Fattori precipitanti nei pazienti con dissezione coronarica spontanea: implicazioni cliniche, laboratoristiche e prognostiche

Autori: Filippo Luca Gurgoglione1, Davide Rizzello1, Rossella Giacalone2, Marco Ferretti3, Antonella Vezzani4, Bettina Pfleiderer5, Giovanna Pelà6, Chiara De Panfilis6, Maria Alberta Cattabiani2, Giorgio Benatti2, Iacopo Tadonio2, Francesca Grassi2, Giulia Magnani2, Manjola Noni2, Martina Cancellara6, Francesco Nicolini7, Diego Ardissino1, Luigi Vignali2, Giampaolo Niccoli8 ed Emilia Solinas2

Affiliazioni:

  1. Division of Cardiology, University of Parma, Parma University Hospital, Parma, Italy.
  2. Division of Cardiology, Parma University Hospital, Parma, Italy.
  3. Division of Cardiology, IRCCS Arcispedale Santa Maria Nuova, Reggio Emilia, Italy.
  4. Cardiac Surgery Intensive Care Unit, Parma University Hospital, Parma, Italy.
  5. Clinic of Radiology, Medical faculty, University of Muenster, Germany.
  6. Department of Medicine and Surgery, University of Parma, Italy.
  7. Division of Cardio surgery, University of Parma, Parma University Hospital, Parma, Italy.
  8. Division of Cardiology, University of Parma, Parma University Hospital, Parma, Italy. 

Introduzione

La dissezione coronarica spontanea (SCAD) è una condizione clinica unica caratterizzata dalla separazione della parete dell’arteria coronaria da parte di un ematoma intramurale che comprime il lume del vaso [1, 2] ed è associata ad un ampio spettro di manifestazioni cliniche come sindrome coronarica acuta (ACS), aritmie ventricolari e morte cardiaca improvvisa [3-5]. La fisiopatologia della SCAD è multifattoriale e può comportare la complessa interazione tra fattori predisponenti (genetici, ormonali, infiammatori, vascolari e psicosociali) e fattori scatenanti di stress, come trigger emotivi e fisici. Numerosi studi hanno indagato l’influenza di fattori predisponenti per l’insorgenza di SCAD, la storia naturale e la prognosi [6-11]. Tuttavia, l’associazione tra fattori di stress emotivi e fisici da un lato e i correlati clinici dall’altro non è risultata chiara.

Nel nostro studio abbiamo cercato di confrontare dati clinici, angiografici e caratteristiche prognostiche in una coorte di pazienti con SCAD secondo la presenza e la tipologia di fattori di stress scatenanti.

Metodi

Disegno dello studio e popolazione

Abbiamo condotto uno studio osservazionale misto (retrospettivo e prospettico) a centro singolo includendo 75 pazienti consecutivi sottoposti ad angiografia coronarica per sospetta ACS e con evidenza angiografica di SCAD presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma tra gennaio 2013 e ottobre 2022. Di questa popolazione, abbiamo escluso 11 pazienti senza informazioni sul tipo di fattori di stress scatenanti.  64 soggetti sono stati quindi inclusi nell’analisi (Figura 1). Il protocollo dello studio, rispettoso della Dichiarazione di Helsinki, è stato approvato dal Comitato Etico dell’Ospedale e tutti i pazienti hanno firmato il consenso informato.

L’angiografia coronarica è stata eseguita attraverso approccio radiale o femorale con proiezioni multiple per valutare interamente tutti i segmenti delle arterie coronarie. E’ stata definita angiograficamente come SCAD la dissezione mediale o l’ematoma intramurale senza aterosclerosi e si è utilizzata una classificazione secondo la versione modificata della classificazione Yip e Saw (con l’aggiunta della SCAD di tipo 4) [12, 13]:

-tipo 1, contrasto patognomonico con colorazione di più lumi radiotrasparenti nella parete arteriosa;

-tipo 2, stenosi diffusa (tipicamente >20 mm) solitamente liscia, che spesso si presenta con brusco restringimento;

-tipo 3, stenosi focale o tubulare che mima l’aterosclerosi;

-tipo 4: brusca occlusione totale.

Tutti gli angiogrammi sono stati valutati da due esperti cardiologi interventisti (E.S. e L.V.) per confermare la diagnosi.

Sono stati raccolti per ciascun paziente fattori di rischio cardiovascolare (CV) tradizionali e non tradizionali (RF), distinguendo tra sesso e genere specifici [14].

Sono stati considerati CV RF non tradizionali :

 Relativi al sesso: includendo condizioni sesso-specifico (anamnesi ostetrica e ginecologica, incluso periodo postpartum) e sesso-predominante (malattie autoimmuni, connettivopatie, disturbi endocrini, emicrania: queste condizioni sono più frequentemente riscontrabili nel sesso femminile rispetto a quello maschile).

 Relativi al genere: includendo ansia, depressione e condizioni di stress con sottostanti fattori psicosociali che colpiscono le donne più spesso rispetto agli uomini (storia di abuso, violenza da parte del partner, basso status socioeconomico o precarietà del lavoro, lutto).

Per ogni paziente è stata inoltre studiata la presenza di fattori di stress precipitanti al momento del ricovero ospedaliero secondo come segue:

  • Disagio emotivo nelle 24 ore prima dell’evento ACS: definito come forte turbamento per qualcosa, sentirsi teso o nervoso, preoccupato e/o estremo insolito disagio emotivo.
  •  Sforzo fisico nelle 24 ore precedenti l’evento ACS: definito come estremo o insolito sforzo fisico [15].

Lo stress cronico è stato definito come risposta psicofisica anche a diversi stimoli emotivi, compiti cognitivi o sociali prolungati nel tempo che una persona percepisce come eccessivi e che costituiscono un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi personali, compromettendo la qualità della vita [14].

Sono stati infine raccolti dati laboratoristici ed ecocardiografici.

Follow-up clinico ed endpoint

Tutti i pazienti sono stati sottoposti a follow-up clinico mediante visite programmate ambulatoriali e/o telefoniche con colloqui a 30 giorni e 6 mesi dall’evento indice e successivamente a cadenza annuale.

La raccolta di eventi è stata effettuata su tutti i pazienti.

L’outcome primario era il verificarsi di eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE), definiti come il composito di morte CV, infarto del miocardio non fatale e rivascolarizzazione coronarica non pianificata. E’ stata definita morte CV la morte improvvisa o la morte preceduta dal tipico dolore toracico. E’ stato definito come infarto del miocardio non fatale il tipico dolore toracico a riposo associato ad alterazioni all’ECG del segmento ST e/o dell’onda T con rilevamento di un aumento dei livelli sierici di troponina I. La rivascolarizzazione coronarica non pianificata includeva qualsiasi rivascolarizzazione coronarica non programmata al momento dell’evento indice.

Sono stati registrati anche i seguenti endpoint secondari:

 la prevalenza di SCAD ricorrenti;

 la frequenza di dolore toracico ricorrente: definita come dolore toracico che si verifica ≥3 volte a settimana (all’ultimo follow-up disponibile) [16];

 il verificarsi di eventi avversi emorragici (definiti come sanguinamento maggiore [≥3] secondo la classificazione del Bleeding Academic Research Consortium) [17].

Analisi statistica

Le variabili continue sono state espresse come media (±deviazione standard), le variabili categoriali come frequenze e percentuali. In caso di distribuzione distorta, i dati sono stati raccolti come mediane (con intervalli interquartili). Sono state presentate statistiche riassuntive che valutano le differenze tra i tre gruppi di studio (pazienti con stress emotivi, con fattori di stress fisici e senza alcun fattore scatenante). Tutti i test statistici sono stati eseguiti con alfa bilaterale = 0,05 ed è stato impiegato un intervallo di confidenza del 95%. Le variabili continue sono state confrontate tra i tre gruppi di studio da One-Way Test ANOVA o Kruskal-Willis, a seconda della presenza o meno di distribuzione normale, mentre le variabili categoriche sono state valutate tra i tre gruppi di studio mediante il test Chi-quadrato. E’ stata inoltre applicata l’analisi di regressione di Cox univariata e multivariata per valutare la relazione delle singole variabili con MACE e SCAD ricorrenti, inclusa la presenza di fattori di stress emotivi insieme a caratteristiche meccanicamente ed epidemiologicamente collegate MACE e SCAD ricorrente. Per l’incidenza dell’endpoint primario è stata infine eseguita l’analisi del tempo all’evento mediante lo stimatore di Kaplan-Meier. Tutte le analisi statistiche sono state eseguite con il software SPSS 22.0 (IBM Corp., Armonk, New York, Stati Uniti).

