Fibrillazione atriale postoperatoria dopo chirurgia non cardiaca: revisione sistematica e metanalisi

Alessandro Albini1,Vincenzo Livio Malavasi1, Marco Vitolo1,2, Jacopo Francesco Imberti1, Marco Marietta3, Gregory Y.H. Lip2,4 and Giuseppe Boriani1

1 Cardiology Division, Department of Biomedical, Metabolic and Neural Sciences, University of Modena and Reggio Emilia, Policlinico di Modena, Modena, Italy

2 Liverpool Centre for Cardiovascular Science, University of Liverpool and Liverpool Heart & Chest Hospital, Liverpool, United Kingdom

3 Department of Oncology and Haematology, University Hospital, Modena, Italy

4Aalborg Thrombosis Research Unit, Department of Clinical Medicine, Aalborg University, Aalborg, Denmark.

Abstract

La fibrillazione atriale postoperatoria (POAF) nel contesto della chirurgia non cardiaca (NCCH) è frequente e correlata con un peggiore outcome intraospedaliero. Meno solidi sono i dati sul significato a lungo termine di questa aritmia. Presentiamo la recente metanalisi della letteratura realizzata dal nostro gruppo. Lo sviluppo di POAF è risultato correlato ad un aumento di 4 volte del rischio di stroke. Inoltre, la mortalità nel gruppo POAF è risultata significativamente più alta rispetto ai pazienti post NCCH senza sviluppo di POAF. Tali dati mostrano che la sistematica ricerca della POAF potrebbe contribuire a migliorare l’outcome di questo cluster di pazienti; inoltre appare necessario identificare strategie di prevenzione e valutare l’impatto della terapia anticoagulante nel gruppo ad elevato rischio tromboembolico.

Commento

La fibrillazione atriale postoperatoria (POAF) è definita come fibrillazione atriale (AF) di nuovo riscontro nel contesto postoperatorio ed ha una incidenza che raggiunge il 50% in cardiochirurgia (CCH) e il 15% in chirurgia non cardiaca (NCCH)(1,2). Tale aritmia si associa a maggiori complicanze postoperatorie, maggiore spesa sanitaria e mortalità intra-ricovero (2,3). Nel contesto CCH, la POAF viene considerata una conseguenza diretta della manipolazione del tessuto cardiaco, mentre in NCCH può essere interpretata come l’effetto di stressors fisiologici su un substrato atriale predisposto e potenzialmente protrombotico. (4,5) Visto il numero esiguo  di dati solidi riguardanti il rischio tromboembolico a lungo termine, legato all’interpretazione della POAF come un’ entità benigna e transitoria, rimane forte incertezza sull’ utilizzo della terapia anticoagulante in pazienti recentemente operati. Non sono disponibili ad oggi chiare indicazioni sull’anticoagulazione a lungo termine in questi pazienti. Il nostro gruppo ha pertanto realizzato una metanalisi analizzando in primis stroke e mortalità nei pazienti  POAF e senza POAF nel decorso postoperatorio della NCCH e in secondo luogo dati sulla recidiva di AF nei pazienti POAF.

Fig.1: Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analyses (PRISMA) flow chart.  
Legenda: FU, follow-up; n, number; POAF, post operative atrial fibrillation; pt, patients.

La nostra strategia di ricerca in Medline, Scopus e Google Scholar è constata di 2 step: abbiamo dapprima identificato studi che riportassero gli outcome di interesse (stroke, mortalità, recidiva di AF) escludendo coorti CCH e di chirurgia carotidea/aortica. Successivamente abbiamo ristretto l’analisi a studi che avessero almeno 12 mesi di follow-up e almeno 150 pazienti con diagnosi di POAF. Inoltre, condizione necessaria per l’accettazione dello studio era l’esclusione nelle analisi di pazienti con pregressa storia di AF. La revisione sistematica ha identificato 8 studi (5, 6-12) per un totale di 3.718.587 pazienti, 7 studi osservazionali e 1 trial randomizzato controllato, mentre 6 studi sono stati meta-analizzati utilizzando il modello random-effects di Mantel-Haenszel (Figura 1).

Per quanto riguarda l’outcome stroke, l’analisi ha riguardato 2.186.644 pazienti; si sono registrati 6.766 eventi, 240 nella coorte POAF e 6.526 nella coorte senza POAF. La POAF è risultata associata con un rischio 4 volte più alto di stroke a 12 mesi (OR 4.05; 95% CI 2.91-5.62). L’analisi della mortalità ha riguardato 18.405 pazienti, la POAF è risultata associata ad un rischio 3.6 volte maggiore di mortalità a 12 mesi (OR 3.59; CI 95% 2.84-4.53) (Figura 2).

I dati sulla recidiva di fibrillazione atriale sono risultati troppo eterogenei in termini metodologici per poter essere meta-analizzati; negli studi che hanno rilevato la recidiva a 12 mesi, al netto delle differenze metodologiche, questa si attestava tra il 37 e il 39%.

La metanalisi del nostro gruppo è stata indirizzata alla identificazione del significato prognostico a lungo termine della POAF, una delle aritmie che più frequentemente sono causa di consulto cardiologico le cui implicazioni, soprattutto in termini di tromboprofilassi, sono più incerte.

Il contesto della chirurgia non cardiaca è peculiare per molteplici aspetti. In primis, differisce dalla chirurgia cardiaca per l’assenza della diretta manipolazione del tessuto cardiaco; inoltre, nel setting cardiochirurgico studi precedenti sul rischio precoce e tardivo di stroke hanno dato risultati contraddittori (13,14). Il contesto NCCH sembra condividere aspetti fisiopatologici con altri setting acuti in cui lo sviluppo di AF è correlato ad una prognosi peggiore, come la polmonite o la sepsi (15-16).

Ad ulteriore supporto degli effetti a lungo termine di episodi di AF transitori vi sono i dati riguardanti episodi di elevata frequenza atriale (AHRE) registrata da dispositivi impiantabili (17). In modo analogo agli studi sugli AHRE, anche negli studi da noi analizzati i pazienti che sviluppavano AF clinica nel follow-up venivano esclusi, per evidenziare il rischio conferito dalla sola POAF.

Fig.2: POAF e rischio long- term risk di stroke and mortality.
Legenda: CI, confidence interval; M-H, Mantel-Haenszel; POAF, post operative atrial fibrillation

Una strategia di tromboprofilassi analoga alla AF clinica sembra ragionevole in questo contesto, sebbene non siano al momento disponibili dati tratti da RCT. Un grande studio osservazionale danese ha dimostrato che il rischio tromboembolico di POAF e AF è analogo sul lungo termine e che l’incidenza dell’outcome è minore nei pazienti anticoagulati (7). In linea con i dati della letteratura e con il risultato della nostra metanalisi, le linee guida della società europea di cardiologia (ESC) 2020 raccomandano con classe di raccomandazione IIa e  livello di evidenza B, la profilassi long-term nei pazienti che sviluppano FA postoperatoria in setting NCCH a rischio tromboembolico elevato (18).

La POAF è correlata ad aumentata mortalità a breve termine (2) e la nostra analisi ha mostrato come anche la mortalità a lungo termine sia influenzata da tale evento. Sulla base del forte impatto prognostico, è ragionevole valutare strategie sistematiche per la ricerca di FA nel postoperatorio, soprattutto nelle popolazioni notoriamente a rischio più elevato (sesso maschile, afroamericani, età avanzata, comorbidità cardiache e respiratorie). L’utilizzo di score predittivi per lo sviluppo di POAF (e.g.: POAF score, CHA2DS2-VASc, CHADS2) e strategie di prevenzione farmacologica (betabloccanti, amiodarone, agenti antiossidanti) sono stati proposti, ma al momento non sono disponibili dati solidi tali da raccomandarne l’applicazione sistematica.

Conclusioni

La POAF nel contesto non cardiochirurgico è un’aritmia frequente e comporta un rischio tromboembolico e di mortalità consistente a lungo termine. L’impatto prognostico di tale aritmia dovrebbe spingere alla sua ricerca sistematica nel postoperatorio, allo sviluppo di efficaci strategie preventive e alla valutazione della terapia anticoagulante long-term nei pazienti ad elevato rischio tromboembolico.

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Light-chain cardiac amyloidosis: a case report of extraordinary sustained pathological response to cyclophosphamide, bortezomib, and dexamethasone combined therapy

Aldostefano Porcari 1*, Linda Pagura 1, Maddalena Rossi 1, Marika Porrazzo 2, Franca Dore 3, Rossana Bussani 4, Marco Merlo 1, and Gianfranco Sinagra 1 

1 Center for Diagnosis and Treatment of Cardiomyopathies, Cardiovascular Department, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano-Isontina (ASUGI), University of Trieste, Via P. Valdoni 7, 34100, Trieste, Italy; 2 Department of Hematology, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano-Isontina (ASUGI), Trieste, Italy; 3 Department of Nuclear Medicine, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano-Isontina (ASUGI), University of Trieste, Trieste, Italy; and 4 Center for Diagnosis and Treatment of Cardiomyopathies, Cardiothoracic Department, Institute of Pathological Anatomy and Histology, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano-Isontina (ASUGI), University of Trieste, Trieste, Italy.

Abstract

Il coinvolgimento cardiaco è un fattore prognostico infausto nell’amiloidosi AL. Spesso preclude terapie curative, quali chemioterapia ad alte dosi e trapianto autologo di cellule staminali (ASCT). Il trapianto cardiaco può venire considerato prima dell’ASCT in casi selezionati. Nei pazienti non eleggibili per ASCT, la chemioterapia con ciclofosfamide, bortezomib e desametasone (CyBorD), anche a basso dosaggio, può portare a remissione dalla malattia con risposta cardiaca eccellente. Riportiamo il caso di una paziente di 50 anni, con forma avanzata di amiloidosi cardiaca AL, ritirata dalle liste trapianto (sia cardiaco che ASCT) in seguito a terapia CyBorD per eccezionale risposta ematologica e cardiaca persistente.

Introduzione

L’amiloidosi a catene leggere (AL) è la forma più comune di amiloidosi sistemica, caratterizzata dalla deposizione extracellulare di immunoglobuline monoclonali a catena leggera come proteine ​​beta-fibrillari insolubili in vari tessuti, con conseguente insufficienza d’organo progressiva1. Il coinvolgimento cardiaco è comune (>50% dei pazienti con diagnosi di AL)2, e rappresenta il fattore prognostico peggiore. I pazienti con amiloidosi cardiaca avanzata (CA) di solito non traggono beneficio dai tradizionali trattamenti per l’insufficienza cardiaca3,4 e, spesso, non possono accedere a valide terapie curative come la chemioterapia ad alte dosi seguita dal trapianto autologo di cellule staminali (ASCT). La chemioterapia combinata con bortezomib è efficace nell’ottenere una risposta ematologica e d’organo in pazienti non idonei all’ASCT5, anche se la sopravvivenza globale nella CA avanzata è ancora bassa6. In casi selezionati, il trapianto di cuore (HTx) seguito da ASCT potrebbe rappresentare l’approccio adatto per ottenere una sopravvivenza a lungo termine e, talvolta, il pieno recupero dalla malattia ematologica7,8. Pertanto, è essenziale un’accurata selezione dei pazienti e una stratificazione del rischio.

Caso Clinico

La paziente è una donna di 50 anni con una storia recente di astenia, dispnea da sforzo e aumento di peso, con segni di grave insufficienza cardiaca di nuova insorgenza. Alla presentazione è ipotesa, con un soffio olosistolico meglio udibile all’apice cardiaco, rantoli polmonari bilaterali, edema degli arti inferiori e macroglossia. In anamnesi patologica remota risulta solo un intervento chirurgico al tunnel carpale bilaterale.

