Fig1 Principale

Compressione ab estrinseco del tronco comune da rapida dilatazione dell’arteria polmonare in paziente con ipertensione polmonare.

Angelica Cersosimo1, Enrico Vizzardi1, Antonino Milidoni1, Ashraf Ahmed1,2, Giuliana Cimino1, Ludovica Amore1, Riccardo Inciardi1, Gianmarco Arabia1

1 Cardiology Unit, Department of Medical and Surgical Specialties, Radiological Sciences and Public Health, University of Brescia, Brescia, Italy2 Cardiology Department, Faculty of Medicine, Alexandria University, Alexandria, Egypt

Abstract

L’ipertensione polmonare è caratterizzata da un aumento delle pressioni arteriose polmonari con dilatazione dell’arteria polmonare e del ventricolo destro. Riportiamo il caso di una donna di 47 anni affetta da ipertensione polmonare in terapia dal 2018 e ricoverata in cardiologia per peggioramento della dispnea.

La TC torace eseguita durante il ricovero ha mostrato un rapido aumento delle dimensioni dell’arteria polmonare (65 mm nel 2019, 76 mm nel 2021).
Alla coronarografia è stata evidenziata una compressione ab estrinseco del tronco comune, trattata mediante stent.

La procedura è stata ben tollerata e nessun nuovo sintomo clinico è stato riferito a 3 mesi di follow-up.

Case report

L’ipertensione polmonare è una patologia caratterizzata dalla presenza di elevate pressioni arteriose polmonari (PAP), con dilatazione e disfunzione ventricolare destra.

Riportiamo il caso di una donna di 47 anni con diagnosi di ipertensione arteriosa polmonare primaria nota dal 2018, diagnosticata mediante cateterismo cardiaco destro (pressione arteriosa polmonare sistolica, PAPs 107 mmHg; PAP media, PAPm 69 mmHg; PAP diastolica, PAPd 50 mmHg). Nello stesso 2018 durante il test del cammino di 6 minuti (6MWT) la paziente aveva riferito dispnea dopo 4 minuti per una performance di 380 m.

Inizialmente, era stata impostata una terapia con Macitentan e Sildenafil e l’anno successivo (2019), è stato introdotto il Selexipag visto il peggioramento della dispnea e della performance al 6MWT (320 m con dispnea a 3 minuti).

Nel gennaio 2021 si è presentata in PS per peggioramento della dispnea, con successivo ricovero in Cardiologia.

L’elettrocardiogramma ha mostrato ritmo sinusale, senza alterazioni patologiche significative. L’ecocardiogramma transtoracico (TTE) ha, invece, evidenziato una importante dilatazione ed ipocinesia del ventricolo destro (diametro basale 60 mm, TAPSE 16 mm) con PAPs stimata di 90 mmHg, minimo rigurgito tricuspidalico e moderato rigurgito polmonare. La frazione di eiezione ventricolare sinistra è risultata nella norma (60%) con movimento paradosso del setto interventricolare.

La TC eseguita ha escluso la presenza di embolia polmonare ma ha evidenziato una notevole dilatazione dell’arteria polmonare, in netto incremento rispetto al controllo precedente (65 mm nel 2019, 76 mm nel 2021), e dei suoi rami principali (50 mm contro 47 mm nel ramo destro, 42 mm contro 36 mm nel ramo sinistro) (Fig.1).

Fig 1: A sinistra: dimensioni TC dell’arteria polmonare nel 2019 (64,7 mm). A destra, dimensioni TC dell’arteria polmonare nel 2021 (76,2 mm).PA (Pulmonary artery), Ao (Aorta).

Durante il ricovero, è stato eseguito nuovamente il cateterismo cardiaco destro nel sospetto di peggioramento dell’ipertensione polmonare con evidenza di PAPs 120 mmHg e PAWP (pressione capillare polmonare) 100 mmHg.

Nel sospetto di una compressione del tronco comune è stata posta indicazione ad angiografia coronarica, con effettivo riscontro di una compressione ab estrinseco del tronco comune dell’80% in assenza di placche ateromasiche. Il tronco comune è stato quindi valutato mediante ecografia intravascolare (IVUS), che ha confermato la presenza di un significativo restringimento luminale secondario alla compressione esterna. Considerando la significativa compressione esterna del tronco comune in una paziente con dispnea in peggioramento ed in assenza di dolore toracico o sincope, abbiamo deciso di eseguire un intervento coronarico percutaneo (PCI) con uno stent a rilascio di farmaco (DES) non protetto a livello del tronco comune con un buon risultato finale (Fig. 2). Non si sono verificate complicazioni durante e dopo la procedura e la paziente è stata dimessa dopo 48 ore in buone condizioni cliniche. Al follow-up a 3 mesi presso l’ambulatorio di ipertensione polmonare non ha riportato nessun nuovo sintomo.

Fig. 2: A. Coronarografia con evidenza stenosi del tronco comune dovuta a compressione estrinseca. B-C: Percutaneous coronary intervention (PCI) with unprotect drug-eluting stent (DES) su tronco comune

Discussione

La paziente ha presentato un rapido aumento delle dimensioni dell’arteria polmonare con compressione ab estrinseco del tronco comune senza sintomi se non un peggioramento della dispnea. Pertanto, il trattamento con PCI con DES sul tronco comune è stato mirato non solo a prevenire ulteriori sintomi ma anche la morte improvvisa, considerando soprattutto la rapida dilatazione dell’arteria polmonare (11 mm in 16 mesi) in una paziente con terapia già ottimizzata per l’ipertensione polmonare.

Questa è stata la prima volta in cui nel nostro centro è stata trattata una compressione ab estrinseco del tronco comune mediante PCI con DES nonostante l’assenza di angina o perdita di coscienza.

Secondo la letteratura, l’ipertensione arteriosa polmonare (PAH) è responsabile della compressione del tronco comune nel 5-19% dei pazienti, specialmente in quelli con PAH [1-2]. Il meccanismo è dovuto alla dilatazione della arteria polmonare. Tuttavia, la compressione del tronco comune dovuto alla dilazione dell’arteria polmonare è più spesso associata a cardiopatie congenite, in particolare ad un difetto del setto interatriale, del setto ventricolare, al dotto arterioso pervio o alla tetralogia di Fallot. L’ischemia miocardica significativa che consegue la compressione del tronco comune dipende sia dal grado di compressione del vaso stesso che dall’angolo che forma con il seno sinistro di Valsalva (soprattutto se inferiore a 30°). Anche il rapporto tra arteria polmonare e aorta superiore o uguale a 2 è considerato un fattore di rischio addizionale per la compressione del tronco comune [3-5]. Galiè et al [6] hanno dimostrato che un diametro dell’arteria polmonare di almeno 40 mm rappresenta il miglior predittore di stenosi del tronco comune del 50% o superiore.

Ad oggi, vi è una scarsità di protocolli per la gestione della compressione del tronco comune nell’ambito della PAH. Il bypass aortocoronarico e l’impianto di stent non protetto sono le uniche strategie attualmente utilizzate. Data l’elevata mortalità chirurgica nei pazienti con PAH, lo stent è, in genere, preferito come strategia di rivascolarizzazione di scelta e diversi autori hanno riportato risultati positivi in ​​questo tipo di pazienti [7].

Conclusione

Nel caso descritto, dato il rapido aumento di dimensioni dell’arteria polmonare in paziente con nota ipertensione polmonare, la compressione ab estrinseco del tronco comune è stata trattata mediante stent per prevenire gli eventi avversi, in accordo con la letteratura.

Sarà necessario nei prossimi anni implementare un algoritmo di screening per valutare la progressione della dilatazione dell’arteria al fine di offrire un tempestivo trattamento per evitare la compressione del tronco comune, indipendentemente dai sintomi[8].

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FIg-III-fed-II

IMPIANTO PERCUTANEO DI PROTESI BIOLOGICA AORTICA IN POSIZIONE MITRALICA VALVE-IN-VALVE PER DEGENERAZIONE DI BIOPROTESI: LA PROTESI GIUSTA AL MOMENTO GIUSTO

Domenico Simone Castiello1, Domenico Angellotti1, Fiorenzo Simonetti1, Nicola Verde1, Lina Manzi1, Christian Basile1, Alfonsina Chirico1, Carlo Carbone1.

1Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università Federico II di Napoli

Abstract

La degenerazione di bioprotesi valvolare è una delle complicanze più temute in seguito a sostituzione valvolare per via chirurgica o trans-catetere. In questo report presentiamo il caso clinico di una paziente di 80 anni con anamnesi di precedente intervento cardiochirurgico con impianto di bioprotesi aortica e mitralica con associata plastica tricuspidalica (2018) che, dopo circa 3 anni di buone condizioni di salute, presentava dispnea progressiva. La paziente accedeva quindi in PS dove, in seguito ad ecocardiogramma trans-esofageo, veniva posta diagnosi di insufficienza mitralica severa causata da degenerazione della bioprotesi mitralica precedentemente impiantata. Dato l’elevato rischio chirurgico si poneva indicazione ad impianto trans-catetere eterotopico di bioprotesi aortica in posizione mitralica per via trans-settale.

Caso clinico

Presentiamo il caso clinico di una paziente di 80 anni con i seguenti fattori di rischio cardiovascolare: ipertensione arteriosa, dislipidemia, pregressa abitudine tabagica ed affetta da ipotiroidismo e BPCO. In anamnesi la paziente è stata sottoposta precedentemente ad intervento cardiochirurgico (2018) durante il quale venivano eseguite contestualmente impianto di bioprotesi aortica (Saint Jude Medical Epic 21 mm) per evidenza di stenosi aortica severa, impianto di bioprotesi mitralica (Saint Jude Medical Epic 29 mm) per insufficienza mitralica severa ed associata plastica della valvola tricuspide (con tecnica De Vega) per insufficienza tricuspidale severa.

Da quel momento la paziente riferiva uno stato di buona salute fino al dicembre 2021 quando, per insorgenza di dispnea progressiva ed ingravescente, si recava in PS dove veniva sottoposta ad ecocardiogramma transtoracico, dal quale si evidenziava insufficienza mitralica severa. Si procedeva quindi ad ecocardiogramma transesofageo che mostrava degenerazione e fissurazione del lembo postero-laterale della bioprotesi mitralica.

In considerazione dell’elevato rischio chirurgico della paziente, in seguito a discussione del caso clinico in Heart Team, si poneva indicazione ad impianto eterotopico di bioprotesi aortica Edwards-Sapien 3 in posizione mitralica per via trans-settale. La paziente veniva quindi trasferita presso l’UTIC dell’AOU Federico II di Napoli per il prosieguo dell’iter diagnostico-terapeutico.

