti lesioni ablative può sottendere la presenza di differenti circuiti di propagazione dell’impulso e rendere più complessa la diagnosi differenziale tra i diversi tipi di TSV, condizionandone il trattamento.

CASO CLINICO
Presentiamo il caso di un uomo di 62 anni fumatore attivo, dislipidemico e con storia di tachicardiomiopatia secondaria a flutter atriale tipico comune, già sottoposto ad una procedura di ablazione dell’istmo cavo-tricuspidalico (ICT) a febbraio 2021, con successivo recupero della frazione d’eiezione ventricolare sinistra.
Nel dicembre 2022 il paziente si presentava in pronto soccorso per dispnea e cardiopalmo. All’ECG si riscontrava una tachicardia a complessi stretti a 290 bpm (Figura 1A) non responsiva alle manovre manovre vagali e alla somministrazione adenosina.
Al fine di rallentare la frequenza cardiaca, veniva quindi somministrata terapia beta-bloccante. All’ECG si osservava quindi un rallentamento della conduzione atrio-ventricolare con evidenza di onde atriali a denti di sega nelle derivazioni inferiori compatibile, in prima ipotesi, con la diagnosi di recidiva di flutter atriale tipico comune a conduzione 2:1 (Figura 1B). All’ecocardiogramma si documentava una moderata disfunzione sistolica del ventricolo sinistro.

In considerazione della persistenza dell’aritmia, della sintomatologia invalidante e della pregressa diagnosi di tachicardiomiopatia, il paziente veniva sottoposto a studio elettrofisiologico e mappaggio elettro-anatomico, mirato a verificare la presenza di recidiva di conduzione lungo la precedente linea ablativa a livello dell’ICT.
In sala di elettrofisiologia, dopo aver posizionato un catetere decapolare in seno coronarico come riferimento, si eseguiva il mappaggio dell’aritmia in atrio destro, con documentazione di blocco bidirezionale lungo l’ICT e con dimostrazione di un microcircuito focale in prossimità della porzione settale prossimale all’ostio del seno coronarico. Tale attività mimava un meccanismo di macrorientro con orientamento antiorario intorno all’anello tricuspidalico (Figura 2A) caratteristico dell’attivazione antioraria propria del flutter atriale tipico comune.

Si procedeva quindi all’erogazione di radiofrequenza su tale focus, con conseguente interruzione dell’aritmia e ripristino di ritmo sinusale stabile (Figura 2B).
A seguito della procedura, il paziente si è mantenuto in ritmo sinusale, stabile e asintomatico per cardiopalmo con recupero della funzione sistolica ventricolare sinistra al successivo follow-up ecocardiografico.

DISCUSSIONE
Il flutter atriale tipico comune è una delle TSV più frequenti, il cui trattamento ablativo si caratterizza per un elevato tasso di successo, tale da porre un’indicazione di prima linea nel setting cronico nei pazienti sintomatici e/o con tachicardiomiopatia [1]. Ciò si basa su una chiara comprensione del suo circuito elettro-anatomico e della dipendenza critica dall’ICT [2]. Infatti, il macrorientro alla base del flutter tipico è localizzato in atrio destro attorno alla valvola tricuspide. Posteriormente, il circuito dell’aritmia è delimitato da alcune barriere anatomiche, tra cui la cresta terminale, la vena cava inferiore e l’ostio del seno coronarico. Tali strutture costituiscono una sorta di binari nei quali si incanala l’impulso elettrico che determina la persistenza e il mantenimento del circuito di rientro.
La documentazione di una linea di blocco bidirezionale dell’ICT ottenuta con l’ablazione transcatetere è associata ad un’alta percentuale di successo ed a un miglioramento della qualità della vita nei pazienti con flutter tipico [3-5].
All’ECG, il flutter atriale tipico comune è caratterizzato dal classico aspetto delle onde atriali (onde F) a denti di sega (negative/positive) nelle derivazioni DII, DIII e aVF senza linea isoelettrica interposta. Tale pattern è secondario all’attivazione atriale, diretta dall’alto verso il basso nella parete laterale e dal basso verso l’alto nella zona settale secondo un andamento antiorario. Al contrario, tale circuito si attiva in senso orario nella forma “reverse” o “non comune”.
Tali caratteristiche ECG permettono, generalmente, la distinzione rispetto tra il flutter tipico e altre TSV come le tachicardie atriali (TA) focali. Le TA sono infatti secondarie alla presenza di foci ectopici che, nell’atrio destro, tendono a verificarsi lungo l’asse lungo della crista terminalis, nella regione para-hissiana, intorno all’annulus della tricuspide e meno frequentemente all’ostio del seno coronarico [6].
Nella maggior parte dei casi di TA focale è possibile osservare un’onda P con un intervallo isoelettrico intermedio, permettendone così di valutarne la polarità e la morfologia [7].