La diagnosi differenziale si pone con le cardiomiopatie, le cardiopatie ipertensive, ischemiche e valvolari. La macroglossia e la sindrome del tunnel carpale suggeriscono una malattia infiltrativa3, mentre il soffio cardiaco avalla la possibilità che una grave malattia valvolare possa precipitare l’insufficienza cardiaca acuta. L’assenza di fattori di rischio cardiovascolare rende improbabile la diagnosi di cardiopatia ischemica.

Fig. 1 (Figura chiave): Principali test diagnostici utilizzati per la diagnosi di amiloidosi cardiaca: elettrocardiogramma con normali voltaggi del QRS ed evidenza di pseudonecrosi (A), ecocardiografia dimostrante ipertrofia biventricolare, ispessimento valvolare ed effusione pericardica (B), grado 1 Perugini alla scintigrafia con difosfonato (C), e infiltrato plasmacellulare atipico con catene leggere lambda libere alla biopsia del midollo osseo (D).

L’ECG mostra un ritmo sinusale con normali voltaggi e onde Q anteriori e inferiori (Figura 1A) non coerenti con il grado di ipertrofia del ventricolo sinistro (LV) (max 17 mm); all’ecocardiografia, si evidenziano normale cinetica (Figura 1B), disfunzione diastolica di grado III, GLS -14%, un pattern di “apical sparing”, lembi ispessiti della valvola mitrale, ipertrofia del ventricolo destro e vena cava inferiore dilatata.

Agli esami di laboratorio emergono BNP elevato (618 pg/L, v.n.100 pg/L) e una lieve troponinosi T (0,34 ng/mL, v.n. 0,25 ng/mL). La coronarografia esclude malattia coronarica.

Il sospetto di CA è elevato; viene seguito l’algoritmo di Gillmore9: le catene leggere libere λ sieriche (FLC) sono aumentate (108 mg/dL, delta FLC 93 mg/dL) e alla scintigrafia con difosfonato emerge un l’uptake miocardico Perugini grado 1 (Figura 1C). Si conferma istologicamente, con biopsia del grasso addominale, la diagnosi di AL-CA. Emerge una diagnosi concomitante di smoldering mieloma micromolecolare di tipo λ, sulla base del 22% di plasmacellule clonali alla biopsia del midollo osseo, senza segni di danno d’organo avanzato (Figura 1D).
Il coinvolgimento cardiaco avanzato (stadio cardiaco Mayo III)10 e il mieloma micromolecolare controindicano l’ASCT come terapia iniziale.
Pertanto, è stata avviata terapia citoriduttiva a basse dosi con ciclofosfamide, bortezomib e desametasone (CyBorD). Nel decorso, vi sono state frequenti riammissioni per scompenso cardiaco con deterioramento emodinamico. Sono stati rilevati un indice cardiaco di 2,5l/min/m2 e un consumo di ossigeno gravemente ridotto durante l’esercizio (VO2) picco (15,4 ml/kg/min, 50% valore previsto) con ridotta efficienza ventilatoria al test da sforzo cardiopolmonare.
Dopo un ciclo CyBorD, le strategie terapeutiche sono state discusse collegialmente, considerando tre variabili principali: giovane età, grave coinvolgimento cardiaco con prognosi infausta e assenza di significativo coinvolgimento extracardiaco, sistematicamente studiato. La paziente è stata giudicata un buon candidato per HTx seguito da ASCT. Pertanto, entro due mesi dalla diagnosi, è entrata in lista d’attesa per HTx. Ha avuto due episodi sincopali senza chiari prodromi, per cui è stato impiantato un defibrillatore in prevenzione primaria come ponte a HTx.

Discussione

Abbiamo riportato un caso insolito di AL-CA che ha lasciato le liste trapianto (sia cardiaca che ASCT) per risposta ematologica completa persistente (>3 anni) ed eccezionale miglioramento cardiaco in chemioterapia CyBorD. Da questo caso emergono i seguenti elementi:
(1) Mantenere un alto sospetto di CA nei pazienti con SC con FE conservata e red flags specifiche è essenziale per raggiungere una diagnosi precoce e iniziare terapie con impatto sulla sopravvivenza.
(2) La selezione della migliore strategia terapeutica si basa su un’accurata stratificazione prognostica multidisciplinare e quantificazione del carico di malattia cardiaca ed extracardiaca, che massimizza le possibilità di sopravvivenza.
(3) Il trattamento per LA deve essere personalizzato per il paziente.

Il sospetto clinico di CA sorge dall’integrazione di dati clinici, ecocardiografici e laboratoristici. In questo caso, la discrepanza tra i voltaggi del QRS all’ECG e il grado di ipertrofia del LV all’ecocardiografia, la severa disfunzione diastolica con il pattern “apical sparing”, la troponina persistentemente elevata e la storia di intervento al tunnel carpale bilaterale sono stati indizi di rilievo per la diagnosi. 2,11–13

Fig. 2 Rilievi ecocardiografici pre (colonna di sinistra) e post (colonna di destra) chemioterapia con CyBorD: visione quattro camere (A), mitral inflow posterior wall (B) e global longitudinal strain (C)

La stratificazione prognostica dei pazienti con AL-CA è stimata da punteggi dedicati che integrano i valori di NT-proBNP, troponina e FLC10 che possono essere utilizzati per monitorare la risposta al trattamento14. Alla nostra paziente è stato assegnato un punteggio Mayo stadio III, che delinea un coinvolgimento cardiaco avanzato con alto tasso di mortalità precoce. Spesso i pazienti con queste caratteristiche non hanno abbastanza tempo per rispondere alla terapia.
Nella fase acuta dell’amiloidosi AL, danno cardiaco e disfunzione derivano dalla deposizione miocardica di fibrille amiloidi e dall’effetto tossico delle catene leggere sui cardiomiociti, elementi reversibili con un’efficace chemioterapia. Pertanto, la sopravvivenza globale nell’amiloidosi AL dipende della risposta ematologica. La chemioterapia è diretta verso il clone sottostante e mira a sopprimere la produzione di FLC che causano disfunzione d’organo2. Attualmente, CyBorD è lo standard di cura per l’amiloidosi AL, e fornisce una risposta ematologica parziale (riduzione ≥50% delle concentrazioni di FLC) e una risposta cardiaca (riduzione >30% o >300 pg/mL di NT-proBNP) rispettivamente nel 60% e nel 25% circa dei pazienti trattati6,15. La sopravvivenza globale a 5 anni è dell’80%, con una durata mediana della risposta di 4,5 anni per i pazienti che hanno raggiunto una risposta dopo trattamento con solo CyBorD, in modo simile ai pazienti trattati in sequenza con CyBorD e ACST5. Comunemente, il regime CyBorD è difficilmente tollerato anche a basse dosi in presenza di ipotensione e SC gravemente sintomatico.

Nel caso presentato, la paziente non era idonea all’ASCT a causa di una grave infiltrazione amiloide cardiaca ed è stata inserita in lista HTx alla luce dell’assenza di un coinvolgimento extracardiaco significativo, dell’assenza di altre comorbidità e della giovane età. Sebbene l’HTx consenta l’ASCT e possa conferire un vantaggio in termini di sopravvivenza7,8, comporta un tasso non trascurabile di complicanze, inclusa la morte, e può essere eseguito solo in pochi centri di riferimento. Da segnalare che il corretto timing per ASCT dopo HTx è tutt’ora oggetto di studio. In una recente serie di trapianti, alcuni pazienti non hanno avuto il tempo di ricevere ASCT dopo HTx a causa della progressione della malattia ematologica16; pertanto, questo trattamento è considerabile solo in pazienti ben selezionati senza amiloide extracardiaca significativa in cui si prevede che l’ASCT conferisca un beneficio sostanziale in termini di sopravvivenza, con un rischio relativamente basso di mortalità correlata al trattamento17.

Inaspettatamente, nella nostra paziente il regime CyBorD a basse dosi è risultato efficace nell’ottenere una risposta ematologica completa e un’impressionante risposta cardiaca, con un buono stato clinico a lungo termine. Tuttavia, nella gestione della nostra paziente sono stati essenziali rivalutazioni cliniche frequenti, monitoraggio rigoroso della risposta ai trattamenti e aggiustamenti terapeutici.

Fig.3 Management del caso clinico

La combinazione di daratumumab e bortezomib si è recentemente dimostrata efficace nel trattamento dell’amiloidosi AL, rendendo promettente una futura ridefinizione dello standard di cura nell’amiloidosi AL 18,19. Sono necessarie ulteriori ricerche, considerando che i progressi nella farmacoterapia dell’amiloidosi AL avranno un grande impatto sulla gestione clinica dei pazienti, riducendo possibilmente la necessità di ASCT.

Conclusioni

La diagnosi precoce del coinvolgimento cardiaco in AL fornisce il più ampio accesso alle opzioni terapeutiche, migliorando la sopravvivenza. L’HTx può essere considerato prima dell’ASCT in casi rigorosamente selezionati quando l’AL-CA avanzato preclude l’idoneità all’ASCT. È interessante notare che nei pazienti non idonei all’ASCT, la chemioterapia con regime CyBorD, anche a basse dosi, può portare a una remissione duratura della malattia con un’eccellente risposta cardiaca.

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Degenerazione caseosa dell’anello mitralico: un approccio di imaging multimodale

Musci Leone Giovanni, Colombi Riccardo, Margonato Davide, Paci Gabriele

‘Università Vita-Salute San Raffaele

Abstract:

La degenerazione caseosa dell’anello mitralico (caseous mitral annular calcification, CMAC) è una rara variante della calcificazione dell’anello mitralico (mitral annular calcification, MAC) il cui ruolo prognostico è ancora incerto. Un approccio di imaging multimodale è fondamentale per una corretta diagnosi e follow-up.  Presentiamo il caso clinico di una donna di 80 anni giunta alla nostra osservazione a causa di due pregressi eventi cerebrovascolari a eziologia indefinita. Escluse cause tipiche di eventi ischemici cerebrali, solo l’utilizzo dell’imaging multimodale ha permesso la diagnosi e la caratterizzazione di una forma atipica e mobile di CMAC come più probabile eziologia.

Introduzione:

La CMAC (caseous mitral annular calcification) è una rara variante della MAC (mitral annular calcification), definita da formazione di accumuli di tessuto caratterizzato da necrosi caseosa, con una prevalenza stimata nella popolazione generale dello 0.07% (1). Interessa tipicamente la popolazione anziana e il suo ruolo prognostico e il management più appropriato sono ancora incerti. Un approccio di imaging multimodale è raccomandato per una corretta caratterizzazione della componente caseosa, descritta come possibile fonte emboligena. Presentiamo qui il caso clinico di una paziente con storia di multiple embolie cerebrali a eziologia indefinita e diagnosi di CMAC atipica e mobile, ottenuta grazie a un approccio con imaging multimodale, come più probabile causa degli eventi clinici.

Figura 1: Imaging transtoracico e transesofageo.  A: Immagine transtoracica in parasternale asse corto della valvola mitrale; B: Immagine transtoracica in parasternale asse lungo; C: Immagine transesofagea con X-Plane in 4 camere; D: Immagine transesofagea off-axis        

Una donna di 80 anni giungeva alla nostra osservazione per un episodio di ipostenia e ipoestesia all’arto superiore destro. In anamnesi si segnalava un evento ischemico transitorio (TIA) esordito con transitoria perdita di memoria ad eziologia non definita, per cui veniva iniziata terapia antiaggregante con Clopidogrel. Da allora non venivano più segnalati eventi fino a marzo 2022, quando la paziente è stata ricoverata per minor stroke con ipostenia ed ipoestesia dell’arto superiore destro. La RMN encefalo ha mostrato multipli esiti di lesioni focali ischemiche di recente insorgenza nel territorio dell’arteria cerebrale media sinistra e lesione ischemica centimetrica acuta nel giro pre-centrale sinistro, come da possibile causa embolica. L’Holter ECG delle 24 ore non evidenziava eventi aritmici; veniva eseguito un Ecocolordoppler TSA, negativo per lesioni significative.