Al momento del ricovero la paziente si presentava in condizioni emodinamiche stabili, asintomatica per angor e palpitazioni, lievemente dispnoica a riposo. L’esame obiettivo cardiaco evidenziava soffio olosistolico III/VI Levine su tutti i focolai, principalmente sul focolaio mitralico; l’esame obiettivo toracico rivelava MV aspro diffusamente, con crepitii basali bilaterali; l’esame obiettivo generale evidenziava edemi declivi improntabili bilateralmente. L’elettrocardiogramma mostrava ritmo sinusale a FC di 65 bpm, con intervalli PR e QTc nei limiti. Gli esami ematochimici erano nella norma con conservata funzionalità renale.

Al ricovero l’ecocardiogramma transtoracico evidenziava malfunzione della bioprotesi in sede mitralica con lacerazione ed eversione del lembo postero-laterale determinante insufficienza mitralica severa (EROA: 0.6 cm2, volume rigurgitante: 95 mL). Il ventricolo sinistro di normali dimensioni cavitarie con conservata cinesi globale e segmentaria (FE: 58%). Bioprotesi in posizione aortica normo-funzionante. Esiti di plastica della valvola tricuspide con insufficienza residua di grado moderato da cui si stimava severo aumento della pressione arteriosa polmonare sistolica (PAPS: 80 mmHg).

Immagine che contiene testo, cielo notturno

Descrizione generata automaticamentePosta l’indicazione alla procedura la paziente veniva sottoposta in prima istanza ad ecocardiogramma trans-esofageo (Figura 1) che evidenziava bioprotesi valvolare mitralica con evidenza di flail ascrivibile a lacerazione del lembo posteriore con insufficienza di grado severo.

Figura 1 – Insufficienza mitralica severa da degenerazione della bioprotesi mitralica.
A) Ecocardiogramma trans-toracico. B) Ecocardiogramma trans-esofageo.

La paziente veniva quindi condotta in sala di Emodinamica dove veniva sottoposta ad anestesia generale ed intubazione oro-tracheale. Per via venosa femorale destra, si procedeva a puntura trans-settale sotto guida ecocardiografica transesofagea e successiva settoplastica. Veniva quindi eseguito impianto transcatetere di bioprotesi balloon-expandable Edwards-Sapien 3 29 mm in posizione mitralica durante pacing rapido a 160 bpm (Figura 2). La procedura decorreva in assenza di complicanze con buon risultato ecografico e fluoroscopico finale con minimo leak periprotesico.  

Figura 2 – Impianto trans-catetere di protesi Edwards Sapien 3 in posizione mitralica.
A) Rilascio del device balloon-expandable in corso di rapid pacing. B) Protesi in sede, normo-funzionante.

Al controllo ecocardiografico eseguito il giorno dopo la procedura si evidenziava protesi aortica in sede mitralica normofunzionante con lieve leak peri-protesico e normale gradiente trans-valvolare (2 mmHg); si segnalava minimo shunt sinistro-destro interatriale privo di effetto emodinamico.

Dopo una degenza decorsa in assenza di complicanze, la paziente veniva dimessa a distanza di tre giorni dalla procedura in terapia con Warfarin da proseguire per 3 mesi.

Immagine che contiene testo

Descrizione generata automaticamenteAl follow-up a 30 giorni la paziente si presentava in ambulatorio in ottime condizioni cliniche, asintomatica per angor, dispnea e palpitazioni riferendo un significativo miglioramento della qualità di vita. L’ecocardiogramma transtoracico (Figura 3), coadiuvato da valutazione strutturale 3D, evidenziava bioprotesi aortica in sede mitralica normofunzionante con normali gradienti trans-valvolari, invariato lo shunt sinistro-destro residuo. Si decideva quindi di proseguire la terapia in atto e si programmava successivo follow-up a tre mesi dalla procedura.

Figura 3 – Valutazione ecocardiografica trans-toracica della bioprotesi aortica in posizione mitralica a distanza di 30 giorni dall’impianto.
A) Valutazione 2D in proiezione parasternale asse lungo. B) Valutazione 3D

Discussione

Negli ultimi anni c’è stato un significativo incremento dell’impianto delle bioprotesi valvolari rispetto alle valvole meccaniche per i ben noti vantaggi associati alle prime. Tuttavia, il principale limite delle bioprotesi è legato alla durata limitata nel tempo per la tendenza alla degenerazione strutturale. Si stima che la durata media di una bioprotesi in sede mitralica sia di 12 anni con un tasso di degenerazione del 2% a 5 anni dall’impianto con una rapidità di failure maggiore nei pazienti giovani ed affetti da insufficienza renale o epatica [1].

La disfunzione della bioprotesi valvolare viene distinta in quattro entità: degenerazione strutturale valvolare (SVD), degenerazione non strutturale valvolare (NVD), trombosi ed endocardite. La paziente del nostro caso clinico presentava una SVD, definita come variazioni permanenti intrinseche delle componenti tissutali della valvola, tra cui fissurazione e flail dei lembi protesici determinanti disfunzione che risulta nell’insorgenza di stenosi o insufficienza intra-protesica [2].

Secondo le linee guida della Società Europea di Cardiologia del 2021 riguardo il management delle valvulopatie, in caso di disfunzione di bioprotesi il re-intervento è raccomandato in pazienti sintomatici con un significativo incremento del gradiente intra-protesico, dopo aver escluso trombosi protesica, o insufficienza severa (Classe di Raccomandazione I, Livello di Evidenza C). Inoltre, l’impianto trans-catetere di protesi valve-in-valve in posizione mitralica e tricuspidalica può essere considerato in pazienti selezionati ad alto rischio di re-intervento chirurgico (Classe di Raccomandazione IIb, Livello di Evidenza B) [3].

L’impianto trans-catetere di bioprotesi aortica Edwards Sapien 3 in posizione mitralica, eseguito per la prima volta nel 2010 [4], è, ad oggi, l’unica strategia approvata per procedure valve-in-valve dedicate a pazienti con degenerazione di bioprotesi mitralica giudicati inoperabili chirurgicamente.

Il TMVR (Transcatheter Mitral Valve Replacement) registry è, attualmente, il più ampio registro sulla procedura di impianto trans-catetere di bioprotesi in sede mitralica. Tale studio ha incluso 521 pazienti sottoposti a TMVR per bioprotesi degenerata (valve-in-valve), anuloplastica fallita (valve-in-ring) o severa calcificazione dell’anulus mitralico (valve-in-mitral annular calcification) e ha mostrato che la procedura consente di raggiungere outcomes eccellenti per pazienti con bioprotesi degenerate nonostante l’elevato rischio chirurgico con un tasso di mortalità a 30 giorni del 6.2%, significativamente inferiore alla mortalità a 30 giorni riportata dopo re-intervento chirurgico (9.2-12.6%). Il registro ha altresì evidenziato che l’outcome più favorevole dell’intera coorte riguarda proprio i pazienti sottoposti ad impianto valve-in-valve. [5]

Dunque, l’impianto trans-catetere di bioprotesi aortica in sede mitralica rappresenta ad oggi non più soltanto un approccio promettente, ma un’importante strategia terapeutica con ogni probabilità destinata a diventare l’approccio di prima scelta per tali pazienti. Riteniamo fondamentale che in caso di degenerazione di bioprotesi la strategia terapeutica andrebbe personalizzata per ogni singolo paziente e discussa in Heart Team considerando il rischio chirurgico e le possibili difficoltà procedurali. Sottolineiamo quindi l’importanza di adattare l’approccio terapeutico alle sfide che i casi clinici impongono cercando e scegliendo, come nel nostro caso clinico, la protesi giusta al momento giusto.

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La Sindrome MEPPC (Multifocal Ectopic Purkinje-Related Premature Contractions) in portatori di mutazione genica R222Q-SCN5A: Un Case Report Familiare

Basile Paolo, 1 Napoli Gianluigi 1, Tricarico Giuseppe 1, Falco Giorgia 1, Carella Maria Cristina 1, Anaclerio Matteo 1, Forleo Cinzia 1, Guaricci Andrea Igoren1.

1 U.O. Cardiologia Universitaria, Dipartimento di Emergenza e dei Trapianti d’Organo (DETO), Università di Bari “Aldo Moro”, Piazza G. Cesare 11, Bari (BA), 70124, Italy

ABSTRACT

La mutazione R222Q nel gene SCN5A è stata recentemente correlata alla sindrome MEPPC (multifocal ectopic Purkinje-related premature contractions) in cui, tramite un meccanismo di attività triggerata nelle fibre di Purkinje, la mutazione gain-of-function nel canale del sodio voltaggio-dipendente Nav1.5 determina extrasistoli atriali e ventricolari polimorfe e ripetitive con possibile evoluzione in cardiopatia dilatativa e/o morte improvvisa.

Il presente case report descrive un cluster familiare di sindrome MEPPC ad esordio con elevato burden aritmico non responsivo né ai beta-bloccanti né all’ablazione transcatetere dell’extrasistolia ventricolare. Il trattamento con flecainide ha invece determinato l’abolizione completa del fenotipo aritmico.

INTRODUZIONE

La sindrome MEPPC (multifocal ectopic Purkinje-related premature contractions) è stata recentemente associata alla mutazione autosomica dominante R222Q-SCN5A che, mediante un meccanismo di gain-of-function del gene SCN5A, determina una ripolarizzazione incompleta nelle cellule di Purkinje triggerando potenziali d’azione prematuri che si propagano ai ventricoli1, 2 con un elevato tasso di extrasistoli ventricolari polimorfe e tachicardie ventricolari non sostenute (TVNS).

Figura 1. Risonanza magnetica cardiaca con mezzo di contrasto che dimostra l’assenza anomalie strutturali cardiache. A, Asse corto. B, Quattro camere.

Descriviamo un cluster familiare di sindrome MEPPC esordita con un elevato burden aritmico in un paziente di 21 anni.

PRESENTAZIONE DEI CASI

Un paziente maschio di 21 anni è stato indirizzato presso il nostro centro per episodi sincopali non traumatici, a riposo, preceduti da sintomatologia neurovegetativa, con successivo riscontro all’ECG-Holter di periodi di ritmo giunzionale, idioventricolare e di blocco atrio-ventricolare di II° grado tipo 1 associati a TVNS polimorfe per le quali era stato avviato, con risultati trascurabili, trattamento con nadololo e flecainide a dosaggio ridotto (50 mg x2/die). Il paziente ha riferito familiarità per cardiomiopatia dilatativa (CMD) e morte cardiaca improvvisa (MCI), negando abitudine tabagica o uso di droghe. L’esame obiettivo, le indagini di laboratorio e l’ECG di ingresso sono risultati nella norma. Né l’ecocardiogramma né la risonanza magnetica (RMN) cardiaca hanno evidenziato anomalie strutturali (Figura 1).