Risultati

Abbiamo arruolato un totale di 64 pazienti con età mediana 54,0 [47,0; 65,0] anni, prevalentemente donne (56 [87,5%]), con bassa frequenza di RFCV tradizionali e un burden elevato di RFCV non tradizionali. Nella popolazione complessiva, 41 [64,0%] pazienti hanno presentato fattori di stress precipitanti, distinti in trigger emotivi (31 [48,4%] soggetti) e sforzi fisici (10 [15,6%] soggetti). Abbiamo scoperto che i pazienti con trigger emotivi erano più frequentemente  donne (30 [96,8%] vs 6 [60,0%] nel gruppo con fattori di stress fisico vs 20 [86,9%] nel gruppo senza alcun fattore di stress, p = 0,009]) ed erano più propensi a soffrire di stress cronico (21 [66,7%] vs 3 [30,0%] nel gruppo con fattori di stress fisico vs 8 [34,8%] nel gruppo senza alcun fattore di stress, p = 0,022], mentre quelli con fattori di stress fisici avevano una maggior prevalenza di ipertensione (7 [70,0%] vs 8 [25,8%] nel gruppo con trigger emotivi vs 10 [43,6%] nel gruppo senza fattori di stress, p = 0,039]) e dislipidemia (6 [60,0%] vs 5 [16,1%] nel gruppo con trigger emotivi vs 6 [26,1%]) nel gruppo senza fattore di stress, p = 0,024] (Figura 2). Inoltre, al momento del ricovero in ospedale, il gruppo con i fattori di stress emotivo avevano livelli più elevati di proteina C-reattiva (PCR) (15,0 mg/dL [IQR 5,6; 64,8] rispetto a 3,0 mg/dL [IQR 1,0; 23,9] nel gruppo con fattori di stress fisico, vs 4,0 mg/dL [IQR 2.0; 15.8] nel gruppo senza alcun fattore di stress, p = 0.037) insieme a un conteggio più elevato di eosinofili circolanti (0.10 × 10^3/μL [IQR 0,06; 0,15] rispetto a 0,04 × 10^3 /μL [IQR 0,02; 0,08] nel gruppo con fattori di stress fisico vs 0,05 × 10^3 /μL [IQR 0,02; 0.10] nel gruppo senza alcun fattore di stress, p = 0,012).

Nella popolazione complessiva, l’ACS senza elevazione del tratto ST (44 [68,7%] soggetti) è stata la presentazione clinica più frequente. All’angiografia coronarica, l’arteria discendente anteriore (32 [50,0%]) è risultata essere il vaso più colpito e il tipo 2 (36 [56,2%]) è risultato il più frequente modello SCAD incontrato. La stragrande maggioranza dei pazienti è stata gestita in modo conservativo e solo 4 soggetti [6,2%] sono stati sottoposti a intervento coronarico percutaneo. Nessuna differenza è stata riportata tra i gruppi di studio nella presentazione clinica, caratteristiche angiografiche e gestione clinica. Tutti i dettagli clinici e angiografici sono riassunti nella Tabella 1.

Ad un follow-up mediano di 21 [7; 44] mesi, si è verificato un MACE in 11 [17,2%] pazienti, inclusi 1 [1,6%] morte CV e 10 [15,6%] infarti miocardici non fatali, mentre non sono state riportate rivascolarizzazioni coronariche non pianificate nella nostra coorte di pazienti. L’incidenza complessiva di MACE è stata di 9,83 per 100 persone/anno, mentre l’incidenza di recidive SCAD era 5,03 per 100 persone/anno. Una descrizione dettagliata dei risultati clinici nella popolazione complessiva e nei tre gruppi di studio è riassunta nella Tabella 2. Considerando i tre gruppi di studio, il verificarsi dell’endpoint primario era simile (7 [22,6%] nei pazienti con stress emotivi vs. 1 [10,0%] nel gruppo con stress fisico fattori di stress vs. 3 [13,0%] nel gruppo senza alcun fattore di stress, p = 0,525]) così come l’incidenza di SCAD ricorrente (4 [12,9%] in pazienti con stress emotivi vs. 0 [0,0%] nel gruppo con fattori di stress fisici vs. 1 [4,3%] nel gruppo senza alcun fattore di stress, p = 0,309). Quattro eventi avversi emorragici si sono verificati nella nostra coorte di pazienti, senza differenze tra i tre gruppi di studio (2 [6,4%] vs 1 [10,0%] vs 1 [4,3%] nei gruppi con trigger emotivi, fattori di stress fisici e senza alcun trigger rispettivamente, p = 0,825]. Segnaliamo come i pazienti con fattori di stress emotivo, rispetto agli altri due gruppi di studio, abbiano sperimentato una prevalenza significativamente più alta di dolore toracico ricorrente (10 [32,2%] vs. 1[10,0%] nel gruppo con fattori di stress fisico vs. 1 [4,3%] nel gruppo senza alcun fattore di stress, p = 0,025] e una tendenza verso una maggiore incidenza di MACE (HR 2,996, CI 95% [0,874; 10.271], p=0.081) insieme a recidiva SCAD (HR 6.739, CI 95% [0.753; 60.352], p = 0,088) all’analisi di regressione univariata di Cox (tabelle supplementari 1-2). Infine, il confronto delle curve di Kaplan-Meier con il log-rank test ha mostrato che i tre gruppi di studio hanno avuto una sopravvivenza libera da endpoint primario simile [p= 0,582].

Discussione

Nel nostro studio abbiamo dimostrato come trigger precipitanti si incontrano frequentemente nei pazienti con SCAD con impatto sui correlati clinici e laboratoristici e sulla comparsa di dolore toracico ricorrente, mentre quasi un terzo dei pazienti non ha alcun fattore di stress.

Pochi studi si sono occupati del ruolo dei fattori scatenanti nell’insorgenza della SCAD. Saw et al. hanno osservato che il 57% dei pazienti presentava fattori di stress precipitanti e trigger emotivi erano circa il doppio più frequenti rispetto a quelli fisici [12]. Daoulah et al. hanno riportato trigger emotivi nel 40% della coorte GULF SCAD [15]. E’ ben nota una differenza legata al sesso, poiché i fattori di stress emotivi causano più frequentemente SCAD nelle donne, mentre gli sforzi fisici sono prevalenti nella popolazione maschile [12, 18].

Il nostro studio ha confermato e ulteriormente esteso questi risultati: circa due terzi dei pazienti hanno avuto fattori di stress precipitanti riconoscibili, con una maggiore prevalenza di emozioni trigger [48,4%], rispetto a sforzi fisici vigorosi [15,6%]. E’ da notare inoltre come i nostri risultati abbiano evidenziato differenze cliniche e biochimiche statisticamente significative tra i gruppi di studio. In dettaglio, i pazienti con trigger fisici erano prevalentemente maschi e mostravano un peggior profilo di fattori di rischio CV, con tassi più elevati di ipertensione e dislipidemia, mentre quelli con trigger emotivi erano prevalentemente donne e avevano una frequenza più alta di stress cronico e infiammazione sistemica, come rivelato da livelli più alti di CRP e di conta degli eosinofili circolanti al momento del ricovero, sottolineando il ruolo dello stress cronico nell’ induzione di risposte infiammatorie ed endocrine integrate.

Le suddette differenze possono costituire il substrato per distinti meccanismi fisiopatologici alla base della SCAD. Tra i pazienti con stress emotivi, l’interazione sinergica tra stress cronico e intensa stimolazione simpatica potrebbe svolgere un ruolo centrale ruolo nell’insorgenza di SCAD guidando l’iperattivazione di pathway infiammatori e immunologici [19, 20]. Inoltre lo squilibrio simpatico-vagale a favore del sistema simpatico e la conseguente riduzione della rete vagale gioca un ruolo chiave, inducendo uno stato proinfiammatorio e l’iperattivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, già sovrastimolato durante il sovraccarico di stress allostatico. Irwin et al. hanno dimostrato che lo stress cronico innesca un rilascio disadattivo prolungato di citochine proinfiammatorie [21], mentre Tarnawski et al. hanno scoperto che fattori di stress acuti fanno presagire uno squilibrio nell’omeostasi del sistema autonomo a favore del sistema simpatico, favorendo rilascio di catecolamine e citochine proinfiammatorie.

Kang et al.  hanno fornito prove di una nuova piattaforma a tre organi che collega l’amigdala all’ infiammazione coronarica in-vivo tramite un’aumentata mielopoiesi nel midollo osseo, sostenendo l’intima relazione tra stress emotivo, infiammazione e connessione cuore-cervello come fulcro del cosiddetto modello psico-neuro-endocrino-immunologico [23].