All’ecocardiogramma transtoracico si evidenziava una MAC con elementi mobili ad alto rischio emboligeno, per cui veniva riferita al nostro centro per un inquadramento diagnostico.

Per approfondimento diagnostico si eseguiva un ecocardiogramma transesofageo che, esclusi forame ovale pervio e trombosi endocavitaria, confermava la presenza di un’ampia MAC con componente peduncolata mobile di dimensioni 3×15 mm, quest’ultima di non univoca interpretazione (fig. 1). Gli esami ematochimici, le emocolture e l’assenza di elementi clinici escludevano la diagnosi di endocardite infettiva.

Figura 2: Immagini di risonanza magnetica cardiaca. A: immagine RMN in asse corto T1- pesata; B: immagine RMN in asse corto T2-pesata; B: immagine RMN per LGE.

Veniva pertanto eseguita una risonanza magnetica cardiaca che mostrava la presenza di foci di ipointensità nelle sequenze T1 e T2-pesata localizzati sull’anello posteriore mitralico, in assenza di captazione di mezzo di contrasto nelle sequenze tardive. A carico della lesione si identificavano aree di calcificazione caseosa a livello anulare e miocardico con possibile fistolizzazione in corrispondenza dell’irregolarità descritta (Fig. 2).

Infine, la paziente è stata sottoposta a uno studio mediante TC cardiosincronizzata con mezzo di contrasto che confermava le caratteristiche precedentemente descritte delle masse, in particolare la componente ipodensa aggettante nell’atrio con lunghezza di dimensioni 8 x 3 mm di possibile origine dalla calcificazione caseosa (Fig. 3).  

Alla luce di tali reperti, si concludeva per la diagnosi di una variante atipica e mobile di CMAC.

Discussione:

La CMAC è una rara variante della MAC, descritta in letteratura come possibile causa di fonte embolica(2).

Nel caso da noi riportato, una volta escluse le tipiche cause di cardioembolismo (monitoraggio ECG telemetrico settimanale negativo per aritmie, assenza di PFO, ematochimica negativa per endocardite infettiva), l’imaging multimodale è risultato fondamentale per identificare la componente caseosa, il cui carattere evolutivo nel tempo è stato già riportato in letteratura(3). Varie sono le ipotesi di fisiopatogenesi del cardioembolismo, in particolare distacco di materiale calcifico, ulcerazione ed embolizzazione di materiale caseoso e sovrapposizione trombotica (4).

Figura 3: Immagini TC con mezzo di contrasto. A: sezione trasversale; B: sezione sagittale.

Un corretto studio con imaging multimodale è necessario per effettuare diagnosi differenziale con altre masse cardiache origini di ischemia cerebrale a prognosi peggiore, in particolare le vegetazioni endocarditiche, gli ascessi miocardici e i tumori endocavitari.

La gestione clinica di questa patologia è ancora oggetto di dibattito: nel nostro caso l’intervento cardiochirurgico, indicato in caso di disfunzione valvolare o embolismi ricorrenti, è stato escluso per alto rischio chirurgico.  Per quanto riguarda la terapia medica, veniva intrapresa anticoagulazione (utilizzando Coumadin), come proposto da alcuni autori(5), alla luce degli eventi ricorrenti e della dubbia composizione della lesione mobile, con un follow-up clinico negativo per eventi ischemici a 4 mesi.

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Figura-B

Scompenso cardiaco a frazione d’eiezione preservata: oltre la terapia medica ottimale

Antonella Rispoli (1), Angelo Giano (1), Vittoria Miano (1), Michele Tedeschi (1), Marco Torre (1), Antonia Alfano (2), Michele Manzo (2), Gennaro Galasso (1) 

1. Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli studi di Salerno, Italia 

2. A.O.U. “San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona”, Salerno, Italia 

Introduzione 

Lo scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata (HFpEF) è una sindrome clinica complessa caratterizzata da una frazione di eiezione del ventricolo sinistro superiore al 50% e da segni e sintomi dovuti alla disfunzione diastolica (1,2). 

Lo scompenso cardiaco è spesso associato a tachiaritmie sopraventricolari come la fibrillazione atriale (FA) e il flutter atriale (AFL). Infatti, HFpEF e tachiaritmie sopraventricolari hanno fattori eziopatologici e scatenanti comuni, soprattutto quando sono presenti altre comorbidità come diabete mellito e condizioni proinfiammatorie (3,4,5). 

Caso clinico 

Giunge alla nostra osservazione paziente maschio, 67 anni, in seguito ad un episodio di arresto cardiocircolatorio trattato mediante rianimazione cardiopolmonare con ripristino del ROSC. 

In anamnesi diagnosi di miocardio non compatto a coronarie epicardiche esenti da lesioni angiograficamente significative, flutter atriale tipico comune, ipertensione arteriosa, dislipidemia, insufficienza renale cronica, anemia sideropenica, pregressa nefrectomia per carcinoma renale e pregressa gastrectomia per ulcera perforante. 

Dopo aver escluso cause reversibili determinanti l’evento aritmico, il paziente viene sottoposto ad impianto di defibrillatore bicamerale in prevenzione secondaria. 

Il defibrillatore scelto è dotato di un sistema di monitoraggio da remoto che sulla base di un algoritmo multiparametrico consente di identificare precocemente segni di peggioramento di scompenso cardiaco (6,7). 

Durante i mesi successivi il paziente viene sottoposto a monitoraggio da remoto mediante il dispositivo impiantato e controlli ambulatoriali frequenti. Tuttavia, si assiste all’insorgenza di numerosi episodi di incremento della soglia del sistema di monitoraggio da remoto del defibrillatore che vengono prontamente trattati mediante valutazione ambulatoriale ed ottimizzazione della terapia medica (Figura 1A). 

Il sistema di monitoraggio remoto rileva inoltre il persistere di un ritmo da flutter atriale a frequenza cardiaca adeguatamente controllata. In considerazione dei frequenti episodi di incremento della soglia e contestuale peggioramento della dispnea del paziente nonché degli indici di funzione diastolica si decide di sottoporre il paziente ad ablazione del flutter atriale tipico comune. 

Il paziente pertanto esegue ablazione transcatetere con radiofrequenze dell’istmo cavo-tricuspidalico. Dopo l’ablazione, fino ad oggi, il paziente non ha più avuto episodi di peggioramento della dispnea, non si sono più verificati incrementi dei valori del monitoraggio remoto e non sono stati necessari aggiustamenti della terapia medica (Figura 1 B). 

Discussione 

HFpEF e AFL sono condizioni cliniche patofisiologicamente correlate. Il rimodellamento sfavorevole dell’atrio sinistro e l’incremento delle pressioni di riempimento nelle sezioni sinistre del cuore nonché la disfunzione diastolica favoriscono l’insorgenza di segni e sintomi di scompenso cardiaco (8,9). 

I pazienti affetti da scompenso cardiaco a frazione d’eiezione preservata hanno frequentemente un riarrangiamento patologico dell’atrio sinistro riconducibile alle incrementate pressioni di riempimento. Un atrio di volume aumentato costituisce un substrato aritmogeno che può pertanto favorire l’insorgenza di fibrillazione atriale o di altre tachiaritmie. Allo stesso tempo, la fibrillazione atriale di per sé determina un rimaneggiamento negativo dell’atrio sinistro che si associa a modifiche emodinamiche e pressorie dovute alle conseguenti alterazioni della sistole atriale e del riempimento ventricolare (10). 

Nel nostro caso, la modifica della terapia medica ha ridotto le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, consentendo una gestione ambulatoriale del paziente; tuttavia, non è stata sufficiente a ridurre il riesacerbarsi dei sintomi e dei segni di scompenso cardiaco. 

C’è stato un sostanziale miglioramento della stabilità clinica del paziente solo arrivando a un approccio multidisciplinare che tenesse conto della terapia medica ottimizzata ma anche del ricorso a trattamenti invasivi come l’ablazione transcatetere del flutter atriale con radiofrequenza. Il guadagno del ritmo sinusale ha permesso di stabilizzare lo stato clinico del paziente riducendo gli indici di disfunzione diastolica e migliorando conseguentemente l’equilibrio volemico del paziente (11). 

Conclusioni 

Il sistema di monitoraggio da remoto è utile per identificare precocemente le riacutizzazioni di scompenso cardiaco (12). 

In associazione alla terapia medica ottimizzata vanno considerati trattamenti invasivi per la gestione dello scompenso cardiaco (13). 

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Matching Imaging and Remodulation Effects: Benefits of Cardiac Contractility Modulation Shown by Global Longitudinal Strain: A Case Report

Andrea Matteucci 1,2 , Giacomo Bonacchi 2 , Vincenzo Mirco La Fazia 2 , Giuseppe Stifano 2 e Domenico Sergi 2

1 Division of Cardiology, San Filippo Neri Hospital, Via Martinotti, 20, 00135 Rome, Italy

2 Division of Cardiology, University Hospital “Tor Vergata”, 00133 Rome, Italy;

Abstract

Il dispositivo per la Cardiac Contractily Modulation (CCM) è un device proposto per i pazienti affetti da scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta ancora sintomatici nonostante terapia medica ottimale. Presentiamo il caso di una paziente trattata con terapia medica massimale e angioplastica primaria per sindrome coronarica acuta senza elevazione persistente del tratto ST-T (NSTE-ACS). La paziente rifiutava l’impianto di un defibrillatore impiantabile e, per ridurre il numero di accessi per riacutizzazione di scompenso cardiaco, le è stato proposto l’impianto del device per la  Cardiac Contractily Modulation. Dopo l’impianto si è osservato un notevole miglioramento dei parametri ecocardiografici e della qualità di vita. Dopo nove mesi dall’impianto non si sono registrati riacutizzazioni di scompenso cardiaco. Abbiamo osservato con l’analisi speckle tracking come il miglioramento nel global longitutinal strain  può correlare con il rimodellamento dei miocardiociti.

Introduzione

Il dispositivo per la “Cardiac Contractily Modulation” (CCM) è stato proposto per i pazienti affetti da scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta ancora sintomatici nonostante terapia medica ottimale [1]. Questo agisce tramite modifiche epigenetiche sui cardiomiociti, migliorando la resistenza all’esercizio fisico e la qualità della vita, andando a ridurre il numero di accessi ospedalieri. Tramite l’analisi istologica è stato dimostrato uno shift dei geni espressi nel cuore scompensato, in particolar modo dei geni che agiscono sul pathway delle proteine regolatrici il ciclo del calcio. La CCM si è dimostrata efficace indipendentemente dalla durata del QRS [2]. In questo caso clinico abbiamo dimostrato l’utilità dello speckle tracking strain [3] nel confermare il miglioramento clinico-strumentale di questa paziente.

Caso clinico

Presentiamo il caso clinico di una paziente di 77 anni ricoverata presso il nostro reparto di cardiologia per peggioramento della dispnea e astenia marcata. La paziente, dislipidemica, ipertesa, diabetica era stata precedentemente sottoposta a triplice bypass aortocoronarico. Nell’ultimo anno aveva effettuato tre ricoveri per riacutizzazione di scompenso cardiaco. In passato aveva rifiutato l’impianto di un defibrillatore per paura di potenziali shock.