(J, Complesso giunzionale; N, complesso sinusale; V, complesso ventricolare).
Figura 2. ECG dinamico sec Holter delle 24 ore del padre del paziente. A, Ritmo giunzionale con dissociazione atrioventricolare isoritmica. B, Tachicardia ventricolare polimorfa non sostenuta.

Si è pertanto deciso di incrementare la posologia della flecainide (100 mg x2/die) e di procedere all’impianto di un loop-recorder. Nel follow-up a 6 mesi si è assistito alla completa remissione degli episodi aritmici. L’analisi genetica condotta durante il ricovero ha successivamente rivelato la mutazione R222Q-SCN5A, con successivo avvio dello screening genetico familiare e riscontro positivo nel padre.

L’uomo, di 56 anni, affetto da ipertensione arteriosa e dislipidemia mista, ha negato abitudini voluttuarie, sintomatologia anginosa, dispnea, cardiopalmo e/o sincopi. La valutazione iniziale è risultata anche in questo caso nella norma. L’ECG-Holter ha evidenziato periodi di ritmo giunzionale con dissociazione atrioventricolare isoritmica e un elevato numero di extrasistoli ventricolari polimorfe e TVNS provenienti principalmente dal tratto di efflusso del ventricolo destro (Figura 2), regredite durante sforzo e scarsamente responsive al metoprololo.

Per il riscontro ecocardiografico di lieve dilatazione e disfunzione sistolica del ventricolo sinistro, in assenza di fibrosi miocardica alla RMN cardiaca e di cause ischemiche alla coronarografia, si è optato per l’ablazione transcatetere dell’extrasistolia. Nonostante la regressione della disfunzione sistolica, l’efficacia dell’ablazione sul burden aritmico a 3 mesi è risultata trascurabile. Si è proceduto pertanto a testare la flecainide per via endovenosa (2 mg/Kg) con immediata regressione dell’extrasistolia ventricolare (Figura 3).

A 2 settimane dall’inizio della flecainide (100 mg x2/die), l’ECG-Holter ha confermato l’efficacia del farmaco (Tabella 1). Entrambi i pazienti sono attualmente in follow-up presso il nostro centro.

Tabella 1. ECG dinamico delle 24 ore del padre del paziente. Si può notare il netto decremento delle tachiaritmie sopraventricolari e ventricolari dopo assunzione della flecainide rispetto ai precedenti interventi terapeutici.

 Extrasistoli Atriali (n)Extrasistoli Ventricolari (n)TVNS (n)
Senza terapia131574751
Con beta-bloccante037761
Post-ablazione transcatetere6322496127
Con flecainide3300

TVNS: tachicardia ventricolare non sostenuta.

DISCUSSIONE

Le mutazioni del gene SCN5A possono determinare un ampio spettro di sindromi: Brugada, QT lungo, CMD, e la rara sindrome MEPPC2-9. Quest’ultima è caratterizzata da una gain-of-function nel canale del sodio voltaggio-dipendente Nav1.510 che determina una ripolarizzazione incompleta nelle cellule di Purkinje generando potenziali d’azione prematuri che vengono condotti in via anterograda o retrograda a ventricoli o agli atri8 con un fenotipo clinico caratterizzato da extrasistoli ventricolari polimorfe ripetitive, tachiaritmie atriali, ritmo giunzionale, CMD potenzialmente reversibile e MCI. Non sono stati descritti né prolungamento dell’intervallo QT né sopraslivellamento del tratto ST2, 3, 5.

Il riscontro di tachiaritmie ventricolari necessita sempre una approfondita diagnosi differenziale. L’ECG da sforzo, eseguito nel padre, è un valido strumento diagnostico per escludere la tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica. La coronaro-TC, la scintigrafia miocardica stress-rest o la coronarografia sono invece necessarie per escludere un’eziologia ischemica, specialmente nei pazienti con fattori di rischio cardiovascolare11. L’ablazione transcatetere è attualmente indicata nel sospetto di tachicardiomiopatia12, ma nel nostro caso non ha ottenuto gli effetti desiderati. Anche i beta-bloccanti, farmaci di prima linea nella gestione dell’extrasistolia, hanno sortito un modesto effetto terapeutico11. Dall’analisi della letteratura è emerso che i bloccanti dei canali del sodio come l’idrochinidina (classe IA) o la flecainide (classe IC), previa valutazione in regime ospedaliero della sicurezza e tollerabilità del farmaco, sono efficaci nel ridurre il burden aritmico e nel far regredire la disfunzione sistolica, quando presente2, 3, 5, 9. Il beneficio clinico sembrerebbe confermato anche al follow-up a lungo termine13. Attualmente non ci sono evidenze su un ruolo protettivo del defibrillatore impiantabile in questo contesto e ulteriori studi sono necessari per definire la gestione ottimale di questa rara sindrome.

Figura 3. Elettrocardiogramma del padre che mostra la remissione completa del ritmo giunzionale e dei complessi ventricolari prematuri dopo test farmacologico con flecainide e.v.

CONCLUSIONE

La presenza di numerose extrasistoli ventricolari e TVNS polimorfe, in presenza di familiarità per CMD e MCI, in un cuore strutturalmente normale o con segni di lieve disfunzione sistolica e dilatazione del ventricolo sinistro, in assenza di coronaropatia o fibrosi miocardica, può sollevare il sospetto della sindrome MEPPC. In tal caso il riscontro al test genetico della mutazione gain-of-function R222Q-SCN5A del canale Nav1.5 offre la conferma diagnostica e può indirizzare verso una terapia esclusivamente medica con flecainide. I beta bloccanti sono di dubbia utilità in questo contesto e l’ablazione transcatetere ha scarsi benefici a causa dei molteplici focolai di origine delle extrasistoli.

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Rottura ischemica di muscolo papillare trattata mediante impianto di MitraClip

Andrea Angelozzia, Leonardo Belfiorettia, Marco Marinib, Tommaso Pivab, Francesca Patanib, Antonio Dello Russoa, Gian Piero Pernab, Marco Di Eusanioc

a Clinica di Cardiologia e Aritmologia, Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedali Riuniti di Ancona

b S.O.D. Cardiologia-Emodinamica-UTIC, Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedali Riuniti di Ancona

c S.O.D. Cardiochirurgia, Ospedali Riuniti “Umberto I-Lancisi-Salesi”, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università Politecnica delle Marche, Ancona

Abstract

La rottura ischemica del muscolo papillare con sviluppo di insufficienza mitralica acuta emodinamicamente significativa è una delle complicanze meccaniche più temute degli infarti miocardici STEMI. Nonostante la riduzione dell’incidenza negli ultimi anni, questa condizione è gravata ancora oggi da una mortalità estremamente elevata. In questo report presentiamo il caso di una paziente con rottura ischemica di muscolo papillare determinante insufficienza mitralica severa complicata da edema polmonare acuto trattata mediante impianto di MitraClip, dato il rischio proibitivo dell’intervento cardiochirurgico convenzionale.

Caso clinico

Una donna di 85 anni si presentava presso il nostro Pronto Soccorso per dispnea al minimo sforzo, comparsa da circa un giorno, in assenza di dolore toracico. In anamnesi una nota cardiopatia ischemica cronica sottoposta circa 10 anni prima a procedura di rivascolarizzazione miocardica chirurgica mediante CABG (arteria mammaria interna di sinistra su interventricolare anteriore e vena safena in sequenziale su interventricolare posteriore e ramo marginale ottuso), DM tipo II, ipertensione arteriosa sistemica e dislipidemia.

La paziente all’ingresso presentava stabilità emodinamica con valori di PA pari a 150/80 mmHg e all’ECG veniva documentato sopraslivellamento del tratto ST come da infarto transmurale infero-postero-laterale. L’ecoscopia eseguita in urgenza mostrava una severa riduzione della funzione sistolica ventricolare sinistra (FEVS 30-35%) per acinesia del segmento medio-basale della parete infero-posteriore e dell’apice inferiore, un ventricolo destro di normali dimensioni e normocinetico, una vena cava inferiore dilatata e normocollassante con gli atti respiratori mentre dal punto di vista valvolare evidenziava una insufficienza mitralica di grado moderato-severo. Agli esami ematochimici elevazione dei marker specifici di miocardionecrosi (Troponina I hs 8.031 ng/L) e dei peptidi natriuretici (BNP 2209 ng/L).

Figura 1 – Insufficienza mitralica massiva pre Mitraclip

La paziente veniva trasferita in sala di emodinamica per esecuzione di studio coronarografico urgente.

All’arrivo in sala di emodinamica si verificava peggioramento della dispnea con sviluppo di edema polmonare acuto e ortopnea obbligata. Dopo aver stabilizzato la paziente mediante C-PAP, terapia diuretica endovenosa e nitrato in infusione continua si procedeva a studio coronarografico urgente che mostrava pervietà dell’AMIS per IVA e occlusione del graft venoso dopo l’anastomosi con IVP con evidenza di estesa occupazione trombotica. Veniva quindi eseguito tentativo di ricanalizzazione meccanica e dilatazione transluminale di arteria circonflessa al passaggio fra primo e secondo segmento, risultato tuttavia inefficace e successivamente si procedeva a ricanalizzazione meccanica e dilatazione transluminale del graft venoso per IVP-MO in corrispondenza dell’interponte, a valle dell’anastomosi con IVP, mediante POBA e tromboaspirazione manuale, risultato efficace nel ripristino della pervietà del bypass, pur in presenza di flusso rallentato.

La paziente veniva poi trasferita in UTIC dove giungeva tachipnoica, oligurica e lievemente disorientata. All’EGA si documentava quadro di acidosi metabolica con severa insufficienza respiratoria (pH 7,23, P/F 136, lattati 12 mmol/l) per cui veniva posizionato casco C-PAP.

All’ecocardiogramma eseguito a letto della paziente si evidenziava rottura parziale del muscolo papillare postero-mediale a livello della testa determinante un’insufficienza mitralica di grado severo con jet eccentrico diretto postero-inferiormente e con estensione intercommissurale > 15 mm.

Effettuata la valutazione cardiochirurgica, si controindicava l’intervento per rischio operatorio proibitivo, in quanto già in esiti di precedente sternotomia, età avanzata e quadro acuto con severa disfunzione ventricolare sinistra. Si optava pertanto per tentativo di stabilizzazione del quadro clinico mediante terapia farmacologica e supporto meccanico al circolo mediante impianto di contropulsatore aortico (IABP). Inoltre, data la persistenza di oligo-anuria, si rendeva necessaria avviare terapia sostitutiva renale mediante CVVHD in calcio-citrato.

