MitraClip procedure as a bridge therapy to heart transplantation after a combined pharmaco-mechanical treatment

Andrea Raffaele Munafò, MD1,2, Alessandro Mandurino Mirizzi, MD1, Claudia Raineri, MD1, Giulia Magrini, MD1, Fabrizio Gazzoli, MD1, Martina Moschella, MD1, Romina Frassica, MD1, Stefano Ghio, MD1, Maurizio Ferrario, MD1, Marco Ferlini, MD1, Gabriele Crimi, MD1.

1 Division of Cardiology, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo Foundation, Pavia, Italy.

2 University of Pavia, Pavia, Italy.

Caso clinico

Una donna di 55 anni, con diagnosi di cardiomiopatia dilatativa dal 1997, veniva riferita al nostro centro nel gennaio 2018 per un quadro di scompenso cardiaco avanzato in presenza di insufficienza valvolare mitralica (IM) di grado severo. Al momento della nostra valutazione, la paziente era già in terapia medica ottimizzata al massimo dosaggio tollerato (ARNi incluso) ed era già stata sottoposta a terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT-D).  Nonostante questo, la paziente presentava un peggioramento dei sintomi dello scompenso (classe funzionale NYHA III), necessitando nei 6 mesi precedenti di 2 ricoveri ospedalieri dove era stata trattata con terapia endovenosa con furosemide e sodio nitroprussiato (NTP).

L’ecocardiogramma eseguito al momento del ricovero mostrava un ventricolo sinistro severamente dilatato (volume telediastolico indicizzato 246 ml/m2, diametro telediastolico 80 mm, diametro telesistolico 74 mm), con una severa riduzione della funzione sistolica globale (FE 20%), una significativa dilatazione dell’atrio sinistro (volume indicizzato 82 ml/m2), ed una IM di grado severo. Quest’ultima era caratterizzata da un’eziologia mista: dilatazione anulare (pattern principale) e rimaneggiamento post-reumatico delle corde tendinee e dei lembi valvolari, condizionante un tethering asimmetrico dei lembi con un gap di coaptazione di circa 4 mm (figura 1A). La funzione e la dimensione del ventricolo destro erano ancora preservate (TAPSE 20 mm).

La paziente veniva quindi sottoposta ad un cateterismo cardiaco destro che mostrava un quadro emodinamico caratterizzato da un basso indice cardiaco (1,66 l/min/m2), una lieve ipertensione polmonare post-capillare (PAP media 26 mmHg, pressione di incuneamento 23 mmHg, resistenze polmonari 1.1Wood Units), ed una normale pressione atriale destra (5 mmHg).

Figura 1. Valutazione con ecocardiogramma transesofageo dell’insufficienza mitralica: A) al baseline; B) dopo infusione di NTP e levosimendan, in corso di supporto con IABP. C) Confronto dell’entità del jet di rigurgito mitralico al baseline e dopo la procedura.

In considerazione della gravità del quadro clinico-strumentale, discusso il caso in Heart Team, si decideva di non candidare la paziente ad un intervento di riparazione chirurgica della valvola mitrale, e di inserirla in lista d’attesa per il trapianto di cuore (HTPL). Inoltre, in considerazione del gap di coaptazione tra i lembi mitralici di circa 4 mm, una possibile riparazione percutanea del vizio mitralico (TMVR) con il sistema MitraClip veniva ritenuta non fattibile. Tuttavia, in considerazione della sintomatologia ingravescente e della scarsa qualità di vita della paziente nonostante la terapia medica, si decise di mettere in atto una strategia terapeutica che potesse ridurre il gap di coaptazione tra i lembi mitralici, al fine di eseguire una TMVR come “terapia ponte” al HTPL.

Quattro giorni prima dell’intervento di TMVR, la paziente veniva quindi sottoposta ad una infusione continua di NTP per 48 h, seguita da un ciclo di infusione di levosimendan per 24 h. Il giorno prima della procedura, veniva infine posizionato il contropulsatore aortico (IABP, con frequenza 1:1). Al controllo con l’ecocardiogramma transesofageo (ETE) eseguito 6 ore dopo il posizionamento dell’IABP, il gap di coaptazione era stato ridotto a 2.2 mm (figura 1B), in assenza però di una riduzione della severità dell’IM e/o di un miglioramento della funzione sistolica ventricolare sinistra. Mantenendo il supporto del circolo con l’IAPB, si procedeva pertanto a TMVR con il posizionamento di due clip in assenza di complicanze. Al ETE post-procedurale si apprezzava un IM residua di grado lieve, con normalizzazione del flusso a livello delle vene polmonari (figura 1C). Al cateterismo cardiaco destro di controllo, veniva osservato un miglioramento immediato del 25% dell’indice cardiaco.

Nei 18 mesi successivi, la paziente è andata incontro ad un progressivo miglioramento clinico (classe funzionale NYHA I) in assenza di nuovi ricoveri per riacutizzazione di scompenso cardiaco, tanto da richiedere l’esclusione dalla lista di attesa per HTPL.

Discussione

Il HTPL resta ad oggi la migliore opzione terapeutica per i pazienti con scompenso cardiaco avanzato. Tuttavia, a causa dei tempi di attesa sempre più lunghi, i pazienti in lista per HTPL spesso necessitano di “terapie ponte” al fine di migliorare la loro condizione clinica e la qualità di vita. Mentre altri trattamenti farmacologici e/o meccanici (es. LVAD) sono comunemente utilizzati come terapie ponte al trapianto nella pratica clinica di tutti i giorni, poche evidenze1-3 sono ad oggi disponibili riguardo l’uso di TMVR con MitraClip nei pazienti con scompenso cardiaco avanzato e concomitante IM severa, in attesa di HTPL.  Il risultato ottenuto nella paziente del caso clinico sopra descritto sottolinea come, in questa tipologia di pazienti, l’IM funzionale non svolga soltanto un ruolo principale nell’accentuazione dei sintomi dello scompenso e nell’aumento del tasso delle ospedalizzazioni, ma che possa anche incidere sulla prognosi a lungo termine4. La TMVR con MitraClip associata alla terapia medica ottimizzata può quindi garantire un miglioramento della sopravvivenza di questi pazienti, come dimostrato dai recenti risultati del COAPT trial5.

In conclusione, nei pazienti con scompenso cardiaco avanzato ed IM di grado severo, che sono ancora sintomatici nonostante la terapia medica, e per i quali il HTPL rimane il trattamento definitivo più efficace, la TMVR con MitraClip può rappresentare un’ottima strategia di terapia ponte, garantendo una stabilizzazione clinica ed emodinamica, e soprattutto migliorandone la sopravvivenza.

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Un caso inaspettato di cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro (ARVC).

Gaetano Bernardini2, F. Crusco 1, A. Broccatelli 2, K. Savino2.

Cardiologia e Fisiopatologia Cardiovascolare – Università degli Studi di Perugia

1 U.O. Radiologia – Azienda Ospedaliera di Perugia

2 U.O. Cardiologia – Azienda Ospedaliera di Perugia

ABSTRACT

Un uomo di 60 anni giungeva in PS per dispnea ed edema agli arti inferiori con segni di congestione polmonare e sistemica. Agli esami di laboratorio elevati valori di TnHS e di NT-pro-BNP con onde T negative in V1-V3 all’ ECG. L’ecocardiogramma mostrava riduzione della funzione sistolica con ventricolo destro dilatato ed ipocinetico. Presentava ripetuti runs di tachicardia ventricolare. L’esame coronarografico risultava negativo. Nel sospetto di cardiomiopatia aritmogena eseguiva RMC che mostrava disfunzione e dilatazione del ventricolo destro dilatato, confermando la suddetta diagnosi. Pertanto, veniva sottoposto ad impianto di ICD ed eseguito screening nei familiari di primo grado.

CASO CLINICO

Un uomo di 60 anni senza fattori di rischio, né precedenti cardiovascolari di rilievo, giungeva in PS per progressivo peggioramento della dispnea e degli edemi agli arti inferiori; negli ultimi giorni riferiva dispnea per minimi sforzi ed episodi di dispnea parossistica notturna, negava episodi di dolore toracico, cardiopalmo e sincope.

All’accesso in PS si presentava emodinamicamente stabile, con parametri vitali nella norma (PA 120/70 mmHg), FC 85 bpm, ma con valori di saturazione  90% in aria ambiente associata a tachipnea (FR 30 atti/min). All’esame obiettivo si evidenziavano, a livello del torace, murmure vescicolare (MV) ridotto simmetricamente ai campi medio-basali ed edema improntabile a livello di entrambi gli arti inferiori. Gli esami di laboratorio risultavano nella norma, eccetto per elevati valori di TnHS e di NTproBNP. L’ECG eseguito in PS mostrava onde T negative a livello delle derivazioni precordiali destre (V1-V3). Durante la valutazione clinica il paziente ha presentato numerosi runs di tachicardia ventricolare sia non sostenute che sostenute con morfologia a blocco di branca sinistra che rapidamente hanno determinato un deterioramento dell’emodinamica tale da richiedere cardioversione con DC-Shock.

L’ecocardiogramma transtoracico mostrava severa riduzione della funzione sistolica del ventricolo sinistro con frazione d’eiezione del 30%, data da ipocinesia diffusa ed associata severa disfunzione del ventricolo destro (TAPSE 8 mm; Onda S’ al TDI = 6 cm/s), il quale appariva marcatamente dilatato. Data l’evidenza al monitoraggio ECGgrafico continuo di tachicardie ventricolare non sostenute veniva introdotta terapia antiaritmica per via endovenosa con lidocaina ed amiodarone grazie alla quale si assisteva a progressiva riduzione degli episodi tachiaritmici. Inoltre, in considerazione della concomitante presenza di segni e sintomi di congestione a livello polmonare ed a livello sistemico, il paziente veniva trattato con diuretici dell’ansa e farmaci vasodilatatori per via endovenosa fino al miglioramento del quadro di compenso ed al raggiungimento dello stato di euvolemia.