Figura 1. Percutaneous coronary intervention. (A) Arteria mammaria interna su arteria discendente anteriore; (B) Graf venoso a Y su un ramo marginale ottuso e su arteria discendente posteriore; (C) Arteria coronaria destra con occlusione distale; (D) Arteria coronaria sinistra; (E) Arteria coronaria destra dopo angioplastica percutanea e impianto di stent medicato.

Al momento del ricovero presso il nostro reparto la paziente presentava un valore di pressione arteriosa di 100/65 mmHg, edema perimalleolare. La terapia medica all’ingresso era ottimizzata secondo le condizioni cliniche della paziente. La prima valutazione ecocardiografica mostrava acinesia dell’apice e di tutti i segmenti distali, ipocinesia della parete anteriore e del setto interventricolare (LVEF 25%). La paziente veniva dunque sottoposta a studio coronarografico che mostrava pervietà dei bypass precedentemente confezionati e una nuova lesione sul tratto distale della coronaria destra trattato mediante angioplastica con impianto di uno stent medicato (Figura 1). Dopo 40 giorni la paziente si presentava ancora in condizioni cliniche scadute e veniva effettuata nuova valutazione ecocardiografica della LVEF con metodica speckle tracking strain, una tecnica quantitativa per stimare la funzionalità miocardica attraverso un’analisi della deformazione miocardica indipendente dai movimenti di traslazione ‘in plane’ e dall’angolo di insonazione [4]. L’analisi mostrava una deformazione longitudinale AP3 (LD) −10.3%, AP2 LD −11.3%, AP4 LD −13.2%, global LD −11.0%. L’ LVEF calcolata con metodo Simpson biplano era 26% (Figura 2A), e dunque in assenza di miglioramenti dal giorno del ricovero. È stata valutata la capacità di esercizio fisico e la qualità di vità tramite six-minute walking test (SMWT), e questionario Minnesota Living with Heart Failure (MLWHFQ). La paziente era riuscita a percorrere una distanza di 50 metri con una saturazione del 88% e il punteggio del MLWHFQ era 84 punti.

In considerazione della persistenza della ridotta LVEF, dei numerosi accessi ospedalieri per riacutizzazioni di scompenso cardiaco si procedeva ad impianto di dispositivo CCM. A un mese dalla dimissione la paziente riferiva un notevole miglioramento nei sintomi e nella dispnea da sforzo. La valutazione ecocardiografica dello strain del ventricolo sinistro mostrava un valore nella proiezione apicale tre camere di -13.35, nella due camere di -15.8% e nella quattro camere di -16,2% con un risultato globale di -15%; con un miglioramento nelle regioni stimolate (Figura 2B). Dopo tre mesi dalla dimissione veniva mostrato un ulteriore miglioramento: la distanza percorsa al 6MWT era di 230 metri senza desaturazione e il punteggio MLWHFQ era 58. Dopo sei mesi dalla dimissione veniva confermato il miglioramento della frazione d’eiezione che risultava 46% (Figura 2C). Dopo nove mesi dalla dimissione venivano confermati sia i parametri ecocardiografici che quelli della  qualità di vita in assenza di nuovi accessi per riacutizzazioni di scompenso cardiaco.

Discussione

In questo caso clinico la CCM si è dimostrata efficace nel migliorare i sintomi e ridurre il numero di ospedalizzazioni di una paziente affetta da scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta. La CCM è un dispositivo impiantabile che emette impulsi elettrici bifasici ad alto voltaggio durante il periodo refrattario assoluto. È costituito da un generatore che viene collocato nella regione sottoclaveare e da due elettrocateteri posizionati sul setto interventricolare che influenzano la biologia del miocardiocita aumentandone la contrattilità senza aumentare il consumo di ossigeno.

Figura 2. GLS del ventricolo sinistro prima e dopo l’impianto di CCM. (A) GLS del ventricolo sinistro il giorno prima dell’impianto della CCM; (B) Follow-up a 30 giorni: il segmento medio delle regioni infero-settali mostra il maggior miglioramento; (C) Follow-up a 6 mesi: l’apice, il setto basale anteriore e la parete basale antero-laterale mostrano un ulteriore miglioramento. Come si vede dall’immagine il volume telediastolico non ha subito grossi cambiamenti nel primo mese, si è però ridotto dopo 6 mesi. Il volume telesistolico si è ridotto immediatamente dopo l’impianto. Questo può essere dovuto all’aumentato inotropismo e lusotropismo come risultato della terapia con CCM.

È stato dimostrato che questi segnali ristabilizzano la corretta fosforillazione di proteine regolatrici come il fosfolambano che migliora l’uptake di calcio tramite la proteina SERCA2a aumentandone la contrattilità ventricolare sinistra e risultando in un miglioramento nella tolleranza nell’esercizio e nella capacità funzionale [4]. Dopo 40 giorni dalla rivascolarizzazione si è osservato solo un piccolo miglioramento nella frazione eiezione ventricolare sinistra. Dopo l’impianto del device si è dimostrato un miglioramento della contrattilità a carico dei segmenti più vicino agli elettrocateteri correlando dunque con le aree sottoposte al maggior rimodellamento genico [5]. Questo caso mostra l’efficacia del GLS nel dimostrare il miglioramento della performance ventricolare sinistra, in accordo con la valutazione clinica, ed è il primo a valutare l’effetto del rimodellamento della CCM usando il GLS. L’analisi dello strain ventricolare sinistro ha mostrato di essere utile nel monitoraggio della terapia con la CCM correlando l’imaging e il riarrangiamento dei geni miocardici indotto dal device.

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Sindrome di Kounis – Un magnifico paradigma naturale

Roberta Lotti, Università degli Studi di Genova.

Abstract

La Sindrome di Kounis rappresenta una sindrome coronarica acuta caratterizzata dal verificarsi nel contesto di una reazione di ipersensibilità, di un’allergia o di un’anafilassi. E’ classificata in tre tipi: la prima da spasmo coronarico in presenza arterie normali, la seconda da instabilità delle placche in arterie coronariche aterosclerotiche e la terza da trombosi di stent coronarici [1, 2].

Vi riportiamo il caso di un paziente di 67 anni che, a seguito di puntura di un insetto, andava incontro ad anafilassi con evidenza di elevazione del segmento ST-T all’elettrocardiogramma successivamente regredito. La coronarografia evidenziava un quadro di ateromasia diffusa con erosione di placca e, all’analisi OCT, trombo intraluminare nel contesto di ateromasia fibrolipidica diffusa. Veniva dunque posta diagnosi di sindrome di Kounis di tipo 2. La lesione rilevata veniva infine trattata con impianto di stent medicato.

Caso clinico

Presentiamo il caso di un uomo di 67 anni, normotipo, sovrappeso, iperteso e dislipidemico in terapia con un sartano ed una statina a bassa dose. In anamnesi non si rilevavano precedenti cardiovascolari e/o allergologici.

 A seguito di una puntura di insetto, il paziente riportava un episodio lipotimico, in assenza di angor, per cui veniva allertato il 112. All’arrivo dei soccorsi il paziente veniva trovato privo di coscienza, ipoteso ( P.A. 70/40 mmHg), si evidenziava inoltre un sovraslivellamento del tratto ST in inferiore all’ECG (Figura 1). Veniva immediatamente avviata soluzione fisiologica ad infusione rapida con ripresa dello stato di coscienza e stabilizzazione emodinamica. Veniva inoltre pretrattato con ASA ed enoxaparina e allertata la sala di emodinamica.

Figura 1. Elettrocardiogramma di presentazione. Evidenza di sovraslivellamento ST in sede inferiore.

 Il paziente accedeva presso la nostra UTIC, asintomatico, emodinamicamente stabile, con la presenza di un diffuso rush cutaneo. All’ECG si osservava quasi completa risoluzione delle alterazioni, mentre all’ecocardiografia al letto si rilevava una modesta ipocinesia medio-basale inferiore in presenza di funzione sistolica globale conservata e assenza di altri reperti. Il primo dosaggio della troponina I risultava di 8.6 ng/dl, i livelli di triptasi erano inoltre elevati.

 Il paziente veniva inviato in sala di emodinamica con riscontro coronarografico di ateromasia diffusa con stenosi significative di arteria interventricolare posteriore (IVP) e ramo diagonale di modesto calibro. Poiché si osservava un’immagine di minus angiografico a livello della Cx media (sospetta presenza di trombo) si procedeva ad analisi OCT per meglio ottimizzarne l’interpretazione e la successiva eventuale strategia terapeutica (Figura 2). Mediante OCT, si evidenziava un’erosione di placca con presenza di trombo intraluminare nel contesto di ateromasia fibrolipidica diffusa.

 Se pur esistono studi preliminari sul trattamento conservativo in questi casi, in assenza di studi clinici randomizzati si decideva di trattare la lesione con impianto di stent medicato (DES), ottimizzato grazie alla rivalutazione OCT che permetteva di evidenziare una lieve mal apposizione.

Nei giorni successivi il paziente era asintomatico e stabile, veniva avviata e mantenuta la duplice anti-aggregazione e venivano effettuati controlli allergologici con il dosaggio di IgE totali e specifiche che dimostravano una sensibilizzazione per tafano e vespidi, ed alti livelli di Triptasi.

Ipotizzavamo pertanto che la reazione anafilattica fosse il fattore scatenante della sindrome coronarica acuta (SCA), confermata dall’associazione di alterazioni dell’ECG, aumento dei livelli di troponina cardiaca e comparsa contemporanea di sintomatologia allergica. Veniva dunque formulata diagnosi di sindrome di Kounis (SK) tipo II.

Figure 2a e 2b. Analisi OCT. Evidenza di erosione di placca con trombo intraluminale.

L’approccio ai pazienti con sindrome coronarica acuta nel contesto di una reazione allergica dovrebbe essere diretto non soltanto all’evento coronarico, ma anche alla reazione allergica che lo induce.

Poiché il vasospasmo è il meccanismo primario, venivano somministrati i calcio-antagonisti non-diidropiridinici (DHP) come terapia di prima linea, evitando l’uso dei betabloccanti.

L’adrenalina è alla base del trattamento dell’anafilassi. Successivamente, al paziente viene prescritta adrenalina autoiniettabile con le istruzioni per l’uso in caso di reazione anafilattica dopo puntura con sintomi respiratori – cardiocircolatori.

Il controllo evolutivo del dosaggio delle IgE specifiche e di triptasi è richiesto alcune settimane dopo la reazione ed è prevista una successiva rivalutazione e l’esecuzione di test cutanei per valutare la possibilità di un trattamento di iposensibilizzazione specifica.

Discussione

La SK, descritta per la prima volta nel 1991, è definita come la concomitante presenza di una SCA ed una reazione allergica o da ipersensibilità, anafilattica o anafilattoide (tutte condizioni in cui abbiamo attivazione di piastrine e mastociti) [1].

Successivamente, lo stesso Kounis, distinse tre diversi tipi: tipo I il cui meccanismo della SCA è lo spasmo in pazienti con coronarie normali (o quasi); tipo II, per rottura/erosione di placca «vulnerabile» pre-esistente; tipo III trombosi di stent con tromboaspirato positivo per presenza di eosinofili e mastociti oppure morte cardiaca improvvisa (SCD) con esame istologico indicativo di infiltrazione eosinofilo-mastocitaria in prossimità dello stent [2].

La sindrome è scatenata dal rilascio di tutti i mediatori della risposta infiammatoria quali istamina, PAF, acido arachidonico e citochine presenti in grande quantità nelle reazioni allergiche.