Le manovre terapeutiche effettuate, unite al supporto ventilatorio non invasivo con C-PAP, hanno consentito una progressiva riduzione dei lattati con normalizzazione del pH, un miglioramento degli scambi gassosi e una netta riduzione dello stato di congestione polmonare. Tuttavia la paziente risultava “IABP dipendente”, con diversi tentativi di weaning falliti. Per tale motivo, alla luce dell’inoperabilità della paziente, veniva sottoposta ad ETE per l’eventuale candidabilità a Mitraclip.

All’ETE si documentava la presenza dei criteri anatomici per procedere con tale procedura per cui si procedeva pertanto a posizionamento di due MitraClip (1 clip NTR + 1 clip XTR) in anestesia generale. Al rientro in UTIC veniva ripetuto un ecocardiogramma TT che mostrava una insufficienza valvolare residua di grado lieve-moderato in presenza di gradiente medio all’afflusso ventricolare sinistro non significativo (pari a 3 mmHg). Nelle ore successive l’impianto i parametri emogasanalitici evidenziavano buoni scambi respiratori (P/F 350) e lattati nei limiti di norma per cui la paziente veniva estubata. Successivamente si rendeva possibile la riduzione del supporto farmacologico e meccanico con lo IABP, il quale veniva rimosso il giorno successivo. Si assisteva inoltre ad un progressivo miglioramento della funzionalità renale e al ripirsitono di valida diuresi spontanea per cui veniva sospesa CVVHD. La paziente veniva infine dimessa 5 giorni dopo la procedura.

Discussione

Figura 2 – Insufficienza mitralica post impianto Mitraclip

Tra le complicanze meccaniche più temute degli infarti transmurali c’è sicuramente la rottura di muscolo papillare che, quando non trattata, ha una mortalità del 50% nelle prime 24h e più dell’80% a una settimana [1] [2]. Tale complicanza si verifica dall’1% al 5% dei pazienti con infarto miocardico acuto ed è causa del 5% circa dei decessi infarto-correlati [3]. Il muscolo papillare postero-mediale è più frequentemente coinvolto poiché, al contrario del muscolo papillare antero-laterale, non ha una doppia irrorazione coronarica. Il trattamento di scelta di questa condizione è, nei casi in cui è possibile, la sostituzione valvolare mitralica o la riparazione valvolare mediante cardiochirurgia. Tuttavia è estremamente frequente che questi pazienti presentino un rischio operatorio estremamente elevato, tale da rendere proibitivo qualunque approccio “invasivo” mediante cardiochirurgia. La riparazione percutanea della valvola mitralica mediante MitraClip può rappresentare una valida possibilità in acuto e il nostro caso clinico suggerisce che questa tecnica minimamente invasiva può essere utile per pazienti ad alto rischio con shock cardiogeno ed edema polmonare dopo IMA complicato da insufficienza mitralica severa.


Bibliografia

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Sarcoidosi cardiaca e test diagnostici discordanti: come effettuare la diagnosi!

R. Menè, C. Torlasco. G. Parati

Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Milano Bicocca

ABSTRACT

Un paziente di 77 anni viene ricoverato per accertamenti in seguito a riscontro di frequenti episodi di tachicardia ventricolare non sostenuta (TVNS). In anamnesi riporta ipertensione arteriosa, diabete mellito e sarcoidosi polmonare in remissione da più di dieci anni. Alla telemetria (TLM) vengono registrate frequenti TVNS a più morfologie. La risonanza magnetica (RM) cardiaca evidenzia presenza di late gadolinium enhancement (LGE) infero-postero-laterale e settale con edema alle sequenze di mapping. Dato l’alto sospetto clinico viene iniziata la terapia per sarcoidosi cardiaca con cortisone ad alte dosi e beta bloccante, ottenendo una drastica riduzione del burden aritmico. La tomografia ad emissione di positroni (PET) cardiaca, tuttavia, risulta essere negativa. Vengono discusse due possibili spiegazioni della discrepanza fra reperti RM e PET in corso di sarcoidosi cardiaca.

CASO CLINICO

Figura 1. Ecocardiogramma con proiezione 5 camere.

Un paziente di 77 anni giungeva in ambulatorio portando in visione il monitoraggio elettrocardiografico di 24 ore secondo Holter, eseguito per episodi pre-sincopali, che evidenziava fasi di blocchi atrio-ventricolari (BAV) di secondo grado tipo Mobitz I, frequentissimi battiti extrasistolici ventricolari (BEV) e numerose salve di TVNS. Il paziente riferiva l’esecuzione di un Holter ECG due anni prima, portato in visione all’equipe medica, che evidenziava rare salve di TVNS, per cui aveva avviato la terapia con amiodarone, in assenza di beneficio clinico. In tale occasione tra gli accertamenti aveva eseguito uno studio coronarografico, risultato negativo. In anamnesi riportava ipertensione arteriosa, in terapia con diuretico e calcio antagonista, e diabete mellito tipo 2 in terapia con ipoglicemizzante orale. All’età di 50 anni aveva ricevuto una diagnosi istologica di sarcoidosi polmonare trattata con terapia steroidea e da allora in remissione.

In considerazione della sintomaticità e della frequenza degli eventi aritmici ventricolari il paziente veniva ricoverato per ulteriori accertamenti.

Obiettivamente all’ingresso il paziente era in buon compenso cardiocircolatorio. L’ECG a 12 derivazioni mostrava un ritmo sinusale normofrequente condotto con BAV I, blocco di branca destra (BBDx) ed emiblocco anteriore sinistro (EAS). Eseguiva quindi ecocardiogramma transtoracico che rilevava un assottigliamento del setto interventricolare (Figura 1) prossimale con movimento asincrono setto-apicale, frazione d’eiezione (FE) del 55%, pressione polmonare arteriosa sistolica (PAPs) 40-50 mmHg e insufficienza mitralica e tricuspidale di grado moderato.

Alla telemetria ECG vengono rilevate frequenti salve di TVNS con morfologia variabile (Figura 2).

Figura 2. Tracciato telemetrico ECG con la registrazione di frequenti tachicardie ventricolari non sostenute monomorfe.

Veniva quindi eseguita, durante il ricovero, la RM cardiaca che rilevava edema della parete infero-postero-laterale medio-distale e del setto in toto, nelle sequenze T1 e T2 mapping, e LGE con pattern intramiocardico (non ischemico) nelle medesime regioni (Figura 3).

In considerazione dell’elevato sospetto clinico di coinvolgimento cardiaco di sarcoidosi sistemica, veniva iniziata terapia con cortisone ad alte dosi (prednisone 37,5 mg) e betabloccante (carvedilolo 6,25 mg x 2). Il paziente veniva inoltre sottoposto a impianto di un defibrillatore impiantabile (ICD) bicamerale.

Per confermare la diagnosi, il paziente veniva inviato ad eseguire una PET con 18F-FDG che, tuttavia, risultava negativa per uptake patologico nel tessuto miocardico.

Nonostante l’esito inaspettatamente negativo della PET, veniva proseguita la terapia farmacologica già impostata. A 48 ore dall’inizio della terapia si assisteva ad una drastica riduzione del burden aritmico alla telemetria, per cui il paziente veniva dimesso al domicilio. Alla visita di follow-up dopo 3 mesi il paziente riferiva un ottimo controllo dei sintomi e nessuna scarica dell’ICD è stata registrata.

DISCUSSIONE

Abbiamo presentato un caso di sarcoidosi cardiaca con una inusuale discrepanza fra reperti RM e PET.

Figura 3. Immagini di RM cardiaca con sequenze T1, T2 e acquisizione di LGE.

La sarcoidosi cardiaca si manifesta nel 5-25% dei pazienti affetti da sarcoidosi con blocchi di conduzione, aritmie ventricolari e scompenso cardiaco. La diagnosi viene posta in seguito a conferma istologico o, più frequentemente, secondo dei criteri diagnostici basati sulla compresenza di: 1) conferma istologica di sarcoidosi extracardiaca; 2) almeno uno fra cardiomiopatia responsiva a terapia steroidea, FE<40% altrimenti inspiegata, presenza di TV altrimenti inspiegate, BAV II Mobitz II o BAV III, uptake patologico alla PET, LGE alla RM cardiaca, uptake patologico di gallio; 3) assenza di altre cause che spieghino le manifestazioni cardiache del paziente (1).

I due esami di imaging più frequentemente utilizzati sono la PET e la RM cardiaca. Ciascuno di questi esami ha una accuratezza riportata del 75-90% e, secondo i criteri diagnostici, possono essere usati alternativamente per confermare la diagnosi di sarcoidosi cardiaca.

Una prima ipotesi avanzata per giustificare la discrepanza fra reperti RM e PET è stata una possibile inadeguata preparazione all’esame di PET cardiaca. E’ infatti noto come il metabolismo miocardico sia glucidico esclusivamente in presenza di insulina e, in assenza di questo ormone sia basato sul metabolismo degli acidi grassi. L’obiettivo della preparazione è quindi di abbattere i livelli di insulina tramite una dieta ricca in acidi grassi e povera in glucosio nelle 48 ore precedenti all’esame (oltre all’astinenza dall’esercizio fisico e dalla somministrazione di insulina). Un’inadeguata osservanza di questa preparazione porta quindi il paziente ad eseguire l’esame con l’intero miocardio, e non solo con l’infiltrato cellulare patologico, dipendente dal metabolismo glucidico e quindi captante 18-FDG. L’assenza di un gradiente di captazione fra miocardio sano ed infiltrato determina quindi una considerevole riduzione della sensibilità dell’esame. Tuttavia, nel nostro caso, tutti i criteri di preparazione sono stati osservati.

Un’ulteriore ipotesi, che è stata avanzata, si basa sulle differenti alterazioni istologiche che i due esami sono in grado di evidenziare: nella RM il gadolinio tende ad accumularsi nella matrice extracellulare, che risulta essere aumentata sia in caso di infiltrato edematoso (fase acuta della malattia) che fibroso (esiti della malattia). La distinzione fra le due fasi viene poi effettuata tramite ulteriori sequenze, quali le T1 e T2 mapping, che sono specifiche nel riconoscere l’edema. D’altro canto, nella PET il 18-FDG viene captato specificamente dall’infiltrato cellulare, tipico della fase acuta della malattia. Si può quindi ipotizzare che il nostro paziente avesse un infiltrato flogistico di fase acuta prevalentemente edematoso, per cui LGE evidenziato dall’indagine RM, e viceversa con scarsa componente cellulare, per cui PET negativo. Questa ipotesi, che ad oggi non trova riscontro in letteratura, potrebbe essere spunto per futuri studi volti a individuare differenze nella sensibilità di RM e PET cardiaca nel riconoscere la fase acuta della sarcoidosi cardiaca.