Dopo il superamento della fase acuta, per escludere l’eziologia ischemica del quadro di disfunzione ventricolare sinistra riscontrato, si sottoponeva il paziente ad esame coronarografico che  mostrava vasi coronarici angiograficamente normali. Il quadro elettrocardiografico ed ecocardiografico, correlato alla morfologia delle tachicardie ventricolari hanno portato al sospetto clinico di cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro (ARVD). Per confermare tale diagnosi, il paziente veniva sottoposto a risonanza magnetica cardiaca (RMC) (Figura 1) che confermava dilatazione del ventricolo destro con ridotta funzione sistolica e discinesia focale a livello del terzo distale oltre che LGE a livello della parete infero-laterale del ventricolo sinistro e della parete libera del ventricolo destro. L’esito della RMC rispondeva a due criteri maggiori per la diagnosi di ARVD (frazione d’eiezione del ventricolo destro = 25%; volume telediastolico del ventricolo destro 308 ml/m2), permettendoci, quindi, di giungere alla diagnosi definitiva. Successivamente, vista la storia clinica che gli conferiva un alto rischio di morte cardiaca improvvisa il paziente è stato candidato ad impianto di defibrillatore (ICD) e i familiari di primo grado sono stati sottoposti a screening per la suddetta cardiomiopatia.

CONCLUSIONI: Questo caso clinico dimostra come la presentazione della cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro (ARVD) può essere non specifica e la diagnosi può risultare difficoltosa. Le implicazioni che questa cardiomiopatia presenta dal punto di vista prognostico per la vita del paziente e dei familiari impone di considerarla sempre come possibile diagnosi differenziale al fine di evitarne un ritardo nella diagnosi.

Due culprit per uno STEMI?

Enrico Ponti, Chara De Toni, Chiara Idini, Gianluca Pillitteri, Roberto Saiu, Renata Malivojevic, Giuseppe De Luca

Scuola di Specializzazione Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università di Sassari

Abstract

La sindrome coronarica acuta con sopralivellamento del tratto ST è una condizione clinica causata da un’occlusione trombotica acuta di una arteria coronaria (culprit lesion). È sempre più comune, nel contesto di tale scenario, il riscontro di una coronaropatia multivasale. Questo dato è anche dovuto ad un trattamento sempre più tempestivo dell’infarto miocardico acuto, che ha aumentato considerevolmente la sopravvivenza dei pazienti con diagnosi di IMA negli ultimi anni. Riportiamo il caso di un paziente di 57 anni con SCA STEMI inferiore e riscontro angiografico di due culprit lesion.

Introduzione

L’ischemia miocardica e l’infarto sono causati da diversi processi fisiopatologici che portano ad uno squilibrio tra il fabbisogno e apporto miocardico di ossigeno. Questo mismatch, se grave o prolungato, causa la necrosi miocardica.  La riduzione del flusso in un infarto con sopralivellamento del tratto ST è spesso data da un’occlusione trombotica totalmente occlusiva che colpisce solitamente un vaso coronarico, causando un’ischemia transmurale. In questo case report riportiamo il caso di un uomo di 57 anni con infarto miocardico inferiore, in cui sono state identificate due culprit lesion.

Caso clinico

Un uomo di 57 anni, forte fumatore, riferiva da circa tre giorni la comparsa di dolore toracico oppressivo, associato ad astenia e lieve dispnea; per tale motivo aveva contattato il 118. Eseguito l’ECG, è stato riscontrato un infarto miocardico acuto con sopralivellamento del tratto ST in sede inferiore. Per tale motivo il paziente ha eseguito l’accesso presso la Sala di Emodinamica dell’Ospedale di Oristano, dove è stata eseguita una coronarografia in regime d’urgenza.

Figura 1

L’angiografia ha evidenziato un quadro di coronaropatia multivasale (Figura 1), in particolare ha mostrato:

  • Coronaria destra (Cdx) occlusa al tratto prossimale (TIMI 0) con presenza di vistoso materiale trombotico;
  • Ateromasia moderata dell’interventricolare anteriore (IVA) media, con occlusione di IVA distale (TIMI 0);
  • Stenosi critica della circonflessa(CX) al tratto medio-distale ed ateromasia moderata del tratto prossimale in biforcazione con marginale ottuso (MO1))

Di fronte a questo quadro angiografico si è optato per eseguire in prima istanza l’angioplastica primaria della Cdx. Dopo somministrazione di Tirofiban, e’ stato innanzitutto rimosso il materiale trombotico mediante tromboaspirazione con successiva predilatazione della lesione e impianto di DES. Ripristinato il flusso è stata evidenziata una severa ateromasia nella porzione medio-distale del vaso: pertanto si è proceduto con un ulteriore impianto di DES, ottenendo un ottimo risultato angiografico finale (Figura 2).

Successivamente è stato eseguito il controllo angiografico dell’IVA. Si può osservare dalla figura 2 una ricanalizzazione del vaso e residua stenosi subocclusiva, probabilmente dovuta all’utilizzo dell’eparina e di inibitori della Glicoproteina IIb-IIa. Notiamo inoltre che le caratteristiche angiografiche dell’occlusione indirizzano verso una trombosi acuta.

Figura 2

È opportuno, dunque, valutare come approcciare questa lesione, ovvero se optare per una rivascolarizzazione intraprocedurale oppure differita.

A tal proposito, sono state fatte diverse considerazioni:

  • L‘IVA si presenta in questo caso iperdominante, circonda e supera l’apice cardiaco contribuendo in maniera significativa all’irrorazione delle porzioni apicali del setto inferiore e delle porzioni distali della parete inferiore;
  • In concomitanza, notiamo come la Cdx distale e l’IVP siano in realtà di esile calibro.

In tale contesto la lesione dell’IVA distale è stata considerata, date le sue caratteristiche, una seconda lesione culprit. Pertanto, è stata eseguita la procedura di angioplastica primaria ottenendo un ottimo risultato finale (Figura 3).

Per quanto riguarda le lesioni della Cx, in virtu’ della distalità della lesione critica su MO, si è optato per un approccio conservativo ottimizzando la terapia medica e programmando una valutazione con imaging stress test al follow-up. La successiva degenza è decorsa in maniera regolare e priva di complicanze. L’elettrocardiogramma in dimissione mostrava un ritmo sinusale con segni di necrosi in sede inferiore. L’ecocardiogramma confermava i segni elettrocardiografici evidenziando un’acinesia dei segmenti medio-basali del SIV inferiore e della parete inferiore, seppur con una funzione sistolica conservata (EF 58%).

Discussione

Questo case report offre uno spunto di riflessione sull’approccio dei pazienti con SCA STEMI nel contesto di una coronaropatia multivasale. Le linee guida sulla rivascolarizzazione miocardica della Società Europea di Cardiologia indicano che la rivascolarizzazione delle lesioni non culprit dovrebbe essere considerata prima della dimissione (IIA), non specificando però il timing (intraprocedurale vs staged). Questi dati sono supportati da diversi trial randomizzati (RCT) qualiPRAMI, CvLPRIT, DANAMI-3-PRIMULTI, COMPARE-ACUTE, COMPLETE, che hanno dimostrato nella loro globalità come una rivascolarizzazione completa, durante il ricovero per una SCA, sia associata ad una riduzione dei MACE, soprattutto per un ridotto tasso di rivascolarizzazioni nel follow-up successivo, in assenza di un chiaro beneficio in termini di sopravvivenza. L’unica eccezione è rappresentata dal paziente in stato di shock cardiogeno, dove la rivascolarizzazione delle lesioni non culprit non è raccomandata (IIIA).

Figura 3

Nello scenario sopra descritto, non vi è tuttavia una chiara posizione da parte delle linee guida, poiché non viene presa in considerazione l’eventualità di due lesioni culprit differenti. Possiamo ipotizzare in questo caso che la vera culprit sia stata la lesione della coronaria di destra: questo primum movens, potrebbe aver favorito il rilascio di citochine pro-infiammatorie, di molecole vasocostrittrici che hanno probabilmente causato l’instabilità di una placca preesistente anche a carico dell’IVA.

Conclusioni

La decisione su scelta dei tempi e modalità del completamento della rivascolarizzazione dipende da numerosi fattori. Il quadro clinico complessivo del paziente (età, funzione ventricolare sinistra, diabete mellito, insufficienza renale cronica, vasculopatia periferica) è sicuramente un elemento cardine nella scelta della strategia terapeutica. Accanto ai dati clinici del paziente è necessario valutare il quadro anatomico da trattare: lesioni semplici vs lesioni complesse; estensione del territorio sotteso alla stenosi; occlusioni acute vs occlusioni croniche. In questo modo, tramite un approccio multiparametrico, è possibile indirizzare il paziente verso la strategia terapeutica di rivascolarizzazione più efficace e sicura.

Arresto Cardiaco da intossicazione da Flecainide

Signoretta Gianluca, Catellani Davide, De Gregorio Mattia, Notarangelo Francesca

Università degli Studi di Parma

Abstract

La flecainide agisce prevalentemente inibendo il canale del sodio voltaggio-dipendente Nav 1.5 e causando un rallentamento della fase di depolarizzazione rapida, corrispondente alla “fase 0” del potenziale d’azione cardiaco. La sua finestra terapeutica è piuttosto ristretta (200-800 μg/L): il suo sovradosaggio può portare a tachicardia/fibrillazione ventricolare o ad un rallentamento della conduzione atrioventricolare di varia gravità, fino anche all’asistolia. In corso di intossicazione da flecainide, acquista vitale importanza stabilizzare il paziente mediante somministrazione di sodio bicarbonato 8.4% per via endovenosa, garantendo generalmente una rapida normalizzazione del tracciato ECG e la conseguente stabilizzazione  emodinamica.