L’azione di queste molecole a livello coronarico (sia tessuto muscolare liscio che endotelio) è alla base del meccanismo del danno (vasospasmo, trombosi).

 All’inizio di una reazione allergica, l’allergene si lega alle corrispettive IgE ed avviene la degranulazione con il rilascio di sostanze, sia pre-formate (granuli) sia prodotti de-novo, localmente e nella circolazione sistemica.

I mastociti sono coinvolti anche in altre condizioni, altri attivatori innescano la loro degranulazione e il rilascio di composti che contribuiscono all’infiammazione e ad altri processi coinvolti nella destabilizzazione delle placche aterosclerotiche. Il rilascio di istamina e renina dai mastociti può̀ innescare il vasospasmo coronarico [3, 6]. In particolare:

– L’istamina induce vasocostrizione coronarica e l’espressione del fattore tissutale e attiva le piastrine;

– Le proteasi neutre (Chinasi, Triptasi, Catepsina) possono attivare le metalloproteasi della matrice, che possono degradare il cappuccio di collagene e indurre l’erosione e la rottura della placca;

– I leucotrieni, potenti vasocostrittori, la cui sintesi è potenziata nella fase acuta dell’angina instabile;

– Il trombossano, potente mediatore dell’aggregazione piastrinica con proprietà vasocostrittrici;

– Il PAF, che nell’ischemia miocardica agisce sia come vasocostrittore diretto, sia attraverso l’attivazione di leucociti e piastrine.

È stato visto che i mastociti vengono attivati da trigger non allergici spesso senza degranulazione ma con il rilascio selettivo di sostanze [7].

È stata inoltre descritta l’associazione della SK e la Sindrome di Takotsubo: gli impulsi provenienti dai centri corticali alti dopo stress emotivo e depressogeno, attraverso una cascata di azioni, stimolazioni, secrezioni e interazioni, possono portare allo sviluppo della sindrome di Kounis, così come durante una reazione allergica il distress respiratorio (broncospasmo, edema della glottide), e la necessità di infondere adreanlina (anafilassi) possono indurre una Takotsubo [8].

I vasi con stent costituiscono un ambiente ideale per il danno e la disfunzione endoteliale, insieme alla turbolenza che si può creare, alla disfunzione piastrinica e alterazioni della coagulazione. La trombosi dello stent ha sicuramente un’eziologia multifattoriale: l’endotelizzazione ritardata, la lunghezza degli stent, la complessità delle lesioni, l’inserimento subottimale dello stent, la turbolenza di flusso, l’aderenza alla terapia antitrombotica. E tra queste cause abbiamo anche l’ipersensibilità ai componenti dello stent che è più probabile che accada in paziente atopici. È stato infatti proposto l’uso di DES con rilascio di farmaci stabilizzatori dei mastociti in pazienti con trombosi di stent in seguito ad una reazione di ipersensibilità [9].  Una recente revisione della letteratura suggerisce il ruolo importante dei mastociti nelle malattie cardiovascolari e soprattutto il ruolo chiave che hanno i mastociti in alcune condizioni nell’ambito delle malattie cardiovascolari. È stato proposto l’uso di stabilizzatori dei mastociti il cui più famoso è il disodio cromoglicano che inibisce l’attivazione dei mastociti IgE-dipendente [10]. Per quanto riguarda l’eziologia, secondo alcune revisioni prospettiche, le cause più frequenti di anafilassi includono cibo, farmaci e punture di insetti. Sintomi alla presentazione più comuni erano orticaria, dispnea, dolore toracico [4]. In uno studio prospettico è stata effettuata la risonanza magnetica cardiaca entro 24h dall’evento che ha mostrato un coinvolgimento subendocardico nelle impregnazioni precoci di Gadolinio ed edema (aree di iperintensità) nelle immagini T2 pesate (indicatore di ischemia) in tutti i pazienti con ipocinesia.  L’impregnazione tardiva è normale in tutti i pazienti dimostrando che non c’è danno cardiaco permanente nella SK di tipo I [5]. È importante sottolineare come, nonostante si conoscano i protagonisti alla base della fisiopatologia, vi sia ad oggi ancora difficoltà nel predire il rischio di SK in pazienti con episodi allergici (non esiste un livello soglia nel dosaggio di triptasi, chimasi, livello assoluto di eosinofili). Per quanto riguarda il trattamento distinguiamo [2]:

  • SK tipo I: il solo trattamento dell’evento allergico può abolire i sintomi, possono essere utilizzati corticosteroidi ev come idrocortisone e antistaminici come la Difenidramina. La somministrazione di vasodilatatori come Ca-antantagonisti e nitrati può inoltre abolire il vasospasmo, benché i nitrati possano aggravare l’eventuale ipotensione e la tachicardia.
  • SK tipo II: il protocollo della SCA insieme a corticosteroidi ed antistaminici. L’uso di B-bloccanti può aumentare lo spasmo coronarico; l’adrenalina, dato in caso di anafilassi, può aggravare l’ischemia e peggiorare il vasospasmo coronarico; la morfina, per il dolore, deve essere data con cautela in quanto può causare una massiccia degranulazione dei mastociti (meglio usare il fentanil e i suoi derivati);
  • SK tipo III: dopo l’aspirazione del trombo è importante l’esame istologico per la colorazione degli eosinofili (ematossilina ed eosina) e mastociti (Giemsa), si usano antistaminici insieme a corticosteroidi e stabilizzatori dei mastociti.

Conclusioni

La SK, per quanto rara, rappresenta una forma peculiare di SCA con plurimi meccanismi fisiopatologici, nei quali un ruolo fondamentale è rivestito dall’attivazione di mediatori allergenici. Il trattamento andrebbe pertanto indirizzato non solo alla cura della sindrome coronarica acuta, ma anche alla sottostante reazione anafilattica. L’utilizzo di imaging coronarico avanzato, quale l’OCT, può aiutare a classificarne la tipologia e pertanto ad ottimizzarne il trattamento.

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Ritardi di conduzione interventricolare come guida alla terapia di resincronizzazione cardiaca: la stimolazione fisiologica su misura del paziente.

Maria Barilli1, Carmine Marallo1, Carlo Alberto Belli1, Giulia Elena Mandoli1, Claudia Baiocchi2, Amato Santoro2, Matteo Cameli1

1Dipartimento Biotecnologie Mediche, Clinica di cardiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Siena, Italia
2Dipartimento Cardio-toraco-vascolare, Clinica di cardiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Siena, Italia.

Abstract

La valutazione dei ritardi di conduzione interventricolari per predire il successo di resincronizzazione delle due camere cardiache nel pacing biventricolare (BiVP) o nel Pacing del Sistema di Conduzione (PSC), non è di pratica comune. Un intervallo di conduzione intrinseco ventricolo destro – ventricolo sinistro sentito (RVs – LVs) > 70 msec o un intervallo ventricolo destro stimolato – ventricolo sinistro sentito (RVp – LVs) > 145 msec è in grado di pronosticare la risposta ventricolare alla terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT). Il nostro manoscritto descrive un caso di resincronizzazione cardiaca guidato da intervalli di conduzione interventricolare spontanei e stimolati, ottenuti in modalità BiVP, che ha portato al cambiamento intraoperatorio dell’approccio di stimolazione. Una strategia decisionale per la resincronizzazione cardiaca tramite pacing CSP/BiVP basata sugli intervalli di conduzione interventricolare potrebbe rappresentare un metodo pratico e affidabile per ottenere un QRS stretto e migliorare la risposta alla CRT.

Introduzione:
Le ultime linee guida sulla stimolazione cardiaca e lo scompenso cardiaco raccomandano l’utilizzo della CRT nei pazienti in cui la dissincronia interventricolare ha un forte impatto sulla morbidità e la mortalità. In questi casi, la CRT può essere in grado di migliorare il rimodellamento cardiaco inverso, in sincronia con la terapia medica ottimale (1,8). Tutti i pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione severamente ridotta (FE < 35%, HFrEF), classe NYHA II-IV, in ritmo sinusale con QRS di durata o morfologia predisponente a dissincronia ventricolare, quali Blocco di Branca sinistro (BBsn) e durata > 130 msec, trovano beneficio da tale trattamento. L’evidenza maggiore in termini di mortalità e/o ospedalizzazione per scompenso cardiaco è riportata per quei pazienti con BBsn e QRS > 150 msec (1,2).

Figura 2: a. Potenziale hissiano all’EGM con il segno “W” sulla precordiale V1; b. ECG e QRS finale in LBBp; c. Posizionamento dell’elettrocatere per stimolazione LBBp in visione antero-posteriore; d. finestra ecocardiografica sottocostale raffigurante la punta intrasettale profonda dell’elettrocatetere; e. ECG post impianto.


Nonostante i benefici della CRT, il tasso di non-responders rimane un problema clinicamente rilevante. Il posizionamento del catetere ventricolare sinistro basato unicamente su criteri anatomici, infatti, non ha mostrato un impatto significativo sull’outcome (3). Lo studio più specifico dei casi di dissincronia elettrica interventricolare potrebbe migliorare il tasso di risposta alla CRT. In letteratura è descritto che il riscontro di un ritardo ventricolo destro – ventricolo sinistro intrinseco (RVs – LVs) > 70-80 msec o un intervallo ventricolo destro stimolato – ventricolo sinistro sentito (RVp – LVs) > 146 msec sia in grado di predire un miglior outcome di resincronizzazione (3,7). Intervalli RVs – LVs o RVp – LVs subottimali registrati durante il posizionamento del catetere sinistro portanto frequentemente ad ottenere un QRS largo con persistenza di dissincronia.


La stimolazione del sistema di conduzione (CSP) ha dimostrato essere una tecnica realizzabile ed efficace per l’ottenimento di un pacing fisiologico lungo il naturale sistema di conduzione. La modalità BiVP rimane la metodica di prima linea per la CRT però, come suggerito dalle linee guida europee, il CSP dovrebbe essere considerato nei casi di fallimento del posizionamento del catetere sinistro. L’approccio di stimolazione hissiana (HBP) presenta alcuni svantaggi, quali la necessità di soglie di stimolazione più elevate, l’ottenimento di onde R di bassa ampiezza, il rischio di oversensing delle onde atriali o undersensing dei potenziali ventricolari. La stimolazione della branca sinistra (LBBP) permette il superamento di tali limitazioni4 diventando una tecnica alternativa di CSP (5).

Caso clinico:
Un uomo di 68 anni, portatore di protesi valvolare aortica biologica e affetto da HFrEF in un quadro di cardiomiopatia dilatativa di origine valvolare a coronarie indenni, accedeva presso il nostro dipartimento d’emergenza per un quadro di scompenso congestizio acuto su cronico (Classe NYHA III-IV). In seguito a stabilizzazione e proseguimento della terapia medica ottimalizzata, l’ecocardiogramma transtoracico mostrava una frazione di eiezione del 18% con severa disfunzione biventricolare. All’elettrocardiogramma si evidenziava un ritardo di conduzione tipo BBsn con durata del QRS 142 msec (Figura 1 a). In considerazione delle più recenti linee guida europee sullo scompenso cardiaco, al paziente veniva posta indicazione per impianto di ICD-biventricolare (8).

