How to handle complexity – case report: Chiusura percutanea di auricola sinistra con morfologia a coda di balena con Watchman FLx device mediante planning pre-procedurale con software di simulazione online FEops Heart Guide.

Francesca Maria Di Muro, MD, Miroslava Stolcova, MD, Alessio Mattesini MD, Giulia Nardi MD, Niccolò Ciardetti MD, MD, Carlo Di Mario,  MD, PhD, FESC, FACC, FSCAI, FRCP, Francesco Meucci, MD.

Structural Interventional Cardiology, Department of Clinical and Experimental Medicine, Careggi University Hospital, Clinica Medica, Room 124, Largo Brambilla 3, 50134 Florence, Italy

Abstract

La chiusura percutanea dell’appendice atriale sinistra rappresenta una alternativa terapeutica per la prevenzione del rischio cardioembolico nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare ad elevato rischio emorragico. Lo studio preprocedurale della morfologia e delle dimensioni auricolari rappresentano uno step chiave per garantire un impianto di successo. Il nostro caso clinico descrive l’utilizzo di un programma di simulazione 3D (FEops NV, Ghent, Belgium) applicato allo studio di un paziente con auricola sinistra con morfologia atipica (a coda di balena) che ha permesso un corretto posizionamento di sistema Watchman.

Introduzione

La chiusura percutanea dell’appendice atriale sinistra è una procedura efficace nella prevenzione degli eventi cardioembolici e dello stroke ischemico in caso di fibrillazione atriale non valvolare ed è una valida alternativa all’anticoagulazione nei pazienti con storia di sanguinamento1. Sebbene siano riconosciute diverse morfologie di auricola sinistra, ne sono state identificate 4 prevalenti: cactus, windsock (o a manica di vento), cavolfiore e chicken wing (ala di pollo)2. Le conformazioni che non ricadono in queste categorie richiedono un’analisi pre-procedurale più accurata per ottenere una corretta selezione del device e un impianto ottimale.

Questo case-report illustra l’importanza di un programma di simulazione 3D, sviluppato da FEops (FEops NV, Ghent, Belgium) basato sulle immagini TC, che permette di selezionare la proiezione di lavoro e il tipo di device da impiantare, predicendone la posizione e il grado di compressione finale.3

Caso clinico

Un uomo di 62 anni con storia di fibrillazione atriale permanente (CHA2DS2-VASc = 2) in terapia con Warfarin viene riferito al nostro centro per sottoporsi a chiusura di auricola sinistra a seguito di sviluppo di ematoma cerebellare nel Dicembre 2020. Da segnalare in anamnesi adenocarcinoma uroteliale di basso grado sottoposto ad intervento di resezione transuretrale di tumore della vescica (TURBT) ed un recente intervento chirurgico di rimozione di adenocarcinoma polmonare localizzato.

Figura 1

La TC pre-procedurale mostrava una anatomia dell’auricola estremamente sfavorevole, con un breve collo e due lobi prossimali simmetrici opposti e speculari l’uno all’altro, misurando una landing zone di 16 x 22 mm ed una profondità di impianto pari a 12 mm.

Vista questa rara anatomia, altresì nota come auricola a coda di balena, abbiamo deciso di ottenere una predizione dell’impianto mediante il supporto della piattaforma online sviluppata da FEops HEARTguide. Il software FEOps è in grado di simulare device di varie dimensioni e diverse profondità di impianto, proponendo il modello pre-operatorio più adatto all’anatomia riscontrata tramite imaging. Nel nostro caso FEOps ha suggerito l’impianto prossimale di un dispositivo Watchman 24 mm con una compressione finale predetta di circa il 10%, un buon grado di apposizione in assenza di eccessiva protrusione in atrio sinistro (Figura 1).

La procedura è stata eseguita in anestesia generale, sotto guida transesofagea (ETE) ed angiografica.

L’esame transesofageo ha confermato la morfologia bilobata a coda di balena con un diametro della landing zone di 19×15 mm e una profondità massima di circa 12 mm, in assenza di trombi.

Figura 2

Utilizzando un delivery system di 14F, abbiamo impiantato un Watchman Flex device 24 mm (Boston Scientific, Marlborough, MA, USA) nella porzione prossimale dell’appendice atriale sinistra, come pianificato dalla piattaforma. Dopo due tentativi di impianto prossimale, il device risultava posizionato verso il lobo inferiore, lasciando un ampio leak intorno al lobo opposto. Spingendolo verso l’ostio dell’auricola, con una delicata trazione si è ottenuta una posizione centrale, simmetrica e stabile al “push and pull” test.  La posizione finale del device e la deformazione sono state confermate sia tramite ecografia transesofagea che all’angiografia, con un risultato simile a quello predetto da FEops (Figura 2). Il decorso clinico post-procedurale si è svolto in modo regolare, il paziente è stato dimesso a domicilio due giorni dopo la procedura. In considerazione della storia di elevata diatesi emorragica veniva impostata terapia domiciliare con Cardioaspirina a seguito di tre mesi di doppia terapia antiaggregante. Al controllo eseguito tramite ETE a a 45 giorni, il device risultava nella corretta posizione, senza evidenza di leaks né embolizzazione o trombi (Figura 3)

Discussione

Nella pratica comune, la selezione dei device per chiusura di auricola sinistra è ancora basata su misurazioni ecocardiografiche 2D, sebbene l’uso della TC stia assumendo sempre di più un ruolo cruciale nel planning pre-procedurale data la sua non invasività e l’entità di informazioni che fornisce4,5. Per ottenere un’analisi ancora più completa, FEops Heart guide ha sviluppato una piattaforma di simulazione online che permette di riprodurre l’interazione tra diversi device e la specifica anatomia del paziente, applicabile a diversi setting quali ad esempio la sostituzione percutanea di valvola aortica o la chiusura di appendice atriale sinistra6.

Il nostro caso mostra i vantaggi di utilizzare questa piattaforma di simulazione in una delle morfologie più complesse di auricola sinistra, la cosiddetta auricola a coda di balena, con una profondità di impianto di soli 12 mm. Un device con un lobo e un disco, quale l’Amplatzer Amulet è stato già adoperato con successo in presenza di tale anatomia e descritto in letteratura7. Tuttavia, il nostro scenario non offriva profondità sufficiente per questa “sandwich technique”, con il rischio di successivo prolasso del dispositivo. In considerazione dell’analisi eseguita dal software veniva consigliato l’utilizzo di un dispositivo ball-shape quale il Watchman FLX. Tale device infatti durante l’impianto tende inizialmente a lasciare un leak e, una volta rilasciato, deve essere posizionato adeguatamente nella porzione centrale dell’ostio dell’auricola rischiando sotto-compressione e instabilità. FEops ha rappresentato un punto di forza del planning pre- procedurale del nostro paziente, in quanto ha permesso non solo di selezionare il tipo e la misura del device ma anche il giusto posizionamento per evitare leakage.

Figura 3

Le auricole con anatomie sfavorevoli si associano ad un elevato rischio di procedure lunghe, complesse ed economicamente dispendiose, spesso con la necessità di testare molteplici device al fine di scegliere quello più adeguato. L’esecuzione di una corretta pianificazione avvalendosi di tutte le metodiche a disposizione dovrebbe essere indipendente dall’esperienza dell’operatore. Come dimostrato dal nostro centro, un aiuto può derivare anche dai modellini 3D ottenuti dalle scansioni TC volume rendered che permettono impianti personalizzati8.

Quello descritto è il primo caso di auricola con anatomia a coda di balena trattato mediante un ball shape device. Anche se al momento non ci sono trials sull’applicazione di FEops HEARTguide alla selezione dei Watchman Flex devices, questo caso mostra nuovi spunti sulla possibile applicazione di tale piattaforma agli scenari più complessi ai fini di evitare mismatches, errori procedurali e ottenere i migliori outcome clinici.

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FIgura-3

ARRESTO CARDIACO EXTRAOSPEDALIERO. IL ROSC ALZA IL SIPARIO: MOLTI ATTORI, UN SOLO PROTAGONISTA

Marco Micillo1, Rodolfo F. Massafra1, Elisabetta Tonet1

1 Cardiology Unit, Azienda Ospedaliero-Universitaria of Ferrara, Via Aldo Moro 8, Cona, FE, Italy;

ABSTRACT

La morte cardiaca improvvisa (SCD) a genesi aritmica è un argomento di grande interesse sanitario e pone importanti sfide riguardanti la prevenzione primaria e secondaria.

Se quasi sempre l’impianto del defibrillatore è la soluzione terapeutica nella prevenzione secondaria delle aritmie ventricolari in assenza di cause reversibili,[1] è forse più interessante l’approccio in prevenzione primaria, dove per ogni eziologia è importante ricercare dei predittori di rischio aritmico.

Il caso riportato assume interesse per la  scarsa disponibilità di predittori di rischio aritmico. Inoltre, permette una disamina sull’importanza dell’imaging multimodale nella SCD abortita, e in generale del lavoro del clinico in quest’era in cui è fondamentale l’integrazione dei dati clinici, laboratoristici e strumentali in un iter diagnostico quanto più sistematizzato e standardizzato

A tal fine vanno caldamente implementati e adoperati nella pratica clinica criteri e score diagnostici possibilmente validati che consentono una definizione più precisa e lineare del processo di diagnosi, dunque di prognosi e di cura.

CASO CLINICO

Presentiamo il caso di una donna di 45 anni, normopeso, con familiarità per cardiopatia ischemica, nessuna terapia domiciliare, nessuna abitudine voluttuaria né familiarità per SCD. In anamnesi riporta morbo di Crohn con singola fase acuta in età giovanile e pregressa emorragia di corpo luteo; nota alla nostra Cardiologia per degenerazione mitralica mixomatosa con prolasso bilembo configurante insufficienza di grado moderato.

Nel mese di Maggio 2022 andava incontro ad arresto cardiaco extra-ospedaliero (OHCA) da fibrillazione ventricolare (FV), trattata mediante manovre rianimatorie, , adrenalina, amiodarone, posizionamento di maschera laringea e ventilazione assistita, ed erogazione di 4 DC-shock. Seguiva ROSC dopo un tempo di arresto di 22 minuti. Al ripristino del ritmo sinusale non emergevano alterazioni del tratto ST e la paziente veniva centralizzata in PS, dove veniva intubata e portata d’urgenza in sala di emodinamica.

La coronarografia è risultata negativa per lesioni angiograficamente significative, mentre la ventricolografia mostrava ipercinesia dei segmenti basali, ipocinesia dell’apice e dei segmenti medi, quadro compatibile con cardiomiopatia da stress o miocardite acuta. (Figura 1A)

Seguiva ricovero in terapia intensiva (UTI) dove si attuava ipotermia moderata, interrotta 24 ore dopo con regolare risveglio ed estubazione, in assenza di deficit cognitivi e neurologici focali.

L’ecocardiogramma eseguito in seconda giornata documentava dilatazione ventricolare sinistra (VTDi 76 ml/m2) con FE conservata (65%) in assenza di difetti di cinetica segmentaria o apical ballooning, e marcato prolasso mitralico bilembo con insufficienza di grado moderato. (Figura 1B)

Successivamente la paziente veniva trasferita in UTIC. L’ECG mostrava ritmo sinusale a 80 bpm, PR nei limiti e scarsa crescita dell’onda R, associata a bassi voltaggi nelle derivazioni periferiche. (Figura 2)

La curva di miocardiocitonecrosi mostrava TnI-hs (ng/L): 24 (1° giornata)  143 (2° giornata)  28 (4° giornata); emocromo, elettroliti, funzione epatica, renale e tiroidea, e PCR risultavano nei limiti.