Introduzione

La flecainide acetato, antiaritmico di classe IC, esercita il suo principale effetto farmacologico come potente inibitore del canale del sodio voltaggio-dipendente noto come Nav 1.5,  codificato dal gene SCN5A e presente quasi esclusivamente a livello dei cardiomiociti. La flecainide va a legarsi alla proteina transmembrana trascritta da SCN5A e ne rallenta il passaggio dalla conformazione inattivata alla forma chiusa, diminuendo pertanto l’afflusso intracellulare di sodio. Si verifica di conseguenza un rallentamento della fase di depolarizzazione rapida, corrispondente alla “fase 0” del potenziale d’azione cardiaco. [1]

La flecainide è attualmente disponibile in tre diverse formulazioni: due orali (una a rilascio immediato e una a rilascio prolungato) e una endovenosa. [2]

Benché sia stata originariamente approvata per la prevenzione e la soppressione di aritmie ventricolari potenzialmente mortali, attualmente la principale indicazione clinica della flecainide è costituita dalla cardioversione farmacologica della FA parossistica o persistente in cuori esenti da patologia strutturale. L’interruzione dei circuiti di rientro a livello atriale avviene grazie alla riduzione del potenziale d’azione e all’aumento del periodo refrattario dei miociti atriali. [1;3]

La flecainide ha una finestra terapeutica piuttosto ristretta (200-800 μg/L) e il suo sovradosaggio può portare a tachicardia/fibrillazione ventricolare o ad un rallentamento della conduzione atrioventricolare di varia gravità, fino anche all’asistolia. [3] Sono state descritte  due diverse morfologie di TV: a) a blocco di branca destra con QRS <200 ms, con onde P visibili e QTc non significativamente allungato b) a blocco di branca sinistra con QRS>200 ms, con assenza di onde P e con QTc prolungato. I decessi da intossicazione di flecainide descritti finora in letteratura presentavano esclusivamente quest’ultimo pattern [4;5].

Caso Clinico

Presentiamo il caso di una signora di 80 anni (M.C.) trasportata in regime di emergenza presso il nostro laboratorio di emodinamica dopo ROSC in ACC da multipli episodi di tachicardia a complessi larghi esorditi con sincope e riferito dolore toracico (Figura 1).  

Figura 1: ECG teletrasmesso. Tachicardia a complessi larghi

Per numerose recidive di tachicardia a complessi larghi durante il trasporto si rendeva necessario sedare ed intubare la paziente per erogare gli shock esterni. In tali circostanze la paziente entrava in emodinamica in condizioni di stabilità emodinamica.

L’ECG di base mostrava una FA a medio-bassa risposta ventricolare alternata a lunghe fasi di ritmo idioventricolare con importante slargamento del QRS senza segni di ischemia acuta in atto (Figura 2).

Dalle poche informazioni fruibili dal punto di vista anamnestico emergeva una storia di cardiopatia in esiti di valvuloplastica mitralica non ulteriormente specificata, una FA cronica in terapia con NAO e recente sostituzione protesica di ginocchio.

Come da protocollo ACLS e vista la peculiarità dell’ECG all’arrivo, si provvedeva ad indagare le cause dell’arresto cardiaco tramite l’algoritmo delle 4I e 4T.

Una veloce obiettività generale rilevava dei vistosi edemi degli arti inferiori con un’asimmetria eclatante del polpaccio sinistro che, insieme alla storia del recente intervento ortopedico, ha portato in prima istanza a sospettare un quadro di TEP.

Si eseguiva pertanto una rapida ecoscopia per ricercare potenziali segni di sovraccarico acuto del VDx o di tamponamento cardiaco.

Figura 2: ECG all’arrivo. Alternanza di FA, ritmo idioventricolare a complessi larghi e tachicardia a complessi larghi

Alla luce del quadro ECG e del riscontro di una significativa dilatazione ventricolare destra, in assenza di effusione pericardica, si soprassedeva all’esecuzione di coronarografia e si inviava la paziente ad esecuzione urgente di Angio-TC polmonare che sorprendentemente mostrava solo un difetto di riempimento segmentario in sede apicale destra, certamente non compatibile con un quadro clinico tanto eclatante. Non venivano riscontrati segni di pneumotorace iperteso.

Gli esami ematochimici mostravano infine solo lieve anemia e disionia con un’ipokaliemia non significativa.

Si procedeva dunque al ricovero in rianimazione COVID per riscontro di tampone positivo per SARS-CoV2 e per il prosieguo della stabilizzazione emodinamica e della ventilazione meccanica.

Il giorno successivo la paziente ha continuato a manifestare un’importante instabilità elettrica con numerosi episodi di tachicardia a complessi larghi, non responsivi alla terapia farmacologica con amiodarone e lidocaina, ma trattati efficacemente con CVE.

Da una più accurata ricostruzione anamnestica emergeva una terapia domiciliare in cronico con flecainide in formulazione a rilascio prolungato con posologia overdosata (150mg x2/die) che la paziente aveva recentemente introdotto in terapia.

A questo possiamo aggiungere il riscontro di una funzionalità renale severamente ridotta di nuovo riscontro, con creatininemia pari a 1.8 mg/dl (eGFR 30 ml/min), causante di conseguenza un allungamento dell’emivita del farmaco a circa 60-70 ore.  All’emogasanalisi si determinava inoltre una severa acidosi metabolica (pH 7.26).

In considerazione della terapia domiciliare, della funzionalità renale ridotta, della morfologia elettrocardiografica degli eventi aritmici e dello slargamento persistente del complesso QRS, nonché della mancata risposta alla terapia con lidocaina, si ipotizzava la diagnosi di tachicardia a complessi larghi da accumulo di flecainide. Alla luce di questo sospetto clinico e degli episodi aritmici recidivanti ed emodinamicamente significativi, si indicava somministrazione di sodio bicarbonato 30 mEq in bolo + 50 mEq in infusione in 12 h (da ripetere al termine), calcio gluconato 2 fl 1 g/ 10 ml (10%). In seguito ad ogni CVE delle tachicardie a complessi larghi, si riscontrava elettrocardiograficamente FA a bassa risposta ventricolare (compresa tra i 30-45 bpm) con QRS largo in un quadro di già labile compenso emodinamico (Figura 3). La paziente veniva quindi portata in sala di emodinamica per procedere al posizionamento di un PM temporaneo: durante la procedura si segnala l’insorgenza di ulteriori 4 episodi aritmici trattati ciascuno efficacemente con shock CVE a 150 J.

A 36 h di distanza dalla precedente, veniva nuovamente eseguita valutazione cardiologica della paziente, la quale si presentava oramai libera da nuovi episodi tachiaritmici. Non si documentavano interventi del PM temporaneo e si procedeva pertanto alla rimozione del dispositivo di stimolazione cardiaca.

Figura 3. FA a medio-bassa risposta ventricolare e a complessi larghi

All’elettrocardiogramma di superficie si riscontrava FA a medio-alta risposta ventricolare con progressivo restringimento dei complessi QRS, segno di una riduzione dell’effetto generato dall’intossicazione da flecainide.

Durante la successiva degenza in rianimazione si procedeva a weaning respiratorio fino a progressiva estubazione della paziente. Si rendeva però necessario il posizionamento di un drenaggio toracico destro per evidenza alla TC torace di un abbondante versamento pleurico con completa atelettasia del lobo inferiore omolaterale e parziale atelettasia del lobo medio associato a versamento pleurico saccato in sede anteriore, verosimilmente ematico, senza segni di sanguinamento attivo. 

Alla luce del miglioramento clinico/radiologico dopo rimozione del drenaggio e sospensione dell’O2 terapia, si procedeva a trasferimento in cardiologia, dove si rendeva però necessario somministrare terapia diuretica a boli e reintraprendere la ventilazione con ossigeno  a seguito di un’improvvisa riacutizzazione del quadro clinico.  Una buona risposta diuretica e un progressivo miglioramento degli scambi gassosi hanno però permesso il passaggio definitivo della paziente all’aria ambiente.

La paziente veniva infine trasferita presso altro centro per l’esecuzione di cicli di riabilitazione.  La prescrizione terapeutica finale comprendeva: terapia anticoagulante (con Dabigatran 110 mg x 2/die), betabloccante (con metoprololo 100 mg 1 cp ore 8 e ½ cp ore 20), diuretica (furosemide 100 mg 1 cp ore 8 e ½ cp ore 20 + canreonato di K+ 50 mg/die) e ipolipemizzante.

DISCUSSIONE

Non esistendo uno specifico antidoto, l’approccio terapeutico da seguire in caso di intossicazione da flecainide ruota attorno a tre cardini: a) ridurre l’assorbimento gastrointestinale del farmaco, generalmente tramite carbone attivo b) garantire la stabilità emodinamica del paziente c) antagonizzare l’effetto della molecola già in circolo.

L’uso di sodio bicarbonato 8.4% per via endovenosa garantisce generalmente una rapida normalizzazione del tracciato ECG e la conseguente stabilizzazione  emodinamica, con meccanismo tuttavia poco chiaro. Si ipotizza che la molecola agisca in almeno due modi: spiazzando la flecainide dal suo recettore e diminuendo l’attività di quella ad esso ancora legata mediante alcalinizzazione del pH ematico.  L’utilizzo di emulsioni lipidiche è invece meno comune. [3]

BIBLIOGRAFIA

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Interruzione dell’arco aortico: riscontro incidentale in una paziente sottoposta ad angioplastica coronarica

Giuseppe Vadalà1, Davide Diana2,3, Giovanni Diana2, Daniele Adorno3, Giovanni Ferraiuoli3, Luca Di Fazio3, Benjamin De Ornelas3, Vincenzo Sucato1,3, Egle Corrado1,3, Giuseppina Novo1,3 e Alfredo Ruggero Galassi1,3.