Descrizione della procedura:
A seguito del posizionamento del catetere coiled in ventricolo destro, abbiamo incannulato il seno coronarico (CS) usando un catetere quadripolare Josephson curvo diagnostico. Il delivery è stato avanzato lungo il quadripolare con successiva esecuzione di venografia del CS: veniva evidenziata una vena tributaria antero-laterale utile all’incannulamento del quadripolare per ottenere il BiVP. I ritardi EGM misurati successivamente al posizionamento del catetere sinistro mostravano un intervallo RVs – LVs di 80 msec e un RVp – LVs di 100 msec. L’ECG misurato in modalità BiVP riportava un QRS di 192 msec (Figura 1 b). Le figure 1c e 1d evidenziano la posizione degli elettrocateteri in fluoroscopia. In considerazione dell’alta probabilità di insuccesso di resincronizzazione in presenza di tali predittori di scarso outcome, il catetere sinistro quadripolare veniva rimosso. Si procedeva successivamente ad eseguire mappaggio dell’His tramite catetere Josephson quadripolare, dimostrando un blocco sub-Hissiano (intervallo HV 105 msec). Vista la possibilità di stimolazione diretta della branca sinistra, avvantaggiata da un’area target più ampia rispetto al fascio di His, si optava per l’esecuzione di un sistema di pacing CSP tipo LBB. Tramite specifico sistema di delivery per impianto di LBBP con catetere 3830 (Medtronic Inc, Minneapolis, MN) si otteneva un EGM come da branca sinistra. La guaina veniva avanzata con guida floroscopica raggiungendo il setto interventricolare destro, 1-1.5 cm sopra il sito hissiano in proiezione obliqua anteriore destra (RAO) 30°. L’orientamento a livello settale si confermava in proiezione obliqua anteriore sinistra (LAO) 40°. Il QRS mostrava morfologicamente il notch al nadir lungo la derivazione precordiale V1, noto come “pattern W” (Figura 2 a).

Figura 1: a. ECG raffigurante il QRS basale; b. ECG raffingurante il QRS in modalità BiVP; c. Posizionamento dei cateteri BiVP in LAO 20°; d. Posizionamento dei cateteri BiVP in RAO 30°.

A seguito di riscontro di intervallo ventricolare locale EGM a LBB di 35 msec abbiamo eseguito un test di cattura decrementale con ottenimento di transizione della morfologia del QRS da LBB non-selettivo a selettivo. Il tempo al picco di attivazione del LV lungo le precordiali V5-V6 < 80 msec confermava il corretto orientamento del catetere di pacing. Pertanto, la punta veniva mantenuta perpendicolare alla superficie settale usando la guaina per conferire stabilità, con successivo impianto intrasettale raggiungendo il subendocardio del ventricolo sinistro tramite una profondità di penetrazione di circa 6-8 mm. L’avanzamento veniva eseguito in LAO 40°.
La posizione veniva accertata grazie alla presenza del “fulcrum sign” in fluoroscopia LAO 30° (Figura 2b), mentre il “W” all’EGM su V1 risultava essere un pattern a BBdx. L’impedenza di pacing in setting unipolare era aumentata gradualmente fino all’attesa caduta a 100-200 Ω al raggiungimento del subendocardio. La stimolazione ad alti e bassi voltaggi mostrava una riduzione della durata del QRS fino a 110 msec con una soglia di stimolazione a 1V x 0.4 msec. Tutti i parametri sono stati ricontrollati a seguito di rimozione del delivery, per scongiurare un’eventuale dislocamento. All’ecocardiografia post-impianto si poteva notare il posizionamento intrasettale profondo dell’elettrocatetere sinistro (Figura 2 c-d). Successivamente al follow-up è stata dimostrata l’efficace risposta alla CRT-CSP con un miglioramento della frazione d’eiezione del 17%.

Discussione e conclusioni
L’attuale indicazione per la CRT standard in modalità BiVP è basata su solide evidenze riguardanti la sua efficacia e sicurezza (Classe di evidenza livello A)8, rendendola la terapia gold standard per la resincronizzazione cardiaca. La letteratura suggerisce l’utilizzo della stimolazione Hissiana in caso di fallito impianto di catetere sinistro tramite seno coronarico1. Utilizzando la stimolazione diretta della branca sinistra sono stati descritti numerosi vantaggi, tra i quali la maggiore area di impianto e la necessità di soglie minori, ma ancora non abbiamo a disposizione dati a lungo termine (4). L’uso di ritardi di conduzione intracardiaci per predire la risposta alla CRT sono già stati descritti (3,6) e, nel nostro caso, in congiunta all’ottenimento di un QRS in modalità BiVP di lunga durata, risultavano essere markers di scarso outcome. Pertanto, nonostante il cannulamento di una vena antero-laterale dal CS risulti essere idoneo per impianto dell’elettrocatetere sinistro secondo la letteratura, il nostro approccio ha portato a preferire l’utilizzo di una modalità di stimolazione fisiologica del sistema di conduzione. In specifico, visto il ritardo H-V prolungato, abbiamo optato per un LBBp. La procedura è stata eseguita come precedentemente descritta4 raggiungendo soglie di stimolazione basse e durata del QRS ottimale. In considerazione della necessità di inserimento a livello settale profondo dell’elettrocatetere, l’utilizzo di conoscenze dei segnali EGM, del segno “W” e della precisa anatomia del sistema di conduzione risulta essere fondamentale per tale applicazione, insieme ai marker anatomici in fluoroscopia. Questo caso mostra quindi come, tramite lo studio intraprocedurale degli intervalli LVp – RVs e RVp – LVs si possa ottimizzare la terapia di resincronizzazione specifica per ogni paziente, con il raggiungimento di un effettivo rimodellamento ventricolare. Studi con ampie coorti di pazienti sono necessari per la validazione di tale approccio.

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Prevalenza e valore diagnostico di siti di deposito extra-ventricolari all’ecocardiogramma, in strutture non convenzionali nell’amiloidosi cardiaca da transtiretina.

Gianluca Di Bella a, Francesco Cappellib , Roberto Licordaria,  Paolo Piaggic, Mariapaola Campisia , Diego Bellaviad, Fabio Minutolie, Luca Gentilea, Massimo Russoa, Cesare de Gregorioa , Federico Perfettob, Anna Mazzeoa, Calogero Fallettad, Francesco Clemenzad,  Giuseppe Vitaa,  Scipione Carerja, Giovanni Donato Aquarof.

a  Dipartimento di medicina clinica e sperimentale , Università di Messina, Messina, Italia;

b Ospedale Universitario Careggi, Firenze, Italia.

cDipartimento di medicina clinica e sperimentale, Università di Pisa, Pisa, Italia
d Divisione di malattie cardiovascolari, Dipartimento Cardio-toracico, IRCCS-ISMETT, Palermo, Italia.

eDipartimento di scienze biomediche e dentali e di imaging morfofunzionale, Università di Messina,

f Fondazione Monasterio, Regione Toscana, Pisa, Italia.

ABSTRACT

L’amiloidosi cardiaca (AC) è una cardiomiopatia a fenotipo ipertrofico con deposizione di fibrille nell’interstizio cardiaco. Presentiamo lo studio, il cui scopo era di valutare la prevalenza e il valore diagnostico di siti di deposito extra-ventricolari, in strutture non convenzionali, valutati all’ecocardiogramma. 146 pazienti, con spessore del ventricolo sinistro (VS) ≥ 15mm, sono stati arruolati: 70 pazienti avevano ricevuto diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica sarcomerica (gruppo HCM) e 76 con amiloidosi (gruppo AC). Il gruppo AC mostrava maggiori dimensioni della crista terminalis (CriT), del setto interatriale (SIA), del coumadin ridge (CouR), del piano atrio-ventricolare (AVP), lamina mitro-aortica (MAL).  Sono stati identificati i seguenti cut-off per determinare la presenza di AC: SIA>9mm, MAL>7mm, CriT>9mm2. Tali evidenze di fronte ad un paziente a fenotipo ipertrofico dovrebbero suggerire approfondimenti diagnostici.

COMMENTO

L’amiloidosi cardiaca (AC) è una cardiomiopatia a fenotipo ipertrofico caratterizzata dalla deposizione di fibrille nell’interstizio di miocardio, valvole, pericardio e vasi, che porta ad un aumento degli spessori ventricolari [1]. I sottotipi più comuni sono quella da catene leggere (AL), da trans-tiretina mutata (ATTRv) e da trans-tiretina wild-type (ATTRwt) [2].

Figura 1. I pannelli A-C mostrano su sezione apicale quattro camere una grande crista terminalis (frecce rosse) e un prominente Coumadin ridge (frecce bianche). I pannelli D-F mostrano su sezioni apicali cinque camere un coinvolgimento diffuso della lamina mitro-aortica (frecce rosse).

L’aumento dello spessore del setto inter-atriale (SIA) è stato osservato nell’AC [3]. La deposizione di amiloide può essere osservata in altre strutture extra-ventricolari [piano atrio-ventricolare (AVP), coumadin ridge (CouR), lamina mito-aortica (MAL), valvola di Eustachio (EusV) o crista terminale (CriT)].

Gli obiettivi del nostro studio sono (1) descrivere le localizzazioni extra-ventricolari della deposizione di amiloide; e (2) valutarne l’accuratezza nel distinguere l’AC dalla cardiomiopatia ipertrofica sarcomerica (HCM).

Abbiamo arruolato prospetticamente 155 pazienti con fenotipo ipertrofico (spessore della parete del VS di >15 mm con ventricolo sinistro non dilatato, senza possibili cause emodinamiche di ipertrofia).

Le sezioni apicali quattro e cinque camere sono state utilizzate per rilevare CouR (cm2), CriT (cm2), EusV (cm2), AVP (mm) e SIA (mm). La media di misurazioni in cinque camere e asse lungo parasternale è stata utilizzata per calcolare la MAL (mm) (Figura 1). La media delle misurazioni dalle sezioni para-sternale ad asse lungo ed asse corto è stata utilizzata per quantificare la parete anteriore dell’aorta ascendente (mm) (Figura 2). Tutti i parametri sono stati misurati in tele-diastole.

La popolazione finale era composta da 146 pazienti (9 pazienti sono stati esclusi per motivi tecnici e per altre diagnosi). 66 pazienti avevano una AC da transtiretina (gruppo AC) e 70 HCM (gruppo HCM).

Figura 2. Il pannello (A) mostra ispessimento del setto interventricolare ispessito e della parete anteriore dell’aorta ascendente in sezione parasternale asse lungo (freccia rossa). La sezione parasternale asse corto a livello aortico mostra ispessimento della parete anteriore dell’aorta ascendente [freccia rossa sul pannello (B)].

La presenza di CriT è stata osservata più comunemente (p=0.003) nel gruppo AC rispetto al gruppo HCM; mentre la presenza di EusV era simile. Il gruppo AC ha mostrato un significativo aumento dello spessore di CriT, CouR, AVP, MAL e SIA rispetto al gruppo HCM.

I pazienti con AC hanno mostrato una maggiore prevalenza di 2 o più localizzazioni extra-ventricolari (Figura 3).

L’analisi multivariata ha mostrato come predittori indipendenti di AC: area CriT, MAL e LVEF.

Secondo l’analisi delle curve ROC, i migliori cut-off per l’identificazione del gruppo AC erano SIA > 9 mm, MAL > 7mm, CriT > 90mm2 e CouR > 80mm2. Un SIA ispessito aveva la migliore specificità (96%) e valore predittivo positivo (93%) ma mostrava bassa sensibilità (44%) e valore predittivo negativo (57%) nell’identificazione della AC. Combinando i parametri (CriT, MAL, SIA e CouR), la presenza di uno o più parametri è stata associata a una sensibilità del 92%, una specificità del 39%, un valore predittivo positivo (PPV) del 66% e un valore predittivo negativo (NPV) del 79% nell’identificazione della AC; combinando almeno 3 parametri è stata osservata una specificità del 100% e un PPV del 100%.

Figura 3. Distribuzione dei segni di deposito extra-ventricolare (0-4) in pazienti con HCM e CA.