Seguiva approfondimento diagnostico mediate risonanza magnetica cardiaca (CMR) che riscontrava ventricolo sinistro ai limiti superiori (EDV/BSA 106 ml/m2),  FE nei limiti, prolasso mitralico bilembo  e disgiunzione anulo-mitralica (MAD) di 3.8 mm, con curling sistolico e pseudoipertrofia della parete infero-laterale basale, con sfumato mid-enhancement. Non alterazioni in T1 mapping pre e post-contrastografico. Minimo diffuso edema dei segmenti medio-apicali in T2-W e T2 mapping. Esile versamento pericardico ubiquitario. (Figura principale, A)

Durante la degenza non si evidenziavano eventi aritmici alla telemetria cardiaca.

Discusso il caso collegialmente, si escludevano le ipotesi di miocardite acuta e cardiomiopatia da stress, ritenendo il quadro imputabile in prima istanza a MAD aritmica. Considerata la giovane età della paziente, la mancata necessità di pacing e il quadro aritmico d’esordio con FV, si riteneva opportuno impianto di defibrillatore cardiaco sottocutaneo (S-ICD) in prevenzione secondaria. La paziente veniva dimessa con terapia betabloccante, in buon compenso cardiocircolatorio, e parametri ottimali del dispositivo. (Figura principale, B)

DISCUSSIONE

In seguito ad un OHCA da FV, esclusa la sindrome coronarica acuta, prima causa epidemiologica nella popolazione generale,1 è importante soprattutto nel giovane indagare cardiomiopatie e canalopatie.

L’anamnesi familiare negativa, l’assenza di alterazioni ECG suggestive o di fattori scatenanti come stress fisici o emotivi (LQT1, CPVT), stimoli sensoriali improvvisi (LQTS2), farmaci o febbre (sindrome di Brugada), ha fugato l’ipotesi di canalopatia.

Il primo sospetto diagnostico, data anche la netta prevalenza femminile, è scaturito dalla ventricolografia suggestiva di sindrome di Takotsubo, il cui esordio aritmico è raro ma documentato.[2],[3],[4] Nonostante fosse rispettato il criterio diagnostico InterTAK di alterazione di cinetica a distribuzione non coronarica,[5] la diagnosi veniva ritenuta poco probabile innanzitutto per l’inverosimile rapidissima reversibilità della stessa alterazione della cinetica, già in seconda giornata, e inoltre per il modesto incremento degli indici di miocardiocito-necrosi.

La diagnosi di miocardite risultava improbabile per l’andamento della curva di miocardiocito-necrosi, la negatività degli indici di flogosi, assenza di febbre e segni di infezione recente, o esposizione a farmaci o tossici. Pertanto, malgrado a favore dell’ipotesi sussistesse una storia di malattia infiammatoria extracardiaca (morbo di Crohn, tuttavia al momento silente), stante il basso sospetto diagnostico, non sono stati intrapresi ulteriori approfondimenti diagnostici.[6],[7],[8]

Infine, la CMR risultava poco suggestiva per eziologie strutturali quali cardiomiopatia ipertrofica[9] cardiomiopatia aritmogena[10] e sarcoidosi[11]. Tuttavia, emergeva il reperto occasionale di una modesta ma chiara MAD, con discreto agreement con l’ecocardiografia transtoracica.[12]. [Figura 1A]

La MAD è un’anomala separazione della giunzione tra valvola mitrale e miocardio ventricolare. Essa può associarsi a prolasso valvolare, nell’ambito del quale si riscontra dal 15-55% dei casi.[13]

Il reperto si associa a un rischio aritmico la cui fisiopatologia è stata ricondotta alla trazione che l’apparato valvolare prolassante esercita sui papillari, in particolare sul postero-mediale, nonché sull’anello mitralico, producendo fenomeni di infiammazione e/o ischemia, con fibrosi secondaria. La trazione sul miocardio papillare e sul tessuto del Purkinje circostante è stata identificata inoltre come causa di attività triggerata alla base delle aritmie ventricolari maligne.[14],[15],[16]

Le evidenze in letteratura concordano variabilmente su alcuni predittori di rischio quali giovane età, precedenti sincopi, frequenti extrasistoli ventricolari,[17] presenza di prolasso valvolare, onde T invertite in  regione infero-laterale, fibrosi dei muscoli papillari, fibrosi in regione posterolaterale, e ampiezza della MAD.[18],[19]

È importante sottolineare che la MAD aritmica è attualmente una diagnosi di esclusione, non contemplata dalle maggiori linee guida su aritmie ventricolari e SCD,1,[20] e come tale è stata formulata nella nostra paziente. La sua gestione è ancor meno definita. I pazienti che sviluppano un’aritmia ventricolare vanno incontro ad impianto di ICD in prevenzione secondaria, secondo linee guida, mentre al momento non vi è un orientamento codificato circa la prevenzione primaria.

CONCLUSIONI

Il caso riportato assume interesse per la  scarsa disponibilità di predittori di rischio aritmico.  Inoltre, ci permette una disamina sull’importanza dell’imaging multimodale nella SCD abortita, e in generale del lavoro del clinico in quest’era in cui è fondamentale l’integrazione dei dati clinici, laboratoristici e strumentali in un iter diagnostico quanto più sistematizzato e standardizzato, procedendo per esclusione in primis delle patologie a maggiore probabilità pre-test nel sottotipo di paziente, secondo logica bayesiana, poi di quelle per cui è possibile esprimere una diagnosi di certezza o quantomeno di presunzione. A tal fine vanno caldamente implementati e adoperati nella pratica clinica criteri e score diagnostici possibilmente validati, che consentono una definizione più precisa e lineare del processo di diagnosi, dunque di prognosi e di cura.

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Rottura di arteria femorale in paziente sottoposto a litotrissia intravascolare durante TAVI: approccio ad un caso complesso e gestione delle complicanze

Carmen Spaccarotella1, Annalisa Mongiardo1, Sabato Sorrentino1, Alberto Polimeni1, Maria Petullà2, Salvatore De Rosa1, Ciro Indolfi1

1 Divisione di Cardiologia, Centro di Ricerche delle Malattie Cardiovascolari, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro

2 Divisione di Radiologia, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro

ABSTRACT

Presentiamo il caso di un paziente con stenosi aortica severa e calcificazioni diffuse a livello degli accessi vascolari periferici sottoposto a sostituzione valvolare aortica percutanea (TAVI), per il quale l’impianto di una valvola self-expandable da 34 mm è risultato possibile solo dopo l’utilizzo della litotrissia intravascolare (IVL). Dopo l’efficace posizionamento della protesi valvolare, tuttavia, è stata notata una importante complicanza coinvolgente il sito di accesso arterioso, che ha reso necessario l’impianto di uno stent ricoperto a livello dell’arteria femorale.

CASO

Un uomo di 82 anni, con anamnesi positiva per ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale permanente, diabete mellito di tipo 2, BPCO severa, ateromasia carotidea e pregressa abitudine tabagica, già sottoposto ad intervento di protesi d’anca destra, veniva ricoverato presso il nostro centro con sintomi di scompenso cardiaco di classe NYHA 3, tra cui soprattutto la dispnea da sforzo lieve. L’ecocardiogramma all’ingresso documentava: stenosi valvolare aortica di grado severo (con gradiente medio 48 mmHg ed area valvolare 0,7 cm2), dilatazione dell’atrio sinistro, insufficienza mitralica di grado moderato, ipertensione polmonare di grado severo (PAPs 75 mmHg) e lieve riduzione della funzione sistolica del ventricolo sinistro (FE 52%). Data l’età avanzata del paziente e le numerose comorbidità, l’Heart Team optava per una sostituzione valvolare aortica di tipo percutaneo (TAVI).

Figura 1

Si procedeva pertanto all’esecuzione di una angioTC per la valutazione delle dimensioni valvolari e dell’eventuale presenza di malattia coronarica e/o di stenosi a livello degli accessi vascolari periferici. Come mostrato nella fig. 1, l’arteria femorale comune destra presentava diffusa ateromasia calcifica con placche circonferenziali responsabili di una importante riduzione del lume vasale (diametro minimo 4,1 mm) e con evidenza di ulcera penetrante aterosclerotica (fig. 1C). L’arteria femorale controlaterale, nonostante la presenza di ateromasia calcifica, non mostrava invece particolari tortuosità ed aveva un diametro vasale accettabile (diametro minimo 5,5 mm) (fig. 1B).

Alla luce di questi riscontri, e dato che l’annulus valvolare risultava essere di 92 mm, si optava per l’impianto di una valvola self-expandable da 34 mm (Medtronic Evolut R) e per l’utilizzo dell’arteria femorale comune sinistra come sito di accesso principale; il vaso di destra veniva invece esclusivamente utilizzato per il posizionamento di un safety wire per l’asse controlaterale. Durante questo step si procedeva alla verifica del corretto posizionamento della guida nell’arteria femorale superficiale e non si notavano dissezioni o rotture della parete vasale. Tuttavia, data l’impossibilità di attraversare l’arteria femorale comune con il sistema di delivery per la valvola scelta, sia in presenza che in assenza dello sheath, si decideva di utilizzare la litotrissia intravascolare (IVL) con sistema Shockwave per ridurre le stenosi. Si procedeva quindi a quattro cicli di IVL utilizzando un pallone 7 x 60 mm dilatato fino a 6 atm; al termine degli stessi, risultava quindi possibile il superamento della criticità e si riusciva ad impiantare con successo la protesi valvolare attraverso un introduttore 20 F (fig. 2).

Figura 2 – IVL dell’arteria iliaca comune sinistra (A) e della femorale (B). L’introduttore 20-F e la valvola da 34 mm impiantata (C)

Tuttavia, nella fase conclusiva della procedura, alla luce dell’inefficacia di due sistemi di chiusura Proglide, si procedeva all’esecuzione di un’angiografia periferica, che mostrava una lunga dissezione con origine a partire dal segmento distale dell’arteria iliaca esterna (fig. 3A) ed estensione fino al sito di accesso, con evidenza di rottura di parete (fig. 3B). Pertanto, si decideva di impiantare uno stent ricoperto Viabahn 7 x 50 mm nell’arteria femorale comune sinistra, seguito da multiple postdilatazioni con pallone 8 x 20 mm. Alla fine della procedura si notava la completa ricanalizzazione del vaso senza extravasazione di mezzo di contrasto, con persistenza della dissezione distale dell’arteria iliaca lontano dal sito di accesso (fig. 3C).

Il paziente veniva quindi trasferito presso la nostra UTIC in condizioni cliniche ed emodinamiche stabili; l’ecocardiogramma post-procedurale documentava il corretto posizionamento della protesi, ed il gradiente transvalvolare medio risultava essere di 7 mmHg. Dopo un totale di dieci giorni di degenza, ed in assenza di ulteriori complicanze degne di nota dopo l’intervento, il paziente veniva infine dimesso in buone condizioni di salute. Il follow-up clinico ed ecografico eseguito dopo sei mesi dimostrava buona pervietà dei vasi e perfusione degli arti, in assenza di sintomatologia.