  1. Dipartimento di Cardiologia, Ospedale Universitario Paolo Giaccone, Palermo.
  2. Dipartimento di Cardiologia, Ospedale San Giovanni di Dio, Agrigento.
  3. Dipartimento ProMISE, Università di Palermo.

Abstract

L’interruzione dell’arco aortico è una rarissima anomalia congenita definita come la più estrema forma di coartazione aortica ed associata a elevatissima mortalità infantile quando non corretta mediante chirurgia.

Figura 1: Nel tipo A, l’interruzione si verifica distalmente all’origine dell’arteria succlavia sinistra. Nel tipo B, l’interruzione si verifica tra l’origine dell’arteria carotide comune di sinistra e l’arteria succlavia sinistra. Nel tipo C, l’interruzione si verifica prossimalmente all’origine dell’arteria carotide comune di sinistra.

Il suo riscontro negli adulti è aneddotico e possibile soltanto grazie allo sviluppo di sistemi collettori arteriosi che consentono di oltrepassare l’ostruzione ma rappresentano una sfida nelle procedure di interventistica coronarica percutanea.

Descriviamo il caso occorso ad una donna di 58 anni ammessa per NSTEMI e sottoposta ad angioplastica coronarica percutanea in cui è stata riscontrata l’interruzione dell’arco aortico. L’Angio-TC, mediante tecniche avanzate di Riformattazione Multiplanare e Volume-rendering, ha disegnato dettagliatamente la tortuosa anatomia dei vasi collaterali collettori arteriosi.

Introduzione

L’interruzione dell’arco aortico è una rarissima anomalia congenita con prevalenza pari a tre soggetti per milione di nati vivi. È annoverata tra le cause di cianosi nei neonati ed è definita come la più estrema forma di coartazione aortica. Quando non sottoposta a trattamento, esclusivamente chirurgico, questa condizione è associata ad una mortalità superiore al 90% ad un anno (1). L’interruzione usualmente si verifica tra la arteria carotide comune di sinistra e la arteria succlavia sinistra (> 50%, tipo B) ma può anche riscontrarsi distalmente all’origine dell’arteria succlavia sinistra (40%, tipo A) o tra l’arteria anonima e l’arteria carotide comune di sinistra (5%, tipo C) (figura 1), e di solito si associa ad ampi e non restrittivi difetti del setto interventricolari e a shunt destro-sinistro mediante la pervietà del dotto arterioso che termina a valle dell’ostruzione. Il suo riscontro negli adulti affetti da aterosclerosi coronarica è aneddotico e possibile soltanto grazie allo sviluppo di sistemi collettori arteriosi che, bypassando l’interruzione, riforniscono di sangue ossigenato la parte inferiore del corpo.

Ove necessario, questa condizione renderebbe molto complesse eventuali procedure di intervento percutaneo coronarico, soprattutto nel setting emergenziale e nei casi in cui la anomalia non sia precedentemente nota. Per quanto a noi risulta, in Letteratura è stato riportato soltanto un caso di interruzione dell’arco aortico nel contesto di una Sindrome Coronarica Acuta (2).

Caso Clinico

Descriviamo un caso occorso presso il nostro Centro che riguarda una donna di 58 anni ammessa per infarto miocardico senza sopraslivellamento del segmento ST (NSTEMI). La sua anamnesi patologica era muta per patologie di rilievo e la paziente riferiva di non assumere farmaci al domicilio.

Figura 2 A-B: Angiografia a Sottrazione Digitale (DSA). A. Connettori vascolari tortuosi tra l’Arteria Succlavia Destra e l’Aorta Discendente. B. Occlusione dell’Aorta discendente distalmente all’origine dell’Arteria Succlavia sinistra. C: L’angiografia coronarica mostra una stenosi critica a livello della arteria coronaria destra (freccia bianca). D: Il risultato finale dopo l’angioplastica coronarica con inserimento dello stent. E-F: L’angio-TC con Riformattazione Multiplanare (MPR: Multi Planar Reformatting o Reconstruction) mostra l’occlusione dell’Arco Aortico dopo l’origine dell’Arteria (E) el’Angio-TC con Riformattazione Multiplanare che mostra l’ipertrofia del ventricolo sinistro (F). G-H: Angio-TC con ricostruzione volume-rendering: la proiezione latero-laterale mostra l’interruzione dell’arco aortico, distalmente all’origine dell’arteria succlavia sinistra (G); la proiezione antero-posteriore mostra la tortuosità dei vasi connettori arteriosi che decorrono in rapporto con la colonna vertebrale ed originano da entrambe le arterie succlavie terminando nell’aorta discendente (H).

La paziente è stata sottoposta ad angiografia coronarica in regime di urgenza. L’accesso arterioso radiale destro non è stato percorribile per via dell’elevata tortuosità dei vasi arteriosi a livello succlavio. E’ stata pertanto eseguita l’Angiografia a Sottrazione Digitale (DSA) dell’aorta per via arteriosa radiale sinistra che ha mostrato l’interruzione dell’arco aortico distalmente all’origine della arteria succlavia sinistra (figura 2 A-B).

L’angiografia coronarica, pertanto, è stata eseguita per via radiale sinistra e successivamente e ha mostrato malattia aterosclerotica con stenosi emodinamicamente significativa nel segmento prossimale dell’arteria coronaria destra (vaso culprit). Per questo motivo, è stata effettuata l’angioplastica coronarica percutanea della arteria coronaria destra con inserimento di uno stent medicato nel tratto prossimale con buon risultato angiografico finale (figura 2 C-D). Al fine di approfondire l’anatomia vascolare, è stata eseguita l’Angio-TC mediante tecniche di Riformattazione Multiplanare (MPR: Multi Planar Reformatting o Reconstruction) e volume-rendering che ha confermato l’interruzione dell’arco aortico di tipo A e ha mostrato nel dettaglio la tortuosità dei vasi collaterali collettori arteriosi tra le arterie succlavie e l’aorta nel tratto discendente (figura 2 E-G-H).

È stata anche dimostrata la presenza di ipertrofia del ventricolo sinistro (figura 2 F) e non è stata riscontrata la presenza di difetti del setto interventricolare.

Conclusioni

L’interruzione dell’arco aortico, oltre a rappresentare una importante causa di mortalità in età infantile, può rappresentare una sfida nelle procedure di interventistica coronarica percutanea nei soggetti adulti. L’utilizzo di moderni software di imaging consente una ottimale definizione anatomica vascolare.

 

 

Bibliografia

1. Hanneman K, Newman B, Chan F. Congenital variants and anomalies of the aortic arch. Radiogr Rev Publ Radiol Soc N Am Inc. 2017;37:32–51.

2. Luís Alberto, Oliveira Dallan, Adriano Milanez, et al. Cardiogenic shock due to coronary artery disease associated with interrupted aortic arch. Jatene Revista Brasileira de Cirurgia Cardiovascular (2013),28(2):290.

FIg-1

Transvenous extraction of left bundle branch pacing lead: a safe procedure?

Raimondo Pittorru1, Pietro Bernardo Dall’Aglio1, Pasquale Valerio Falzone1, Vittorio Zuccarelli1, Enrico Fantini1, Michelangelo Siliberti1, Michele Nori1, Patrizia Aruta1, Antonella Cecchetto1, Domenico Catanzariti2, Gino Gerosa1, Federico Migliore1.

1Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari, Università degli Studi di Padova

2Divisione di Cardiologia, Ospedale Santa Maria del Carmine, Rovereto

Abstract: La stimolazione della branca sinistra sta emergendo come una modalità di stimolazione del sistema di conduzione alternativa a quella hissiana grazie alla sua capacità di garantire soglie basse e stabili. Tuttavia i dati sulle complicanze a medio/lungo termine e sulla sicurezza di un’eventuale estrazione sono limitati. Riportiamo il caso di una giovane ragazza, affetta da scompenso cardiaco in un quadro di cardiomiopatia dilatativa con severa disfunzione biventricolare, sottoposta ad estrazione transvenosa di elettrocateteri per insufficienza tricuspidale dieci mesi dopo l’impianto.

Caso clinico: Una donna di 28 anni, affetta da cardiomiopatia dilatativa con severa disfunzione biventricolare, veniva sottoposta a terapia di resincronizzazione mediante pacing di branca sinistra come alternativa alla terapia convenzionale nel gennaio 2020. La stimolazione della branca sinistra veniva effettuata mediante utilizzo del catetere SelectSecure 3830, 69cm (Medtronic Inc., Minneapolis, MN, USA) attraverso approccio transettale ventricolare. Il catetere veniva posizionato nel setto muscolare a circa 2 cm dalla regione hissiana (figura 1 A-B). Venivano inoltre posizionati un elettrocatetere atriale passivo ed un ICD single-coil attivo in sede apicale per la prevenzione della morte cardiaca improvvisa, vista la giovane età. Dopo alcuni mesi, nonostante l’introduzione di terapia medica ottimizzata, andava incontro ad un sensibile peggioramento dello scompenso cardiaco clinicamente destro caratterizzato da edemi declivi, turgore giugulare ed ascite complicata da episodi ricorrenti di peritonite batterica spontanea. Giungeva alla nostra attenzione 10 mesi dopo l’impianto per approfondimento del quadro clinico. L’ecocardiogramma mostrava una severa dilatazione del ventricolo sinistro (VTDi 100ml/mq) con una frazione di eiezione moderatamente ridotta (FE 36%) in presenza di ipocinesia diffusa. Si documentava inoltre un’insufficienza tricuspidale severa che riconosceva un meccanismo misto: dilatazione dell’annulus e mal-coaptazione dei lembi posteriore e settale per interferenza degli elettrocateteri (figura 1C). Dopo valutazione multidisciplinare, si condivideva di trattare l’insufficienza tricuspidale mediante rimozione transvenosa degli elettrocateteri. La procedura veniva eseguita in sala ibrida mediante guida ecocardiografica transesofagea. L’elettrocatetere dell’ICD veniva rimosso mediante trazione manuale con utilizzo di stiletto autobloccante. L’elettrocatetere da pacing di branca sinistra veniva rimosso mediante trazione manuale applicando fini movimenti bidirezionali sotto guida ecocardiografia transesofagea (figura 1D). Infine l’elettrocatetere atriale veniva estratto tramite sheat meccanica rotazionale (Cook Medical, Evolution RL). Si otteneva quindi un successo procedurale completo. Ai parametri ecocardiografici intra-operatori non si documentava nessuno shunt interventricolare in sede di applicazione dell’elettrocatetere per la branca sinistra (figura 1E); era invece apprezzabile un miglioramento dell’insufficienza tricuspidale. La paziente andava incontro, tuttavia, a scompenso cardiaco avanzato, refrattario alla terapia medica con peggioramento dell’insufficienza tricuspidale e veniva, infine, sottoposta a trapianto cardiaco.