Complessivamente questi risultati potrebbero spiegare l’aumento dei livelli di biomarcatori infiammatori osservato nel gruppo con fattori di stress emotivi rispetto agli altri due gruppi. Un precedente studio fondamentale di Kronzer et al. [10] non è riuscito a mostrare un’associazione tra SCAD e malattie infiammatorie, a supporto di una fisiopatologia non infiammatoria di SCAD [10]. Veniva tuttavia inclusa una popolazione con SCAD eterogenea . Da segnalare che nel nostro studio abbiamo dimostrato un eccesso di biomarcatori infiammatori solo nei pazienti con SCAD e fattori di stress emotivi, suggerendo una fisiopatologia distinta alla base della SCAD in base alla presenza e al tipo di trigger precipitanti. Studi precedenti hanno inoltre rivelato che gli eosinofili sono implicati nel verificarsi di SCAD promuovendo angiogenesi con proliferazione di fragili vasa vasorum [24] e aumentando la suscettibilità dell’albero coronarico a disordini vasomotori [25]. Date queste considerazioni, possiamo ipotizzare che nei pazienti con trigger emotivi, i tassi più elevati di stress cronico e i livelli più elevati di CRP e di eosinofili circolanti potrebbero contribuire all’insorgenza di dissezione coronarica. È importante sottolineare che in una metanalisi molto recente di Ridker et al. [26], alti livelli di CRP hanno predetto futuri eventi avversi CV; pertanto, anche questa informazione potrebbe assumere implicazioni prognostiche. Va inoltre notato che i circuiti neuroumorali coinvolti nelle interazioni bidirezionali cuore-cervello insieme alle risposte infiammatorie e immunologiche allo stesso fattore di stress sono più evidenti nelle donne rispetto agli uomini [20, 27]. Nel nostro studio il legame tra SCAD, prevalenza del sesso femminile, fattori di rischio di genere non tradizionali e stress emotivo come trigger predominante è stato estesamente dimostrato.

Al contrario, i trigger fisici alla base di SCAD possono essere classificati in due categorie:

-intensi sforzi isometrici, come sollevare e tirare pesi pesanti

– sforzi simili a Valsalva, come conati di vomito/vomito, tosse vigorosa e movimenti intestinali forzati [28].

La fisiopatologia sottostante, sebbene non completamente nota, è su base meccanica e ormonale: più specificamente, sforzi isometrici anomali, solitamente accompagnati da un aumento della pressione intra toracoaddominale, sono in grado di provocare un intenso shear stress coronarico, ulteriormente aggravato dall’iperattivazione indotta dall’esercizio del sistema nervoso simpatico e dall’aumentato rilascio di catecolamine. Complessivamente queste caratteristiche possono comportare danno coronarico, favorendo l’insorgenza di lacerazioni intimali ed emorragie intravascolari, in particolare in pazienti con arteriopatie predisponenti [29]”.

Infine, al follow-up a medio termine, i pazienti con fattori di stress emotivi hanno sperimentato una maggior prevalenza di dolore toracico ricorrente [32,2%], rispetto agli altri gruppi di studio. L’entità del problema, che variava dal 7,6% [15] al 23% [16] nei rapporti precedenti, e le conseguenze cliniche associate (scarsa qualità della vita, aumento dello stress psicologico e comportamenti disfunzionali, nonché le importanti conseguenze economiche di ripetuti visite al Pronto Soccorso) [30] comporta la necessità di meccanismi di indirizzamento in base al sottostante dolore toracico ricorrente. Uno studio fondamentale di Sedlak et al. ha dimostrato il ruolo centrale della disfunzione microvascolare coronarica nella fisiopatologia del dolore toracico cronico nella popolazione con SCAD, poiché> 70% dei pazienti presentava una riserva di flusso coronarico anormale e un indice di riserva microvascolare. L’interazione tra infiammazione di basso grado e lo stress cronico è implicato nell’insorgenza della disfunzione microvascolare coronarica [31, 32] ed è in grado di propagare segnali di dolore anche dopo la cessazione dello stimolo nocivo [33].

Complessivamente questi risultati potrebbero in parte spiegare l’eccesso di dolore toracico ricorrente osservato in presenza di fattori di stress emotivi prima della SCAD: questa caratteristica apre nuove strade nel trattamento del dolore toracico ricorrente; tuttavia, l’associazione tra fattori di stress emotivi e il dolore toracico ricorrente potrebbero essere pregiudicati da una netta prevalenza del sesso femminile, dello stress cronico  e dell’infiammazione nella nostra popolazione.

Infine, l’incidenza di eventi avversi non era trascurabile nella nostra coorte di pazienti con SCAD, con un’incidenza complessiva di MACE di 9,83 per 100 persone/anno, maggiore rispetto alla metanalisi cardine di Franke et al [34], mentre l’incidenza di SCAD ricorrente era di 5,03 per 100 persone/anno, leggermente inferiore rispetto all’analisi di Franke et al. [34].

Presi insieme, i nostri risultati indicano che la valutazione dei fattori di stress scatenanti è in grado di identificare diversi fenotipi di SCAD, con distinti correlati clinici, laboratoristici e storia naturale, che potrebbe richiedere un approccio terapeutico personalizzato: ai pazienti con fattori di stress fisico dovrebbero essere sconsigliati un’attività isometrica intensa e sforzi  tipo Valsalva e dovrebbero essere invece incoraggiati a praticare attività aerobiche di intensità lieve-moderata anche per trattare gli stati dislipidemici e ipertensivi. La gestione dello stress cronico è invece mandatoria in presenza di trigger emotivi. Pensiamo che tutti i pazienti con SCAD dovrebbero essere valutati per l’eventuale presenza di stress cronico e ad essi dovrebbero essere offerti assistenza psicologica e/o programmi convalidati di gestione dello stress.

Limiti dello studio

Il nostro studio ha diversi limiti. Si tratta innanzitutto di uno studio monocentrico con una  relativamente ridotta dimensione campionaria e limitato potere statistico. In secondo luogo, il disegno dello studio non randomizzato, insieme con la natura mista retrospettiva (18, 28,1% dei pazienti) e prospettica (46, 71,9% dei pazienti), potrebbe aver promosso un potenziale bias di selezione nella fase prospettica: in particolare, le crescenti prove scientifiche che collegano SCAD e fattori di stress emotivi possono avere portato i cardiologi a diagnosticare con maggiore probabilità la SCAD nei pazienti con stress cronico o emotivo o per promuovere un’indagine approfondita sui fattori di stress emotivi in ​​presenza di evidenza angiografica di SCAD. In terzo luogo, l’esclusione dei pazienti (11 [14,7%] del totale coorte di pazienti con SCAD) con mancanza di dati sui fattori scatenanti potrebbe essere considerato un ulteriore bias di selezione. In quarto luogo, strumenti di imaging intracoronarico per confermare la diagnosi di SCAD sono stati sottoutilizzati nella nostra coorte. In quinto luogo, la ricerca di fattori di stress precipitanti è stata di tipo qualitativo, quindi la loro reale prevalenza e distribuzione potrebbero essere imperfette. La prevalenza del dolore toracico ricorrente è stata valutata all’ultimo follow-up disponibile per ciascun paziente (con una durata simile del follow-up tra i tre gruppi di studio [p = 0,375]) senza l’adozione di questionari validati. Non è stato inoltre effettuata una valutazione biochimica al follow-up.

Conclusioni

Il nostro studio mostra che i fattori di stress emotivi causa di SCAD permettono di identificare un sottotipo di SCAD con caratteristiche specifiche e con più frequente documentazione di dolore toracico. Questi risultati potrebbero sottendere differenti fisiopatologie di base e potrebbero aprire la strada verso una gestione su misura dei pazienti con SCAD. Una migliore caratterizzazione della SCAD dovrebbe essere oggetto di indagini future: in particolare, la ricerca dovrebbe concentrarsi sul possibile ruolo dell’infiammazione e delle cause del dolore toracico ricorrente in questi pazienti.

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29.Fahmy P, Prakash R, Starovoytov A, Boone R, Saw J. Pre-Disposing and Precipitating Factors in Men With Spontaneous Coronary Artery Dissection. JACC Cardiovasc Interv. 2016 Apr 25;9(8):866-868. Bhatt DD, Kachru R, Gupta S, Kaul U. Recurrent chest pain after treatment of spontaneous coronary artery dissection: An enigma. Indian Heart J. 2015 Dec;67 Suppl 3(Suppl 3):S18-20.

30.Duncker D.J., Bache R.J. Regulation of coronary blood flow during exercise. Physiol. Rev. 2008;88:1009–1086.