DISCUSSIONE

La sostituzione valvolare aortica percutanea è una strategia efficace per il trattamento della stenosi aortica severa soprattutto nei pazienti a rischio più alto, e si è dimostrata superiore alla chirurgia quando eseguita utilizzando un sito di accesso arterioso transfemorale. (1-4) Tuttavia, un numero significativo di soggetti potrebbe non essere eleggibile per questo tipo di approccio a causa della presenza di vasculopatia periferica e/o severa ateromasia calcifica. L’utilizzo della litotrissia intravascolare, grazie alla riduzione delle calcificazioni a livello intimale e medio ed all’aumento della compliance vascolare, potrebbe permettere l’estensione dell’approccio transfemorale ad un gruppo più ampio di pazienti. (5-7) Nel caso in questione, questa tecnica ha permesso di procedere in maniera efficace all’impianto della protesi valvolare con un supporto di calibro importante (sheath da 20 F), nonostante la complessa anatomia.

Figura 3

La IVL non è però esente da complicanze, compresa la possibile dissezione del vaso, documentata in circa il 14,6% dei casi, di cui 0,9% portano a limitazione del flusso. (8) Nel nostro caso si è verificata una lunga dissezione a carico dell’asse iliaco-femorale e la rottura della parete dell’arteria femorale in prossimità del sito di accesso. La TAVI in pazienti che presentano vasi severamente calcifici e stenotici rimane una procedura di non semplice esecuzione anche con l’aiuto di devices che migliorano la compliance vascolare, e in alcuni casi potrebbe essere necessaria la riparazione di eventuali lesioni. L’utilizzo di stent ricoperti sull’asse vascolare iliaco-femorale può portare esso stesso ad ulteriori complicanze, come le trombosi e le restenosi intrastent, l’occlusione di vasi collaterali ed i difetti di perfusione a carico degli arti inferiori. Tuttavia, in situazioni di emergenza, l’approccio intravascolare permette nella maggioranza dei casi una efficace riparazione del danno ed una rapida riperfusione dell’arto. Inoltre, in casi come questo può essere utile l’inserzione di una guida nel vaso controlaterale, da poter utilizzare in caso di necessità.

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Miocardite fulminante in malattia di Still dell’adulto

Dario Fabiani1, Marco Tontodonato1, Dario Catapano1, Francesco Loffredo1

  1. Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Ospedale Monaldi, Napoli

Abstract

La miocardite è una malattia infiammatoria del muscolo cardiaco che riconosce diverse cause. Il suo decorso clinico può variare da forme paucisintomatiche fino a casi di shock che necessitano di supporto farmacologico e/o meccanico al circolo1. La mortalità risulta elevata nelle forme a esordio fulminante ed è pertanto necessario un rapido e corretto inquadramento eziologico. Riportiamo il caso clinico di un paziente di 24 anni con riscontro  di shock cardiogeno secondario a miocardite fulminante. Il corretto inquadramento clinico-diagnostico e il rapido inizio di una terapia corticosteroidea ad alte dosi sono risultati fondamentali ai fini del miglioramento della prognosi.

Caso Clinico

Presentiamo il caso clinico di un giovane di 24 anni, fumatore, obeso, in assenza di farmaco allergie degne di nota e di familiarità per morte cardiaca improvvisa e/o cardiopatie congenite, fino a quel momento in apparente stato di buona salute. Tale paziente si è presentato al Dipartimento di Emergenza e Accettazione lamentando storia di febbre (T 40°C) da circa 7 giorni, associata a sensazione di malessere generale e dispnea. L’esame obiettivo ha rivelato ipotensione (PA 90/60 mmHg) e linfoadenopatia in sede cervicale, tachicardia (Fc 120 bpm) e tachipnea (Fr 40 atti respiratori/min).

Figura 1. Ecocardiogramma basale.

L’ECG mostrava tachicardia sinusale con bassi voltaggi nelle derivazioni periferiche e anomalie diffuse della ripolarizzazione ventricolare. L’emogasanalisi arteriosa evidenziava acidosi metabolica con iperlattacidemia e ipossiemia (SaO2 96% in FiO2 40%). Gli esami di laboratorio eseguiti in urgenza, mostravano una spiccata leucocitosi neutrofila (GB 47.900/mm3 con 94% di neutrofili) e aumentati livelli ematici dei seguenti markers: creatinina, AST/ALT, troponina I ad alta sensibilità, CK-MB massa PCT, PCR e NTpro-BNP. All’ecocardiogramma trans toracico si evidenziava un ventricolo sinistro globalmente ipocinetico con severa riduzione della funzione sistolica globale (FE 30%, GLSa -7,3%, SVi 26 ml/mq) associato a insufficienza mitralica e tricuspidale funzionale di grado moderato, versamento pericardico e vena cava inferiore dilatata e ipocollassante.

È stato inoltre eseguita un’analisi post hoc della funzionalità ventricolare sinistra tramite la tecnica del 2D-speckle tracking echocardiography (2D-STE) che mostrava un ridotto global longitudinal strain (GLS) (Figura 1). Eseguiva inoltre, presso il DEA, TC torace (versamento pleurico in assenza di segni di infiammazione polmonare), TC addome (epatosplenomegalia, linfoadenomegalie in sede lombo-aortica) ed ecografia del collo (multiple linfoadenomegalie confluenti lungo la catena laterocervicale e sopraclaveare sinistra).

Veniva, quindi, trasferito presso la nostra UTIC dove si confermava lo stato emodinamico di shock e dove il paziente veniva sottoposto a monitoraggio invasivo della pressione arteriosa sistemica e della pressione venosa centrale. E’ stato applicato un supporto  farmacologico al circolo tramite inotropi (dobutamina endovena) ed è stata introdotta antibioticoterapia empirica ad ampio spettro. Al momento del trasferimento, il paziente presentava un punteggio SOFA pari a 7.  

Figura 2. Biopsia endomiocardica.

Le emocolture eseguite sono risultate negative. La RT-PCR su tampone naso-faringeo per ricerca del genoma di SARS-CoV2 e dei principali virus respiratori era negativa. Risultavano negativi anche i test sierologici per la ricerca dei seguenti agenti patogeni: parvovirus B19, HBV, HCV, HIV, Toxoplasma, Mycoplasma, Coxsackievirus, Rickettsia, Bartonella, Borrelia, CMV e EBV. I test per dosaggio di ANA, ENA, lupus anticoagulant, anti-dsDNA, anti-cardiolipina, anti-beta2-microglobulina e fattore reumatoide presentavano esito negativo.

Dopo un giorno dal trasferimento presso la nostra UTIC, in assenza di miglioramento delle condizioni cliniche e dello stato emodinamico di shock, il paziente veniva sottoposto a cateterismo cardiaco destro, che confermava lo stato di bassa gittata con elevati valori di pressione di riempimento post-capillare (PAWP: 15 mmHg). Vista la clinica, in considerazione del sospetto di miocardite, è stata contestualmente eseguita una biopsia endomiocardica del ventricolo destro. L’esame istologico evidenziava la presenza di un infiltrato infiammatorio diffuso con prevalenza di linfociti NK, seguiti da T helper (CD4+) e da sporadici linfociti T soppressori (CD8+) (Figura 2). La RT-PCR praticata sui campioni bioptici risultava negativa per SARS-CoV2, Cytomegalovirus, EBV, HHV6, Parvovirus B-19, Adenovirs ed Enterovirus.

Dopo il riscontro istologico indicativo di infiammazione miocardica e del quadro clinico compatibile con miocardite fulminante, veniva introdotta una terapia corticosteroidea ad elevate dosi con 1.000 mg di metilprednisolone endovena al giorno per 3 giorni consecutivi. In seguito all’inizio della terapia corticosteroidea, si è osservato un rapido ed efficace miglioramento delle condizioni cliniche del paziente e degli esami di laboratorio (livelli ematici di GB, troponine, NTproBNP, AST/ALT, PCR e PCT rientrati nei limiti della norma). A stabilizzazione avvenuta del quadro emodinamico, è stata introdotta una terapia farmacologica anti-scompenso.

L’ecocardiogramma pre-dimissione (Figura 3) mostrava una completa ripresa della funzione contrattile globale (FE 60%; GLSa -18%), in assenza di segni di congestione centrale e/o periferica.

La cardio-RMN pre-dimissione confermava una normale geometria e contrattilità bi ventricolare. In particolare, non venivano riscontrate aree di elevata intesnsità di segnale nelle sequenze T2 escludendo edema regionale miocardico, mentre si evidenziava un’area di estensione limitata di “late gadolinium enhancement” a distribuzione supepicardica/intramiocardica a livello della parete postero-laterale del ventricolo sinistro (compatibile con danno miocardico di natura non ischemica).

Discussione

Figura 3. Ecocardiogramma pre-dimissione.

La miocardite fulminante è una delle forme di presentazione clinica dell’infiammazione miocardica, che include uno stato di shock cardiogeno con funzione ventricolare severamente ridotta e possibili aritmie maligne. La miocardite inoltre è una causa importante di morte cardiaca improvvisa, rappresentando un burden del 7% dei bambini-giovani adulti e tra il 5 e il 12% nei giovani atleti6. Le cause principali di miocardite/cardiomiopatia infiammatoria includono l’origine infettiva (tra cui prevalgono le infezioni virali), la miocardite immuno-mediata e quella tossica (data da farmaci, metalli pesanti, agenti fisici, ormoni)7. Lo studio dei fattori causali è fondamentale per un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico nell’ambito di una patologia la cui gestione è fortemente variabile da paziente a paziente. Nel caso proposto, in seguito a consulenza reumatologica, sulla scorta dei dati clinici, laboratoristici e strumentali è stata, posta diagnosi di malattia di Still dell’adulto (adult onset Still disease, AOSD), una rara patologia infiammatoria sistemica a eziologia sconosciuta.

Il quadro clinico descritto, infatti, rispettava i criteri diagnostici di Yamaguchi2. La diagnosi di AOSD, infatti, è stata posta sulla base della presenza di miocardite, febbre, linfoadenomegalia poli-distrettuale, epatosplenomegalia ed ipertransaminasemia in presenza di test sierologici immunologici e di ricerca di agenti patogeni con esito negativo. La patogenesi della malattia è immuno-mediata, e si basa sulla insorgenza di uno “storm” citochinico (IL-1, IL-6, TNF-α) in soggetti con una predisposizione genetica, che determina uno stato infiammatorio sistemico con coinvolgimento multi-organo3. Sebbene il coinvolgimento cardiaco più frequente sia a carico del pericardio4, è descritto anche un esordio acuto del quadro clinico con insorgenza di miocardite, soprattutto in giovani di sesso maschile5.

Il corretto inquadramento diagnostico multidisciplinare, l’esclusione dello stato settico e il precoce inizio di una terapia corticosteroidea ad elevate dosi sono risultati fondamentali ai fini prognostici.

Dopo 6 mesi di follow-up, il paziente risulta asintomatico con quadro laboratoristico, elettrocardiografico ed ecocardiografico nella norma.

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figura

UTILIZZO DI LEVOSIMENDAN NELLO SCOMPENSO CARDIACO DESTRO DURANTE LA PANDEMIA COVID-19: UN’ALTRA FRECCIA NELLA NOSTRA FARETRA?