Modified by F.Migliore et al, EuroPace. 2021 Dec 7;23(12):1921

Figura: Ecocardiogramma 4-camere dove si vede il catetere LBBP a livello del setto interventricolare (A). Ventricolografia destra che mostra gli elettrocateteri e l’insufficienza tricuspidale severa (B). Ecocardiogramma transesofageo (ETE) intraprocedurale che documenta l’insufficienza tricuspidale severa legata agli elettrocateteri (C). Fluoroscopia intraprocedurale che mostra la rimozione del catetere da stimolazione della branca sinistra mediante trazione manuale (D). ETE post-procedurale che non evidenzia shunt residui a livello del setto interventricolare (E). Il catetere da stimolazione della branca sinistra rimosso che non presenta fibrosi nella tip distale (F).

Discussione: Gli elementi sui quali si incentra la discussione sono sostanzialmente tre: il ruolo della stimolazione di branca sinistra (LBBP) oggigiorno; l’originalità del caso che prevede la rimozione del catetere deputato alla stimolazione della branca sinistra dopo dieci mesi; l’insufficienza tricuspidale secondaria anche all’interferenza degli elettrocateteri. Nel panorama elettrofisiologico la stimolazione hissiana, che ha come target la stimolazione del sistema di conduzione cardiaco nativo, è un pacing fisiologico accettato. Tuttavia, ha alcune limitazioni, fra le quali la difficoltà operativa ed il raggiungimento di soglie di pacing più elevate. Recentemente la stimolazione della branca sinistra attraverso un approccio trans-settale ventricolare è emerso come un’alternativa di stimolazione fisiologica e per la correzione del blocco di branca, con una soglia di cattura più bassa e stabile e una durata del QRS relativamente stretta grazie alla rapida attivazione ventricolare sinistra.

La necessità di penetrazione dell’elettrocatetere all’interno del setto interventricolare per il reclutamento della branca sinistra desta preoccupazioni circa la sicurezza ed efficacia dell’estrazione qualora si rendesse necessaria in futuro. Una delle preoccupazioni è l’impossibilità di introdurre uno stiletto all’interno del lume di questi elettrocateteri necessario per garantire una trazione efficace durante la procedura di estrazione. E’ noto che la presenza di più elettrocateteri possa impedire una corretta coaptazione dei lembi della valvola tricuspide determinando un’insufficienza anche rilevante. Il caso clinico offre a considerare che l’insufficienza tricuspidale può essere non soltanto una complicanza dell’estrazione ma essere causata dall’interferenza degli elettrocateteri.

Conclusioni: Il nostro caso clinico dimostra che la rimozione transvenosa dell’elettrocatetere deputato alla stimolazione della branca sinistra sembra essere sicura ed efficace anche dopo dieci mesi, senza evidenza di shunt residuo a livello del setto interventricolare. Questo rappresenta il caso clinico con durata di permanenza di elettrocatetere (dwelling-time) da stimolazione della branca sinistra più lungo riportato in letteratura. In futuro, bisognerà raccogliere maggiori dati circa la sua fattibilità tecnica, considerando anche la loro peculiarità e la corretta sequenza di estrazione in caso di presenza di più elettrocateteri.

caso clinico

Figura2

Un caso atipico di flutter atriale tipico: quando il substrato è più complesso dell’atteso.

Federico Blasi, MD a,b, Jacopo Marazzato, MD a,b, Michele Golino, MD a,b, Carlo Arnò, MD a, b, Manola Vilotta, EP Tech a, Lorenzo Adriano Doni, MD a, Raffaella Marazzi, MD a, Roberto De Ponti, MD, FHRS a,b,.

a Department of Heart and Vessels, Ospedale di Circolo, Viale Borri, 57, Varese 21100, Italy; b Department of Medicine and Surgery, University of Insubria, Viale Guicciardini, 9, Varese 21100, Italy.

Abstract:

Le aritmie atriali nel contesto di cardiopatie congenite corrette chirurgicamente possono nascondere substrati aritmici più complessi di quanto atteso, che vanno accuratamente valutati da un punto di vista clinico ed interventistico. Riportiamo il caso di una paziente di 51 anni nata con un quadro di Tetralogia di Fallot, giunta alla nostra attenzione per un quadro di tachicardia sopraventricolare, in cui lo studio elettrofisiologico comprensivo di un accurato mappaggio elettroanatomico ha consentito la corretta definizione dell’aritmia sottostante con conseguente trattamento definitivo del substrato aritmico.

Introduzione:

Nel corso degli anni, le tecniche di ablazione per il flutter atriale tipico comune (FLATC) sono migliorate al punto che l’ablazione dell’istmo cavo-tricuspidalico (ICT) è attualmente considerata la terapia di scelta in questa aritmia. Infatti, la percentuale di successo dopo una singola procedura è riportata in letteratura pari al 91,7%, con un tasso di complicanze inferiore allo 0,5%. 1

Tuttavia, alcune situazioni particolari possono inficiare l’efficacia e la sicurezza di questa procedura.

Spesso è possibile riconoscere le procedure che presenteranno possibili difficoltà grazie ad elementi presenti all’ECG di base, come un ciclo più lungo, o ad un contesto particolare, come una storia di intervento cardiochirurgico e/o cardiopatie congenite.

Caso Clinico:

Nel 2019, una donna di 51 anni accedeva in Pronto Soccorso con un quadro di scompenso cardiaco e cardiopalmo. La paziente era nota per Tetralogia di Fallot per cui era stata sottoposta nel 1973 e nel 1981 a correzione chirurgica con infundibolectomia e posizionamento di patch pericardico transanulare, chiusura del difetto del setto interventricolare e posizionamento di una protesi biologica polmonare. Dall’intervento correttivo permane una residua stenosi polmonare, in follow up presso il centro di riferimento.

All’ECG di presentazione in Pronto Soccorso si riscontrava una tachicardia sopraventricolare a 100 bpm, condotta con blocco di branca destra ed emiblocco anteriore sinistro, in assenza di chiare onde P (Figura 1A).

Dopo la somministrazione della terapia per il controllo della frequenza ventricolare, l’ECG mostrava un’aritmia atriale con onde P a morfologia compatibile con un FLATC, con variabile conduzione atrioventricolare (Figura 1B). Vista la persistenza dell’aritmia e della sintomatologia, la Paziente veniva sottoposta a studio elettrofisiologico (SEF) ed eventuale ablazione trans catetere per il ripristino del ritmo sinusale.

Durante il SEF, dopo posizionamento di un catetere decapolare in seno coronarico come repere, è stato eseguito un mappaggio elettroanatomico dell’aritmia in atrio destro, mostrando una vasta area cicatriziale nella zona postero-laterale (zona grigia nel mappaggio elettroanatomico, Figura 2A) e piccole zone cicatriziali sparse a livello dell’ICT.

Dopo ricostruzione del percorso di rientro, si è dimostrato come l’aritmia fosse sostenuta da un macrorientro con orientamento antiorario intorno all’anello tricuspidale, con ciclo di 350 ms e rallentamento a livello del tessuto cicatriziale nell’ICT (Fig. 2A). Questa particolare durata del ciclo favoriva un rapporto di conduzione atrio-ventricolare 1:1, che, associata al disturbo di conduzione, mascherava l’effettiva aritmia all’ECG di presentazione.

Inoltre, grazie all’accurato mappaggio elettroanatomico, si è evidenziata un’area di attivazione relativamente precoce a ore 11 dell’anello tricuspidale, non legata al loop peritricuspidale e fonte di una seconda onda di attivazione (freccia nera Fig. 2A), segno della coesistenza di un secondo substrato fonte di un’aritmia parzialmente soppressa dal flutter in corso.

Pertanto, l’ICT è stato sottoposto ad ablazione con radiofrequenze e successivo blocco della conduzione smascherando, all’interruzione del circuito, una seconda aritmia con ciclo di 360 ms (Fig. 3).

Il mappaggio post-ablazione ha mostrato un’aritmia focale con un’attivazione centrifuga più precoce nella zona identificata già al primo mappaggio in corso di flutter come zona ad attivazione precoce (Fig 2B). Successive applicazioni di radiofrequenze nella zona hanno quindi soppresso efficacemente la tachicardia atriale.

A seguito della procedura descritta la paziente si è mantenuta in ritmo sinusale, stabile e asintomatica per cardiopalmo al follow up a due anni ed è seguita presso il centro di riferimento per dal punto di vistacardiochirurgico per la nota stenosi polmonare.

Discussione:

Oltre alle aritmie da macrorientro come i flutter atriali, anche le tachicardie atriali focali possono essere riscontrate nei pazienti sottoposti ad interventi cardiochirurgici.

Anche se in questa popolazione le aritmie atriali da macrorientro risultano di gran lunga più rappresentate, un meccanismo focale è presente dal 7 al 18% delle aritmie riportate in letteratura2-6.

I siti di origine delle tachicardie atriali focali possono essere in alcuni casi, come quello descritto, molto vicini a vaste zone cicatriziali con bassi potenziali, dove i microrientri possono rappresentare l’origine dell’aritmia.