Tuttavia, nel caso specifico, una TA ad origine dalla parte inferiore del setto interatriale, in prossimità dell’ostio del seno coronarico, in presenza della linea di blocco bidirezionale dell’ICT, mimava il circuito di attivazione del flutter atriale tipico (Figura 3), determinando difficoltà nella diagnosi differenziale all’ECG di presentazione.

CONCLUSIONI
Nel caso presentato, lo studio elettrofisiologico e il mappaggio elettro-anatomico durante l’aritmia sono stati fondamentali nella diagnosi differenziale tra una recidiva di conduzione lungo l’ICT – precedentemente trattato con ablazione trans-catetere per flutter atriale tipico comune – ed una forma di TA focale ad origine dalla parte inferiore del setto interatriale, in prossimità dell’ostio del seno coronarico. Questo ha permesso di trattare efficacemente l’aritmia con ripristino del ritmo sinusale stabile e recupero della funzione sistolica ventricolare sinistra.

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La sindrome da platipnea-ortodeossia: una rara manifestazione clinica del forame ovale pervio

Di Muro F.M.1, Crociani M.F.1, Nardi G.1, Ciardetti N.1, Maiani S.1, Stolcova M.1, Ristalli F.1, Mattesini A.1, Meucci F.1, Di Mario C.1

1 Structural Interventional Cardiology Unit, Careggi University Hospital, Florence, Italy.

ABSTRACT 

La sindrome da platipnea-ortodeossia (POS) è una rara condizione clinica caratterizzata da dispnea posizionale (platipnea) e desaturazione correlate all’ortostatismo. Per la diagnosi sono necessari i seguenti criteri: A) una diminuzione >5% della saturazione di ossigeno (SpO2) e B) una riduzione della PaO2 >4 mmHg in posizione ortostatica rispetto al clinostatismo.

Alla base vi è la presenza di shunt destro-sinistro che può essere dovuto a cause intra cardiache quali la presenza di forame ovale pervio (PFO), difetti inter-atriali (DIA) e cardiopatie congenite oppure a cause extra-cardiache quali malformazione artero-venosa polmonare, sindrome epato-polmonare e sindrome da distress respiratorio acuto, e/o a condizioni determinanti mismatch ventilazione-perfusione.

Il PFO è la più comune anomalia strutturale associata alla POS, che di solito rimane asintomatica per decenni. Qualsiasi causa provochi un disadattamento acuto tra ventilazione e perfusione può facilitare l’insorgenza della POS in pazienti con FOP.

CASO CLINICO

Descriviamo il caso clinico di una paziente di 64 anni, ipertesa e sintomatica per dispnea da sforzi moderati (classe NYHA II-III) che faceva accesso in DEA per comparsa di improvvisa de-saturazione in occasione di una visita di pre-ospedalizzazione per intervento all’occhio destro. All’emogas-analisi arterioso eseguito in DEA si osservava ipossiemia ipercapnica richiedente ventilazione non invasiva prima in modalità CPAP e successivamente in BiPAP. Gli esami ematochimici non mostravano reperti patologici con valori di creatininemia ed elettroliti normali, eccezion fatta per un valore di NT-ProBNP pari a 547 pg/mL. Veniva pertanto eseguita angio-TC del circolo polmonare che mostrava reperti non compatibili con quadro di embolia polmonare, che veniva esclusa anche da un ecocolordoppler degli arti inferiori, risultato nei limiti. 

La paziente veniva pertanto trasferita presso il reparto di Medicina Interna dove veniva sottoposta in prima istanza ad ecocolordoppler cardiaco a riposo che mostrava ventricolo sinistro ipertrofico, non dilatato, con conservata funzione sistolica globale ed un lieve scollamento pericardico a carico delle sezioni destre (normali per dimensioni e funzione), in assenza di valvulopatie degne di nota. Nel corso della degenza, tuttavia, pur aumentando l’intensità di cure, non risultava possibile lo svezzamento dalla ventilazione in BiPAP né si osservava miglioramento dei valori di saturazione tramite pronazione, osservando anzi un peggioramento dei valori di SpO2 in ortostatismo con miglioramento e talvolta raggiungimento di valori accettabili di emogas in clinostatismo.  Nel sospetto di una rara sindrome da platipnea-ortodeossia, la paziente veniva quindi sottoposta ad ecocardiogramma transesofageo che evidenziava la presenza di un setto interatriale lasso con PFO a morfologia tunnel-like. Alla valutazione Doppler si osservava la presenza di lieve shunt diretto dall’atrio destro in atrio sinistro sia in condizioni di riposo che dopo iniezione di microbolle, indicativo di shunt interatriale dx-sx. Tale passaggio, minimo in posizione supina, diventava massivo in posizione semi-seduta con concomitante desaturazione al monitor (Figura 1). Alla luce di tali reperti veniva posta indicazione a chiusura percutanea del FOP.