F. Cribari1, C. Conte1, A. Ruggio2, M. Narducci2, A. D’Aiello2, D. Pedicino2, L. M. Biasucci2, G. Liuzzo2

1 Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, Italia

2 Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Toraciche, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Roma, Italia

ABSTRACT

L’infezione da Sars-CoV 2 è stata associata ad un aumentato rischio di insufficienza acuta del ventricolo destro (VD). In questo setting dal punto di vista terapeutico sembra interessante l’impiego del levosimendan, verosimilmente grazie alle proprietà anti-infiammatorie, anti-apoptotiche e anti-ossidanti che lo caratterizzano. Un uomo di 72 anni con infezione attiva da Sars-CoV 2 a lieve interessamento pneumonico bilaterale arrivava alla nostra attenzione per, ha accusato segni clinici di scompenso cardiaco destro. Il paziente è stato sottoposto ad un ciclo di Levosimendan, poiché mal responsivo alla terapia diuretica massimale, con netto beneficio in termini di sintomi e segni clinici e concomitante riduzione degli indici laboratoristici di infiammazione sistemica (IL-6 e PCR).  In tale setting, pertanto, il Levosimendan, grazie ad i suoi effetti pleiotropici aggiuntivi, potrebbe aiutare ad attenuare l’infiammazione sistemica.

CASO CLINICO

Un uomo di 72 anni accedeva presso il Pronto Soccorso (PS) per astenia, dispnea ingravescente e distensione addominale.

In anamnesi patologica remota erano descritti: storia di BPCO, cardiopatia ischemica cronica sottoposta a numerose rivascolarizzazioni coronariche per via percutanea, pregresso impianto di pacemaker (PMK) monocamerale per fibrillazione atriale a lenta risposta ventricolare media.

Il controllo ecocardiografico precedente mostrava normale funzione contrattile bi-ventricolare in assenza di valvulopatie significative; al controllo strumentale del PMK emergeva una percentuale di stimolazione ventricolare destra del 30%. 

 All’ingresso in PS il paziente è stato sottoposto a tampone nasofaringeo, risultato positivo per la ricerca di Sars-Cov 2; è stata eseguita una TC del torace-addome senza e con mezzo di contrasto , che ha mostrato lieve interessamento pneumonico bilaterale, significativo ingrandimento delle camere cardiache destre senza segni di embolia polmonare in atto, versamento ascitico diffuso, epatomegalia e segni radiografici compatibili con cirrosi cardiogena; altre possibili cause di congestione  e cirrosi epatica venivano escluse.

All’EGA arterioso (eseguito con FiO2 al 21%) si rilevava un rapporto P/F > 200 e Lattati 1.5 mmol/H; l’ECG evidenziava ritmo da fibrillazione atriale, blocco di branca destro, onde Q in sede inferiore.  

Veniva iniziata terapia diuretica infusionale e terapia tromboprofilattica con enoxaparina (PADUA Score 5), quindi il paziente veniva ospedalizzato.

Durante la degenza, il paziente non ha mai necessitato di supporto di ossigeno erogato mediato da HFNC e/o ventilazione non invasiva. Gli esami ematochimici eseguiti durante la degenza sono riportati in Tabella I.

L’ecocardiogramma transtoracico di ingresso mostrava importante dilatazione e disfunzione globale del ventricolo destro con insufficienza tricuspidalica massiva da gap di coaptazione (circa 20 mm) ed alterata geometria settale con D-shape del setto interventricolare, indicativa del sovraccarico volumetrico e pressorio del ventricolo destro (VD), vena cava inferiore pletorica con segni di stasi epato-cavale e significativo reflow sistolico nelle vene sovraepatiche al PW-Doppler; a sinistra lieve riduzione della funzione contrattile globale (FEVS 52%), in assenza di valvulopatie significative.

Non veniva eseguito il cateterismo cardiaco destro alla luce del quadro clinico (labilità dell’equilibrio emodinamico, paziente sintomatico) ed infettivo. 

Inizialmente si è deciso di massimizzare la terapia diuretica infusionale; tuttavia, per persistenza dei sintomi, il paziente è stato sottoposto ad un ciclo di Levosimendan.

L’ecocardiogramma transtoracico di controllo (eseguito tre giorni dopo l’ingresso) confermava la dilatazione del ventricolo destro e l’insufficienza tricuspidalica massiva, tuttavia, la funzione sistolica radiale e longitudinale del ventricolo destro risultavano significativamente migliorate (lieve-media disfunzione vs precedente severa disfunzione) rispetto al precedente esame. Da un punto di vista laboratoristico, si è assistito al calo degli indici di flogosi e contestuale riduzione dei livelli di IL-6 (Figura I).

Progressivamente i segni clinici di congestione periferica ed i sintomi del paziente sono migliorati; è stato possibile scalare il dosaggio della terapia diuretica e la frazione inalata durante ossigenoterapia, sino a sospensione della stessa. Il paziente è stato, quindi, dimesso a domicilio.

DISCUSSIONE

Il caso riportato riguarda un paziente con isolata insufficienza del cuore destro di neo-riscontro durante infezione da Sars-CoV 2 a lieve coinvolgimento polmonare, trattata con beneficio mediante un ciclo di levosimendan in relazione verosimilmente alle pleiotropiche azioni anti-infiammatorie, anti-ossidative ed anti-rimodellamento negativo del farmacostesso1.

Recenti evidenze enfatizzano come lo scompenso cardiaco acuto rientri ormai in una vera e propria sindrome caratterizzata da una risposta infiammatoria sistemica iperattivata: il miocardio che progressivamente diventa disfunzionante rappresenta esso stesso una fonte di citochine pro-infiammatorie (TNF-α, IL-1β, IL-6), le quali perpetuano il danno miocardico ed il rimodellamento negativo ventricolare, sino alla transizione clinica (dalla forma asintomatica alla forma sintomatica) di scompenso2,3.

Durante la pandemia COVID-19 relata, il rialzo anomalo di biomarcatori di danno miocardico è stato un riscontro frequente; in particolare l’infezione da Sars-CoV 2 è stata associata ad un aumentato rischio di insufficienza acuta del VD a causa di fragile equilibrio cardio-polmonare conseguente alla vasocostrizione ipossica durante polmonite e/o tromboembolismo polmonare. Tuttavia, è stata successivamente descritta anche una dilatazione e disfunzione del VD nei pazienti affetti da COVID-19 primitiva, ovvero senza un significativo impegno polmonare 4.

I meccanismi patogenetici sottesi a tale coinvolgimento primitivo includono l’effetto inotropo-negativo e la disfunzione micro- e macro-vascolare mediati dallo storm citochinico e dallo stress ossidativo, a cui si aggiungono il danno cardiaco diretto mediato dall’ enzima angiotensin-converting enzyme 2 (ACE2) e la conseguente perdita delle sue proprietà cardio-protettive 4.

I benefici derivanti dall’utilizzo del levosimendan nella disfunzione sisto-diastolica del VD sono ben noti in letteratura, ma i suoi effetti in altri scenari clinici tra cui lo scompenso cardiaco acuto durante infezione da Sars-CoV 2 rimangono ancora inesplorati 5.  Il levosimendan possiede, infatti, proprietà anti-infiammatorie, anti-apoptotiche e anti-ossidanti, che lo rendono particolarmente interessante in questo setting.

Èstato infatti osservato che esplica un effetto anti-infiammatorio, agendo sia sui cardiomiociti che sulle cellule endoteliali, attenuando l’espressione IL-1β- indotta dell’IL-6 e dell’IL-8 e riducendo l’espressione di proteine di adesione espresse sulle cellule endoteliali6.

Il levosimendan è in grado di attenuare, inoltre, il rimodellamento negativo spegnendo la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) IL-1β indotte, silenziando l’attivazione del nuclear factor-kappa B (NF kB) con conseguente capacità anti-apoptotica e modulando l’espressione proteica di molteplici geni, inclusi quelli coinvolti nel sistema renina-angiotensina-aldosterone7,8.

In aggiunta, sembra che il levosimendan sia in grado di agire anche sul metabolismo della matrice extracellulare attraverso la riduzione dei livelli di IL-6 locali, dell’espressione di proteine chemoattraenti i monociti, dei fattori di crescita del tessuto connettivo e, infine, delle metalloproteinase coinvolte nel catabolismo della stessa7,8.

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TABELLA 1. Valori di laboratorio riscontrati durante l’ospedalizzazione

FIGURA 1. Trend dell’IL-6 durante l’ospedalizzazione

Presentazione atipica di cardiomiopatia aritmogena: dall’onset alla diagnosi definitiva

Vincenzo Battaglia*, MD; Dario Donia*, MD; Alessia Chiara Latini*, MD; Gianluca Mincione*, MD; Cristina Panico, PhD; Elena Corrada, MD; Lorenzo Monti, MD; Antonio Frontera, PhD.

IRCCS Humanitas, Rozzano, Italia

Abstract

La cardiomiopatia aritmogena (ACM) può manifestarsi durante il follow-up con un quadro atipico (definito “hot phase”) caratterizzato da dolore toracico, rilascio di enzimi di miocardiocitonecrosi ed alterazioni elettrocardiografiche, in assenza di anomalie coronariche. Diverse evidenze supportano l’ipotesi che episodi ricorrenti simil-miocarditici possano accompagnare l’evoluzione della malattia in soggetti geneticamente predisposti1.

Il caso presentato è emblematico di come attraverso il processo infiammatorio siano stati indotti dei cambiamenti fenotipici, dirimenti nel porre diagnosi definitiva di ACM, sebbene inizialmente tale ipotesi diagnostica fosse poco sospetta.

Caso clinico

Il paziente è un ragazzo di 17 anni che accedeva in PS per arresto cardiocircolatorio (ACC) testimoniato, durante partita di pallacanestro, in assenza di prodromi. Al monitor veniva registrata fibrillazione ventricolare, interrotta da singola scarica elettrica (1 DC-shock) con successivo ripristino della circolazione spontanea (ROSC).

Figura 1. ECG all’ingresso. Le frecce indicano onde T negative in V1-V2

In anamnesi non compariva familiarità per malattie cardiovascolari o morte cardiaca improvvisa (SCD). Entrambi i genitori non presentavano precedenti cardiologici. L’anamnesi patologica remota era muta.  All’ingresso, i parametri vitali e l’esame obiettivo risultavano nella norma. Si segnalava minimo movimento delle troponine, in progressiva riduzione nei giorni successivi al ricovero (da 26,1 ng/L a 8,2 ng/L), assenza di disionie, non compromissione della funzione renale. All’ECG d’ingresso si registrava ritmo sinusale con lieve ritardo di conduzione intraventricolare destro (terminal activation duration <55 ms, misurato dal nadir dell’onda S alla fine del QRS), con onde T invertite in V1-V2, in assenza di QRS frammentato o onde epsilon (figura 1).

All’ecocardiogramma transtoracico si documentava una lieve dilatazione del ventricolo destro (ATDi=14.7cm2/m2) con conservata funzione di pompa (TAPSE 21 mm), in assenza di chiare aree di bulging/aneurisma/discinesia. La.TC coronarica escludeva origine anomala delle coronarie. Alla RM cuore basale si evidenziava lieve dilatazione biventricolare (VTD VS = 210 ml, VTD VD = 270 ml) con funzione sistolica ai limiti inferiori (FE VS = 55 %, FE VD = 45%), in assenza di alterazioni miocardiche tissutali o della cinesi segmentaria. Tempo T1 (circa 1000±30 ms) e T2 (circa 45±4 ms) miocardico di valore globalmente normale, in assenza di aree di delayed enhancement.