Nel caso proposto, un’aritmia focale ed un flutter tipico comune coesistevano, come dimostrato dal mappaggio elettroanatomico di propagazione.

Ciò era possibile solo grazie al fatto che il ciclo delle due aritmie risultava molto simile, dato che il FLATC era rallentato dalla zona cicatriziale dell’ICT.

È inoltre interessante notare come la frequenza ventricolare della prima aritmia osservata (Fig 1A), non corrisponda esattamente ad alcun possibile rapporto di conduzione del FLATC con ciclo di 350 ms osservato successivamente. Poiché le aritmie da rientro tendono a mantenere un ciclo stabile a differenza di quelle focali, è possibile che la prima aritmia mostrata in figura 1 possa essere la tachicardia atriale focale riscontrata poi successivamente durante il SEF e che in questo caso le due aritmie si alternassero.

Conclusioni:

Le aritmie atriali in un contesto di cardiopatia congenita corretta chirurgicamente possono nascondere un substrato più complesso di quanto atteso, che va accuratamente valutato da un punto di vista clinico ed interventistico.

In questi casi particolari è pertanto fondamentale eseguire un accurato mappaggio elettroanatomico in modo da consentire un trattamento completo e definitivo del substrato aritmico.

FIGURE:

Fig. 1.  ECG a 12 derivazioni all’ingresso in PS (A) e dopo terapia (B).

Fig. 2: A) Mappa di attivazione elettroanatomica del FLATC in atrio destro in proiezione antero-posteriore. Un singolo loop è evidente a livello peritricuspidalico (frecce bianche). Un’ulteriore zona di attivazione precoce, non compatibile con il loop di rientro, si osserva nella zona antero-laterale alle ore 11 dell’ICT (freccia nera). Le aree grigie identificano zone cicatriziali prive di attività elettrica mentre i punti rosa rappresentano zone con potenziali frammentati.

B) Mappa di attivazione elettroanatomica della tachicardia focale atriale dopo interruzione del FLATC. La zona rossa (freccia nera) identifica la zona di attivazione precoce già evidente in corso di FLATC.

Fig. 3. ECG a 12 derivazioni della tachicardia atriale comparsa dopo blocco della conduzione a livello dell’ICT, con ciclo di 360 ms.

Bibliografia:

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  2. de Groot NM, Zeppenfeld K, Wijffels MC, et al. Ablation of focal atrial arrhythmia in patients with congenital heart defects after surgery: role of circumscribed areas with heterogeneous conduction. Heart Rhythm 2006;3:526–35.
  3.  Pap R, Koha´ ri M, Makai A, et al. Surgical technique and the mechanism of atrial tachycardia late after open heart surgery. J Interv Card Electrophysiol 2012;35:127–35.
  4. Koha´ ri M, Pap R. Atrial tachycardias occurring late after open heart surgery. Curr Cardiol Rev 2015; 11:134–40.
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FIgure-2-1

Cardiomiopatia dilatativa e trombosi intraventricolare sinistra come manifestazioni cliniche di granulomatosi eosinofila con poliangioite: un case report.

Alessandro AppetecchiaMD1,Federica ColettiMD1, Valeria De Luca MD1, Mihail Celeski MD1, Valerio Fanale MD1, Ylenia La PortaMD1, Lorenzo Guarino MD1, Giorgio Antonelli MD1

1 Department of Cardiovascular Sciences, Campus Bio-Medico University Foundation, Rome, Italy. 

Abstract

La granulomatosi eosinofila con poliangioite (EGPA), conosciuta anche come sindrome di Churg-Strauss, è una rara forma di vasculite dei piccoli-medi vasi che coinvolge frequentemente il cuore in modo eterogeneo, causando miocardite, insufficienza cardiaca, pericardite, aritmie, arterite coronarica, valvulopatia o trombosi intracavitaria, con una prognosi sfavorevole se non precocemente diagnosticata e trattata.  Riportiamo il caso di una paziente di 45 anni con cardiomiopatia a fenotipo dilatativo ipocinetico e trombosi intraventricolare sinistra da coinvolgimento cardiaco di EGPA.

Caso clinico:


Donna di 45 anni, con pregressa abitudine tabagica, senza eventi cardiovascolari maggiori in anamnesi, con storia di asma bronchiale e sinusopatia. Accedeva al Pronto Soccorso del Policlinico per insorgenza da circa tre mesi di dispnea progressivamente ingravescente e parestesie dell’arto inferiore sinistro per cui eseguiva PET-TC total body esternamente con riscontro di tromboembolia polmonare segmentaria sinistra associata a formazioni pseudo nodulari polmonari. All’obiettività cardio-toracica ottusità plessica e riduzione del murmure vescicolare alle basi polmonari, epatomegalia ed arto inferiore sinistro caldo e edematoso. All’ECG: tachicardia sinusale con FC 105 bpm, bassi voltaggi diffusi periferici, normale conduzione AV ed IV, scarsa progressione dell’onda R nelle derivazioni precordiali, diffuse anomalie della ripolarizzazione. L’ecocardiogramma evidenziava: dilatazione e diffusa ipocinesia del ventricolo sinistro, con verosimile stratificazione trombotica all’apice e severa riduzione della funzione sistolica globale (FE 20%), dilatazione biatriale, ventricolo destro dilatato con ridotta contrattilità, versamento pericardico circumferenziale non determinante compressione sulle camere cardiache. Gli esami ematochimici mostravano eosinofilia (1900 cell, v.r. 11%), lieve rialzo della troponina I HS (56 pg/ml), rialzo di NT-Pro BNP (26200 pg/ml) e degli indici di funzionalità epatica. Quindi la paziente si ricoverava in UTIC per la prosecuzione dell’iter diagnostico-terapeutico. Durante la degenza, in considerazione della disfunzione ventricolare di nuovo riscontro, si eseguiva TC coronarica che documentava coronarie epicardiche indenni da patologia ateromasica significativa, confermando però la presenza di trombosi endocavitaria. A completamento diagnostico si eseguiva Cardio RMN (CMR) (Figura 1) che confermava quadro di cardiopatia dilatativa con severa riduzione della funzione sistolica biventricolare (FEVS 14 %, FEVD 26%), presenza di late gadolinium enhancement (LGE) in sede sub-endocardica con coinvolgimento diffuso dei segmenti ventricolari medio-apicali ed in sede infra-miocardica a livello del SIV inferiore basale e medio-apicale, come da esiti fibrotici. La TC total body confermava la tromboembolia e le lesioni polmonari (Figura 2) e mostrava versamento pleuro-pericardico, cirrosi epatica cardiogena, trombosi della vena uterina di destra e della vena gonadica di sinistra.  In considerazione dell’ipereosinofilia, della presenza di noduli polmonari, della neuropatia periferica, dell’anamnesi personale di asma bronchiale e sinusiti ricorrenti, unitamente ai reperti strumentali e laboratoristici, si poneva diagnosi di vasculite eosinofilica ANCA-negativa con interessamento cardiaco, secondo i criteri ACR 2022, e si intraprendeva terapia steroidea ed immunosoppressiva con ciclofosfamide. Dopo terapia medica ottimizzata, non assistendo ad un significativo recupero della funzione sistolica ventricolare, la paziente veniva sottoposta ad impianto di ICD sottocutaneo.

Discussione:
La granulomatosi eosinofila con poliangioite (EGPA) (o sindrome di Churg-Strauss) è una forma rara di vasculite, caratterizzata da infiammazione granulomatosa eosinofilica e vasculite necrotizzante dei vasi di piccolo e medio calibro, associata nel 40 – 60% dei casi a positività di P-ANCA.  Si manifesta clinicamente con infiltrati polmonari (spesso migranti), poli o mononeuropatie, polisierositi, interessamento cardiaco e renale.   La diagnosi si basa sui seguenti criteri codificati dall’American College of Rheumatology (per la diagnosi è necessario un punteggio ≥6):

– malattia ostruttiva delle vie aeree (+3),

– polipi nasali (+3),

– mononeurite multipla (+1)

– eosinofilia ≥ 1×109/L (+5)

– infiammazione eosinofila extravascolare alla biopsia (+2);

– positività per anticorpi cANCA o anti-PR3 (- 3)

– ematuria (-1)

La paziente presentava storia di asma bronchiale da più di 5 anni, sinusiti ricorrenti, mononeurite (all’elettromiografia degli arti inferiori segni di denervazione in atto ai muscoli pedidio e gastrocnemio sinistro) ed ipereosinofilia che in accordo con i criteri ACR 2022 permettevano di confermare la diagnosi di EGPA (punteggio 9).

I pazienti si possono presentare con un quadro di miocardite, insufficienza cardiaca, pericardite, aritmie, arterite coronarica, valvulopatia o trombosi cardiaca intracavitaria. È stato ipotizzato che vi siano tre fasi consecutive di danno cardiaco determinato dall’infiltrazione eosinofila: 1. infiltrazione eosinofila del miocardio e necrosi miocardica acuta; 2. stadio trombotico e sviluppo di fibrosi dell’endocardio, del miocardio e delle corde tendinee, fino alla possibile evoluzione in cardiomiopatia restrittiva; 3. disfunzione valvolare.
Il coinvolgimento cardiaco interessa il 60% dei casi, con una prognosi sfavorevole (mortalità 50%); risulta più frequente nei pazienti ANCA negativi, come nel caso in questione. La nostra paziente presentava un quadro di cardiomiopatia a fenotipo dilatativo ipocinetico con coinvolgimento biventricolare, con concomitante presenza di uno stato trombotico (trombo intraventricolare, tromboembolia polmonare, trombosi della vena uterina e gonadica), non correlato a componente trombofilica (esclusa mediante ricerca di mutazione del fattore V di Leiden, Fattore II, dosaggio della proteina C ed S, degli anticorpi antifosfolipidi, risultati negativi). Lo stato pro-trombotico era dunque principalmente imputabile all’ipereosinofilia.