31.Choudhury L., Rosen S.D., Patel D., Nihoyannopoulos P., Camici P.G. Coronary vasodilator reserve in primary and secondary left ventricular hypertrophy. A study with positron emission tomography. Eur. Heart J. 1997;18:108–116.

32.Armstrong SA, Herr MJ. Physiology, Nociception. 2022 May 8. In: StatPearls [Internet]. Treasure Island (FL): StatPearls Publishing; 2022 Jan

33, Franke KB, Nerlekar N, Marshall H, Psaltis PJ. Systematic review and metaanalysis of the clinical characteristics and outcomes of spontanous coronary artery dissection. Int J Cardiol. 2021 Jan 1;322:34-39.

Figure 1. Study Flow Chart

Abbreviations: SCAD: Spontaneous Coronary Artery Dissection.

 Figure 2. Clinical characteristics in the overall population according to the presence and type of precipitating stressors

Table 1. Clinical, biochemical, echocardiographic and angiographic features in the overall population and according to the presence and type of precipitating stressors

Characteristics  Overall population (n = 64)Patients with emotional stressors (n = 31)Patients with physical stressors (n = 10)Patients without any stressor (n = 23)p value
Clinical characteristics Age [median (IQR)]   Female sex [n, (%)] Peripheral artery disease [n, (%)] CKD [n, (%)] Fibromuscular dysplasia [n, (%)] Previous stroke/TIA [n, (%)] Previous PE [n, (%)] T-RF Hypertension [n, (%)] Diabetes [n, (%)] Smoking habit [n, (%)] Dyslipidaemia [n, (%)] Family history of CAD [n, (%)]  BMI [median (IQR)]   NT-RF  [n, (%)]  Sex-related Autoimmune disease Connective tissue disorders Obstetrics disease Thrombophilia Hormone therapy Thyroid disorders Migraine Gender-related Chronic stress Anxiety Depression    54.0 [47.0; 65.0] 56 (87.5) 3 (4.7)   0 (0.0) 7 (10.9)   1 (1.6)   1 (1.6)   25 (39.1) 2 (3.1) 18 (28.1) 17 (26.6) 14 (21.9)   23.0 [22.0; 26.0]     6 (9.4) 0 (0.0)   12 (18.8) 6 (9.4) 19 (29.7) 19 (29.7) 8 (12.5)   32 (50.0) 9 (14.1) 5 (7.8)    51.0 [47.0; 60.0] 30 (96.8) 0 (0.0)   0 (0.0) 5 (16.1)   0 (0.0)   1 (3.2)   8 (25.8) 0 (0.0) 9 (29.0) 5 (16.1) 8 (25.8)   23.0 [21.0; 25.0]     3 (9.7) 0 (0.0)   6 (19.3) 5 (16.1) 11 (35.5) 10 (32.2) 5 (16.1)   21 (66.7) 5 (16.1) 3 (9.7)    53.0 [48.0; 63.2] 6 (60.0) 1 (10.0)   0 (0.0) 1 (10.0)   0 (0.0)   0 (0.0)   7 (70.0) 0 (0.0) 5 (50.0) 6 (60.0) 4 (40.0)   25.0 [22.0; 30.2]     0 (0.0) 0 (0.0)   0 (0.0) 1 (10.0) 1 (10.0) 3 (30.0) 1 (10.0)   3 (30.0) 1 (10.0) 0 (0.0)    60.0 [48.0; 66.0] 20 (86.9) 2 (8.7)   0 (0.0) 1 (4.3)   1 (4.3)   0 (0.0)   10 (43.5) 2 (8.7) 4 (17.4) 6 (26.1) 2 (8.7)   24.0 [22.0; 27.0]     3 (13.0) 0 (0.0)   6 (26.1) 0 (0.0) 7 (30.4) 6 (26.1) 2 (8.7)   8 (34.8) 3 (13.0) 2 (8.7)    0.094   0.009 0.225   – 0.118   0.413   0.817   0.039 0.159 0.158 0.024 0.103   0.364       0.496 –   0.209 0.132 0.307 0.886 0.693   0.022 0.876 0.600
Clinical presentation [n, (%)] STEMI NSTEMI Cardiac arrest caused by VF    16 (25.0) 44 (68.8) 4 (6.2)    6 (19.3) 23 (74.2) 2 (6.4)    3 (30.0) 7 (70.0) 0 (0.0)    7 (30.4) 14 (60.9) 2 (8.7)0.744
Laboratory data [median (IQR)] Hb (g/dL)     PLT (× 103/L)   WBC (× 103/μL) Neutrophils (× 103/μL) Eosinophils (× 103/μL)   Monocytes (× 103/μL)   Basophils (× 103/μL)   Lymphocytes(×103/μL)   CRP (mg/dL) Fasting glycaemia (mg/dL) HbA1c (mmol/mol)   Total cholesterol (mg/dL) LDL cholesterol (mg/dL) Serum creatinine on admission (mg/ dL)    13.5 [12.3; 14.1] 239.0 [209.0; 293.0] 7.5 [6.7; 10.0] 5.6 [4.6; 8.1] 0.07 [0.03; 0.11] 0.49 [0.38; 0.69] 0.02 [0.02; 0.04] 1.46 [1.15; 1.97] 6.5 [3.0; 40.1] 94.0 [85.0; 122.0] 34.0  [31.5; 36.5] 170.0 [147.0; 209.0] 97.0 [75.0; 123.5] 0.6 [0.6; 0.8]      13.5 [12.3; 14.2] 234.0 [189.0; 292.0] 7.3 [6.3; 10.0] 5.0 [4.3; 8.5] 0.10 [0.06; 0.15] 0.45 [0.36; 0.69] 0.02 [0.02; 0.03] 1.46 [1.24; 1.85] 15.0 [5.6; 64.8] 93.0 [82.0; 123.0] 33.5 [30.7; 35.5] 165.0 [142.0; 187.5] 85.5 [74.0; 112.0] 0.6 [0.6; 0.7]      13.1 [10.9; 14.2] 270.0 [219.8; 325.2] 9.0 [7.0; 12.6] 6.3 [5.4; 10.2] 0.04 [0.02; 0.08] 0.59 [0.37; 0.78] 0.02 [0.04; 0.04] 1.56 [1.17; 1.90] 3.0 [1.0; 23.9] 111.5 [87.5; 142.7] 35.5 [34.0; 42.2] 208.0 [176.2; 213.2] 133.5 [108.0; 145.0] 0.6 [0.6; 0.9]      13.5 [12.4; 14.0] 230.0 [195.7; 254.5] 8.2 [6.3; 10.0] 5.6 [4.7; 7.1] 0.05 [0.02; 0.10] 0.50 [0.47; 0.69] 0.02 [0.02; 0.03] 1.39 [0.94; 2.12] 4.0 [2.0; 15.8] 95.0 [89.0; 113.5] 35.0 [31.0; 36.0] 174.0 [132.0; 218.7] 104.0 [63.7; 121.5] 0.6 [0.6; 0.7]      0.794   0.232   0.269 0.240 0.012   0.422   0.243   0.986 0.037 0.306 0.228   0.109   0.011   0.855
Echocardiographic data LVEF on admission (%) [median (IQR)] LVEF on admission < 50% [n, (%)]    55.0 [55.0; 60.0] 9 (14.1)    55.0 [55.0; 60.0] 3 (9.7)    55.0 [48.7; 60.0] 2 (20.0)    55.0 [55.0; 60.0] 4 (17.4)    0.737   0.608
Angiographic-related data [n, (%)] Vessel involved LM LAD LCX RCA Yip-Saw classification Type 1 Type 2 Type 3 Type 4 PCI/DES Therapy at discharge [n, (%)] DAPT ASA + Clopidogrel ASA + Ticagrelor ASA + Prasugrel SAPT      1 (1.6) 32 (50.0) 22 (34.4) 9 (14.1)   12 (18.8) 36 (56.2) 6 (9.4) 10 (15.6) 4 (6.2)       37 (57.8) 22 (34.4) 0 (0.0) 5 (7.8)      1 (3.2) 19 (63.3) 9 (29.0) 2 (6.4)   4 (12.9) 21 (67.7) 3 (9.7) 3 (9.7) 2 (6.4)       19 (61.3) 10 (32.2) 0 (0.0) 2 (6.5)      0 (0.0) 4 (40.0) 4 (40.0) 2 (20.0)   3 (30.0) 4 (40.0) 0 (0.0) 3 (30.0) 0 (0.0)       7 (70.0) 3 (30.0) 0 (0.0) 0 (0.0)      0 (0.0) 9 (39.1) 9 (39.1) 5 (21.8)   5 (21.8) 11 (47.8) 3 (13.0) 4 (17.4) 2 (8.7)       11 (47.8) 9 (39.2) 0 (0.0) 3 (13.0)    0.471         0.404         0.636 0.680

Legend to table:

ASA: Cardioaspirin; BMI: Body Mass Index; CAD: Coronary Artery Disease; CKD: Chronic Kidney Disease; CRP: C-Reactive Protein; DAPT: Dual Anti-Platelet therapy; Hb: Hemoglobin; HbA1c: Glycated Hemoglobin; IQR: InterQuartile Range; LAD: Left Atrial Descending; LDL: Low-Density Lipoprotein; LM: Left Main; LCX: Left Circumflex; LVEF: Left Ventricular Ejection Fraction; NSTEMI: NON-ST segment Elevation Myocardial Infarction; NT-RF: Non-Traditional Risk Factors; PCI-DES: Percutaneous Coronary Intervention – Drug Eluting Stent; PE: Pulmonary Embolism; PLT: Platelets; RCA: Right Coronary Artery; SAPT: Single Anti-Platelet therapy SD: Standard Deviation; STEMI: ST-segment Elevation Myocardial Infarction; TIA: Transient Ischemic Attack; T-RF: Traditional Risk Factors; VF: Ventricular Fibrillation; WBC: White Blood Count.