Venivano eseguiti i test provocativi con flecainide (2 mg/kg somministrati in 10 minuti, con valutazione ripetitiva del tracciato con derivazioni standard e derivazioni precordiali ‘alte’) ed isoproterenolo (infusione di 45 µg/min in 3 minuti) che risultavano rispettivamente non conclusivi per pattern di Brugada e/o tachiaritmie ventricolari sostenute indotte. All’ ECG-Holter delle 24 ore, si documentava extrasistolia ventricolare (BEV isolati 1252, di cui almeno 500 a morfologia BBSn ad asse superiore).

Allo studio elettrofisiologico endocavitario, durante la stimolazione adrenergica con isoproterenolo, si osservava l’insorgenza di extrasistolia ventricolare di due diverse morfologie: la prima con morfologia compatibile con origine dal sistema di Purkinje destro (tipo BBSn, positività in D1, aVL. Negatività in DII, DIII, aVF. Piccola onda R in V1. Transizione in V6; la seconda morfologia (meno frequente) compatibile con origine dal tratto efflusso del ventricolo destro (RVOT) (transizione in V4, BBSn, asse inferiore).

Figura 2: (A) Gradient Echo Cine-RM; La freccia indica l’acinesia del tratto di afflusso del ventricolo destro, il cerchio indica gli artefatti residui; (B) Steady State Free Precession (SSFP) Cine-RM, non valutabile per artefatti; (C) Cine-RM ad inizio degenza, spessore di 7 mm della parete apicale (D) Cine-RM dopo “hot phase”; ipocinesia apicale del VSin, condizionante bulging, e aumento degli spessori della parete apicale (11 mm); in C e D aspetto ‘a pila di piatti’ del ventricolo destro.

A seguito di decisione collegiale, in prevenzione secondaria, veniva impiantato defibrillatore sottocutaneo (S-ICD).

Dopo alcuni giorni di degenza, a distanza dalle procedure interventistiche, si riscontrava occasionalmente, in assenza di sintomi, incremento dei valori di troponina ad elevata sensibilità (hsTnI), con picco fino a 30.000 ng/L. All’ECG veniva registrata un’accentuata inversione dell’onda T in V2. Alla coronarografia eseguita successivamente si documentava albero coronarico esente da stenosi, test all’acetilcolina negativo per vasospasmo e ventricolografia destra con aspetto “a pila di piatti”8. Con i limiti procedurali legati all’impianto dell’S-ICD, si ripeteva RM che mostrava, rispetto alla precedente, una riduzione della frazione d’eiezione del ventricolo sinistro (FE VS 52%) con comparsa di ipocinesia della parete inferiore e infero-laterale nei segmenti medio-apicali, contestualmente ad una dilatazione del ventricolo destro con funzione di pompa depressa (FE VD 34%), in presenza di area acinetica in apice e di ipocinesia del tratto di afflusso (figura 2).

Al monitoraggio telemetrico, veniva segnalata la presenza di extrasistoli ventricolari, in un caso organizzate in breve run di tachicardia ventricolare non sostenuta (TVNS), ad asse superiore e morfologia a blocco di branca destra; al successivo ECG di superficie si aveva presenza di onde T negative da V4 a V6, reperti non riscontrati precedentemente.

Dunque, in accordo con i criteri di Padova 2020, si poneva diagnosi clinica definitiva per cardiomiopatia aritmogena (ACM) biventricolare7.

Discussione

La cardiomiopatia aritmogena è una malattia primitiva del miocardio che coinvolge il ventricolo destro, sinistro o entrambi, caratterizzata da sostituzione fibro-adiposa di tessuto miocardico, in grado di condizionare una disfunzione ventricolare globale e/o regionale e predisporre a potenziali aritmie ventricolari fatali, soprattutto nei giovani atleti, indipendentemente dalla severità della disfunzione.  La prevalenza della patologia si stima essere 1:2000-1:5000 nella popolazione generale7. Studi di genetica molecolare hanno dimostrato un‘associazione tra l’ACM e alterazioni dei geni codificanti per le proteine strutturali delle giunzioni intercellulari: quelle più comuni sono a carico delle proteine desmosomiali, come placofillina (PKP2), desmoplachina (DSP), desmogleina (DSG2), e in misura minore delle proteine non desmosomiali, come fosfolambano (PLN), filamina-C (FLNC), laminina A/C (LMNA)1.

Sebbene la malattia nella sua forma “classica” (ARVC) si caratterizzi per un precoce coinvolgimento del ventricolo destro, con un interessamento del ventricolo sinistro nelle fasi avanzate, in letteratura ci sono crescenti evidenze di varianti fenotipiche con precoce coinvolgimento del ventricolo sinistro, che può evolvere parallelamente (variante “biventricolare”), come il caso riportato, o prevalere rispetto a quello del ventricolo destro (variante a “dominanza sinistra”, ALVC).

Figura 3 : TVNS con asse superiore e morfologia a blocco di branca destra, successivo a “hot phase”

Data l’assenza di alterazioni patognomoniche per la malattia, in accordo con i criteri di Padova 2020, la diagnosi di ACM si basa su un approccio multiparametrico che tiene conto di parametri morfo-funzionali e strutturali, elettrocardiografici, di imaging e genetici, nonché della storia clinica e familiare del paziente, raggruppati in 6 categorie1,7.

Nel caso esaminato, il paziente all’ingresso non manifestava un fenotipo conclamato per forma “classica” di cardiomiopatia aritmogena, sia per la modalità atipica d’esordio (ACC secondario a fibrillazione ventricolare, più caratteristico di ALVC)8, sia per il soddisfacimento di un solo criterio minore di ARCV – presenza di onde T negative in V1 e V2 in assenza di blocco di branca destra completo.

Pertanto, l’approccio adottato è stato quello di condurre degli accertamenti diagnostici volti ad escludere le principali cause di aritmie ventricolari maligne nella popolazione giovanile.

L’assenza di ipertrofia settale interventricolare all’ecoscopia permetteva di escludere una cardiomiopatia ipertrofica, prima causa epidemiologica di SCD nel giovane atleta.3

Anche in considerazione del fatto che la risonanza magnetica cardiaca non evidenziasse inizialmente alterazioni della cinesi, presenza di late gadolinium enhancement (LGE) o franche alterazioni morfo-strutturali, il fenotipo non lasciava propendere per una specifica cardiomiopatia. 

All’ECG di superficie l’intervallo QT corretto risultava nei limiti di norma, dunque non suggestivo di sindrome da QT lungo (LQTS) o da QT corto (SQTS), e non evidenziava sopraslivellamento del punto J, nel sospetto di early repolarization syndrome. 9

Il test alla flecainide non ha slatentizzato un pattern di Brugada. 10 Allo stesso modo, al fine di valutare la risposta al trigger adrenergico, potenzialmente responsabile dell’arresto nel sospetto di tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica (CPVT), si decideva di sottoporre il paziente a test provocativo con isoproterenolo: non è stata indotta alcuna aritmia ventricolare sostenuta 11. Veniva unicamente osservata la comparsa di notched T-waves parallelamente ad incremento dell’intervallo QT corretto rispetto al basale (461 ms versus 425 ms): benchè questi ultimi reperti facessero propendere per un fenotipo LQTS2, il trigger psico-fisico – e non sensoriale (uditivo) – dell’evento aritmico poco correlava con tale sindrome.   

Escluse cause cardiache strutturali, ischemiche e primitive, in assenza di un substrato di FV, si prendeva in considerazione la fibrillazione ventricolare idiopatica (IVF) come plausibile eziologia (causa di SCD nei giovani adulti dal 14% al 23% dei casi)12: tale ipotesi era avvalorata dal fatto che alla telemetria e al SEF fossero stati registrati BEV isolati, con verosimile origine dalle fibre destre del Purkinje e da RVOT, tra i siti più frequentemente coinvolti nella genesi di IVF.4

Solamente in seguito al sostanziale rialzo troponinico in assenza di dolore toracico, alla luce delle alterazioni regionali della cinesi e delle dilatazioni di entrambi i ventricoli – riscontrate alla successiva RM – e dei concomitanti eventi aritmici a partenza dai segmenti del ventricolo sinistro morfostrutturalmente alterati, è stato possibile porre diagnosi “definitiva” di ACM nella variante biventricolare.

Analogamente al caso presentato, è stata recentemente descritta in letteratura una forma  simil-miocarditica – piuttosto atipica – di presentazione della malattia (“hot phase”)1,6, frequentemente segnalata nei giovani (27±16 anni).

CONCLUSIONI

Nell’ambito dello spettro fenotipico della ACM, i dati strumentali ed elettrocardiografici inizialmente raccolti apparivano maggiormente suggestivi per un variante destra (ARVC): ciononostante, come descritto in letteratura la modalità d’esordio dell’ACC (FV) poco correlava con una forma classica della patologia7. Il caso riportato enfatizza come solo esclusivamente a seguito di un evento simil-miocarditico, proprio della storia naturale della malattia (“hot phase”), sia stato slatentizzato un fenotipo prima misconosciuto con coinvolgimento del ventricolo sinistro, giustificando la fibrillazione ventricolare come onset clinico.

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Figura-4

Un particolare caso di Sindrome di Wolff-Parkinson-White: non solo un problema elettrico

Sofia Capocci1, Francesca Rubino1, Martina Setti1, Caterina Butturini1, Giacomo Mugnai1,

Flavio Luciano Ribichini1

1 Università di Verona, Sezione di Cardiologia, Dipartimento di Medicina, Italia

Abstract

La sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW) è una patologia congenita con una prevalenza di 1 su 450 nella popolazione generale; la sua manifestazione clinica è caratterizzata dalla presenza di tachicardie reciprocanti da rientro atrioventricolare dovute alla presenza di uno o più fasci accessori. Illustriamo il caso clinico di un giovane paziente affetto da WPW che ha rivelato una cardiomiopatia sottostante di complessa e non univoca interpretazione.

Presentazione iniziale

Un uomo di 35 anni accedeva al Pronto Soccorso (PS) del nostro Ospedale per cardiopalmo. All’elettrocardiogramma (ECG) di ingresso si documentava una tachicardia a QRS largo con morfologia a blocco di branca sinistra e presenza di onda delta. (Fig.1). Si eseguivano manovre vagali senza beneficio, quindi si somministravano due boli di adenosina (6+12 mg) con ripristino del ritmo sinusale, confermando l’ipotesi del rientro atrio-ventricolare alla base dell’aritmia1. Al tracciato elettrocardiografico basale (successivo al ripristino del ritmo sinusale) si documentava la presenza di pre-eccitazione ventricolare (Fig. 2).

Fig. 1 ECG di presentazione in PS

Fig. 2 ECG dopo ripristino di ritmo sinusale

Il paziente era affetto da sindrome di WPW già sottoposta in passato, presso altri centri, a due ablazioni di fascio di Kent occulto superoanteriore/anterolaterale destro con parziale successo (la prima all’età di 8 anni e la seconda all’età 20 anni). Non si segnalavano altre patologie in anamnesi e nessuna familiarità per problematiche cardiache.