Figura 1:
Valutazione ecocardiografica: evidenza di PFO a morfologia tunnel-like con riscontro di shunt destro-sinistro alla valutazione Doppler.

La paziente veniva quindi condotta in sala di emodinamica per l’esecuzione della procedura, svoltasi da accesso venoso femorale destro e sotto guida ecocardiografica transesofagea. Contestualmente veniva eseguito un cateterismo cardiaco destro che escludeva segni di ipertensione polmonare, mostrando normali valori di pressione polmonare capillare wedge (PCWP) e di pressione arteriosa polmonare media (PAPm) confermando invece la presenza di uno shunt intracardiaco da destra a sinistra (Qp/Qs 0,81). Alla luce della lunghezza del tunnel e della sua morfologia si optava per impiantare un dispositivo Amplatzer PFO Occluder con un sizing di 25 mm. Dopo aver crossato il PFO mediante guida 0.035”, si procedeva ad avanzare catetere MP che veniva scambiato con guida supportiva Amplatz ultrastiff su cui è stato avanzato l’introduttore del device Amplatzer (Figura 2).

Figura 2:
Posizionamento di guida Amplatz ultrastiff a livello del PFO con avanzamento dell’introduttore del device Amplatzer Occluder 25 mm. 

Sempre sotto guida ecografica transesofagea, è stato quindi eseguito l’impianto del device che, dopo due tentativi di riposizionamento, è stato valutato come correttamente posizionato e stabile anche al test del push and pull (Figura 3).

Figura 3: Preparazione ed impianto del dispositivo Amplatzer Occluder 25 mm. 

Al termine della procedura la paziente è stata sottoposta nuovamente a test alle microbolle che risultava negativo per shunt sia al basale che dopo manovra di Valsalva, confermando l’efficacia del dispositivo impiantato. La paziente è stata quindi nuovamente trasferita in reparto di degenza ordinaria da cui è stata dimessa in terza giornata post-operatoria in buon compenso clinico, con buoni valori di SpO2 sia in clinostatismo che in ortostatismo, asintomatica per angor, dispnea e cardiopalmo. 

DISCUSSIONE

La sindrome da platipnea ortodeossia (POS) è una rara condizione spesso mis-diagnosticata vista la clinica non sempre suggestiva e le scarse opzioni terapeutiche a disposizione del cardiologo. Recentemente, dato l’incremento di casi di POS correlati alla presenza di PFO, è stata individuata una nuova categoria diagnostica: la cosiddetta “PFO related-POS”.

A tal proposito, sebbene alcuni trial clinici randomizzati abbiano dimostrato sicurezza ed efficacia della chiusura del PFO nei pazienti affetti da ictus cardioembolico con PFO ad alto rischio, di età compresa tra 18 e 65 anni (1-3), l’evidenza è scarsa riguardo i pazienti affetti da sindrome platipnea ortodeossia sottoposti a chiusura di PFO, rimanendo limitata a case report e registri retrospettivi e prospettici(4-6)

Questi ultimi suggeriscono un beneficio di questa procedura nell’immediato follow-up sia in termini di miglioramento della SPO2 che della classe funzionale NYHA e del 6WMT. 

Rimane pertanto cruciale una raccolta possibilmente prospettica ma anche retrospettiva dei pazienti con POS sottoposti a chiusura di PFO per valutarne oggettivamente i benefici a lungo termine e standardizzarne il work up diagnostico-terapeutico di questa condizione clinica troppo spesso misconosciuta. 