Questo è il primo studio prospettico che valuta la prevalenza ecocardiografica e il ruolo diagnostico dei segni di deposizione di amiloide extra-ventricolare. I principali risultati sono: (1) la deposizione di amiloide extra-ventricolare è frequente nella AC da transtiretina; (2) MAL, CriT, SIA e frazione d’eiezione ventricolare sinistra (FEVS) più bassa sono predittori indipendenti di AC da transtiretina; (3) la combinazione di questi segni di deposito extra-ventricolare aumenta l’accuratezza diagnostica per la AC.

Precedentemente, Falk e colleghi hanno dimostrato che il SIA ispessito aveva un’elevata specificità nella diagnosi di AC [3]. I nostri dati dimostrano che anche altre strutture cardiache, non indagate di routine, possono essere coinvolte nel deposito di amiloide cardiaca e possono indirizzare la diagnosi.

Davanti ad un paziente con fenotipo ipertrofico, l’evidenza di ispessimento di CriT o MAL dovrebbe essere altamente suggestiva di AC da transtiretina e spingere ad approfondimenti diagnostici.

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figura-4

Coesistenza di anomalia d’origine aortica dell’arteria discendente anteriore e ALCAPA in un adolescente asintomatico.

Autori

Adelina Selimi1, Francesco Bianco2, Federico Guerra1, Marco Pozzi 2, Antonio Dello Russo1

1 Clinica di Cardiologia e Aritmologia, Università Politecnica delle Marche, AOU Ospedali Riuniti Ancona “Umberto I, G. M. Lancisi, G. Salesi”

2 Cardiochirurgia e Cardiologia Pediatrica e Congenita, AOU Ospedali Riuniti Ancona “Umberto I, G. M. Lancisi, G. Salesi”

Abstract

Le anomalie congenite delle arterie coronarie includono una pletora di malformazioni congenite di origine, decorso, anatomia intrinseca e terminazione che si estrinsecano clinicamente con vari gradi di severità: dalla totale asintomaticità alla morte cardiaca improvvisa (1,2).  

Le anomalie d’origine aortica delle coronarie dal seno di Valsalva opposto rappresentano una cardiopatia congenita rara ma potenzialmente letale. Le anomalie più frequenti ed emblematiche sono rappresentate dall’origine dell’arteria coronaria destra dal seno di Valsalva di sinistra e dall’origine dell’arteria discendente anteriore dal seno di Valsalva di destra. La sintomatologia e la rilevanza clinica in termini di morte cardiaca improvvisa dipendono dal successivo decorso della coronaria ad origine anomala (3). 

Le anomalie d’origine delle coronarie dall’arteria polmonare sono entità molto rare: nello specifico l’origine dell’arteria circonflessa dall’arteria polmonare (ALCAPA) è spesso letale nel primo anno di vita se non riconosciuta e trattata (3,4).

Presentiamo il caso di un giovane atleta non agonista totalmente asintomatico con duplice anomalia d’origine delle coronarie ed un’anomalia intrinseca alla anatomia.

Caso clinico

Un atleta non agonista di 14 anni altrimenti sano e asintomatico, si è presentato al nostro Dipartimento per riscontro di anomalie all’ECG nelle derivazioni inferiori e laterali (fig. 1).

All’ecocardiogramma si segnalavano spessori parietali lievemente aumentati, soprattutto a carico della parete infero-laterale (fig. 2). Veniva altresì segnalata una lieve ectasia dell’arteria coronaria destra all’origine. Al test ergometrico sub massimale non vi erano segni o sintomi di ridotta riserva coronarica.

Per la prosecuzione dell’iter diagnostico si è deciso di sottoporre il paziente a risonanza magnetica cardiaca (cMR) che mostrava un ventricolo sinistro ai limiti superiori della norma per dimensioni cavitarie e spessori parietali, ed un’accentuata trabecolatura endocardica apico-laterale senza conclamato raggiungimento di criteri cMR per non compattazione miocardica. Non venivano segnalate aree di late gadolinium enhancement (LGE). Veniva segnalata un’ectasia della coronaria destra con probabile anomalia di origine coronarica associata (fig. 3). Veniva pertanto proposto approfondimento Coro-TC (CCTA) per completa valutazione dell’origine e decorso delle arterie coronarie.

Lo studio coro-TC (fig. 4) ha confermato il sospetto di anomalia congenita delle arterie coronarie e nello specifico: 1) anomalia d’origine aortica dell’arteria discendente anteriore dal seno di Valsalva di destra con unico ostio con l’arteria coronaria destra e decorso anteriore pre-polmonare; 2) evidenza di duplicazione dell’arteria discendente anteriore, originante dal seno di Valsalva di sinistra, non biforcantesi; 3) origine anomala dell’arteria circonflessa dal ramo polmonare principale destro. Vi era altresì evidenza di circolo collaterale eterocoronarico.

Il paziente è stato sottoposto a correzione chirurgica con reimpianto dell’arteria circonflessa in corrispondenza del seno di Valsalva di sinistra. Non si sono verificati esiti durante il follow-up.

Discussione

L’origine dell’arteria discendente anteriore dal seno di Valsalva di destra è una condizione molto rara, con una prevalenza dello 0,03% (4). Viene considerata l’anomalia d’origine aortica più maligna a rischio di morte cardiaca improvvisa, a causa dell’esteso territorio di distribuzione a rischio di ischemia (5). La rilevanza clinica è determinata dal successivo decorso: storicamente il decorso inter-arterioso e intramurale risultano essere associati a ischemia miocardica e morte cardiaca improvvisa a causa della compressione in sistole tra i grossi vasi e all’interno della tunica media aortica, rispettivamente (5). Altre caratteristiche anatomiche associate a maggior rischio di ischemia e morte cardiaca improvvisa sono un ostio a “fessura” ed un angolo di take-off acuto (3,5). Al di là di queste caratteristiche “maligne” che conferiscono un maggior rischio di morte cardiaca improvvisa durante sforzo, la maggior parte dei pazienti con anomalie d’origine aortica sono asintomatici e pertanto rimangono non diagnosticati (3).

L’origine anomala dell’arteria circonflessa dall’arteria polmonare è un’anomalia di origine coronarica molto rara ma potenzialmente letale, con una prevalenza dello 0.008% (4). Le manifestazioni cliniche sono conseguenti all’ischemia nel territorio di distribuzione a causa dell’inversione del flusso dall’arteria circonflessa all’arteria polmonare dovuto alla fisiologica riduzione delle resistenze vascolari polmonari dopo la nascita (2). La maggioranza dei pazienti, qualora non diagnosticati e trattati, muoiono nel primo anno di vita per ischemia miocardica e scompenso cardiaco congestizio. Lo sviluppo di circoli collaterali estesi dalla coronaria destra permette la sopravvivenza fino all’età adulta, definendo il sottotipo “adulto” di ALCAPA che sembra correlare con un minor rischio di morte cardiaca improvvisa in soggetti con età superiore a 50 anni (3,6).

La duplicazione dell’arteria discendente anteriore è un’anomalia rara, non emodinamicamente significativa e spesso una delle due arterie origina dalla coronaria destra (4).  

Il caso qui presentato risulta essere emblematico per la totale asintomaticità, nonostante la coesistenza di più anomalie coronariche tra cui ALCAPA, anomalia coronarica tipicamente ad elevato rischio di ischemia miocardica, aritmie ventricolari e morte cardiaca improvvisa.

I motivi per cui il nostro paziente era asintomatico sono: 1) il decorso pre-polmonare dell’arteria discendente anteriore, tipicamente benigno, in assenza di altre caratteristiche “maligne” (es. ostio a “fessura”, decorso intramurale e angolo acuto di take-off), 2) la presenza di circoli collaterali nel territorio dell’arteria circonflessa sia dall’arteria coronaria destra che dall’arteria discendente anteriore duplicata.

Studi sulla storia naturale dell’ALCAPA anche in soggetti adulti documentano scarsi outcome se non trattata, con un’elevata incidenza stimata di morte cardiaca improvvisa a 35 anni (6). Pertanto, in base alle linee guida della Società europea di cardiologia (ESC) sulla gestione delle cardiopatie congenite che raccomandano in classe I C la correzione chirurgica dell’ALCAPA, il paziente è stato sottoposto a intervento chirurgico di reimpianto dell’arteria circonflessa (8).

Conclusioni

Un’estesa valutazione funzionale associata all’imaging multimodale (ecocardiogramma, cMR e CCTA) permettono di stratificare il rischio di ischemia e morte cardiaca improvvisa nei pazienti sintomatici e non con anomalie congenite coronariche (5,7).

Nel nostro caso, l’imaging multimodale ha permesso la diagnosi di ALCAPA in un paziente totalmente asintomatico nel contesto di coesistenza di più anomalie coronariche.

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Figure

Fig. 1 ECG: anomalie del tratto ST nelle derivazioni inferiori e laterali.

Fig. 2 Ecocardiogramma transtoracico: Apicale 4 camere

Fig. 3 cMR: vaso a decorso anomalo, sospetta anomalia coronarica.

Fig. 4 CCTA: 1) anomalia d’origine aortica dell’arteria discendente anteriore dal seno di Valsalva di destra con unico ostio con l’arteria coronaria destra e decorso anteriore pre-polmonare (IVA 1), 2) evidenza di duplicazione dell’arteria discendente anteriore, originante dal seno di Valsalva di sinistra (IVA 2), 3) origine anomala dell’arteria circonflessa dal ramo polmonare principale destro (Cx).

Immagine2

Arrhythmic myocarditis in an adolescent male: A unique presentation of multi-organ inflammatory syndrome (MIS-C)

Grazia Casavecchia, MDa, Maria Delia Corboa, Matteo Gravinaa, Roberta Baronea, Michele Magnesaa,

Marco Meleb, Domenico D’Alessandrob, Riccardo Ievab, Massimo Iacovielloa, Luca Macarinia, Natale Daniele Brunetti, MD, PhDa

a Department of Medical & Surgical Sciences, University of Foggia, Foggia, Italy

b Policlinico Riuniti University Hospital, Foggia, Italy

Abstract

La malattia da Coronavirus (Covid)-19 può presentarsi nei bambini in modo asintomatico o con caratteristiche cliniche molto lievi. Una possibile complicanza, tuttavia, può essere rappresentata da una sindrome infiammatoria ritardata, successiva alla fase acuta dell’infezione da SARS-CoV-2 di settimane-mesi, con coinvolgimento multiorgano, simile alla malattia di Kawasaki. Questa sindrome infiammatoria multisistemica nei bambini (MIS-C) associata a SARS-CoV-2 si verifica di solito 4-6 settimane dopo l’infezione e si presenta con febbre alta, disfunzione d’organo, livelli elevati di marcatori infiammatori e segni di shock, in assenza di una ipotesi diagnostica alternativa [1].

Riportiamo il caso di miocardite aritmica associata a MIS-C che si è risolta dopo terapia antinfiammatoria e infusione di immunoglobuline.