Ad eccezione di un singolo episodio di tachicardia avvenuto nell’anno successivo all’ultima ablazione trattato con propafenone endovena, il paziente si era poi mantenuto in benessere soggettivo; aveva proseguito terapia antiaritmica per os con flecainide, eseguendo follow-up regolare. Nello specifico aveva eseguito ecocardiografie risultate sempre nella norma (l’ultima delle quali risalente a 5 anni prima rispetto all’accesso in PS) e test da sforzo al cicloergometro che segnalava scomparsa della pre-eccitazione ventricolare a frequenze cardiache elevate ed assenza di aritmie. Inoltre, agli ECG eseguiti durante le visite cardiologiche di controllo (l’ultimo dei quali risalente sempre a 5 anni prima rispetto all’accesso in PS) si evidenziava, talvolta, una minima pre-eccitazione ventricolare.

Il paziente lamentava però, negli ultimi mesi, sempre più frequenti episodi di cardiopalmo, circa 2-3 a settimana, di breve durata.

Il paziente si ricoverava pertanto nella Unità Operativa di Cardiologia per gli accertamenti del caso.

Iter diagnostico e trattamento

All’ingresso in reparto il paziente si presentava asintomatico; agli ematochimici si riscontrava un minimo incremento della Troponina T ed un rialzo dell’nt-pro-BNP (706 ng/L). Veniva eseguito ecocardiogramma trans-toracico che evidenziava una severa dilatazione e disfunzione del ventricolo sinistro con ipocinesia parietale diffusa (frazione di eiezione 26%), insufficienza mitralica di grado medio ed una iniziale disfunzione diastolica (E/A 1.2, E/e’12, dilatazione atriale sinistra di grado medio); la funzione ventricolare destra risultava nei limiti (Fig. 3).

In considerazione del quadro anamnestico e della presentazione clinica si poneva indicazione a nuovo studio elettrofisiologico con eventuale ablazione trans-catetere previa esecuzione di risonanza magnetica (RMN) cardiaca con gadolinio per il nuovo riscontro di disfunzione ventricolare sinistra. 

La RMN confermava l’ipocinesia parietale diffusa del ventricolo sinistro con dissinergia settale e funzione sistolica globale severamente ridotta. Mostrava, inoltre, presenza di late gadolinium enhancement (LGE) a livello del setto anteriore basale, della parete inferiore medio-basale con distribuzione sub-epicardica e qualche più piccolo focus infero-laterale basale, con pattern fibrotico non ischemico; documentava assenza di aree di iper-intensità di segnale nelle sequenze T2 STIR ascrivibili ad edema intramiocardico ed assenza di aree di infiltrazione adiposa alle sequenze T1 dipendenti (Fig. 4).

Allo studio elettrofisiologico si evidenziava la presenza di due distinti fasci anomali di Kent, uno postero-settale destro (capace di conduzione anterograda e retrograda), e l’altro antero-laterale destro (capace solo di retrocondurre). In dettaglio, si inducevano due tipi di tachicardie atrio-ventricolari reciprocanti: una tachicardia da rientro atrioventricolare antidromica mediata da fascio di Kent postero-settale destro in senso anterogrado e da sistema nodo-hissiano in retrogrado; e l’altra ortodromica sostenuta in senso anterogrado da nodo-His e in senso retrogrado alternativamente da fascio di Kent antero-laterale destro e posterosettale destro. Il mappaggio mediante sistema elettro-anatomico non fluoroscopico (a raggi zero) permetteva di identificare ed eradicare il fascio di Kent postero-settale destro all’imbocco del seno coronarico, mentre il residuo fascio di Kent anterolaterale destro (sede di pregressa ablazione) veniva eradicato a ore 11 dell’anello tricuspidalico mediante mappaggio del segnale atriale retrogrado più precoce durante la tachicardia ortodromica. Eseguita pertanto ablazione efficace di entrambi i fascicoli anomali, residuava all’ECG blanda pre-eccitazione ventricolare che rimaneva invariata durante stimolazione atriale continua incrementale e programmata – con HV invariato – suggestiva di una connessione anomala di tipo atrio-hissiano (Fig 5). Al termine della procedura si documentava l’assenza di retroconduzione atriale durante stimolazione ventricolare. Non risultavano più inducibili tachicardie atrio-ventricolari reciprocanti.

Durante la restante degenza non si evidenziava alcun tipo di tachicardie rilevanti al monitoraggio telemetrico e si impostava terapia medica anti-neurormonale completa di ARNI, anti-aldosteronico, betabloccante e SGLT2 inibitore2.

Il paziente veniva dimesso con Life-Vest per salvaguardarlo da eventuali aritmie maligne, vista la severa disfunzione ventricolare e la giovane età, in attesa di rivalutazione clinica e strumentale dopo tre mesi di adeguata terapia anti-rimodellamento. 

Il paziente verrà rivalutato presso il Day Hospital dello scompenso cardiaco con ecocardiografia di controllo e valutazione genetica (follow up in corso).

Fig. 3 Ecocardiografia (A4CH)                                       

Fig. 4 RMN cuore (LGE

Fig. 5 ECG pre-dimissione

Discussione

La presenza di una cardiomiopatia dilatativa in un paziente giovane affetto da WPW è una sfida diagnostica. Ci sono almeno tre possibili condizioni patologiche da tenere presente, in particolare modo per quel che riguarda il caso da noi illustrato.

L’ipotesi diagnostica più immediata è quella di una cardiomiopatia dilatativa con associata una sindrome di WPW con plurime vie accessorie. Il pattern subepicardico di LGE alla risonanza magnetica rende, però, necessaria la diagnosi differenziale tra una cardiomiopatia post-infiammatoria3 (nonostante l’assenza di episodi infettivi e di recenti episodi di dolore toracico) ed una cardiomiopatia dilatativa geneticamente determinata (seppur l’anamnesi familiare muta). 

A rendere più complesso il quadro è la presenza in letteratura di alcuni, seppur rari, casi di cardiomiopatia dilatativa indotta da pre-eccitazione ventricolare, anche in assenza di aritmie, in bambini e giovani adulti. In particolare, sono riportati casi di vie accessorie soprattutto settali e para-settali destre, completamente asintomatiche per quel che riguarda le aritmie, ma in cui il paziente sviluppa segni e sintomi di scompenso cardiaco con riscontro ecocardiografico di una cardiomiopatia dilatativa; in tali casi dopo ablazione della via anomala e talvolta introduzione di terapia antiscompenso e/o resincronizzazione cardiaca si ha recupero della funzione ventricolare sinistra e ripristino del volume ventricolare4. La patogenesi di tale cardiomiopatia non è del tutto chiara. E’ stato ipotizzato che i pazienti con conduzione anterograda manifesta della via accessoria abbiano un movimento asincrono della parete ventricolare a causa della propagazione anormale dell’impulso; questo avverrebbe soprattutto in caso di localizzazione settale o postero-settale della via anomala, in cui ci sarebbe una precoce attivazione del setto interventricolare ed una ritardata attivazione della parete libera del ventricolo sinistro. Tale meccanismo determinerebbe una dissinergia/ipocinesia settale, simile a quello che avviene nella stimolazione ventricolare destra da pace-maker o nel blocco di branca sinistra. Nel tempo tale dissinergia/discinesia settale indurrebbe un rimodellamento ventricolare e conseguente dilatazione. Nelle vie laterali sinistre, invece, la porzione di miocardio pre-eccitato è molto piccola a causa del lungo tempo di conduzione dello stimolo dal nodo seno-atriale all’inserzione atriale della via accessoria che porta ad una attivazione pressoché normale del ventricolo sinistro attraverso la conduzione del nodo atrioventricolare. In modo analogo, in caso di via laterali destre, l’attivazione del ventricolo sinistro avviene quasi del tutto attraverso la normale via di conduzione con un’area pre-eccitata limitata alla parete libera del ventricolo destro5-9. Rispetto ad una cardiomiopatia dilatativa primaria, quella secondaria a pre-eccitazione ventricolare tende a recuperare in 3-6 mesi dall’inizio della terapia anti-scompenso e dall’ablazione della via accessoria.

Nel caso clinico presentato, vi è una disfunzione ventricolare sinistra che è sicuramente comparsa dopo i 30 anni poiché le ecografie precedenti mostravano sempre una frazione d’eiezione del ventricolo sinistro superiore al 50%; gli ECG risalenti allo stesso periodo, inoltre, mostravano, talvolta, una minima pre-eccitazione ventricolare, analoga a quella che permane all’ECG basale dopo quest’ultima ablazione. Questo fa pensare che la conduzione anterograda tramite la via accessoria postero-settale destra abbia iniziato a manifestarsi successivamente e che abbia potuto determinare un rimodellamento ventricolare in questo lasso di tempo. Alla risonanza magnetica cardiaca è presente dissinergia settale (dovuta alla pre-eccitazione); meno chiara è la presenza di aree di LGE, anche per l’assenza di studi clinici in merito.

Nella diagnosi differenziale non dimentichiamo, inoltre, di considerare la tachicardiomiopatia; infatti, durante il ricovero, nei giorni precedenti all’ablazione, si segnalavano alcuni episodi di tachicardia documentati al monitoraggio telemetrico, solo a volte sintomatici. Inoltre, allo studio elettrofisiologico le tachicardie erano facilmente inducibili. Nelle tachicardiomiopatie, possono essere presenti, anche se non di frequente, aree di LGE alla risonanza magnetica, inversamente correlate ad un buon recupero della frazione d’eiezione ventricolare sinistra.10 Tuttavia, è difficile quantificare il numero di aritmie che il paziente possa aver avuto negli ultimi anni poiché non possediamo documentazione in merito.

L’eventuale reverse remodeling ventricolare sinistro e il risultato dell’analisi genetica aiuteranno a fare chiarezza sulla natura della cardiomiopatia e sul successivo iter diagnostico-terapeutico da intraprendere.

In futuro, un ruolo importante potrebbe essere ricoperto dalla risonanza magnetica cardiaca, un esame strumentale che è entrato nella pratica clinica negli ultimi anni; a tal proposito sarebbero necessari studi per valutare se la dilatazione ventricolare sinistra eventualmente determinata dalla conduzione anterograda attraverso la via anomala possa determinare sviluppo di LGE alla risonanza magnetica cardiaca.

Se tale ipotesi fosse confermata, diverrebbe fondamentale eseguire un’ablazione precoce, anche in assenza di tachicardie da rientro atrio-ventricolare e/o di rischio di aritmie ventricolari maggiori, soprattutto in caso di particolari localizzazioni della via accessoria.

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Figura 1 catania. png

Un caso inconsueto di ipertensione polmonare “post-capillare”

G. Passanitia, M. Mulèb, M. Legnazzia, M. Barbantia, C. Tamburinoa

a Divisione di Cardiologia, AOU Policlinico “G. Rodolico- San Marco”, Università degli Studi di Catania

b UOPI per le Interstiziopatie e le Malattie rare del polmone, Policlinico “G. Rodolico- San Marco”, Catania

Abstract

Lo scompenso cardiaco ad alta gittata costituisce un’entità clinica abbastanza rara, spesso sottovalutata, che può sfociare in ipertensione polmonare, apparentemente post-capillare, in pazienti che non presentano patologie del cuore sinistro. Attualmente, questo tipo di ipertensione polmonare non rientra in nessun gruppo della classificazione WHO, nonostante ci siano cause irreversibili che possano determinarlo. In questo report, presentiamo il caso di una paziente con ipertensione polmonare, controllata per molti anni con diuretici e poi scoperto essere dovuta alla presenza di una fistola artero-venosa iatrogena, il cui trattamento ha portato alla completa risoluzione della patologia.