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Un raro caso di endocardite di Loeffler: il colpevole che non sospetti

AUTORI: M. Pesolo, M. Gravina, F. Mautone, G. Goffredo, G. Casavecchia, N.D. Brunetti

Università degli Studi di Foggia

S.C. Universitaria di Cardiologia, Policlinico Foggia

ABSTRACT. L’ Endocardite di Loeffler è una forma di cardiomiopatia restrittiva rara, caratterizzata da ipereosinofilia e ispessimento fibroso dell’endocardio, associati a trombosi ventricolare, che può portare a complicazioni cardiovascolari come l’insufficienza cardiaca e il tromboembolismo. Può manifestarsi con edema, dispnea e dolore toracico ed è spesso causata da reazioni immunologiche, neoplasie come leucemie e infezioni parassitarie [1,2]. La clinica, gli esami ematici e l’ecocolordopplercardiaco transtoracico pongono il sospetto ma solo attraverso l’approccio multimodale e multiparametrico della RMN cardiaca è possibile eseguire una corretta diagnosi, terapia e valutazione di efficacia del trattamento [3].

CASO CLINICO. La protagonista del caso clinico presentato dalla nostra Scuola di Specializzazione è una donna di 44 anni, dislipidemica, senza precedenti cardiologici di rilievo, con storia di asma bronchiale dall’età giovanile e positività da alcuni anni al fenomeno di Raynaud alle mani.

Per la comparsa di dolore toracico associato a dispnea per sforzi lievi e febbre, veniva ricoverata presso l’Unità di Terapia Intensiva Coronarica del Policlinico Riuniti di Foggia.

Figura 1. Ecocardiogramma transtoracico all’ingresso: Ispessimento apicale del ventricolo sinistro. Insufficienza mitralica di grado moderato. E/A >>1, pattern diastolico di tipo restrittivo.

All’obiettività emergeva un soffio sistolico 2/6 mesocardico mentre l’elettrocardiogramma mostrava una tachicardia sinusale con delle anomalie della ripolarizzazione ventricolare (onde T negative) in sede antero-laterale. Agli esami ematici si riscontravano valori di HB 9.6 g/dl;  WBC 13.300 /dl;  EOS 4,750 / dl (35.7%) (v.n. 1-4%);  VES 70 mm/l h; ANA 6.3(v.n. <3);  anti-CCP 6.1 (v.n. <5);  p-ANCA 19.3(v.n. <2) ; c-ANCA 2(v.n.<2),anti -DNA e anti-ENA negativi; enzimi cardiaci nella norma. Veniva inoltre eseguito uno striscio periferico con riscontro di Neutrofili 52%; Eosinofili 32%; Linfociti 10%; Mastociti 6%. La TC del torace mostrava un quadro di diffusa interstiziopatia. L’ ecocardiogramma invece mostrava un marcato ispessimento apicale in assenza di anomalie della cinetica globale e segmentaria con una FEVS del 55% e presenza al doppler di una insufficienza mitralica di grado moderato e di un pattern diastolico di tipo restrittivo [Figura 1]. Veniva quindi eseguita una Risonanza Magnetica cardiaca (RMC) che mostrava nelle sequenze CINE l’ispessimento apicale non solo a livello del ventricolo sinistro ma anche a livello del ventricolo destro, con una tendenza all’obliterazione sistolica. Nelle sequenze per la caratterizzazione tissutale T2 era presente edema diffuso a livello ventricolare sinistro e a apicale destro, mentre le sequenze T1 precoci dopo somministrazione del m.d.c mostravano un’area di ipoperfusione a livello apicale sinistro compatibile con la presenza di una stratificazione trombotica subendocardica. Le sequenze PSIR per lo studio del Late Gadolinium Enhancement mostravano un quadro di iperintensità di segnale a livello endocardico ventricolare sinistro e apicale destro, segno di fibrosi endocardica diffusa. Era presente inoltre un’area di ipointensità a livello apicale del ventricolo sinistro che confermava la presenza della formazione trombotica [Figura 2].

Figura 2. RMN all’ingresso: Edema diffuso ventricolo sx e dx in T2. Enhancement diffuso endocardico ventricolo sx e apice ventricolo dx al LGE. Formazione trombotica subendocardica apicale sx.

DISCUSSIONE.  Il quadro di risonanza, associato ai dati clinici, era suggestivo di Endocardite di Loeffler (o cardiopatia eosinofila) [4], una malattia la cui storia naturale consta di tre fasi. Una prima fase acuta, o necrotica, in cui prevale il danno subendocardico da infiltrazione e degranulazione eosinofila. Una fase subacuta, o trombotica, in cui si verifica l’apposizione di materiale trombotico a livello del subendocardio danneggiato. Infine, una fase cronica, o fibrotica, in cui i tessuti danneggiati vengono sostituiti da fibrosi; questo processo può compromettere il riempimento del ventricolo sinistro ed evolvere in una cardiopatia restrittiva [5].