Table 2. Clinical outcomes in the overall population and according to the presence and type of precipitating stressors

Characteristics  Overall population (n= 64)Patients with emotional stressors (n=31)Patients with physical stressors (n = 10)Patients without any stressor (n = 23)p value
MACE [n, (%)] CV death Non-fatal MI Unplanned coronary revascularization Recurrent SCAD [n, (%)] Recurrent chest pain [n, (%)] Hemorrhagic events [n, (%)]11 (17.2) 1 (1.6) 10 (15.6) 0 (0.0)     5 (8.8)   12 (18.7)   4 (6.2)7 (22.6) 1 (3.2) 6 (19.4) 0 (0.0)     4 (12.9)   10 (32.2)   2 (6.4)1 (10.0) 0 (0.0) 1 (10.0) 0 (0.0)     0 (0.0)   1 (10.0)   1 (10.0)3 (13.0) 0 (0.0) 3 (13.0) 0 (0.0)     1 (4.3)   1 (4.3)   1 (4.3)0.525           0.309   0.025   0.825

Legend to table:

CV: Cardiovascular; MACE: Major Adverse Cardiovascular Event; MI: Myocardial Infarction; SCAD: Spontaneous Coronary Artery Dissection

Strategia interventistica vs. approccio conservativo nei pazienti con dissezione coronarica spontanea: dal registro DISCO

Stefano Benenati1*, MD, Federico Giacobbe2*, MD, Antonio Zingarelli3, MD, Fernando Macaya4, MD, PhD, Carloalberto Biolè5, MD, Angelica Rossi6, MD, Marco Pavani7, MD, Giorgio Quadri8, MD, Umberto Barbero9, MD, Andrea Erriquez10, MD, Tiziana Aranzulla8, MD, Chiara Cavallino11, MD, Dario Buccheri12, MD, Cristina Rolfo7, MD, Giuseppe Patti13, MD, PhD, Nieves Gonzalo4, MD, PhD, Alessandra Chinaglia5, MD Giuseppe Musumeci7, MD, Javier Escaned4, MD, PhD

Ferdinando Varbella7, MD, Enrico Cerrato7‡, MD, PhD, Italo Porto1,3‡, MD, PhD; DISCO Collaboratorsx

Affiliazioni

1. Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche (Di.M.I.), Università di Genova, Genova, Italia

2. Dipartimento di Cardiologia,AOU Citta` della Salute e della Scienza di Torino, Torino;

3. Unità di Malattie Cardiovascolari, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, IRCCS Italian Cardiology Network, Genova, Italy

4. Hospital Clínico San Carlos, IdiSSC, Universidad Complutense de Madrid, Madrid, Spain

5. Ospedale Universitario San Luigi Gonzaga, Orbassano, Torino,

6. Divisione di Cardiologia, Azienda Ospedaliera Brotzu, Cagliari

7. Unità di Cardiologia Interventistica, Ospedale Universitario San Luigi Gonzaga, Ospedale degli Infermi di Rivoli e Orbassano, Rivoli, Torino

8. Ordine Ospedale Mauriziano Umberto I, Torino

9. Ospedale Maggiore Ss. Annunziata – Savigliano (CN)

10. Università di Ferrara, Ferrara

11. Ospedale Sant’Andrea, Vercelli

12. Ospedale S. Antonio Abate Hospital, Trapani

13. Università Piemonte Orientale, Dipartimento di malattie Toraciche e Vascolari, Ospedale Maggiore della Carità, Novara

Abstract

Il beneficio dell’angioplastica coronarica percutanea rispetto alla terapia medica nel trattamento delle dissezioni coronariche spontanee è incerto. Lo scopo del presente studio è stato quello di comparare gli outcomes dei pazienti trattati con angioplastica rispetto a terapia medica e di individuare i predittori del trattamento invasivo. Abbiamo condotto una sottoanalisi su 369 pazienti arruolati nel registro DIssezioni Spontanee COronariche (DISCO IT/SPA) dal 2009 al 2020, di cui 340 trattati con terapia medica e 129 con angioplastica. La presentazione con infarto STEMI, il coinvolgimento di un segmento coronarico prossimale, un flusso TIMI < 3 e l’incremento progressivo della stenosi coronarica causata dalla dissezione sono risultati predittori indipendenti di un approccio interventistico. Al contrario, il sottotipo angiografico 2B prediceva indipendentemente l’impiego di una gestione medica. Non c’erano differenze tra le due popolazioni né rispetto agli outcomes intraospedalieri che ad un composito di morte per tutte le cause, infarto miocardico non fatale e rivascolarizzazione coronarica ripetuta a due anni.

In conclusione, nei pazienti con dissezione coronarica spontanea, angioplastica e terapia medica si associano a simili outcomes clinici a breve e medio termine, sebbene l’angioplastica venga usualmente impiegata in pazienti a più alto rischio.

Commento

Le dissezioni coronariche spontanee rappresentano una eziologia rara di coronaropatia, usualmente ad esordio acuto. Sono caratterizzate dalla formazione di un ematoma di parete responsabile della compressione luminale, che spesso si associa ad una discontinuità della tonaca intima. Per le loro peculiari caratteristiche, le dissezioni spontanee pongono singolari problematiche tecniche nel contesto dell’angioplastica percutanea. Tra le varie, queste includono il rischio di propagazione dell’ematoma, di wiring del falso lume e di malapposizione tardiva dello stent. L’angioplastica percutanea, normalmente terapia di scelta delle sindromi coronariche acute, si associa pertanto a particolari rischi nei pazienti affetti da dissezione coronarica spontanea. Storicamente, questo ha stimolato una sempre maggiore propensione alla gestione conservativa delle dissezioni spontanee, anche alla luce dell’elevato tasso di guarigione spontanea delle dissezioni nel lungo termine.

Il registro DIssezioni Spontanee COronariche (DISCO IT/SPA) è un registro multicentrico condotto il 26 centri Italiani e Spagnoli che, sotto la supervisione del Dott. Enrico Cerrato (Torino), ha avuto il merito di raccogliere una delle più ampie casistiche di dissezioni coronariche spontanee al mondo. Su questa popolazione, è stata condotta una sottoanalisi volta a comparare le caratteristiche e gli outcomes clinici dei pazienti con dissezioni spontanee trattati con approccio invasivo o conservativo, e a verificare i predittori di un approccio invasivo.

In totale, sono stati selezionati 369 pazienti arruolati nel registro DISCO da Gennaio 2009 a Dicembre 2020, di cui 129 trattati con angioplastica e 240 con terapia medica (Figura 1). I pazienti trattati con angioplastica erano più frequentemente affetti da infarto STEMI ed arresto cardiaco, inoltre il coinvolgimento di un segmento coronarico prossimale ed un flusso TIMI subottimale erano più frequenti in questo gruppo (Tabelle 1 e 2). La tabella 3 mostra i predittori dell’approccio interventistico con i relativi odds ratios (OR) e intervalli di confidenza al 95% (95% CI). La presentazione con infarto STEMI, il coinvolgimento di un segmento coronarico prossimale, un flusso TIMI < 3 e l’incremento progressivo della stenosi coronarica causata dalla dissezione sono risultati predittori indipendenti di un approccio interventistico. Al contrario, il sottotipo angiografico 2B prediceva indipendentemente l’impiego di una gestione medica. Non c’erano differenze tra le due popolazioni né rispetto agli outcomes intraospedalieri (Tabella 4) che ad un composito di morte per tutte le cause, infarto miocardico non fatale e rivascolarizzazione coronarica ripetuta a due anni (Figura 2).