Caso clinico

Presentiamo il caso di una paziente donna di 57 anni, ipertesa e dislipidemica. In anamnesi, due gravidanze a termine con parto spontaneo ed intervento per ernia discale lombare (L4-L5) nel 2005, con successivo re-intervento per complicanze nel 2007. Nel gennaio 2009 ha iniziato ad accusare tosse stizzosa e dispnea da sforzo e, nel settembre dello stesso anno, sono comparsi edemi declivi ed incremento di gamma-GT sierica. Si è quindi sottoposta a visita cardiologica e, all’ecocardiogramma transtoracico, si è evidenziato “ventricolo sinistro normale per dimensioni cavitarie, spessori parietali e funzione sistolica globale e segmentaria. E/A >1. Atrio sinistro lievemente dilatato. Cavità destre lievemente dilatate. Lieve insufficienza mitralica e tricuspidale. PAPs aumentata. Vena cava inferiore dilatata, ipocollassante”(Figure 1,2). È stata quindi sottoposta ad Angio-TC torace per escludere embolia polmonare e questa ha mostrato “incremento di calibro dei rami arteriosi e venosi polmonari intraparenchimali di ambo i lati, assenti lesioni focali a carico del parenchima. Assenti minus di natura tromboembolica”. Nel Gennaio 2010, la paziente è stata dunque sottoposta ad ecocardiogramma transesofageo, che ha escluso cardiopatie congenite con shunt e, successivamente, a cateterismo destro (RHC) che ha mostrato PAPw 16 mmHg, s/d/mPAP 33/16/21 mmHg. Quindi, è stata posta diagnosi di ipertensione polmonare post-capillare.

Da allora, stabilità clinica ed emodinamica fino al 2016, mantenuta con graduale incremento della dose di furosemide. Nel 2017, repentino peggioramento della sintomatologia, con insorgenza di dispnea per sforzi lievi. Dopo i controlli routinari  è stata sottoposta a nuovo RHC che ha mostrato lieve ipertensione polmonare, normali resistenze vascolari polmonari, elevata portata cardiaca e marcato incremento della SpO2 in vena cava inferiore. Eseguita nuova TC torace, con evidenza di normale calibro dell’arteria polmonare e nessun segno di embolia. Effettuando un approfondito esame obiettivo, è stato evidenziato un soffio sistolico significativo in regione inguinale sinistra: la paziente è stata sottoposta dunque ad angio-TC, con riscontro di fistola artero-venosa tra l’arteria iliaca comune e la vena iliaca comune omolaterale (Figura 2 ). Perciò, è stata fatta diagnosi di scompenso cardiaco ad alta gittata con conseguente ipertensione polmonare. La fistola artero-venosa è stata trattata per via percutanea (Figura 3) con completa risoluzione della sintomatologia della paziente e normalizzazione dei valori pressori polmonari. Al TTE di controllo tre mesi dopo si è evidenziato “atrio destro e ventricolo destro nella norma, gradiente atrio-ventricolo destro nei limiti, Vena cava inferiore di normali dimensioni, normocollassante con gli atti del respiro”.

Discussione:

Lo scompenso cardiaco ad alta gittata è una forma abbastanza rara di scompenso cardiaco. Le cause possono essere ricercate o in una maggiore richiesta di ossigeno per aumentato metabolismo corporeo o nella presenza di uno shunt che consente al sangue di bypassare le arteriole ed il letto capillare, con conseguente maggior afflusso di sangue ossigenato nella circolazione venosa.[1] Entrambi questi processi hanno come risultato un aumento della gittata cardiaca (che può arrivare anche ad 8 L/min) dovuto od a rimodellamento cardiaco o ad incremento della frequenza cardiaca per aumento di volume circolante [2].

  • Nel dettaglio, tra le cause più frequenti di scompenso cardiaco ad alta gittata è possibile riconoscere l’ipertiroidismo (l’aumento degli ormoni tiroidei determina maggior inotropismo, tachicardia ed aumento del metabolismo corporeo), le malattie mieloproliferative (l’elevato turnover cellulare determina un incremento del metabolismo basale), il beri-beri (il deficit di tiamina determina aumento dei livelli di piruvato e lattato e influenza direttamente i cardiomiociti determinando ipertrofia e fibrosi[3]), fistole arterovenose congenite o acquisite, cirrosi epatica, anemia, shock settico, malattia di Paget dell’osso e obesità.

Inoltre, nel caso descritto, la fistola della paziente non era congenita, bensì è stata conseguente agli interventi di chirurgia spinale a cui è stata sottoposta. La fistola artero-venosa, infatti, rappresenta una complicanza rara e potenzialmente fatale di questi interventi, in quanto difficile da riconoscere perché i sintomi sono aspecifici e la presentazione è tardiva.[4] La prognosi dello scompenso cardiaco ad alta gittata è variabile, in quanto dipende dalla causa sottostante. Il trattamento si basa prima sul management acuto dei sintomi dello scompenso e successivamente sulla ricerca della causa e, se possibile, sulla sua risoluzione.

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Adottare il Rasoio di Occam o la Legge di Murphy in una difficile diagnosi differenziale?

Andrea Faggiano 1, Marco Vicenzi 1, Stefano Carugo 1

1 Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, Dipartimento di Medicina Interna, Unità Operativa di Cardiologia, Università di Milano, Italia.

Abstract

Presentiamo il caso clinico di una paziente di 70 anni con anamnesi di Sclerosi Sistemica a coinvolgimento multiorgano giunta alla nostra attenzione per effettuare un test da sforzo cardiopolmonare (CPET) per dispnea ingravescente. Il CPET mostrava una severa riduzione della capacità aerobica secondaria a spiccata limitazione cardiogena. L’ecocardiogramma evidenziava una severa ipertrofia ventricolare sinistra, asimmetrica, a prevalenza settale. Dall’anamnesi emergeva la familiarità per morte improvvisa, sindrome del tunnel carpale bilaterale, rottura non traumatica del capo-lungo del bicipite configurando così la difficile diagnosi differenziale fra tre entità cliniche: cardiopatia sclerodermica a fenotipo ipertrofico, sclerosi sistemica associata ad amiloidosi cardiaca, sclerosi sistemica associata a cardiomiopatia ipertrofica. L’approccio multimodale di imaging sequenziale, combinato all’esecuzione dell’analisi genetica ci permetteva di raggiungere la diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica e di condurre lo screening genetico e fenotipico nei famigliari di primo grado della paziente.

Caso Clinico

La paziente del nostro caso clinico è una donna di 70 anni affetta dal 1988 di Sclerosi Sistemica (SS) con coinvolgimento multiorgano (fenomeno di Raynaud, esofagopatia, coinvolgimento intestinale, artrite, calcinosi, teleangectasie). In anamnesi mai segnalato coinvolgimento sclerodermico cardiaco e/o ipertensione polmonare. Giungeva alla nostra attenzione tramite il centro unico di prenotazione regionale per l’esecuzione di un test ergometrico cardiopolmonare (CPET), richiesto dal centro di riferimento in considerazione della dispnea ingravescente per sforzi lievi (classe NYHA II-III) lamentata dalla paziente negli ultimi mesi.

Figura 1.  Test da sforzo cardiopolmonare eseguito durante la valutazione:
1A) Severa riduzione della capacità di esercizio aerobico certificata dal ridotto consumo di ossigeno al picco, pari a 9.9 ml/kg/min, ossia il 42% del predetto.
2A) Evidenza di severa limitazione cardiogena allo sforzo. Polso dell’ossigeno ridotto con plateau precoce e sostenuto, pari a 4 ml/battito, ossia il 60% del predetto.
3A) Inefficienza ventilatoria durante lo forzo, con slope del rapporto ventilazione -volume di anidride carbonica, VE/VCO2 slope pari a 39.9 ossia il 139% del predetto

Portava in visione l’ultimo ecocardiogramma, eseguito nel 2018, il quale mostrava lieve ipertrofia settale, normali dimensioni biventricolari, normale cinesi segmentaria e funzione sistolica globale, dilatazione atriale sinistra lieve, disfunzione diastolica di I° grado ed un basso rischio ecocardiografico di ipertensione polmonare. Le prove di funzionalità respiratorie recenti (2021) risultavano nella norma. L’elettrocardiogramma (ECG) basale effettuato prima del CPET rilevava segni di ipertrofia ventricolare sinistra con T negative in V3-V4-V5. Essendo la paziente di esile corporatura e tendente alla sarcopenia, il CPET veniva effettuato con una rampa blanda di incremento pari a 5 W/min.

L’esame veniva interrotto precocemente a 27 W per dispnea (BORG scale semplificata = 9) ed esaurimento muscolare (BORG scale semplificata = 8), risultava appena massimale per quoziente respirato (RQ = 1.1) e sottomassimale per frequenza cardiaca (FC = 103 bpm, 70% della massima frequenza cardiaca predetta). Dal CPET emergeva un quadro di severa riduzione della capacità di esercizio aerobico (consumo di ossigeno al picco, VO2 peak pari a 9.9 ml/kg/min, ossia il 42% del predetto. Figura 1 A) secondario a spiccata limitazione cardiogena (polso dell’ossigeno = 4 ml/battito, ossia il60% del predetto, con plateau precoce e sostenuto. Figura 1 B) associata ad inefficienza ventilatoria (slope del rapporto ventilazione – volume di anidride carbonica, VE/VCO2 slope = 39.9, ossia il 139% del predetto. Figura 1 C) in assenza di limitazione respiratoria.

In considerazione del quadro elettrocardiografico basale e del CPET si decideva di eseguire durante la stessa seduta un esame ecocardiografico (Panel 2) che mostrava una marcata ipertrofia asimmetrica del ventricolo sinistro, maggiore a carico del setto interventricolare (18 mm), in assenza di “systolic anterior movement” e di ostruzione dinamica all’efflusso, né in basale, né durante manovra di Valsalva ed in presenza di iniziale incremento del gradiente atrioventricolare destro (Tricuspid regurgitant Jet = 3 m/s).

Dati i reperti di imaging veniva ripercorsa l’anamnesi da cui emergeva la familiarità per morte improvvisa (sorella del padre morta improvvisamente a 58 anni) che poneva il forte sospetto di cardiomiopatia ipertrofica (HCM) sottostante. Inoltre, la paziente presentava in anamnesi l’intervento di tunnel carpale bilaterale e la rottura del capo-lungo del bicipite per traumatismo minore, entrambe red-flags per amiloidosi cardiaca in presenza di ipertrofia ventricolare sinistra (1).

Figura 2.  Ecocardiogramma transtoracico eseguito durante la valutazione che mostrava una severa ipertrofia ventricolare sinistra asimmetrica.

Inoltre, in considerazione della storia di SS con coinvolgimento multiorgano, una terza opzione possibile in grado di spiegare il quadro clinico della paziente si configurava nella cardiopatia sclerodermica a fenotipo ipertrofico.

Per escludere l’opzione clinicamente più urgente, ossia l’amiloidosi cardiaca, venivano effettuate la scintigrafia miocardica con tracciante osseo e l’elettroforesi con immunofissazione sierica ed urinaria. Questi esami risultavano negativi, permettendoci così di escludere l’opzione dell’amiloidosi cardiaca. L’esame diagnostico successivo scelto fu la risonanza magnetica cardiovascolare, la quale, nonostante fosse limitata in termini di qualità dalla claustrofobia della paziente, confermava la marcata ipertrofia del ventricolo sinistro con prevalente coinvolgimento del setto interventricolare e repertava multiple aree di late gadolinium enhancement a distribuzione “patchy”, in assenza di edema (Figura 3).