BIBLIOGRAFIA

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Embolia polmonare a rischio intermedio-alto con evidenza di trombo in transito: agire presto e forte.

Armando Ferrera1, Oreste Lanza1, Allegra Battistoni1, Massimo Volpe1

1 Dipartimento di medicina clinica e molecolare, Sapienza università di Roma

Abstract

Presentiamo il caso di un paziente di 66 anni senza fattori di rischio cardiovascolare noti né precedenti cardiologici di rilievo, portatore di catetere vescicale a permanenza, che accedeva in pronto soccorso con un quadro di embolia polmonare ad intermedio-alto rischio con rilievo di trombi flottanti nelle sezioni destre. Pur essendo il paziente emodinamicamente stabile, in considerazione del basso rischio emorragico e dell’alto carico trombotico, si decideva di discostarsi dalle indicazioni delle linee guida europee e di effettuare precocemente una trombolisi sistemica, con rapido beneficio clinico e strumentale.

Caso clinico

Un maschio di 66 anni, senza fattori di rischio cardiovascolare noti né precedenti cardiologici di rilievo, portatore di catetere vescicale a permanenza, accedeva presso il Pronto Soccorso del nostro ospedale per comparsa di febbre da alcuni giorni associata a dispnea ed un episodio presincopale.

Fig. 1 AngioTC torace. Si può notare la presenza di una tromboembolia polmonare bilaterale con un voluminoso trombo a cavaliere.

All’ingresso il paziente si presentava emodinamicamente stabile, la pressione arteriosa era 110/70 mmHg, la frequenza cardiaca 101 battiti per minuto, la saturazione periferica di ossigeno 91% in aria ambiente e la temperatura corporea 38°C. L’emogasanalisi mostrava un’ipossiemia con alcalosi respiratoria (pH 7.53, pO2 59 mmHg, pCO2 27 mmHg, HCO3- 26 mmol/l, lattati 1.7 mmol/l).  L’elettrocardiogramma mostrava una tachicardia sinusale alla frequenza cardiaca di circa 100 bpm ed un pattern S1Q3T3.

Agli esami ematochimici si segnalava una leucocitosi neutrofila, troponina ad alta sensibilità 842 ng/L (vn < 14 ng/L), BNP 700 pg/ml (vn < 100 pg/mL), PCT 5 ng/dl, PCR 7 mg/dl, D-dimero 3200 ng/ml, creatinina 1.01 mg/dl.

Alla valutazione clinica, la probabilità pre-test di embolia polmonare risultava essere alta (revised Geneva score = 6).  Veniva pertanto eseguita un’angio-TC torace con mezzo di contrasto che documentava un’embolia polmonare bilaterale con un trombo a cavaliere (figura 1). Veniva inoltre eseguito un ecocardiogramma che mostrava una buona funzione ventricolare sinistra con un ventricolo destro disfunzionante e dilatato (TAPSE 14 mm, diametro telediastolico medio 48 mm, RV/LV > 1.1) con un’ipocinesia della parete libera e un’ipercinesia dell’apice (segno di McConnell) e un aumento della pressione arteriosa polmonare sistolica stimata (circa 50 mmHg). Venivano inoltre evidenziate delle formazioni trombotiche flottanti nelle sezioni destre (figura 2).

Secondo le linee guida della Società Europea di Cardiologia si poneva diagnosi di embolia polmonare ad intermedio-alto rischio e il paziente veniva ricoverato presso la nostra UTIC. Per la presenza di trombi in transito si eseguiva una trombolisi sistemica con bolo di eparina non frazionata 5000 U.I e Alteplase 100 mg endovena in circa 2 ore. Si impostava, quindi, una terapia con eparina non frazionata in infusione continua mantenendo un valore di aPTT > 2.5 volte i valori normali. Veniva inoltre somministrata ossigenoterapia ed antibioticoterapia empirica con ciprofloxacina nel sospetto di una pielonefrite. L’ecocardiogramma di controllo eseguito a 6 ore mostrava la scomparsa delle formazioni trombotiche nelle sezioni destre, la riduzione della PAPs e del diametro del ventricolo destro con un recupero della funzione sistolica dello stesso (figura 3).

Figura 2. Ecocardiogramma, proiezione apicale 4 camere e sottocostale. Si può notare la presenza di voluminose formazioni trombotiche nelle sezioni cardiache di destra (freccia rossa).

Si assisteva inoltre ad un miglioramento della sintomatologia clinica del paziente. Il giorno successivo si eseguiva un ecocolordoppler degli arti inferiori risultato negativo per trombosi venosa profonda ed una TC dell’addome con mezzo di contrasto che mostrava una pielonefrite acuta sinistra. Dopo 72 ore di terapia con eparina non frazionata si effettuava uno switch ad Edoxaban 60 mg 1 cp/die. Durante la restante degenza si assisteva ad un progressivo miglioramento del quadro clinico e strumentale con una completa risoluzione del quadro settico. Il paziente veniva quindi dimesso con una terapia anticoagulante orale con Edoxaban 60 mg 1 cp/die per 3 mesi.

Discussione

L’embolia polmonare a rischio intermedio-alto rappresenta una condizione clinica eterogena ed ampia. Le linee guida europee sull’embolia polmonare non raccomandano l’utilizzo di una fibrinolisi sistemica routinaria in questo gruppo di pazienti [1]. Dalla letteratura disponibile, riteniamo tuttavia che in alcuni casi sia opportuno ricorrere alla fibrinolisi sin da subito. I fattori che possono spingere ad effettuare un trattamento fibrinolitico sono un alto carico trombotico e un basso rischio emorragico. La presenza di trombi nelle sezioni destre nei pazienti affetti da embolia polmonare è un fattore in grado di peggiorare la sopravvivenza a 30 giorni; ma il trattamento precoce con terapia fibrinolitica conferisce una sopravvivenza a 30 giorni pari a coloro che non presentano trombi nelle sezioni destre [2].

Il trial PEITHO ha mostrato come i pazienti affetti da embolia polmonare a rischio intermedio-alto trattati con fibrinolisi sistemica avevano, a fronte di un aumentato rischio di sanguinamento (OR 5.55 [2.3–13.39]), una riduzione dell’outcome composito di mortalità e successiva instabilità emodinamica rispetto a coloro che venivano trattati con eparina non frazionata (OR 0.44 [CI 0.23–0.87]) (dato guidato soprattutto dall’instabilità emodinamica più che dalla mortalità). Analizzando i sottogruppi dello studio, i pazienti di età inferiore a 75 anni, soprattutto se maschi, avevano meno sanguinamenti maggiori rispetto a quelli di età superiore a 75 anni, soprattutto se donne [2].

L’embolia polmonare del paziente da noi presentato, nonostante la presenza di voluminose formazioni trombotiche altamente instabili nelle sezioni destre e di un trombo a cavaliere, è definita dalla società europea di cardiologia a rischio intermedio-alto. Le linee guida europee non considerano la presenza di trombi nelle sezioni destre come elemento in grado di modificare il rischio dell’embolia polmonare e pertanto non raccomandano l’utilizzo routinario di una fibrinolisi sistemica in questa tipologia di paziente[1]. Al contrario, le società scientifiche americane stabiliscono che la presenza di trombi nelle cavità cardiache sia un elemento sufficiente per definire un’embolia ad alto rischio e quindi necessitante di trattamento fibrinolitico [4].

Figura 3. Ecocardiogramma. Si può notare la risoluzione del quadro ecocardiografico con l’assenza delle formazioni trombotiche nelle sezioni destre e la riduzione del rapporto RV/LV.

Riteniamo quindi che la scelta della strategia terapeutica da intraprendere nei pazienti con embolia polmonare ad intermedio-alto rischio vada personalizzata alla luce del burden trombotico ed emorragico del singolo paziente, per individuare in maniera migliore quelli che potrebbero beneficiare sin da subito di una terapia fibrinolitica.

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Sindrome di Richter “cardiaca”: un raro caso di evoluzione di Leucemia Linfatica Cronica

Eleonora Guarnieri1, Lorenzo Ridolfi1, Giovanni D. Aquaro2, Raffaele De Caterina1

1 U.O. Cardiologia 1, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

2 U.O.C. Imaging Multimodale Cardiovascolare, CNR-Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa

Abstract

Presentiamo il caso di una paziente di 71 anni con leucemia linfatica cronica (LLC) e dolore toracico recidivante inizialmente diagnosticata come miopericardite e successivamente, a seguito dell’esecuzione di esami di secondo livello quali risonanza magnetica cardiaca e TC total body,  scoperta essere affetta da neoformazioni miocardiche ed una massa mediastinica risultate essere compatibili con trasformazione della LLC in linfoma aggressivo a grandi cellule B. Si tratta di un singolare caso di sindrome di Richter (RS) che complica meno dell’1% annuo di LLC costituendone una temibile evoluzione. Ancor più infrequente è il coinvolgimento cardiaco. Una diagnosi precoce e un inizio tempestivo della terapia impattano positivamente sulla prognosi.

Caso clinico

Una donna di 71 anni accedeva presso il Pronto Soccorso del nostro ospedale per dolore toracico notturno. Circa cinque anni prima alla paziente era stata diagnosticata una Leucemia Linfatica Cronica (LLC), trattata con inibitore di bcl-2 (venetoclax), ibrutinib, rituximab e bendamustina. Al momento dell’accesso la terapia antineoplastica era stata recentemente sospesa per intolleranza gastroenterica.

Dal colloquio anamnestico si evinceva che la paziente accusava episodi di dolore toracico da circa un mese, provando sollievo con l’inclinazione del busto in avanti.

FIGURA 1. Risonanza magnetica cardiaca. (a.) Aree di edema intramiocardico (iperintense) in sequenza T2-STIR-BB. (b.) Veduta 4 camere sequenza SSFP con ispessimento isointenso del miocardio a carico del setto interatriale. (c.) Asse corto SSFP con ipointensità a livello della parete infero-laterale del ventricolo sinistro. (d.e.) Late gadolinium enhancement a carico dei segmenti medio-distali del setto interventricolare e della parete infero-laterale del ventricolo sinistro.