Pur limitati dalla natura retrospettiva dello studio, i risultati di questa sottoanalisi indicano che l’angioplastica, seppure impiegata in pazienti a rischio più alto, esita in outcomes comparabili a quelli della terapia medica, rassicurando sul suo utilizzo in specifiche circostanze (es. dissezione spontanea che causa STEMI). Il sottostudio DISCO rappresenta il più ampio attualmente pubblicato a fornire un confronto diretto tra terapia medica e approccio invasivo in una popolazione con dissezione coronarica spontanea.

https://www.ahajournals.org/doi/10.1161/CIRCINTERVENTIONS.122.012780?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

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Antithrombotic therapy and cardiovascular outcomes after transcatheter aortic valve implantation in patients without indications for chronic oral anticoagulation: a systematic review and network meta-analysis of randomized controlled trials

Paul Guedeney 1Vincent Roule 2Jules Mesnier 3Celine Chapelle 4Jean-Jacques Portal 5Silvy Laporte 4Edouard Ollier 4Michel Zeitouni 1Mathieu Kerneis 1Niki Procopi 1Olivier Barthelemy 1Sabato Sorrentino 6Michal Mihalovic 7Johanne Silvain 1Eric Vicaut 5Gilles Montalescot 1Jean-Philippe Collet 1

1Sorbonne Université, ACTION Study Group, Institut de Cardiologie, Centre Hospitalier Universitaire, Pitié-Salpêtrière, 47 Boulevard de l’Hôpital, Paris 75013, France.

2Service de Cardiologie, Centre Hospitalier Universitaire (CHU) de Caen Normandie, Normandie Univ, UMR_S 1166, Caen, France.

3French Alliance for Cardiovascular Trials (FACT), Université de Paris, INSERM Unité-1148, and Hôpital Bichat, Assistance Publique-Hôpitaux de Paris, Paris, France.

4Unité de Recherche Clinique, Innovation et Pharmacologie, CHU de Saint-Etienne, Saint-Etienne, France.

5Unité de Recherche Clinique, Lariboisière Hospital (AP-HP), ACTION Study Group, Paris, France.

6Division of Cardiology, Department of Medical and Surgical Science, Magna Graecia University, Catanzaro, Italy.

7Cardiocenter, Third Faculty of Medicine, Charles University, University Hospital Kralovske Vinohrady, Prague, Czech Republic.

European Heart Journal – Cardiovascular Pharmacotherapy, Volume 9, Issue 3, April 2023

ABSTRACT

Essendo ancora poco chiaro il miglior regime di terapia antitrombotica in grado di prevenire le complicanze ischemiche ed allo stesso tempo garantire il minor rischio di sanguinamento in seguito ad intervento di sostituzione valvolare aortica transcatetere (TAVI), questo studio ha paragonato la sicurezza e l’efficacia di diversi regimi terapeutici in pazienti senza indicazione a terapia anticoagulante a lungo termine.

TESTO

La sostituzione valvolare aortica transcatetere (TAVI) ha assunto negli ultimi anni un ruolo di sempre maggiore importanza nel trattamento dei pazienti con stenosi aortica severa. Pertanto, è diventato un argomento di assoluta rilevanza la determinazione dell’ottimale strategia terapeutica antitrombotica in grado di limitare le complicanze ischemiche maggiori in seguito all’intervento, ed allo stesso tempo garantire un’efficace protezione dal rischio di sanguinamento, alla luce della necessità di utilizzare sistemi di accesso vascolare di grande calibro e dell’età spesso avanzata dei pazienti in questione. Le ultime linee guida raccomandano la singola terapia antiaggregante (SAPT) nei pazienti senza indicazione a terapia anticoagulante a lungo termine; tuttavia, queste non tengono in considerazione i risultati dei più recenti studi randomizzati controllati (RCTs) che hanno paragonato la terapia con anticoagulanti orali diretti (DOACs) a quella antipiastrinica.

Nel presente lavoro è stata pertanto condotta una revisione sistematica ed una metanalisi di RCTs che hanno valutato la terapia antitrombotica post-TAVI fino ad aprile 2022. Sono stati inclusi sette studi per un totale di 4006 pazienti, con un follow-up medio di 12,9 mesi. L’endpoint primario di efficacia era la mortalità per tutte le cause, mentre quelli di sicurezza erano i sanguinamenti maggiori, disabilitanti o potenzialmente letali. Altri endpoint di interesse erano la mortalità per cause cardiovascolari e non cardiovascolari, il tasso di infarto miocardico, di stroke, di embolia e di ridotta apertura valvolare di grado 3 o 4. Tra i pazienti inclusi, 650 (16,2%) hanno ricevuto una SAPT, 1893 (47,3%) una doppia terapia antiaggregante (DAPT) e 1463 (36,5%) hanno ricevuto DOACs, nello specifico apixaban in 526 (13,1%) casi, edoxaban in 111 (2,8%) e rivaroxaban a bassa dose + tre mesi di SAPT in 826 (20,6%) casi.

Il rischio di mortalità per tutte le cause è risultato significativamente ridotto con una doppia terapia antiaggregante rispetto ad un regime di rivaroxaban a bassa dose + tre mesi di SAPT (RR 0,60, 95% CI 0,41–0,88); non si è osservata invece una significativa riduzione con una SAPT rispetto ad una DAPT (RR 1,02, 95% CI 0,67–1,58), e tra SAPT e DAPT comparate con apixaban o edoxaban (RR 0,60, 95% CI 0,32–1,14 and RR 0,59, 95% CI 0,34–1,02, rispettivamente). La singola antiaggregazione è risultata significativamente associata ad una riduzione dei sanguinamenti maggiori, disabilitanti o potenzialmente mortali rispetto ad un regime di DAPT (RR 0,45, 95% CI 0,29–0,70), apixaban o edoxaban da soli (RR 0,45, 95% CI 0,25–0,79) o rivaroxaban a bassa dose + tre mesi di SAPT (RR 0,30, 95% CI 0,16–0,57). Rispetto ai DOACs, invece, la DAPT non ha dimostrato di ridurre il tasso di sanguinamenti maggiori (RR 1,05, 95% CI 0,67-1,66). Non sono state inoltre riscontrate differenze tra i vari regimi terapeutici per quanto concerne il tasso di infarto miocardico, stroke o embolia sistemica.

In pazienti a rischio intermedio-alto senza indicazione a terapia anticoagulante cronica, pertanto, in seguito ad intervento di TAVI la singola terapia antiaggregante ha più che dimezzato il rischio di sanguinamento rispetto ad una doppia antiaggregazione e ad una terapia con anticoagulanti orali, senza tuttavia aumentare il rischio di complicanze ischemiche. L’utilizzo di inibitori diretti del fattore Xa, infatti, non ha portato ad una significativa riduzione del rischio di stroke o infarto miocardico nella casistica considerata dallo studio. Nello specifico, la terapia con apixaban o rivaroxaban a bassa dose, rispetto a quella con SAPT o DAPT, è risultata associata ad una significativa riduzione della trombosi delle cuspidi valvolari, senza tuttavia impattare sul rischio di stroke nella popolazione oggetto di analisi.    

Traduzione e revisione a cura di Antonio Bellantoni

https://academic.oup.com/ehjcvp/article-abstract/9/3/251/6987635?redirectedFrom=fulltext&login=true

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Different Phases of Disease in Lymphocytic Myocarditis Clinical and Electrophysiological Characteristics

Michela Casella, MD, PHD,a,b,* Alessio Gasperetti, MD,c,* Paolo Compagnucci, MD,a,d Maria Lucia Narducci, MD, PHD,e Gemma Pelargonio, MD, PHD,e,f Valentina Catto, PHD,c Corrado Carbucicchio, MD,c Gianluigi Bencardino, MD, PHD,e Edoardo Conte, MD,g Nicolò Schicchi, MD,h Daniele Andreini, MD, PHD,g,i Gianluca Pontone, MD, PHD,g Andrea Giovagnoni, MD,b,h Stefania Rizzo, MD,j Frediano Inzani, MD,k Cristina Basso, MD, PHD,j Andrea Natale, MD,l Claudio Tondo, MD, PHD,f,m Antonio Dello Russo, MD, PHD,a,d Filippo Crea, MDe,f

a Cardiology and Arrhythmology Clinic, University Hospital “Ospedali Riuniti,” Ancona, Italy;

b Department of Clinical, Special and Dental Sciences, Marche Polytechnic University, Ancona, Italy;

c Department of Clinical Electrophysiology and Cardiac Pacing, Centro Cardiologico Monzino IRCCS, Milan, Italy;

d Department of Biomedical Sciences and Public Health, Marche Polytechnic University, Ancona, Italy;

e Department of Cardiovascular and Thoracic Sciences, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Rome, Italy;

f Institute of Cardiology, Catholic University of the Sacred Heart, Rome, Italy;

g Cardiovascular Computed Tomography and Radiology Unit, Centro Cardiologico Monzino IRCCS, Milano, Italy;

h Department of Radiology, University Hospital “Umberto I–Lancisi–Salesi,” Ancona, Italy;

I Department of Clinical Sciences and Community Health, University of Milan, Milan, Italy;

J Cardiovascular Pathology Unit, Department of Cardiac, Thoracic, Vascular Sciences and Public Health, Azienda Ospedaliera-University of Padua, Padova, Italy;

k Department of Woman, Child and Public Health Sciences, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Rome, Italy;

l Texas Cardiac Arrhythmia Institute, St. David’s Medical Center, Austin, Texas, USA;

m Department of Biomedical, Surgical and Dental Sciences, University of Milan, Milan, Italy.