L’ECG mostra generalmente alterazioni aspecifiche (inversione dell’onda T, dilatazione atriale, ipertrofia ventricolare, BBdx incompleto, scarsa progressione onda R e BAV di I grado). Nel presente caso l’ECG mostrava diffuse anomalie del tratto ST-T e scarsa progressione dell’onda R nelle derivazioni precordiali. L’ecocardiogramma transtoracico, esame mandatorio in pazienti con EGPA, può rilevare ipertrofia ventricolare sinistra, dilatazione atriale sinistra, dilatazione ventricolare destra e versamento pericardico. Segno distintivo è l’obliterazione trombotica dell’apice del ventricolo sinistro o destro (presente nel 41% dei casi), osservato anche nella nostra paziente (Figura 3). I reperti CMR più comuni sono, invece, il LGE subendocardico e la dilatazione ventricolare sinistra con ridotta funzione sistolica globale, analogamente al caso presentato. La biopsia endomiocardica rimane il gold standard diagnostico per l’evidenza istologica di fibrosi endocardica, trombosi murale ed infiammazione e trombosi dei piccoli vasi, sebbene gravata da un maggiore invasività. Nel caso in oggetto si soprassedeva all’esecuzione della stessa, essendo la diagnosi già definita secondo criteri clinici e laboratoristici.

Il trattamento comprende la terapia antinfiammatoria/immunosoppressiva, il management delle complicanze trombotiche e, nei casi di coinvolgimento cardiaco, la terapia specifica per l’heart failure (HF). Nel caso presentato si è intrapreso trattamento con glucocorticoidi e ciclofosfamide (immunosoppressore, riservato alle forme gravi di malattia con coinvolgimento multiorgano), con guideline-directed medical treatment (GDMT) per l’HF e terapia anticoagulante a dosaggio terapeutico. Prima dell’avvio della terapia immunosoppressiva, si escludeva la presenza della mutazione F1P1L1-PDGFRA, variante genetica associata ad una forma di ipereosinofilia che beneficia di target therapy con Imatinib.  Dopo i primi cicli di terapia antinfiammatoria/immunosoppressiva si otteneva un rapido miglioramento dei parametri laboratoristici (normalizzazione della conta eosinofila) e della sintomatologia (miglioramento della dispnea, dell’astenia e della sintomatologia neurologica), senza tuttavia assistere ad un miglioramento della funzione sistolica globale ventricolare (valutata mediante ecocardiogrammi seriati), nonostante GDMT. Pertanto, in considerazione della severa disfunzione ventricolare sinistra (FEVS<35%) e dell’esteso LGE alla CMR, si decideva di procedere ad impianto di ICD sottocutaneo in prevenzione primaria della morte cardiaca improvvisa.

Conclusioni:
In questa giovane paziente, che accedeva al PS per documentata tromboembolia polmonare, sintomatica per dispnea, con storia di asma bronchiale di lunga data, e riscontro laboratoristico di eosinofilia, l’evidenza ecocardiografica di cardiomiopatia dilatativa e trombosi ventricolare sinistra, ha portato alla diagnosi di scompenso cardiaco a ridotta frazione d’eiezione da EGPA con grave coinvolgimento cardiaco. La CMR ha avuto un ruolo chiave, sia per la diagnosi, che per la gestione a lungo termine. Le armi terapeutiche a nostra disposizione sono rappresentate dal trattamento immunosoppressivo con corticosteroidi, ciclofosfamide e rituximab, che possono indurre una remissione clinica e strumentale completa. Tuttavia, nel caso proposto, la severa dilatazione e disfunzione biventricolare e l’esteso LGE alla CMR suggerivano un’improbabile reversibilità della cardiopatia con sola terapia medica ottimizzata, associandosi quindi ad una scarsa prognosi a lungo termine.

Referenze:

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Figura 1: CMR con evidenza di LGE inframiocardico e versamento pleuro-pericardico (figura chiave)

Figura 2: CT Torace con evidenza di formazioni pseudo nodulari polmonari e versamento pleurico.

Figura 3: Ecocardiogramma color-doppler transtoracico con evidenza di trombosi apicale ventricolare sinistra e versamento pericardico

FIgura-1

Trombosi endoluminale di aneurisma coronarico misconosciuto come causa di infarto miocardico acuto. Strategia medica, percutanea, chirurgica o combinata?

Setting clinico: Ospedale Sandro Pertini, Roma                    

Antonio Davide Cioffi1, Martina Renda1, Francesco Starnazzi1, Simona Samperi1, Lupo-Lorenzo Dei1, Simona Minardi1, Silvio Romano1, Antonino Granatelli2

  1. Università degli studi dell’Aquila
  2. Ospedale Sandro Pertini, Roma

Abstract

Gli aneurismi coronarici sono delle dilatazioni di almeno una unità e mezza rispetto ad un segmento adiacente. Sono spesso causa di quadri ischemici per le complicanze alle quali vanno incontro. La loro identificazione risulta un dilemma in termini di diagnosi, trattamento e follow-up. Presentiamo il caso clinico di un paziente con sindrome coronarica acuta con sovraslivellamento del tratto ST (SCA-STEMI) inferiore il cui albero coronarico mostrava severa dilatazione aneurismatica con occlusione trombotica della coronaria destra. L’angioplastica senza impianto di stent ha previsto una terapia antiaggregante e anticoagulante con evidenza di risoluzione dell’alto burden trombotico iniziale ai successivi controlli angiografici, a 24 h ed 1 mese dall’evento acuto.

Introduzione: L’aneurisma coronarico è caratterizzato dalla dilatazione di una o più porzioni di una coronaria il cui diametro supera di almeno una unità e mezza rispetto ad una porzione adiacente. L’incidenza varia tra lo 0,15 e il 4,9% dei pazienti sottoposti a coronarografia. Può presentarsi localizzato ad un singolo segmento o diffuso.  Sebbene siano spesso reperti accidentali, complicanze come trombosi, embolizzazione distale, rottura e vasospasmo possono causare quadri clinici importanti che variano dall’angina, all’infarto miocardico fino a quadri ben più gravi di insufficienza cardiaca e morte improvvisa. La letteratura riporta alcuni casi che si mostrano tuttavia molto eterogenei tra loro suggerendoci come il trattamento più appropriato sia tutt’oggi oggetto di controversie, probabilmente perché la loro storia naturale e prognosi non sono sufficientemente conosciute.

Caso clinico: Uomo di 62 anni, fumatore, ipercolesterolemico si presentava per SCA-STEMI inferiore con breve tempo precoronarico (1 ora). L’ECG mostrava un sopraslivellamento del tratto ST in sede inferiore e laterale (Figura 1). Veniva dunque posta indicazione a coronarografia urgente previa somministrazione di 250 mg di acido acetilsalicilico ev, 180 mg di ticagrelor per o.s. e 5000 ui di eparina non frazionata.

Figura 1. ECG: rs, Fc 75 bpm, sopra-ST in DII, DIII ed aVF ed in V5 e V6 di almeno 2 mm.

La coronarografia evidenziava albero coronarico sinistro indenne da stenosi significative (Figura 2). La coronaria destra (Cdx) presentava dilatazione aneurismatica al primo tratto con occlusione trombotica del terzo tratto ad elevato burden trombotico. Si procedeva a tromboaspirazione ed angioplastica con “kissing balloon” tra il ramo postero-laterale e l’interventricolare posteriore. In relazione al marcatissimo carico trombotico della coronaria aneurismatica si decideva di non impiantare nessuno stent e, dopo aver osservato lenta opacizzazione distale del vaso (TIMI 2), si impostava infusione continua e.v. di Eparina e Tirofiban al dosaggio di 0,15 microgrammi/kg/min per 18 ore.

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Figura 2. Coronarografia. A sn: aneurisma del primo tratto della Cdx con occlusione trombotica distale. A dx: parziale ricanalizzazione del vaso dopo angioplastica.

Il paziente veniva quindi ammesso in UTIC, paucisintomatico, Pa 140/85 mmHg, FC 60 bpm, Spo2 96% in aria ambiente. L’ecocardiogramma mostrava ventricolo sinistro di dimensioni e spessori parietali normali con acinesia della parete inferiore ed ipocinesia dei segmenti medio-basali della parete laterale condizionante una moderata disfunzione sistolica con frazione di eiezione 45%. Nei giorni successivi gli enzimi di miocardiocitonecrosi raggiungevano un picco di 37,6 ng/ml, l’ECG mostrava una regressione del sopraslivellamento del tratto ST ed il paziente si manteneva in buon compenso emodinamico in assenza di aritmie al monitoraggio telemetrico.

A 24 ore dall’evento acuto il controllo angiografico evidenziava un significativo miglioramento della trombosi endoluminale con pervietà del ramo interventricolare posteriore (flusso TIMI 3) anche se residuava l’occlusione trombotica distale del ramo postero-laterale. In relazione all’assenza di lesioni aterosclerotiche stenosanti non si poneva indicazione ad impianto di stent. Veniva impostata terapia con acido acetilsalicilico, ticagrelor e warfarin per una settimana mantenendo un INR tra 2 e 2,5. Il paziente veniva dunque dimesso con terapia anti-ischemica (beta-bloccante, ace-inibitore, statina e diuretico) e dopo discussione collegiale si decideva di switchare il ticagrelor a clopidogrel 75 mg 1 cp mantenendo l’anticoagulante. Un ulteriore controllo angiografico ad 1 mese di distanza (Figura 3) mostrava la ricanalizzazione completa del ramo postero-laterale confermando dunque l’efficacia della terapia anti-aggregante ed anticoagulante somministrata, che veniva dunque sospesa per proseguire con la singola anti-aggregazione.


Figura 3. Controllo coronarografico a 24h: significativo miglioramento della trombosi endoluminale, pervietà del ramo interventricolare posteriore con flusso TIMI 3.