Caso Clinico

Riportiamo il caso di un ragazzo di 15 anni che si è presentato al pronto soccorso per dolore toracico 42 giorni dopo l’infezione da SARS-CoV-2, che si alleviava in seguito a flessione in avanti del torace. Al ricovero la pressione arteriosa era 120/70 mmHg e l’esame obiettivo negativo. L’elettrocardiogramma ha mostrato tachicardia sinusale e sopraslivellamento del tratto ST diffuso (Fig. 1), QRS di ampiezza ridotta e valori QTc prolungati; I livelli di HS-troponina-I erano notevolmente aumentati (3652 ng/L, n.v. <20). L’ecocardiografia basale ha mostrato una funzione sistolica globale preservata e versamento pericardico minimo (Fig. 2). La radiografia del torace e l’emocromo erano normali. Il paziente è stato ricoverato in reparto di terapia intensiva cardiologica. Dopo l’ammissione, è comparsa la febbre (38°C), con dolori addominali e diarrea. L’ecografia addominale era normale. Un breve run (10 battiti) di tachicardia ventricolare è stato riscontrato al monitoraggio continuo dell’elettrocardiogramma. Il ragazzo è stato trattato con aspirina 1500 mg/die ed enoxaparina 4000 UI/die. Il livello di picco di hs-troponina-I è stato 12,333 ng/L, i livelli di NT-proBNP 1.570 pg/mL, D-dimero 991 ng/mL e proteina C-reattiva 110 mg/L (nv <5). I livelli di IgG del virus SARS-CoV-2 erano notevolmente aumentati, mentre test degli autoanticorpi, epatite B/C e IgM per virus comuni (parotite, varicella, mononucleosi, toxoplasma, parvovirus-19, rosolia, citomegalovirus, i livelli di herpes virus1–2, paramyxovirus, Mycoplasma Pneumonie) erano negativi.

In presenza di diagnosi di MIS-C (miocardite acuta con sintomi intestinali) sono state infuse immunoglobuline per via endovenosa, con netto miglioramento dei test di laboratorio e una riduzione dei livelli di hs-troponina I (5749 ng/L) (Fig. 3). La risonanza magnetica cardiaca ha mostrato un aumento del segnale diffuso nelle pareti del ventricolo sinistro al T1 mapping nativo. (Fig. 2a-b), aumento del segnale con distribuzione “a chiazze” delle pareti del ventricolo sinistro nelle sequenze T2-STIR edema (Fig. 2c-d), aree multiple di segnale aumentato con distribuzione media e subepicardica all’interno delle pareti ventricolari sinistre nelle sequenze per Early Gadolinium Enhancement e aumento del segnale con distribuzione “a macchia di leopardo” della sinistra pareti ventricolari nella sequenza PSIR, compatibili con necrosi miocardica da miocardite acuta (Fig. 2e-f).

Alla dimissione, l’elettrocardiogramma mostrava ritmo sinusale con Onde T negative e i livelli di marcatori infiammatori (CRP) e hs-troponina-I erano ridotti. Il paziente è stato dimesso 12 giorni dopo il ricovero, asintomatico, con defibrillatore indossabile. Al follow-up a 3 mesi la risonanza magnetica cardiaca ha mostrato una riduzione di segnale nelle sequenza T1 Native per lo studio Mapping (Fig. 2j-k), assenza di edema all’interno delle pareti del ventricolo sinistro nelle sequenze T2-STIR (Fig. 2l-m) e riduzione delle aree di potenziamento del Late Gadolinium enhancement compatibili con fibrosi (Fig. 2n-o). L’ecocardiografia era normale, senza versamento pericardico. L’elettrocardiogramma era normale, mentre i livelli di PCR ancora aumentato. La terapia con aspirina è stata ridotta a 1000 mg/die. L’ECG a riposo e il monitoraggio continuo con defibrillatore indossabile erano normali e non hanno mostrato alcun episodio di tachiaritmie ventricolari.

Discussione

Riportiamo il caso di MIS-C che si presenta con miocardite, tachicardia ventricolare e sintomi intestinali. 2Le condizioni cliniche sono migliorate dopo terapia con aspirina e infusione di immunoglobuline. In genere, i bambini sono stati colpiti in modo meno grave dall’infezione da SARS-CoV-2 rispetto agli adulti [3, 4]. L’incidenza della presentazione clinica grave in bambini varia tra il 2 e il 6%, con un rischio maggiore nei pazienti con pregresse comorbidità respiratorie, cardiologiche e neuromuscolari [3, 5]. Tuttavia, l’8 maggio 2020, il Center for Disease Control (CDC) negli Stati Uniti ha emesso un avviso descrivendo una nuova entità denominata MIS-C (sindrome infiammatoria multisistemica nei bambini associati con Covid-19). La definizione di MIS-C include [6]: a) un individuo di età <21 anni che presenta febbre, prove di laboratorio di infiammazione, e evidenza di malattia clinicamente grave che richiede il ricovero in ospedale, con coinvolgimento multisistemico (>2) d’organo (cardiaco, renale, respiratorio, ematologico, gastrointestinale, dermatologico o neurologico); E b) nessuna diagnosi plausibile alternativa; E c) Positivo per corrente o recente Infezione da SARS-CoV-2 mediante RT-PCR, sierologia o test dell’antigene; o esposizione a un caso sospetto o confermato di COVID-19 entro le 4 settimane prima della comparsa dei sintomi. I pazienti con MIS-C di solito si presentano con febbre persistente, dolore addominale, vomito, diarrea, eruzioni cutanee, mucocutanee lesioni e, nei casi più gravi, con ipotensione e shock [2]. Alcuni i pazienti sviluppano miocardite, disfunzione cardiaca e danno renale acuto. La patogenesi di MIS-C è ancora sconosciuta. Alcune funzioni si sovrappongono con malattia di Kawasaki, una vasculite acuta dei vasi medi, con specificità predilezione per le arterie coronarie, che si verifica nei neonati e nei bambini. MIS-C e malattia di Kawasaki potrebbero condividere una disregolazione delle citochine, mentre differiscono nella regolazione delle piastrine e dei fattori della coagulazione [7]. MIS-C è caratterizzato da una tempesta di citochine guidata dall’interleuchina-6 e da una disregolazione dei linfociti citotossici con deplezione di CD8+ T linfociti e cellule NK CD56 e CD57. Consiglio et al. dimostrato che i sottotipi di cellule T linfocitarie differiscono tra due malattie e l’interleuchina-17A media l’iperinfiammazione nella malattia di Kawasaki, ma non in MIS-C [8]; uno studio ha trovato prove di microangiopatia in MIS-C [9].

Non è ancora chiaro se i processi che mediano MIS-C siano diversi da quelli che portano a grave insufficienza respiratoria e shock in caso di Covid-19 [9]. Il ritardo nella presentazione dopo il contagio da Covid-19, i bassi tassi di SARS-CoV-2 positivi e le alte proporzioni di anticorpi positivi suggeriscono che questa sindrome infiammatoria non è presumibilmente mediata da invasione virale diretta ma può rappresentare un  risposta immunitaria acquisita a SARS-CoV-2, mediata da anticorpi o Cellule che attaccano cellule mediate da cellule T che esprimono antigeni virali o ospite antigeni che reagiscono in modo incrociato o imitano gli antigeni virali. I bambini con MIS-C in genere rispondono bene alla terapia con immunoglobuline per via endovenosa, che prevengono complessi di attacco di membrana da fattori del complemento e mitigano patologia mediata da autoanticorpi [8]. Il paziente con MIS-C può avere markers infiammatori elevati (CRP, fibrinogeno, D-dimero, ferritina, lattato deidrogenasi, IL-6, neutrofili, linfociti e albumina) e sviluppano danno renale, anemia, trombocitopenia, ipertrigliceridemia, proteinuria, coagulopatia e disfunzione cardiaca [6, 10]. I pazienti con coinvolgimento cardiaco potrebbero avere livelli elevati di troponina, BNP e CK-MB [11]. Data la frequente associazione della MIS-C con l’interessamento cardiaco (oltre l’80%), i test cardiaci (ecocardiogramma, elettrocardiogramma, troponina e peptide natriuretico di tipo B (BNP) o NT-proBNP) devono essere considerati. Il danno cardiaco coinvolge il sistema sistodiastolico con disfunzione biventricolare (con necessità di trattamenti di supporto, compreso il supporto ventilatorio, l’uso di inotropi ed ECMO [12]), rigurgito mitralico, aritmia e versamento pericardico, mentre è stato descritto il coinvolgimento coronarico nel 6-24% dei casi (come lieve o come ectasia coronarica) [1]. Anomalie elettrocardiografiche aspecifiche del tratto ST, prolungamento del segmento QTc, si possono osservare battiti ectopici atriali e ventricolari in MIS-C, mentre i casi di blocco atrioventricolare di I e II grado e le aritmie sopraventricolari e ventricolari sono più rare.

I test sierologici devono essere eseguiti prima dell’assunzione di immunoglobuline per via endovenosa (IVIG) o qualsiasi trattamento con anticorpi esogeni. Il trattamento ottimale non è ancora noto per un paziente con MIS-C; tuttavia, è necessario un approccio multidisciplinare per guidare l’individuo trattamento, che potrebbe essere diverso e si basa sulla valutazione di sintomi e valori di laboratorio. Di solito lo sono i pazienti con MIS-C trattati con IVIG, 2 g/kg (max 100 g), per infusione lenta (16–24 h). Pazienti sono stati anche trattati con terapia steroidea (da 2 a 30 mg/kg/die di metilprednisolone a seconda della gravità della malattia) e biologici [13]. Un recente studio osservazionale ha rilevato che il trattamento iniziale sia con IVIG che con terapia steroidea ha portato a una risoluzione più precoce della febbre rispetto alle sole IVIG [14]. Deve essere presa in considerazione la profilassi antitrombotica in tutti i pazienti con MIS-C e, salvo controindicazioni, dovrebbe esserlo iniziato con enoxaparina [15]. Deve essere considerata solo la terapia antipiastrinica se è presente un coinvolgimento piastrinico o coronarico [16]. Nel nostro caso la terapia è stata limitata all’uso di IVIG, dopo una rapida risposta terapia infusionale. Degno di nota, tuttavia, possiamo osservare in questo caso un’insorgenza ritardata di MIS-C precedentemente riportato [17], e, data la presentazione aritmica, un monitoraggio ambulatoriale prolungato con un ICD indossabile in un ragazzo con miocardite.

Conclusioni

Anche se i bambini con Covid-19 generalmente presentano sintomi lievi o sono asintomatici, c’è un crescente riconoscimento di un ritardo MIS-C a seguito di SARS-CoV-2. Riportiamo il caso di MIS-C associato miocardite aritmica.

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Figura 1 a) elettrocardiogramma di ingresso che mostra sopraslivellamento diffuso dell’ST e riduzione dell’ampiezza del QRS. b) elettrocardiogramma alla dimissione che mostra onde T negative. c) Elettrocardiogramma di follow-up a 3 mesi che mostra il recupero dell’ampiezza del QRS e del tratto ST.

Figura 2 Valutazione dell’imaging seriale a–b). Aumento diffuso del segnale MRI delle pareti del ventricolo sinistro nella sequenza T1 Nativa per lo studio Mapping. c–d) Aumento del segnale con distribuzione “a macchia di leopardo”. all’interno delle pareti del ventricolo sinistro nelle sequenze T2-STIR per l’edema. e–f) Aumento del segnale con distribuzione “a macchia di leopardo” all’interno delle pareti del ventricolo sinistro nella sequenza PSIR per lo studio del late gadolinium enhancement (LGE) compatibile con la necrosi miocardica nella miocardite acuta. g–h) Aree multiple di aumento del segnale con distribuzione media e subepicardica all’interno del ventricolo sinistro nelle sequenze per l’Early Gadolinium Enhancement. i) ecocardiogramma bidimensionale basale normale. j–k) Follow-up a due mesi: riduzione del segnale nella sequenza T1 Nativo per lo studio mapping. l–m) Assenza di edema all’interno delle pareti del ventricolo sinistro nelle sequenze T2-STIR. n-o) Rimodellamento e riduzione delle aree di LGE compatibili con fibrosi.

Figura 3 Livelli di troponina ad alta sensibilità, NT-pro-BNP e proteina C-reattiva durante il ricovero e al follow-up.