ABSTRACT

La miocardite è una patologia del miocardio caratterizzata da un infiltrato di cellule infiammatorie attive e necrosi dei cardiomiociti, solitamente secondaria a fenomeni autoimmuni o infezioni virali (1, 2). La miocardite si può presentare con una pletora di manifestazioni cliniche talora aspecifiche ed eterogenee, che vanno dallo scompenso cardiaco acuto fino ad aritmie ventricolari pericolose per la vita. La diagnosi richiede un approccio multimodale, come suggerito dal position statement dell’European Society of Cardiology Working Group on Myocardial and Pericardial Disease del 2013, e spesso è necessaria una biopsia endomiocardica per la conferma della diagnosi definitiva (3).

In questo lavoro si fa luce sulle caratteristiche cliniche ed elettrofisiologiche delle diverse fasi della miocardite linfocitaria (LM), nello specifico miocardite acuta (AM), miocardite cronica attiva (CAM), e miocardite risolta (HM) (4).

ARTICOLO

In questo studio sono stati arruolati in maniera prospettica da tre diversi centri (Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona, Centro Cardiologico Monzino IRCCS di Milano e Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma) 122 pazienti con diagnosi istologica di miocardite linfocitaria ottenuta mediante biopsia endomiocardica percutanea guidata da mappaggio elettroanatomico (EAM) ed ecocardiografia intracavitaria (ICE). La maggior parte dei pazienti ha avuto una presentazione aritmica all’esordio. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a risonanza magnetica cardiaca (CMR) e a studio elettrofisiologico (EPS). Integrando i dati clinici con i dati strumentali non invasivi ed invasivi secondo un approccio multimodale, come indicato dal Position Statement Europeo, è stato possibile suddividere i pazienti in 3 gruppi: il 36% aveva AM, il 34% CAM e infine il 30% HM.

Le aritmie ventricolari complesse erano molto comuni nella popolazione totale (109, 89%), ma la fibrillazione ventricolare e la morte cardiaca improvvisa abortita erano lievemente più prevalenti all’esordio nella miocardite acuta (P = 0.028) mentre non vi era differenza nella distribuzione delle tachicardie ventricolare sostenute.

Per quanto concerne i risultati della CMR, i gruppi con CAM e HM avevano una più elevata incidenza di late gadolinium enhancement rispetto al gruppo con AM (94.4% vs 92.9% vs 50%; P < 0.001), mentre l’edema era più comune nella AM rispetto alla CAM, ed era completamente assente nella HM (90.9% vs 50% vs 0%; P < 0.001). L’edema alla CMR si è dimostrato essere il predittore clinico indipendente più potente per la presenza di infiammazione attiva all’esame istologico.

Il mappaggio elettroanatomico ha mostrato una minor prevalenza di aree di basso voltaggio nella AM rispetto alla CAM e alla HM. È stata riscontrata una forte associazione tra edema in un determinato segmento miocardico e voltaggi normali in quel sito specifico (odds ratio: 0.24; 95% CI: 0.10-0.54; P < 0.01) specialmente nei pazienti con AM, così come tra la presenza di LGE in una determinata area e i bassi voltaggi nella stessa (odds ratio: 2.86; 95% CI: 1.19-6.97; P = 0.019) specialmente nei pazienti con CAM e HM.

Questi risultati portano a postulare che le aritmie caotiche ventricolari come la FV possano essere il risultato di un insulto miocardico di recente insorgenza caratterizzato da necrosi e infiammazione a livello istologico che sono tipicamente riscontrati nella AM. La successiva fase fibrotica sostitutiva, tipica della HM, potrebbe fornire invece il substrato aritmico di rientro che è alla base di TV monomorfe. La CAM, essendo caratterizzata dal punto di vista istologico sia da infiammazione attiva che da fibrosi sostitutiva, si può presentare con aritmie ventricolari tipiche sia della AM che della HM.  Per quanto concerne i risultati del mappaggio elettroanatomico e la loro correlazione con i dati CMR, le aree di bassi voltaggi potrebbero essere più indicative di cicatrice fibrotica che di infiammazione attiva, come accade nella CAM e HM dove è presente fibrosi sostitutiva come risultato di infiammazione cronica e di cicatrice post miocarditica, rispettivamente. 

In conclusione, una valutazione multimodale comprensiva di test non invasivi ed invasivi, ed in particolar modo integrando i dati della CMR e del mappaggio elettroanatomico, permette di rivelare le specifiche caratteristiche delle diverse fasi della miocardite con una netta distinzione tra la fase di infiammazione precoce (AM) e i successivi stadi cicatriziali (CAM e HM). Tali osservazioni vanno a rinforzare il concetto dell’approccio fase-specifico alla miocardite, e i dati elettrofisiologici sono importanti al fine di offrire una diagnosi e terapia “patient-tailored”

http://JACC CLINICAL ELECTROPHYSIOLOGY 2023 Mar, 9 (3) 314–326

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Figure-1-

Impact of secondary prevention medical therapies on outcomes of patients suffering from Myocardial Infarction with NonObstructive Coronary Artery disease (MINOCA): a meta-analysis.

 Impact of secondary prevention medical therapies on outcomes of patients suffering from Myocardial Infarction with NonObstructive Coronary Artery disease (MINOCA): a meta-analysis.

Ovidio De Filippo MD1, Caterina Russo MD1, Rossella Manai MD1, Irene Borzillo MD1, Federica Savoca MD1, Guglielmo Gallone MD1, Francesco BrunoMD1, Mahmood Ahmad2 MD, Gaetano Maria De Ferrari Prof 1, Fabrizio D’Ascenzo MD Ph.D.1

Cardiovascular and thoracic department, A.O.U. Città della Salute e della Scienza, Turin, Italy and Department of Medical Sciences, University of Turin, Italy

Abstract

Lo scopo dello studio è valutare l’impatto delle terapie mediche di prevenzione secondaria (statine, ACE-inibitori/bloccanti dei recettori dell’angiotensina (ARB), beta-bloccanti (BB) e doppia terapia antipiastrinica (DAPT)) nei pazienti con diagnosi di MINOCA.

I dati provenienti dai cinque studi osservazionali suggeriscono che beta-bloccanti, statine e DAPT siano associati a un beneficio di sopravvivenza nei pazienti con MINOCA (HR 0,60:0,45-0,81, p<0,001, HR0,81:0,66-0,99, p=0,04 e HR0,73:0,55-0,98, rispettivamente per le statine, beta bloccanti e DAPT). Gli ACE-inibitori/ARB comportano un rischio ridotto di MACE (HR 0,65:0,44-0,94, p=0,02, tutti IC 95%). Nessuna delle terapie di prevenzione secondaria studiate è associata a un rischio ridotto di IMA.

Commento

I MINOCA rappresentano dal 2 al 6% di tutti gli infarti miocardici (1,2).  I criteri diagnostici includono l’assenza di evidenza di ostruzione coronarica angiografica (cioè stenosi coronarica <50%) e di una diagnosi alternativa clinicamente evidente per la presentazione acuta (es. sepsi, embolia polmonare, ecc.) (3). Pertanto, possono essere inclusi sia i pazienti con arterie coronarie normali (nessuna stenosi > 30%) che quelli con lieve ateromasia coronarica (stenosi >30% ma <50%). In questo contesto, a causa delle incertezze nella fisiopatologia sottostante e della diagnosi, l’impiego di adeguate terapie mediche di prevenzione secondaria rappresenta una questione rilevante e indeterminata.