Discussione: Gli aneurismi coronarici decorrono spesso in maniera asintomatica. Tuttavia, come nel caso riportato, l’obliterazione completa o parziale del lume dell’aneurisma da parte di un trombo o la sua embolizzazione può condurre ad una sindrome coronarica acuta. Il nostro paziente è stato sottoposto con successo a tromboaspirazione percutanea ed a terapia medica con anticoagulanti ed antiaggreganti.  Il follow-up angiografico a 24 ore e ad 1 mese dall’evento acuto ha mostrato una completa ricanalizzazione della trombosi endoluminale.

Conclusioni:

Questo caso suggerisce che in presenza di importanti dilatazioni aneurismatiche a carico delle arterie coronarie può essere necessaria una terapia antitrombotica particolarmente aggressiva (off-label). Infatti, pur in assenza di linee guida che stabiliscano la terapia più appropriata in presenza di aneurismi coronarici, esistono diverse esperienze condivise, case report ed articoli in letteratura che suggeriscono il possibile impiego di una terapia specifica, perlopiù basata sull’utilizzo di anticoagulanti.

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Complete heart block as a rare manifestation of granulomatosis with polyangitis: a case report

Rossella Manai, Marco Matteo Cingolani, Francesco Bruno, Claudia Raineri, Pier Paolo Bocchino, Simone Frea, Gaetano Maria De Ferrari

Division of Cardiology, Cardiovascular and Thoracic Department, Città della Salute e della Scienza, Turin, Italy; Cardiology, Department of Medical Sciences, University of Turin, Italy

Abstract:

Il coinvolgimento cardiaco nella granulomatosi con poliangioite (GPA) meglio conosciuta come granulomatosi di Wegener è raro, ma si può manifestare in diversi modi, causando pericardite, miocardite, lesioni valvolari, arterite a livello coronarico e difetti del sistema di conduzione. La GPA non trattata è una condizione fatale la cui prognosi è particolarmente influenzata dal coinvolgimento renale e cardiaco. Riportiamo il caso di un paziente di 42 anni con un blocco atrioventricolare completo dovuto a infarto miocardico antero-settale secondario ad arterite coronarica legata a GPA.

Introduzione

La granulomatosi con poliangioite (GPA), altresì conosciuta come granulomatosi di Wegener, è una rara vasculite sistemica immunologicamente mediata di eziologia sconosciuta caratterizzata da un pattern di reazione infiammatoria (necrosi, infiammazione granulomatosa e vasculite dei piccoli vasi) che coinvolge principalmente le vie respiratorie superiori ed inferiori e i reni1. La GPA è inclusa nel gruppo delle vasculiti associate agli anticorpi citoplasmatici anti-neutrofili (ANCA) e fu descritta per la prima volta come sindrome separata da Friedrich Wegener nel 1936 e nel 19392-3.

È una malattia rara, ed in Europa la sua prevalenza è di 5 casi ogni 100.000 abitanti, con una maggiore incidenza nel Nord Europa e nella popolazione caucasica4. Entrambi i sessi sono colpiti allo stesso modo ed interessa un’ampia fascia di età (da 8 a 99 anni), con un’età media alla diagnosi di 40 anni5.

Il coinvolgimento cardiaco è raro e colpisce il 3,3-10% dei pazienti 6, ma è stato riportato un ampio spettro di anomalie, tra cui pericardite, miocardite, lesioni valvolari, arterite a livello coronarico e difetti del sistema di conduzione.

In questo case report riportiamo il caso di un uomo di 42 anni con un blocco atrioventricolare completo dovuto a infarto miocardico antero-settale secondario ad arterite coronarica legata a granulomatosi con poliangite o granulomatosi di Wegener.

Caso Clinico

Un uomo di 42 anni, ex fumatore, si è presentato nel nostro pronto soccorso dopo una sincope atraumatica senza prodromi, preceduta da forte dolore all’arto inferiore sinistro. In anamnesi riportava solo tabagismo e una reazione allergica al pistacchio. A causa della tosse persistente un mese prima, aveva effettuato una TC del torace che mostrava un nodulo polmonare apicale destro di 28 mm di diametro con margini acuti e spiculati e un nodulo subpleurico di 10 mm di diametro nel segmento apicale del lobo superiore destro, ipercaptante alla PET-TC successivamente effettuata (Figura 1).

Figura 1: TC torace e maxillo faciale ed ECG di ingresso del paziente

L’ECG all’ingresso in pronto soccorso mostrava un blocco atrioventricolare completo con un ritmo scappamento ventricolare di 40 bpm (Figura 1). L’ecofast evidenziava una lieve riduzione della frazione di eiezione (FE 45%) con un’ipocinesia al livello del setto basale.

Gli esami di laboratorio effettuati hanno mostrato un aumento dei leucociti con spiccata neutrofilia e eosinofilia, una PCR di 193 mg/dl (vn <5 mg/dl), una troponina I di 18483 ng/l (vn <34 ng/l) e NTproBNP di 14627 ng/l con associata trombocitosi, anemia e insufficienza renale acuta (creatinina 2,27 mg/dl). 

Dato il quadro di blocco AV completo e l’instabilità emodinamica, il paziente veniva trasportato d’urgenza nel laboratorio di emodinamica per l’inserimento di un pacemaker temporaneo. La coronarografia effettuata per escludere una sindrome coronarica acuta ha mostrato l’occlusione distale del primo ramo settale, diagonale e marginale, trattate conservativamente (Figura 2).

Dopo la procedura, il paziente è stato trasferito nella nostra Unità di Terapia Intensiva Coronarica dove ha sviluppato segni e sintomi di ischemia acuta dell’arto inferiore sinistro. A causa dell’ischemia persistente e dei tentativi falliti di ripristinare la vascolarizzazione degli arti con trombolisi locoregionale e angioplastica percutanea, è stata eseguita un’amputazione della gamba sopra il ginocchio dopo alcuni giorni. L’arto amputato è stato inviato all’anatomia patologica per un’analisi microscopica e molecolare.

Figura 2: Coronarografia ed esame anatomopatologico a microscopio ottico della gamba amputata del paziente

Le emocolture, urinoculture e tutti i markers neoplastici sono risultati negativi, mentre l’esame dei sedimenti urinari ha mostrato cilindri, leucociti e grave eritrocituria, fortemente indicativi di glomerulonefrite acuta. Per escludere un coinvolgimento del sistema nervoso centrale abbiamo eseguito una TC cranio e delle ossa facciali che ha mostrato una sinusite mascellare sinistra (Figura 1).  Nel sospetto quindi di una vasculite sistemica, abbiamo anche richiesto un pannello di screening reumatologico che ha mostrato un alto titolo di cANCA (125 UI/ml). L’esame anatomopatologico dell’arto amputato ha mostrato una marcata vasculite necrotizzante con ampio coinvolgimento di vasi arteriosi di piccolo-medio e di grosso calibro con associate lesioni trombotiche focali sovrapposte, in parte ricanalizzate (Figura 2). Sulla base di questi risultati clinici e di laboratorio abbiamo effettuato una diagnosi di GPA.

Il paziente, quindi, è stato trattato con metilprednisolone EV in bolo da 500 mg per tre giorni, seguito da glucocorticoidi orali ad alte dosi (prednisone 1 mg/kg/giorno)con associato rituximab 375 mg/m2 settimanalmente per 4 cicli7. Dopo la terapia di induzione, il paziente ha ripetuto una TC del torace che ha mostrato una marcata riduzione delle dimensioni del nodulo polmonare (Figura 3). La funzionalità renale è gradualmente migliorata con un valore di creatinina alla dimissione di 1,37 mg/dl. La conduzione atrioventricolare 1:1 è stata ripristinata dopo pochi giorni dal ricovero e non sono più stati documentati blocchi AV o pause patologiche, permettendo la rimozione del pacemaker temporaneo. Il paziente è stato dimesso in ritmo sinusale con blocco di branca destra completo (Figura 3). L’ecocardiogramma alla dimissione ha mostrato una funzione sistolica lievemente compromessa (FE 48%), in presenza di acinesia del setto basale e una ridotta deformazione longitudinale globale (valore medio -17,3%) (Figura 3).

Discussione

La GPA non trattata è una condizione fatale la cui prognosi è particolarmente influenzata dal coinvolgimento renale e cardiaco. La terapia per la GPA ha aumentato la sopravvivenza, con conseguente remissione in oltre il 90% dei pazienti, in particolare nei pazienti che non hanno ancora sviluppato un danno renale importante8. Se non trattata, la malattia di solito è rapidamente fatale e l’82% dei pazienti muore entro 1 anno. Pertanto, una diagnosi accurata e precoce di GPA è di fondamentale importanza per migliorare la prognosi. Si stima che il tasso di sopravvivenza a 10 anni sia del 40% quando sia coinvolto il rene e del 60-70% quando non vi è alcun coinvolgimento renale9.

Figura 3: TC torace di controllo, ECG e ecocardiogramma alla dimissione

I principali fattori che contribuiscono alla mortalità includono vasculite attiva, malattie cardiovascolari, neoplasie e più comunemente infezioni batteriche. Il coinvolgimento cardiaco nella granulomatosi di Wegener è secondario a vasculite necrotizzante con infiltrati granulomatosi. Pericardite e vasculite coronarica sono i reperti più frequenti (50% dei casi), ma sono descritti anche miocardite, endocardite e granulomi del sistema di conduzione10-11.

Conclusioni

La GPA presenta un ampio spettro di manifestazioni e rimane uno dei dilemmi diagnostici più impegnativi nella medicina clinica. Dai comuni sintomi respiratori e neurologici alle rare complicanze cardiache, questa malattia sistemica fatale è difficile da distinguere dalle eziologie infettive ed è spesso scambiata per un disturbo isolato12-13. Il conseguente ritardo nella diagnosi e nel trattamento può portare a disabilità e/o mortalità a causa della rapida progressione della malattia14-15.

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