Pertanto veniva impostata una terapia con corticosteroidi, metotrexate e warfarin, con remissione della sintomatologia [6]. Durante il follow-up, la  paziente non riferiva ulteriori episodi di dolore toracico. Al controllo eseguito dopo cinque mesi di terapia, i valori di eosinofili e TnIhs risultavano nei limiti della norma. L’ECG mostrava una parziale regressione delle anomalie della ripolarizzazione documentate precedentemente. La RMC documentava la notevole riduzione dell’ispessimento apicale ventricolare e la completa risoluzione della formazione trombotica, tuttavia permaneva ancora una lieve zona di LGE subendocardico circonferenziale a livello dei segmenti medio-apicali [Figura 3].

Figura 3. RMN follow up: Riduzione ispessimento parietale alle sequenze cine. Lieve enhancement subendocardico al LGE. Assenza di formazione trombotica precedentemente descritta.

CONCLUSIONI. L’Endocardite di Loeffler è una forma rara di cardiomiopatia restrittiva, caratterizzata da ipereosinofilia ed ispessimento fibroso dell’endocardio. L’ecocolordopplergrafia cardiaca trans-toracica, metodica di imaging più comunemente usata per la diagnosi, permette di evidenziare l‘ispessimento parietale apicale, l’insufficienza mitralica in caso di coinvolgimento valvolare e un pattern diastolico restrittivo all’esame Doppler. La RM cardiaca tuttavia, resta una metodica fondamentale per la diagnosi di Endocardite di Loeffler e quindi per la corretta scelta terapeutica, poiché ci permette non solo di caratterizzare il tessuto ma, di valutare anche l’estensione delle lesioni sub-endocardiche e la precisa definizione della formazione trombotica endocavitaria. Inoltre ci permette di valutare l’efficacia del trattamento nel follow-up nei mesi a seguire.

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Different Phases of Disease in Lymphocytic Myocarditis Clinical and Electrophysiological Characteristics

Michela Casella, MD, PHD,a,b,* Alessio Gasperetti, MD,c,* Paolo Compagnucci, MD,a,d Maria Lucia Narducci, MD, PHD,e Gemma Pelargonio, MD, PHD,e,f Valentina Catto, PHD,c Corrado Carbucicchio, MD,c Gianluigi Bencardino, MD, PHD,e Edoardo Conte, MD,g Nicolò Schicchi, MD,h Daniele Andreini, MD, PHD,g,i Gianluca Pontone, MD, PHD,g Andrea Giovagnoni, MD,b,h Stefania Rizzo, MD,j Frediano Inzani, MD,k Cristina Basso, MD, PHD,j Andrea Natale, MD,l Claudio Tondo, MD, PHD,f,m Antonio Dello Russo, MD, PHD,a,d Filippo Crea, MDe,f

a Cardiology and Arrhythmology Clinic, University Hospital “Ospedali Riuniti,” Ancona, Italy;

b Department of Clinical, Special and Dental Sciences, Marche Polytechnic University, Ancona, Italy;

c Department of Clinical Electrophysiology and Cardiac Pacing, Centro Cardiologico Monzino IRCCS, Milan, Italy;

d Department of Biomedical Sciences and Public Health, Marche Polytechnic University, Ancona, Italy;

e Department of Cardiovascular and Thoracic Sciences, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Rome, Italy;

f Institute of Cardiology, Catholic University of the Sacred Heart, Rome, Italy;

g Cardiovascular Computed Tomography and Radiology Unit, Centro Cardiologico Monzino IRCCS, Milano, Italy;

h Department of Radiology, University Hospital “Umberto I–Lancisi–Salesi,” Ancona, Italy;

I Department of Clinical Sciences and Community Health, University of Milan, Milan, Italy;

J Cardiovascular Pathology Unit, Department of Cardiac, Thoracic, Vascular Sciences and Public Health, Azienda Ospedaliera-University of Padua, Padova, Italy;

k Department of Woman, Child and Public Health Sciences, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Rome, Italy;

l Texas Cardiac Arrhythmia Institute, St. David’s Medical Center, Austin, Texas, USA;

m Department of Biomedical, Surgical and Dental Sciences, University of Milan, Milan, Italy.

ABSTRACT

La miocardite è una patologia del miocardio caratterizzata da un infiltrato di cellule infiammatorie attive e necrosi dei cardiomiociti, solitamente secondaria a fenomeni autoimmuni o infezioni virali (1, 2). La miocardite si può presentare con una pletora di manifestazioni cliniche talora aspecifiche ed eterogenee, che vanno dallo scompenso cardiaco acuto fino ad aritmie ventricolari pericolose per la vita. La diagnosi richiede un approccio multimodale, come suggerito dal position statement dell’European Society of Cardiology Working Group on Myocardial and Pericardial Disease del 2013, e spesso è necessaria una biopsia endomiocardica per la conferma della diagnosi definitiva (3).