Agli esami ematochimici si segnalava una formula leucocitaria nei limiti della norma come da buon controllo della malattia linfo-proliferativa, un valore di troponina ad alta sensibilità di 373 ng/L (valori normali inferiori a 14 ng/L), poi di 323 ng/L, PCT negativa, PCR 7 mg/dl.  I valori degli indici di flogosi e di miocardiocitonecrosi si sono, poi, mantenuti stabili durante la degenza.

L’ecocardioscopia mostrava ipocinesia infero-laterale e minimo scollamento pericardico circonferenziale con massima separazione dei foglietti pericardici a sede inferiore (7 mm). Allo scopo di escludere una sindrome coronarica acuta, la paziente veniva sottoposta a coronarografia diagnostica, risultata negativa per malattia coronarica ostruttiva. Veniva formulata la diagnosi di mio-pericardite, e si impostava terapia antinfiammatoria con ibuprofene e colchicina. Nel corso della degenza, la paziente accusava severa disfonia, indagata mediante fibrolaringoscopia. Durante l’iter diagnostico, la radiografia del torace evidenziava uno slargamento mediastinico. Allo scopo di chiarire la natura eziologica della mio-pericardite, la paziente veniva sottoposta a risonanza magnetica cardiaca (cRMN), con riscontro di neoformazioni multiple a carico del ventricolo sinistro, della parete libera del ventricolo destro e del setto interatriale. La maggior parte delle neoformazioni si presentava iperintensa nelle sequenze T2-STIR e positive al “late gadolinium enhancement” con valori globalmente aumentati al T1 e T2 mapping. Si apprezzava, inoltre, diffusa iperintensità a carico dei foglietti pericardici associata ancora una volta ad enhancement post-contrastografico tardivo, come da segni di flogosi subacuta (Figura 1). Nel sospetto di evoluzione della LLC la paziente veniva sottoposta a tomografia computerizzata (TC) total body, con riscontro di lesioni multiple in sede cervicale, mediastinica e polmonare bilaterale, e a una successiva biopsia toracoscopica sulla massa più rappresentata, quella in sede mediastinica (Figura 2). L’esame istologico del prelievo concludeva per una localizzazione di linfoma diffuso a grandi cellule di derivazione dai linfociti B periferici (diffuse large B-cell lymphoma, DLBCL),  negativi per CD10 e bcl-6 e con espressione immunoistochimica di c-myc e bcl-2. L’attività proliferativa della neoplasia, valutata mediante il marcatore MIB1, risultava elevata (80%). Veniva quindi formulata la diagnosi non comune di evoluzione di LLC in DLBCL, meglio conosciuta come sindrome di Richter (Richter’s syndrome, RS).

Nonostante l’indicazione ematologica a intraprendere una nuova linea di terapia specialistica, la paziente andava incontro a rapido peggioramento delle condizioni generali e a decesso, in accordo con la prognosi altamente infausta tipica della RS.

Discussione

FIGURA 2. Massa cervico-mediastinica (*) alla cTC con mezzo di contrasto

La sindrome di Richter è una rara complicanza della LLC che consiste nella trasformazione della leucemia in un DLBCL aggressivo[1]. Sebbene la LLC sia la più comune tra le leucemie in Europa e negli USA, l’incidenza della RS nei pazienti con LLC è solo dello 0.5-1%/anno[2]. L’intervallo mediano tra la diagnosi di LLC e quella di RS è di 2 anni circa[3].

Una localizzazione cardiaca dei linfomi può essere di tipo primario o secondario; il linfoma cardiaco primario è estremamente raro e rappresenta circa l’1.3-2% di tutte le neoplasie cardiache primitive[4]. Al contrario, il coinvolgimento secondario del cuore in corso di linfoma non-Hodgkin è stato descritto in una maggior percentuale di pazienti, fino al 20% secondo alcuni studi autoptici[5].

La presentazione clinica della RS è spesso eterogenea e aspecifica, e può includere sintomi di scompenso cardiaco (34%), dolore toracico (12%) e/o aritmie (9%)4.

L’ecocardiografia transtoracica (TTE) ha una sensibilità del 60% nell’identificare il coinvolgimento miocardico da parte del linfoma[6]; infatti le immagini acquisite all’ingresso della nostra paziente non hanno da sole destato un forte sospetto di infiltrazione cardiaca (Figura 3). Un esame di secondo livello come TC e/o cRMN si è rivelato in questo senso necessario ai fini di un’accurata definizione anatomica della malattia. La conferma diagnostica della RS deriva, infine, dalla biopsia seguita da esame istologico con caratterizzazione immunoistochimica e di genetica molecolare. Diverso invece è il ruolo dell’ecocardiografia transtoracica nel follow-up terapeutico, in cui la metodica è utile per monitorare l’evoluzione della malattia[7].

FIGURA 3. Ecocardiografia transtoracica (proiezione 4 camere apicale). Iperecogenicità del setto interatriale, del setto interventricolare inferiore e della parete libera del ventricolo destro.

Per quanto attiene alla prognosi, i pazienti affetti da linfoma cardiaco aggressivo mostrano un esito sfavorevole con una sopravvivenza media di soli tre mesi; tuttavia, coloro che riescono ad intraprendere precocemente una chemioterapia adeguata e a proseguirla per almeno un mese raggiungono spesso un controllo a lungo termine della malattia, al contrario di chi non beneficia di questa opportunità[hazard ratio (HR) 0.48; intervalli di confidenza al 95% (95% CI) 0.24-0.94; p=0.0264].

Da un’accurata revisione della letteratura ad oggi disponibile sull’argomento risultano soltanto altri due casi descritti di RS con coinvolgimento cardiaco[8],[9]. Per la singolarità della malattia è sembrato utile riportare la nostra esperienza al riguardo. Sebbene di raro riscontro e difficile riconoscimento, la RS “cardiaca” dovrebbe essere considerata nella diagnosi differenziale in pazienti con LLC nota e comparsa improvvisa di sintomi cardiologici. Un approccio di questo genere si rivela indispensabile per un inizio tempestivo della terapia specifica con impatto determinante sulla prognosi.   

Bibliografia


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Malattia di Still dell’adulto: una rara causa di miocardite

Francesco Bruno1 MD, Andrea Saglietto1 MD, Simone Frea1 MD, Marco Gatti2 MD, Antonella Barreca3 MD, Matteo Bellettini1 MD, Francesco Piroli1 MD, Claudia Raineri1 MD, Stefano Pidello1 MD, Gaetano Maria De Ferrari1 MD

1: Division of Cardiology, Cardiovascular and Thoracic Department, Città della Salute e della Scienza Hospital and University of Turin, Italy

2: Division of Radiology, Città della Salute e della Scienza Hospital and University of Turin, Italy

3: Division of Pathology, Città della Salute e della Scienza Hospital, Turin, Italy

Abstract

Un uomo di 35 anni si presentava al pronto soccorso per febbre, rash cutaneo diffuso non pruriginoso color salmone e sintomi di scompenso cardiaco. L’ecocardiogramma all’ingresso mostrava severa disfunzione biventricolare (FE VSn 20%), associata ad un aumento dei valori di troponina, epatosplenomegalia e a marcata iperferritinemia. La RM cardiaca e la biopsia miocardica evidenziavano un quadro di infiammazione miocardica acuta caratterizzato da un infiltrato monocito-macrofagico, ponendo diagnosi di miocardite acuta nel contesto di morbo di Still dell’adulto con sindrome da attivazione macrofagica. E’ stata impostata una terapia con cortisone ad alte dosi e una concomitante terapia cardioattiva (ACE-i e betabloccante), con ottima risposta clinico-laboratoristica e ecocardiografica (FE VSn alla dimissione 50%).  Alla visita di controllo ad un mese, il paziente si presentava asintomatico, in classe NHYA I, con normale funzione sistolica biventricolare.

Caso clinico

Un giovane paziente di 35 anni con anamnesi muta si presentava al pronto soccorso per febbre con picchi di 39°C, malessere generale, dispnea e rash cutaneo diffuso non pruriginoso da cinque giorni circa (Figura 1). All’esame clinico e strumentale si evidenziava un quadro di shock cardiogeno con tachicardia sinusale all’ECG e congestione ilare all’RX torace (Figura 1), una severa riduzione della funzione contrattile biventricolare all’ecocardiogramma (FE 20%) con aumento della troponina (TnT 194 ng/L) e aumento degli indici di flogosi (leucocitosi neutrofila con PCR 236 mg/L e procalcitonina 24 ng/mL). Veniva iniziato supporto inotropo con dobutamina 7 gamma/kg/min e veniva somministrata una fiala di metilprednisolone 125 mg. Il paziente veniva trasferito presso la nostra UTIC con successiva valutazione in Heart-team per un posizionamento ECMO bridge-to recovery/transplantation.

Figura 1

Tuttavia, in considerazione dell’assenza di danno d’organo (lattati 1 mmol/l all’ingresso, SVcO2 60%, PA 95/60 mmHg con dobutamina 7 gamma/kg/min), di una valida diuresi, dell’assenza di aritmie maligne e dato il concomitante sospetto di quadro settico si propendeva per una strategia di wait and see. La giornata successiva, dato un progressivo miglioramento clinico e strumentale, è stata ridotta la dobutamina fino a 3 gamma/kg/min e iniziato nitroprussiato sodico titolato fino a 0.6 gamma/kg/min. L’ecocardiogramma con analisi GLS, eseguita a 48 h ore dall’ingresso mostrava un recupero dell’FE (40%) con ipocinesia prevalentemente in sede inferiore, un GLS avg -15%, GCS avg -14%, una disfunzione diastolica di I grado, un ventricolo destro lievemente dilatato, con funzione contrattile longitudinale e radiale conservata e un lieve versamento pericardico circonferenziale.

La sera stessa però il paziente ha nuovamente presentato un picco febbrile (>39° C) e nuove alterazioni ECG ed ecocardiografiche, pertanto, veniva deciso di effettuare una biopsia cardiaca il giorno successivo1. Veniva inoltre eseguita una RMN cuore con mezzo di contrasto, che evidenziavauna FE del VSx del 36% ed un FE del VDx del 38%. Nelle sequenze T2 si evidenziava un edema miocardico diffuso (Figura 2 A, B), senza evidenza di LGE (Figura 2 C). All’analisi del mapping, si notava un T1 nativo ed un ECV aumentato (1220 e 38%, vn 950-1050 ms e 23-28%, Figura 2 D) ed un T2 medio e un T2 ratio aumentati (T2 medio 72 ms e T2 ratio 2.2, vn<55 ms e 1.9), alterazioni compatibili con un quadro di miocardite acuta. Gli esami strumentali eseguiti hanno evidenziato inoltre una splenomegalia (diametro milza 14 cm) ed un ingrandimento dei linfonodi mediastinici.