Tali reperti di imaging, nonostante tipici della HCM (2), sono anche aspetto peculiare del coinvolgimento cardiaco da accumulo fibrotico della SS (3). Pertanto, per facilitare la diagnosi differenziale fra cardiopatia sclerodermica e coesistenza di HCM + SS, dopo aver ricostruito tre generazioni di albero genealogico senza individuare eventi chiave oltre a quello sopra-citato, la paziente veniva sottoposta ad un test genetico con panel customizzato per i geni responsabili delle cardiomiopatie strutturali.

Figura 3. La risonanza magnetica mostra aree “patchy” intramiocardiche di late gadolinium enhancement con risparmio subendocardico, reperti compatibili sia con la cardiomiopatia ipertrofica che con la cardiopatia sclerodermica a fenotipo ipertrofico.

In attesa dell’esito della genetica, veniva effettuata la stratificazione aritmica mediante l’esecuzione di un holter ECG delle 48 risultato negativo per eventi aritmici ventricolari ripetitivi. Sia lo Score multi-parametrico (HCM-SCD risk score) consigliato dalle Linee Guida Europee sull’HCM  (4) che l’approccio “single major risk criteria” suggerito dalla Linee Guida Americane (5) rivelavano la non indicazione all’impianto di defibrillatore impiantabile in prevenzione primaria in caso di HCM. L’esito dell’ analisi genetica mostrava la presenza in eterozigosi della variante c.2167C> G nell’esone 20 del gene myosin heavy chain 7 (MYH7), mutazione responsabile di circa il 15-25% dei casi di HCM (6). Pertanto, l’esecuzione dell’analisi genetica ci ha permesso, non solo di effettuare una diagnosi complessa, ma anche di avviare lo screening fenotipico e genetico a cascata ai familiari di primo grado della paziente, screening tuttora in corso.

Discussione e Conclusioni

Nella pratica clinica ci si trova quotidianamente ad affrontare il dilemma fra singola malattia in grado di spiegare una presentazione clinica complessa e la coesistenza contemporanea di più malattie responsabili. Sono due gli approcci clinico-filosofici contrapposti. Il primo, inconsciamente ispirato al “Rasoio di Guglielmo di Occam” (7), il quale suggerisce che la spiegazione più semplice sia quella da preferire e che pertanto sia più probabile che una sola malattia spieghi in toto la clinica del paziente. Il secondo approccio invece, sulla scia della Legge di Murphy (8) (“se qualcosa può andare storto, lo farà”) suggerisce che una manifestazione clinica complessa sia più probabilmente da imputare alla coesistenza di più malattie sottostanti.  Nel caso clinico della nostra paziente tre erano le diagnosi differenziali principali: cardiopatia sclerodermica a fenotipo ipertrofico, sclerosi sistemica associata ad amiloidosi cardiaca, sclerosi sistemica associata a cardiomiopatia ipertrofica. In tutti e tre i casi si trattava di entità cliniche relativamente rare. In Nord Italia la prevalenza di SS è di 1:400 soggetti, di cui circa il 30% mostrano un coinvolgimento cardiaco ( in primis l’ipertensione arteriosa polmonare), ossia 1: 1250 individui (9). Il fenotipo ipertrofico della cardiopatia sclerodermica è una condizione clinica solo riportata in letteratura, di cui non è nota la prevalenza e la cui peculiarità anatomo-patologica principale è l’accumulo a mosaico del materiale fibrotico nel miocardio (10) (11). Invece, l’associazione probabilistica fra SS e amiloidosi cardiaca è stimabile attorno ad 1:10’000’000 soggetti (1), mentre quella fra SS ed HCM attorno ad 1: 200 000 soggetti (5). Soltanto un approccio di imaging multimodale sequenziale combinato all’esecuzione dell’analisi genetica ci ha permesso di effettuare una diagnosi complessa e di iniziare lo screening genetico e fenotipico dei famigliari di primo grado. Pertanto, nel caso da noi riportato, la Legge di Murphy ha avuto la meglio su Rasoio di Occam.

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Main-FIgure

Un Caso di Sindrome di Heyde

L. Fini1, M. Parollo1, R. de Caterina1

1 U.O. Cardiologia Universitaria, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa

Abstract

Presentiamo il caso clinico di una paziente di 84 anni giunta alla nostra osservazione per STEMI laterale da restenosi di stent medicato su primo ramo marginale e con nota stenosi valvolare aortica severa. In prima e in seconda giornata successiva alla rivascolarizzazione percutanea (PCI), la paziente manifestava enterorragia massiva con conseguente anemizzazione. Il quadro veniva imputato alla presenza di angiodisplasia ileale. L’associazione tra stenosi aortica e sanguinamenti da angiodisplasia intestinale prende il nome di sindrome di Heyde, una condizione patologica per la quale ancora non esistono precise indicazioni per la gestione del quadro complessivo cardiologico e di diatesi emorragica.

Caso Clinico

La paziente del nostro caso clinico è una donna di 84 anni affetta da ipertensione arteriosa, arteriopatia obliterante cronica periferica e insufficienza renale cronica al IV stadio. La paziente soffriva, inoltre, di fibrillazione atriale parossistica in terapia con anticoagulanti orali diretti (Apixaban) ed era stata sottoposta un anno prima a rivascolarizzazione percutanea (PCI) con impianto di stent medicato (DES) sul primo ramo marginale  a seguito di un episodio di sindrome coronarica acuta NSTEMI. In anamnesi  presentava inoltre storia di stenosi valvolare aortica severa di natura fibrocalcifica, per la quale la paziente aveva già iniziato il percorso di valutazione in previsione di sostituzione di valvola aortica transcatetere (TAVI).

A seguito della comparsa di dolore oppressivo precordiale scarsamente responsivo ai nitrati la paziente giungeva presso il nostro Pronto Soccorso. L’ elettrocardiogramma mostrava i segni della sindrome coronarica acuta STEMI laterale per cui veniva eseguita coronarografia in emergenza, con evidenza di malattia di un vaso coronarico da restenosi di DES precedentemente impiantato. L’occlusione veniva quindi trattata con angioplastica con palloncino (POBA) a seguito di carico di aspirina e di clopidogrel come da protocollo.

Figura 1 Ecocardiogramma eseguito all’ingresso: si confermano i valori emodinamici compatibili con stenosi aortica severa ad alto gradiente (Velocità di picco maggiore di 4 m/s, gradiente transvalvolare medio maggiore di 40 mmHg, FE conservata).

L’ecocardiogramma all’ingresso ( Figura 1) confermava la presenza di stenosi valvolare aortica severa di natura fibrocalcifica (Gradiente medio 42 mmHg, velocità di picco 4,15 m/s).

In prima e in seconda giornata successive alla PCI la paziente presentava episodi di enterorragia con conseguente grave anemizzazione, per cui eseguiva trasfusione di 4 sacche di emazie concentrate. Su indicazione del gastroenterologo venivano eseguite esofagogastroduodenoscopia (EGDS) e colonscopia, entrambe risultate negative per lesioni emorragiche, ma con evidenza di angiodisplasia ileale sanguinante.

La concomitante presenza di stenosi valvolare aortica e angiodisplasie ileali è descritta in letteratura come Sindrome di Heyde. Nonostante la complicanza legata all’anemizzazione, a seguito del ripristino dei corretti valori emoglobinici, veniva posta indicazione all’esecuzione di TAVI (Figura 2). L’intervento non è stato gravato da complicanze acute. A seguito della procedura non si sono più verificati episodi di franche emorragie. Tuttavia, la paziente ha presentato un episodio di anemizzazione associata a febbre con la necessità di eseguire due emotrasfusioni, dopo le quali si è mantenuta  su valori stabili di 10 mg/dL di emoglobina fino alla dimissione.

Figura 2: Immagine alla fluoroscopia di protesi valvolare aortica CoreValve.

La degenza della paziente è durata all’incirca un mese. Alla dimissione è stata prescritta  unicamente terapia anticoagulante a base di Apixaban 5 mg/die in ragione dell’alto rischio emorragico.

Discussione

Si definisce sindrome di Heyde quella condizione patologica caratterizzata da associazione tra stenosi valvolare aortica fibrocalcifica e sanguinamenti gastrointestinali ricorrenti, descritta per la prima volta nel 1958.1 L’incidenza è maggiore in pazienti che presentano un’età in genere superiore ai 65 anni. Si stima che circa 1-3% di tutti i pazienti affetti da stenosi aortica moderata o severa manifestino sanguinamenti gastrointestinali clinicamente significativi.2 Uno studio condotto da Vincentelli et al. nel 2003 ha dimostrato che dal 20 al 70% dei pazienti con stenosi aortica presenta un deficit di multimeri ad alto peso molecolare del fattore di von Willebrand (VWF), per cui i dati sulla prevalenza della sindrome di Heyde sono probabilmente sottostimati.4 La patogenesi della sindrome è legata al flusso turbolento che si instaura a livello della valvola stenotica; la turbolenza favorisce infatti la degradazione del VWF tramite l’enzima ADAMTS 13. Il deficit di VWF, primario o secondario (noto, appunto, come malattia di Von Willebrand), è alla base di difetti dell’aggregazione piastrinica e degradazione del fattore VIII della coagulazione.3 È stato visto che i valori di VWF circolanti sono inversamente proporzionali al grado di severità della stenosi aortica. Inoltre, la morbilità e la mortalità dei pazienti con stenosi aortica e concomitante sindrome di Heyde sono  peggiori rispetto a coloro che presentano la stenosi aortica isolata.5

Questi pazienti traggono beneficio dalla sostituzione della valvola difettosa? Dai dati in letteratura sembrerebbe che l’intervento di sostituzione della valvola aortica, eseguito sia attraverso  via chirurgica (SAVR) che  transcatetere (TAVI), riduca la probabilità di recidiva delle emorragie intestinali rispetto all’approccio conservativo6-9  Viene inoltre messa in luce la possibilità di valutare l’effetto della sostituzione valvolare tramite il dosaggio dei livelli di VWF.9

Conclusioni

La sindrome di Heyde è una condizione che colpisce dall’1 al 3% dei pazienti affetti da stenosi aortica moderato-severa e che attualmente non presenta da linee guida indicazioni specifiche per l’iter terapeutico. Gran parte degli studi che sono stati effettuati e i case report disponibili suggeriscono che la risoluzione della stenosi aortica comporta un miglioramento dell’interessamento gastrointestinale. Attualmente non esistono studi clinici randomizzati su larga scala capaci di fornire una chiara indicazione sul trattamento della stenosi valvolare aortica in quei pazienti con emorragie gastrointestinali ricorrenti e pertanto ci si affida all’esperienza e alla valutazione caso per caso. I pazienti affetti da stenosi aortica severa sono inoltre spesso pazienti fragili con comorbidità e maggior rischio di anemizzazione. In questi casi in cui coesiste elevato rischio trombotico a seguito di TAVI e rischio emorragico per le concomitanti angiodisplasie, grande attenzione deve essere posta nei riguardi della terapia antitrombotica/anticoagulante, con approfondita valutazione del rischio-beneficio.

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