In questo lavoro si fa luce sulle caratteristiche cliniche ed elettrofisiologiche delle diverse fasi della miocardite linfocitaria (LM), nello specifico miocardite acuta (AM), miocardite cronica attiva (CAM), e miocardite risolta (HM) (4).

ARTICOLO

In questo studio sono stati arruolati in maniera prospettica da tre diversi centri (Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona, Centro Cardiologico Monzino IRCCS di Milano e Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma) 122 pazienti con diagnosi istologica di miocardite linfocitaria ottenuta mediante biopsia endomiocardica percutanea guidata da mappaggio elettroanatomico (EAM) ed ecocardiografia intracavitaria (ICE). La maggior parte dei pazienti ha avuto una presentazione aritmica all’esordio. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a risonanza magnetica cardiaca (CMR) e a studio elettrofisiologico (EPS). Integrando i dati clinici con i dati strumentali non invasivi ed invasivi secondo un approccio multimodale, come indicato dal Position Statement Europeo, è stato possibile suddividere i pazienti in 3 gruppi: il 36% aveva AM, il 34% CAM e infine il 30% HM.

Le aritmie ventricolari complesse erano molto comuni nella popolazione totale (109, 89%), ma la fibrillazione ventricolare e la morte cardiaca improvvisa abortita erano lievemente più prevalenti all’esordio nella miocardite acuta (P = 0.028) mentre non vi era differenza nella distribuzione delle tachicardie ventricolare sostenute.

Per quanto concerne i risultati della CMR, i gruppi con CAM e HM avevano una più elevata incidenza di late gadolinium enhancement rispetto al gruppo con AM (94.4% vs 92.9% vs 50%; P < 0.001), mentre l’edema era più comune nella AM rispetto alla CAM, ed era completamente assente nella HM (90.9% vs 50% vs 0%; P < 0.001). L’edema alla CMR si è dimostrato essere il predittore clinico indipendente più potente per la presenza di infiammazione attiva all’esame istologico.

Il mappaggio elettroanatomico ha mostrato una minor prevalenza di aree di basso voltaggio nella AM rispetto alla CAM e alla HM. È stata riscontrata una forte associazione tra edema in un determinato segmento miocardico e voltaggi normali in quel sito specifico (odds ratio: 0.24; 95% CI: 0.10-0.54; P < 0.01) specialmente nei pazienti con AM, così come tra la presenza di LGE in una determinata area e i bassi voltaggi nella stessa (odds ratio: 2.86; 95% CI: 1.19-6.97; P = 0.019) specialmente nei pazienti con CAM e HM.

Questi risultati portano a postulare che le aritmie caotiche ventricolari come la FV possano essere il risultato di un insulto miocardico di recente insorgenza caratterizzato da necrosi e infiammazione a livello istologico che sono tipicamente riscontrati nella AM. La successiva fase fibrotica sostitutiva, tipica della HM, potrebbe fornire invece il substrato aritmico di rientro che è alla base di TV monomorfe. La CAM, essendo caratterizzata dal punto di vista istologico sia da infiammazione attiva che da fibrosi sostitutiva, si può presentare con aritmie ventricolari tipiche sia della AM che della HM.  Per quanto concerne i risultati del mappaggio elettroanatomico e la loro correlazione con i dati CMR, le aree di bassi voltaggi potrebbero essere più indicative di cicatrice fibrotica che di infiammazione attiva, come accade nella CAM e HM dove è presente fibrosi sostitutiva come risultato di infiammazione cronica e di cicatrice post miocarditica, rispettivamente. 

In conclusione, una valutazione multimodale comprensiva di test non invasivi ed invasivi, ed in particolar modo integrando i dati della CMR e del mappaggio elettroanatomico, permette di rivelare le specifiche caratteristiche delle diverse fasi della miocardite con una netta distinzione tra la fase di infiammazione precoce (AM) e i successivi stadi cicatriziali (CAM e HM). Tali osservazioni vanno a rinforzare il concetto dell’approccio fase-specifico alla miocardite, e i dati elettrofisiologici sono importanti al fine di offrire una diagnosi e terapia “patient-tailored”

http://JACC CLINICAL ELECTROPHYSIOLOGY 2023 Mar, 9 (3) 314–326

BIBLIOGRAFIA:

  • Cooper, Leslie T Jr. “Myocarditis.” The New England journal of medicine vol. 360,15 (2009): 1526-38. doi:10.1056/NEJMra0800028
  • Priori, Silvia G et al. “2015 ESC Guidelines for the management of patients with ventricular arrhythmias and the prevention of sudden cardiac death: The Task Force for the Management of Patients with Ventricular Arrhythmias and the Prevention of Sudden Cardiac Death of the European Society of Cardiology (ESC). Endorsed by: Association for European Paediatric and Congenital Cardiology (AEPC).” European heart journalvol. 36,41 (2015): 2793-2867. doi:10.1093/eurheartj/ehv316
  • Caforio, Alida L P et al. “Current state of knowledge on aetiology, diagnosis, management, and therapy of myocarditis: a position statement of the European Society of Cardiology Working Group on Myocardial and Pericardial Diseases.” European heart journalvol. 34,33 (2013): 2636-48, 2648a-2648d. doi:10.1093/eurheartj/eht210
  • Ammirati, Enrico et al. “Management of Acute Myocarditis and Chronic Inflammatory Cardiomyopathy: An Expert Consensus Document.” Circulation. Heart failure vol. 13,11 (2020): e007405. doi:10.1161/CIRCHEARTFAILURE.120.007405

SCN5A: Un fenotipo meno conosciuto di disturbo di conduzione geneticamente determinato

Dott.ssa Chiara Bianchi, Dott.ssa Martina Vitali, Dott. Marco Micillo, Dott. Francesco Vitali

Università degli studi di Ferrara
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara – Arcispedale Sant’Anna

Presentiamo il caso di un paziente di 26 anni, senza comorbidità, con analisi genetica positiva per una mutazione del gene SCN5A, che va incontro ad un episodio di marcata instabilità emodinamica con temporanea perdita di coscienza e di polso. Il quadro elettrocardiografico del paziente e l’assenza di una cardiopatia strutturale depongono per un disturbo “atipico” del sistema di conduzione cardiaco associato alla mutazione del gene SCN5A. In considerazione della storia clinica e della mutazione di cui il paziente è portatore, si è deciso di procedere all’impianto di un pacemaker bicamerale definitivo.

Un ragazzo di 26 anni accede in Pronto Soccorso per un fugace episodio sincopale post-minzionale avvenuto nelle prime ore del mattino. Poco dopo aver ripreso conoscenza ha un secondo svenimento più prolungato associato a tremori diffusi. Viene soccorso dal padre, un infermiere del 118 che, non riuscendo a sentire il polso del figlio, comincia le manovre di rianimazione cardiopolmonare. Dopo circa mezzo minuto si verifica una ripresa spontanea di coscienza associata a flushing del volto e respiro russante. In quel momento viene documentata dal padre una frequenza cardiaca ritmica di circa 33-34 bpm.
All’elettrocardiogramma registrato in Pronto Soccorso il paziente presenta un blocco atrioventricolare di primo grado (intervallo PR: 280 ms) ed un blocco di branca destra completo (QRS: 160 ms).

Fig. 1: ECG a 12 derivazioni. Ritmo sinusale 73 bpm, blocco atrioventricolare di I grado, blocco di branca destra completo, alterazioni secondarie della ripolarizzazione ventricolare.


Raccogliamo l’anamnesi del ragazzo: è sempre stato bene, non ha particolari fattori di rischio cardiovascolare e fa molta attività sportiva. Gli è già capitato un’altra volta di perdere conoscenza per pochi secondi, circa due anni fa, durante un episodio di dolore addominale.
Il paziente è accompagnato da sua madre, una maratoneta professionista che ci racconta di avere impiantato un pacemaker da giovane a causa di un disturbo di conduzione per la quale è seguita insieme al figlio al nostro ambulatorio di Cardiogenetica. I due hanno eseguito un’analisi genetica un paio d’anni fa risultata positiva per una mutazione del gene SCN5A. Il figlio aveva eseguito anche un monitoraggio ECG-Holter delle 24 ore che testimoniava un ritmo sinusale con fasi notturne di bradicardia sinusale a 30 bpm circa e di blocco atrioventricolare di secondo grado tipo I. Aveva inoltre eseguito un ecocardiogramma transtoracico risultato normale ed una risonanza magnetica cardiaca che non evidenziava segni di cardiopatia strutturale, di metaplasia adiposa o di late gadolinium enhancement. Il suo intervallo QT si era sempre mantenuto nei limiti di norma ed il suo tracciato non aveva mai manifestato pattern di Brugada (nemmeno eseguendo l’ECG con il posizionamento degli elettrodi precordiali nel II, III e IV spazio intercostale).
Una volta raccolta questa anamnesi sospettiamo che il paziente abbia avuto una sincope cardiogena da blocco atrioventricolare parossistico. Ricoveriamo il ragazzo con monitoraggio telemetrico: durante l’osservazione non si verificano eventi aritmici ma solo occasionali tratti di bradicardia notturna con frequenza media di 40 bpm.
In considerazione della storia clinica e della mutazione di cui il paziente è portatore decidiamo di procedere all’impianto di un pacemaker bicamerale definitivo. Viene eseguita una stimolazione di branca e si decide di posizionare il dispositivo in sede sottomuscolare. Il dispositivo viene programmato in modalità AAI-DDD 35-150 bpm, con MVP attivo (per la natura attualmente parossistica dei blocchi), gestione automatica delle catture in entrambe le camere e monitoraggio remoto.
Attualmente il nostro paziente sta bene e ha ripreso la sua attività fisica regolare. Al controllo del device eseguito ad un mese dalla dimissione le percentuali di Atrial pacing sono < 0,1% e quelle di Ventricular pacing di circa 0.6%; i dati si confermano tali anche al monitoraggio remoto a quattro mesi dall’impianto. Tenendo conto del meccanismo patogenetico di malattia è verosimile che, nei prossimi anni, potremmo rilevare un aumento progressivo della percentuale di stimolazione del dispositivo.