Figura 2

Gli esami ematici mostravano un’anemia normocromica normocitica con un valore di ferritina sierica di 3791 ng/ml (vn <400). Gli screening ematologici, infettivologici, nefrologici e reumatologici sono risultati tutti negativi. La biopsia eseguita ha mostrato edema diffuso miocardico (Figura 3 A e B) con un infiltrato infiammatorio prevalentemente monocito-macrofagico (Figura 3 C e D, frecce blu). Il quadro clinico caratterizzato da picchi febbili >39 C con adenosplenomegalia, rash maculare non pruritico color salmone e il quadro laboratoristico di iperferritinemia con anemia normocromica normocitica ha permesso di porre diagnosi di miocardite acuta nel contesto di morbo di Still dell’adulto con sindrome da attivazione macrofagica.

E’ stata intrapresa una terapia con cortisone ad alte dosi (150 mg dose di carico, poi scalato a 1 mg/kg/die) e una concomitante terapia cardioattiva con enalapril 5 mg e bisoprololo 2,5 mg, con ottima risposta clinico-laboratoristica e ecocardiografica. Alla dimissione il paziente presentava una FE 50%, TnT 25 ng/mL, NT-ProBNP 1019 pg/mL, creatinina 0,89 mg/dl, PCR mg/l 10.4, PCT 0.53 mg/l.

Alla visita di follow-up ad un mese e mezzo dalla dimissione, il paziente si presentava asintomatico, in classe NYHA I, ematici di norma, normale funzione biventricolare anche valutata con strain (GLS avg -19%). Dopo discussione collegiale con i reumatologi è stata iniziata una terapia con anticorpi monoclonali anti IL1 (canakinumab) e ridotto lo steroide.

Discussione

La malattia di Still dell’adulto è una rara malattia autoinfiammatoria sistemica multiorgano2. Colpisce entrambi i generi con un picco di incidenza bimodale tra 15 e 25 anni e tra 36 e 46 anni. La patogenesi ad oggi è sconosciuta, ma si ipotizza che sia causata da un’iperattivazione dell’immunità innata che causa una produzione massiva di citochine che vengono rilasciate nel torrente circolatorio2. La diagnosi è di esclusione e viene fatta grazie ai criteri di Yamaguchi, se almeno 5 criteri di cui due maggiori vengono confermati3,4. Tra i criteri maggiori si annoverano febbre ≥39° C, artralgie, rash non pruritico color salmone e leucocitosi neutrofila, mentre i criteri minori sono rappresentati da mal di gola, linfoadenomegalia, alterazioni degli enzimi epatici, test per ANA e fattore reumatoidi negativi. Il coinvolgimento cardiaco nel morbo di Still dell’adulto è molto raro2. La manifestazione cardiaca più comune è la pericardite, ma in rari casi può causare anche miocardite (circa 50 casi descritti in letteratura), endocardite tipo Libman Sacks o ipertensione arteriosa polmonare2,5,6.

Figura 3

La miocardite nella maggior parte si ha come prima manifestazione di malattia, come nel nostro caso, ed è più comune negli uomini che nelle donne5,6. All’ECG si possono osservare delle alterazioni non specifiche nel tratto ST e dell’onda T, blocchi atrioventricolari o onde Q nelle derivazioni inferiori5,6. Alla RMN cardiaca non vi è un pattern specifico, ma si presenta come una miocardite, come nel nostro caso nel quale i criteri di Lake Louise modificati hanno permesso di fare una diagnosi radiologica oltre che clinica di miocardite acuta7. Alla biopsia miocardica si reperta edema, infiltrato infiammatorio eterogeneo soprattutto composto da monociti e macrofagi5,6. La terapia è essenzialmente di supporto emodinamico cardiaco e a base di steroidi ad alte dosi che devono essere iniziati tempestivamente2,5,6. In caso di recidiva, oppure anche in prima linea come steroid-sparing, si possono usare farmaci anti IL-1 (Anakinra, Canakinumab), anti TNF alfa (Infliximab, etanercept, adalimumab) o anti IL-6 (tocilizumab). I FANS non sono efficaci, pertanto non sono raccomandati.

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Occlusione acuta del tronco comune: ‘bystander’ problematico di un problema valvolare

D.Gentile1, G.Provenzale1, M.Belmonte1, A.D’Errico1, S.Scansani2, A.Faggiano1, L.Barbieri1, S. Carugo1

1-UOC Cardiologia, Dipartimento di Medicina Interna, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano

2-Dipartimento di Anestesia e Terapia Intensiva, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano

Abstract

Presentiamo il caso di una donna di 46 anni giunta alla nostra attenzione per infarto miocardico con sopraelevazione del tratto ST (STEMI) e secondario shock cardiogeno in occlusione totale del tronco comune di verosimile natura emboligena. Riscontro ecografico di stenosi mitralica clinicamente significativa e severa disfunzione ventricolare sinistra, necessitante di supporto emodinamico sia meccanico che farmacologico.

Caso Clinico

Paziente di 46 anni, di provenienza sudamericana, sintomatica da circa 70 minuti per dolore retrosternale irradiato all’arto superiore sinistro e malessere generale per cui allertava i soccorsi. All’arrivo presso il nostro Pronto Soccorso riscontro ad elettrocardiogramma (ECG) di flutter atriale a media risposta ventricolare (circa 85bpm) e sopraslivellamento del tratto ST nelle derivazioni avL-V1-V2 con sottoslivellamento diffuso nelle altre derivazioni. La paziente si presentava inoltre ipotesa e con riscontro ecocardiografico di ipocinesia ventricolare sinistra diffusa, acinesia del setto interventricolare e della parete antero-laterale. Si somministravano dose di carico di aspirina e morfina endovena e si trasferiva la paziente in sala di Emodinamica. La coronarografia evidenziava occlusione verosimilmente tromboembolica nel corpo del tronco comune, con coronaria destra dominante indenne da lesioni (Fig.1). Si procedeva a plurime tromboaspirazioni efficaci con ripristino di flusso a valle in assenza di alterazioni coronariche di parete suggestive per placche instabili. Residuava embolizzazione distale di ramo postero-laterale di arteria circonflessa ed arteria discendente anteriore apicale (Fig 2).

Figura 1. Riscontro coronarografico di occlusione totale del corpo del tronco comune.

Durante la procedura, dato il progressivo sviluppo di shock cardiogeno, si impostava supporto meccanico mediante posizionamento di contropulsatore aortico (IABP). Intrapreso anche supporto aminico con noradrenalina e dopamina. Per successiva comparsa di fibrillazione atriale ad elevata risposta ventricolare media e tachicardie ventricolari sostenute, si sostituiva dopamina con dobutamina, somministrando inoltre amiodarone endovena. Al termine della procedura si assisteva alla persistenza del quadro di shock nonostante il supporto con rapporto di assistenza IABP 1:1 ed il supporto inotropo. All’ecocardiografia evidenza di severa disfunzione ventricolare sinistra con frazione d’eiezione (FE) 15-20% e stenosi mitralica clinicamente significativa associata a dilatazione biatriale (maggiore a sinistra). Si procedeva ad intubazione e si pre-allertava ECMO (ossigenazione extracorporea a membrana)-team. A distanza di circa un’ora dal termine della procedura, in corso di supporto con IABP in rapporto 1:1 e supporto aminico con Noradrenalina 0.12 mcg/kg/min e Dobutamina 3 mcg/kg/min, evidenza di progressivo miglioramento del quadro emodinamico: PA 105/60 mmHg ed all’ECG tachicardia sopraventricolare con frequenza cardiaca media 110 bpm. All’ultima emogasanalisi arteriosa riscontro di pH 7.34 e lattati 1.6 in riduzione, per cui si concordava per prosecuzione delle cure in terapia intensiva e di non procedere a supporto extracorporeo. Dal punto di vista cardiologico si impostava terapia con aspirina, ticagrelor ed eparina sodica.

Eseguito nuovo ecocardiogramma con riscontro di acinesia del setto interventricolare, dell’apice e della parete antero-laterale del ventricolo sinistro con FE 25-28%, ‘doming’ del lembo anteriore mitralico con stenosi mitralica significativa ed insufficienza valvolare associata di grado moderato, severa dilatazione atriale sinistra, ventricolo destro normocinetico, rigurgito tricuspidale di grado moderato con aumento della pressione polmonare sistolica (Fig. 3).

Figura 2. Risultato angiografico finale

Durante la notte episodio di instabilizzazione emodinamica in corso di tachiaritmia sopraventricolare trattata con beneficio tramite amiodarone endovena, cauto riadeguamento volemico con cristalloidi ed incremento del supporto inotropo. Al mattino successivo nuovo episodio ipotensivo con tachicardia ventricolare e nuove alterazioni dell’ECG (sopraslivellamento del tratto ST nelle derivazioni D1-avL e sottoslivellamento del tratto ST in sede inferiore), successivo arresto cardiocircolatorio (ACC) con dapprima attività elettrica senza polso e successivamente fibrillazione ventricolare, trattato con adrenalina ed erogazione di shock mediante defibrillatore esterno (ritorno della circolazione spontanea, ROSC, dopo 6 minuti). Vista la persistenza dell’instabilità emodinamica con ipotensione refrattaria, si procedeva a posizionamento di supporto con ECMO veno-arteriosa. Durante la procedura nuovo ACC con ROSC di 4 minuti. Ad ecocardiografia di controllo si repertava peggioramento della funzione sistolica ventricolare sinistra (FE 10-15%) ed estensione delle acinesie di contrazione ventricolare sinistra. La paziente veniva pertanto trasferita presso altro Centro, nel quale dopo alcuni giorni veniva modificato il supporto emodinamico in favore del supporto ventricolare con Impella. Successivamente la paziente è stata estubata, non ha presentato alterazioni di tipo neurologico ed ha proseguito il suo iter terapeutico.

Discussione

L’embolizzazione coronarica (EC) è una causa importante non aterosclerotica di STEMI con prevalenza variabile in letteratura, dal 3% fino al 13% dei casi, il cui principale fattore eziologico risiede nella fibrillazione atriale 1. Tuttavia, uno dei più dettagliati studi autoptici di infarti ad origine embolica ha mostrato che le condizioni valvolari predisponenti sono in realtà la causa maggiore (40%) 2.

Figura 3. Proiezione parasternale asse corto a livello del piano valvolare mitralico con determinazione dell’area valvolare mitralica planimetrica.