Fig. 2: Resoconto del monitoraggio remoto a quattro mesi dall’impianto del pacemaker. Si evidenzia come le percentuali di Atrial Pacing siano < 0,1% e le percentuali di Ventricular Pacing di circa 1,7%.


Questo disturbo di conduzione geneticamente determinato (chiamato talvolta “disturbo progressivo familiare della conduzione cardiaca”, “disturbo di conduzione giovanile” o “sindrome di Lev-Lenègre”) è una patologia in cui la conduzione cardiaca viene progressivamente ostacolata nel tempo dalla fibrosi progressiva del sistema His-Purkinje. Ha un’età d’esordio variabile e si manifesta all’ECG con prolungamento progressivo dell’onda P, dell’intervallo PR e del segmento QRS, esitando talvolta in blocchi di branca destra o sinistra e/o blocchi atrioventricolari ingravescenti fino al blocco completo; può decorrere in modo asintomatico oppure manifestarsi con episodi di dispnea, vertigini, dolore addominale, oppure con sincopi a riposo o durante l’esercizio fisico, scompenso cardiaco o morte cardiaca improvvisa.
Questa sindrome è tipicamente, anche se non solo, associata a mutazioni loss of function del gene SCN5A. Tale gene si trova sul braccio corto del cromosoma 3 e codifica per la subunità α del canale del sodio voltaggio-dipendente che genera la corrente di depolarizzazione rapida (INa) responsabile della fase 0 del potenziale d’azione dei miocardiociti. La trasmissione è autosomica dominante a penetranza incompleta ed espressività variabile. Siamo soliti associare le mutazioni di questo gene alla Sindrome di Brugada, ma in realtà SCN5A presenta un’importante eterogeneità nelle sue mutazioni, che possono cambiare in diversi modi l’espressione del canale e le sue proprietà biofisiche, attraverso una loss of function oppure un gain of function. Ciò si traduce in molteplici possibili fenotipi clinici correlati alle sue mutazioni: la Sindrome di Brugada, la Sindrome del QT lungo sottoforma LQT-3, i disturbi di conduzione giovanili, la fibrillazione atriale idiopatica, la malattia del nodo del seno, l’arresto sinusale e la cardiomiopatia dilatativa. È inoltre possibile apprezzare quadri clinici di sovrapposizione (tipici delle mutazioni che provocano anche la Sindrome di Brugada) o di carattere aspecifico.

BIBLIOGRAFIA

1. Zumhagen S, Veldkamp MW, Stallmeyer B, Baartscheer A, Eckardt L, et al. (2013) A Heterozygous Deletion Mutation in the Cardiac Sodium Channel Gene SCN5A with Loss- and Gain-of-Function Characteristics Manifests as Isolated Conduction Disease, without Signs of Brugada or Long QT Syndrome. PLoS ONE 8(6): e67963. doi:10.1371/journal.pone.0067963

2. Wilde AAM, Amin AS. Clinical Spectrum of SCN5A Mutations: Long QT Syndrome, Brugada Syndrome, and Cardiomyopathy. JACC Clin Electrophysiol. 2018 May;4(5):569-579. doi: 10.1016/j.jacep.2018.03.006. Epub 2018 May 2. PMID: 29798782.