Rifacendosi ai criteri di Shibata et al 1 la nostra paziente risultava avere una embolizzazione coronarica certa per la presenza di un criterio maggiore (evidenza angiografica di embolizzazione coronarica e trombosi senza componenti aterosclerotiche) e due criteri minori (stenosi coronaria angiografica inferiore al 25%, eccetto per la lesione ‘culprit’, e presenza di fattori di rischio embolici quali l’aritmia sopraventricolare e la malattia valvolare reumatica). La maggior parte degli STEMI con EC viene affrontato nella pratica clinica tramite l’utilizzo della tromboaspirazione, con il rischio di residui embolici distali al termine della procedura, come nel nostro caso. Gli outcome a lungo termine sono peggiori nei casi di STEMI secondari ad EC, ampiamente influenzati dall’eziopatogenesi dell’evento embolico stesso 3. Nel nostro caso il quadro clinico era peggiorato sia dalla tachiaritmia sopraventricolare con difficile controllo della frequenza cardiaca e con l’opzione del controllo del ritmo non scevra dal potenziale rischio emboligeno, sia dalla severa disfunzione ventricolare sinistra conseguente alla EC con occlusione totale del tronco comune. La valvulopatia mitralica significativa, la dilatazione atriale e la severa disfunzione ventricolare sinistra ormai stabile mediata dalla EC sono tutti fattori che andranno a influenzare e di cui tener conto nel successivo iter terapeutico.

Bibliografia

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Tetralogia di Fallot: mai troppo tardi per correggere

Roberta Lotti MDa,b, Vered Gilad MDa,  Eugenio Sessarego MDa,b, Giuseppe Mascia MD, PhDa, Francesca Cavalla MDc , Giuseppe Pomè MD, PhDd, Francesco Santoro MDd,  Gianluca Trocchio MDd , Roberta Della Bona MD, PhDa,  Italo Porto, MD, PhDa,b

a. DICATOV – Cardiothoracic and Vascular department, San Martino Hospital, IRCCS for Oncology and Neurosciences, Genoa, Italy

b. Department of Internal Medicine and Medical Specialties (DIMI) Clinic of Cardiovascular Diseases, University of Genoa, Genoa Italy

c. Cardiothoracic department, Istituto Clinico di Alta Specialità (ICLAS), Rapallo, Italy

d. Pediatric Cardiothoracic and Vascular department, IRRCS Giannina Gaslini Institute, Genoa, Italy

Abstract

Descriviamo il raro caso di un paziente affetto da Tetralogia di Fallot con atresia polmonare sottoposto a correzione chirurgica in età tardo-adulta (63 anni) a seguito di multipli interventi palliativi in età sia pediatrica sia adulta. A distanza di un anno dall’intervento di correzione, il paziente veniva ricoverato presso il nostro Dipartimento di Cardiologia per tachicardia ventricolare sostenuta. Discuteremo quindi le attuali evidenze sulle tecniche palliative, gli effetti cardiovascolari a lungo termine della cianosi cronica, la possibilità di correzione chirurgica in età adulta e le possibili complicanze aritmiche.

Caso clinico:

Un uomo di 64 anni accedeva presso il nostro ospedale per dispnea ingravescente e cardiopalmo. Dal punto di vista anamnestico, al paziente era stata diagnosticata in infanzia la Tetralogia di Fallot con atresia polmonare e scarso sviluppo del circolo polmonare, trattata con tre successivi interventi palliativi: Blalock-Taussing (BT) shunt classico all’età di 3 anni, BT shunt modificato sull’arteria polmonare destra all’età di 14 anni ed uno shunt centrale (protesi tubulare di Dacron tra la biforcazione polmonare e l’aorta ascendente) all’età di 54 anni. La valutazione pre-operatoria in occasione dell’apposizione dello shunt centrale includeva la risonanza magnetica cardiaca (CMR) e l’angio-TC, con evidenza di ipoplasia delle arterie polmonari, occlusione dei precedenti BT shunt e presenza di numerosi collaterali sistemico-polmonari. In conseguenza alla cianosi cronica, il paziente veniva inoltre sottoposto a cicli di salassi ed aveva riportato anche un TIA dopo alcuni anni dall’ultimo shunt.

Figura 1. Elettrocardiogramma all’ingresso. Tachicardia ventricolare sostenuta ad asse inferiore e morfologia a BBS.

All’età di 63 anni veniva sottoposto a nuova valutazione clinica a causa di un progressivo deterioramento del performance status con comparsa di intolleranza allo sforzo ingravescente. Al cateterismo si osservava occlusione dello shunt centrale e dimensioni ottimali delle arterie polmonari, in assenza di coronaropatia ostruttiva. Considerando i sintomi e l’anatomia polmonare riscontrata, si decideva dunque di procedere ad intervento chirurgico correttivo mediante interposizione di un dotto valvolato tra il ventricolo destro e la biforcazione polmonare, chiusura del setto interventricolare mediante patch e dissoluzione dello shunt centrale. Il decorso postoperatorio risultava scevro di complicanze e nei successivi mesi il paziente riportava assenza di sintomi e significativo miglioramento della tolleranza allo sforzo. All’ecocardiogramma di dimissione si osservava corretto posizionamento e funzione del dotto, moderata disfunzione biventricolare (FEVD 40% e FEVS 45%), ectasia del bulbo aortico e lieve insufficienza valvolare aortica.

A distanza di un anno dall’intervento di correzione, tuttavia, il paziente accedeva presso il nostro Dipartimento per dispnea ingravescente e cardiopalmo. All’esame obiettivo non si evidenziava nulla di patologico eccetto toni cardiaci tachicardici, ritmici. La pressione arteriosa sistemica era 130/80 mmHg e la saturazione di ossigeno 95%. Veniva dunque effettuato un ECG a 12 derivazioni che dimostrava una tachicardia ventricolare sostenuta (TVS) a 160 bpm, con morfologia a blocco di branca sinistra (BBS) ed asse inferiore (Figura 1). Escluse eventuali disionie, in seguito alla comparsa di instabilità emodinamica si procedeva a sedazione e cardioversione elettrica a 150 Joule con ripristino del ritmo sinusale, in assenza di significative alterazioni della ripolarizzazione ventricolare. Veniva avviata quindi una terapia beta-bloccante a bassa dose, si effettuava una rivalutazione ecocardiografica, che per quanto apparentemente sovrapponibile alla precedente risultava poco informativa a causa della pessima qualità di finestra acustica, e si procedeva infine all’esecuzione di CMR. Quest’ultima dimostrava una discinesia del segmento infero-apicale, conservata funzione biventricolare e late gadolinium enhancement (LGE) multifocale, in particolare a carico del setto interventricolare, della porzione inferoapicale del ventricolo sinistro e del tratto di efflusso del ventricolo destro alla giunzione con il dotto valvolato (Figure 2,3,4).

Figure 2,3,4. Risonanza Magnetica Cardiaca. In alto a sinistra si osserva un ricco albero arterioso polmonare. In alto a destra il dotto valvolato a partenza dall’efflusso destro. In basso a sinistra la presenza di LGE (fibrosi) in sede inferoapicale.

Successivamente, il paziente veniva sottoposto a studio elettrofisiologico, che documentava l’assenza di aritmie atriali inducibili, mentre venivano indotte tachicardie ventricolari (TV) a quattro morfologie differenti (Figure 5 e 6). Pertanto, considerando l’episodio di TVS sintomatica, l’induzione di quattro differenti morfologie di TV allo studio elettrofisiologico ed il pattern di LGE multifocale alla CMR, si decideva di soprassedere a tentativi di ablazione transcatetere e si procedeva ad impianto di ICD endocavitario. Al follow-up, il paziente si manteneva asintomatico e con buona tolleranza allo sforzo e, allo studio elettrofisiologico di controllo, veniva indotta una fibrillazione ventricolare (FV), prontamente riconosciuta e trattata dall’ICD.

Discussione:

La riparazione chirurgica rappresenta il trattamento ottimale per i pazienti affetti da Tetralogia di Fallot, tuttavia non sempre risulta anatomicamente fattibile. Tra i meccanismi di compenso alla cianosi cronica riscontriamo l’eritrocitosi, la deviazione a destra della curva di dissociazione dell’ossiemoglobina ed un aumento della portata cardiaca (1), mentre sono complicanze comuni le anomalie ematologiche e coagulative, l’acidosi metabolica, le aumentate resistenze vascolari polmonari e l’ischemia subendocardica responsabile della fibrosi e della disfunzione miocardica (2,3).

Numerose tecniche palliative di shunt sistemico polmonare sono state sviluppate per aumentare il flusso vascolare polmonare, per ridurre la cianosi e per stimolare la crescita arteriosa polmonare. L’utilizzo di BT shunt, classico e modificato, comporta un basso rischio chirurgico, ma si associa ad un minor sviluppo delle arterie polmonari e a frequenti distorsioni delle stesse (4), mentre gli shunt centrali mostrano una più elevata probabilità di crescita delle arterie polmonari, a prezzo tuttavia di un maggior rischio di ipertensione polmonare (5).

Figure 5 e 6. Differenti morfologie di tachicardia ventricolare indotte allo studio elettrofisiologico.

Se sussistono le condizioni anatomiche appropriate (due ventricoli indipendenti e sufficiente circolo polmonare), la riparazione chirurgica è effettuabile con successo anche in età avanzata. Nella popolazione adulta, la mortalità postoperatoria varia dall’1,3% al 16%, ed è maggiormente influenzata dall’età del paziente, dalla cianosi prolungata, dalla disfunzione ventricolare sinistra e/o destra, dall’esperienza dell’operatore e del centro (6-11).

Le aritmie ventricolari sono complicanza frequente negli adulti con Tetralogia di Fallot e la morte cardiaca improvvisa è riportata in 1-3.5% dei casi. Le TV sono classificate in due categorie principali: polimorfe e monomorfe (12,13,14). Le TV polimorfe sono associate a diffusa fibrosi miocardica e disfunzione, spesso in conseguenza alla cianosi prolungata. Le TV monomorfe sono tipicamente conseguenza di cicatrici chirurgiche e sono anatomicamente definite “istmi” (14,15). L’ablazione transcatetere è fattibile in presenza di substrati anatomici e può migliorare la qualità di vita, benché sia generalmente raccomandata in aggiunta all’impianto di ICD dato l’elevato rischio di ricorrenza (16,17). L’impianto di ICD in prevenzione secondaria è raccomandato in tutti i pazienti, mentre l’impianto di ICD in prevenzione primaria dovrebbe essere considerato in pazienti portatori di più fattori di rischio per morte cardiaca improvvisa, considerando anche la disponibilità di nuovi dispositivi (ad esempio, l’ICD sottocutaneo) che comportano meno complicanze a lungo termine (17,18).

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