Il presente studio è la prima metanalisi che include i dati di tutti gli studi osservazionali pubblicati in merito alla terapia dei MINOCA.  Sono state eseguite ricerche per identificare tutti gli RCT e studi osservazionali che valutassero l’impatto degli ACE inibitori, degli ARB, dei beta-bloccanti, delle statine e della DAPT sugli outcome di interesse nei pazienti ammessi con diagnosi di MINOCA.  L’endpoint primario è la mortalià per tutte le cause, endpoint secondari sono i MACE (major adverse cardiovascular events) e l’IMA (infarto miocardico acuto). Gli studi osservazionali individuati sono cinque: Paolisso et al, Lindahl B et al, Ciliberti G et al, Choo EH, Abdu FA et al (4, 5, 6, 7, 8) le cui caratteristiche sono sintetizzate nella tabella 1.

I principali risultati possono essere così riassunti:

– Statine, beta-bloccanti e DAPT sono associati a una significativa riduzione dei decessi per tutte le cause al follow-up a medio termine (HR 0,81, IC 95% 0,66-0,99, p=0,04, HR 0,60, 95% CI 0,45-0,81, p<0,001, (HR 0,73, IC 95% 0,55-0,98, p=0,03 rispettivamente statine beta-bloccanti e DAPT) (Figura 1).

– Gli ACE-inibitori/ARBs forniscono un effetto benefico sulla riduzione dei MACE (HR 0,53, IC 95% 0,28-0,98, p=0,04) (Figura 2).

– Non è stata osservata alcuna associazione significativa tra beta-bloccanti, ACE-inibitori/ARB, statine e IMA (HR 0,48 IC 95% 0,12-1,87; HR IC 95% 0,83, 0,67-1,03, e HR: 0,88, IC 95% 0,68-1,14, rispettivamente; tutti p-value non significativi) (Figura 3).

Quale terapia dunque per i pazienti con diagnosi di MINOCA?

L’attuale generazione di cardiologi è cresciuta apprendendo che MINOCA è una “diagnosi funzionante” che dovrebbe essere utilizzata solo come definizione temporanea durante l’esecuzione di un lavoro diagnostico completo, mirando sia a escludere cause non ischemiche di danno miocardico sia a rilevare con precisione il processo ischemico che sottende l’infarto del miocardio. Ciò ha progressivamente aumentato l’importanza della RMN come punto di svolta per identificare un pattern ischemico di danno miocardico e la necessità di un accurato imaging intracoronarico o test di vasoreattività/valutazione fisiologica per rilevare processi aterotrombotici, disfunzione microvascolare o spasmo coronarico. Idealmente, l’etichetta MINOCA non sarà più necessaria in futuro, poiché ogni paziente ricoverato per infarto miocardico acuto e senza malattia coronarica ostruttiva riceverà una corretta diagnosi che tenga conto dell’evento ischemico. Ciò includerà ragionevolmente una terapia mirata all’eziopatologia sottostante. Tuttavia, prove di real life evidenziano un sostanziale sottoutilizzo della RMN e dei test coronarici invasivi a causa della disponibilità limitata e dello sfavorevole rapporto costo/efficacia. Di conseguenza, molti pazienti vengono trattati su basi empiriche.

Sebbene siano stati inclusi solo studi osservazionali e siano necessari studi randomizzati controllati per confermare quanto abbiamo trovato (attualmente è in corso il MINOCA bat trial che valuta l’impatto di beta-bloccanti, ACE inibitori e ARBs nei pazienti con MINOCA) (9), riteniamo che i risultati di questa metanalisi possano essere un valido ausilio nell’ indirizzare il clinico nell’utilizzo di una terapia cardioprotettiva empirica nei pazienti dimessi con diagnosi di MINOCA.

Legend: ACE-i: angiotensin converting enzyme inhibitors; ARB: angiotensin receptor blockers; MINOCA: myocardial infarction with nonobstructive coronary artery disease; AMI: acute myocardial infarction; MACE: major adverse cardiovascular events; ACS: acute coronary syndrome.

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Figure-2

Beta-blockers are associated with better long-term survival in patients with Tako- Tsubo syndrome

Angelo Silverioa, Guido Parodib, Fernando Scudieroc, Eduardo Bossoned, Marco Di Maioa, Olga Vrize,f, Michele Bellinog, Concetta Zitoh, Gennaro Provenzag, Ilaria Radanog, Cesare Baldig, Antonello D’Andreai, Giuseppina Novoj, Ciro Maurod, Fausto Rigok, Pasquale Innellil, Jorge Salerno-Uriartem, Matteo Camelin, Carmine Vecchionea,o, Francesco Antonini-Canterinp, Gennaro Galassoa, Rodolfo Citrog,o.

a Department of Medicine, Surgery and Dentistry, University of Salerno, Baronissi, Salerno, Italy

b Department of Cardiology, ASL4 Liguria, Lavagna, Italy

c Cardiology Unit, Health Authority Bergamo East, Italy

d Division of Cardiology, Antonio Cardarelli Hospital, Naples, Italy

e King Faisal Specialist Hospital and Research Center, Riyadh, Saudi Arabia

f College of Medicine, Al Faisal University, Riyadh, Saudi Arabia

g Division of Cardiology, Cardiovascular and Thoracic Department, San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona University Hospital, Salerno, Italy

h Department of Clinical and Experimental Medicine, Section of Cardiology, University of Messina, University Hospital “Policlinico G. Martino”, Messina, Italy

i Department of Cardiology and Intensive Coronary Unit, “Umberto I” Hospital, Nocera Inferiore (Salerno), Italy

j Biomedical Department of Internal Medicine and Medical Specialties, Cardiology Unit, University of Palermo, Palermo, Italy

k Cardiology Department, Ospedale dell’Angelo Mestre-Venice, Venice, Italy

l Department of Cardiovascular Imaging, San Carlo Hospital, Potenza, Italy

m University of Insubria, Varese, Italy

n Division of Cardiology, Department of Medical Biotechnologies, University of Siena, Siena, Italy

o Vascular Physiopathology Unit, IRCCS Neuromed, Pozzilli, Italy

p Cardiology Unit, High Specialization Rehabilitation Hospital Motta di Livenza, Motta di Livenza, Treviso, Italy

INTRODUCTION

Although Tako-Tsubo syndrome (TTS) is generally considered a benign disease, recent evidence from large-scale registries has demonstrated a substantial morbidity and mortality during follow-up.[1, 2]

Supraphysiological serum levels of catecholamines have been reported in TTS [3, 4, 5] and could influence patients’ clinical outcome not only during the hospitalization but also at long term. On this basis, the use of beta-blockers has been proposed to mitigate the sympathetic drive, blunt the effects of further catecholamines’ surge, and avoid their potentially detrimental effect after the acute phase.However, to date the long-term prognostic benefits of beta-blockers has not been proven in TTS.[6, 7]

The aim of the present study was to investigate the impact of beta-blockers therapy on long-term outcomes of patients with TTS by using the information prospectively collected in the Tako-Tsubo Italian Network Registry.

RESULTS

The study population included 825 patients with TTS diagnosis; 488 (59.2%) were discharged on beta-blockers, and 337 (40.8%) without beta-blockers. The median age was 72.0 (63.0-78.0) years and 91.9 % were females.

The prescription of beta-blockers at discharge was prevalent in patients with CAD (p=0.042) and in patients presenting with chest pain (p<0.001), while was lower in patients with COPD (p=0.029). No differences between groups were observed in terms of in-hospital complications.

The median follow-up time was 24 months. The Kaplan-Meier analysis showed a significantly higher survival free from all-cause death (Log-Rank=0.004) and from non-cardiac death (Log-Rank=0.006) in patients treated with beta-blockers (Figure 1). Survival free from TTS recurrence and from cardiac death was not statistically different between groups.

The propensity score–weighted adjusted regression analysis confirmed the significantly lower risk of all-cause death (adjusted HR:0.56; 95%CI:0.36-0.89) and non-cardiac death (adjusted HR:0.56; 95%CI:0.31-0.89) in patients treated vs. those not treated with beta-blockers, and no difference for TTS recurrence and cardiac death between groups (Figure 2).

The effect of beta-blocker treatment on all-cause mortality was consistent among the prespecified subgroups of interest except for hypertension and cardiogenic shock (Figure 3). The survival effect of beta-blockers was higher in patients with hypertension, with a significant subgroup interaction (pinteraction=0.014). The survival benefit of beta-blockers was also higher among patients who developed cardiogenic shock during the acute phase than in those who did not (pinteraction=0.047).

DISCUSSION AND CONCLUSIONS

The TTS pathophysiology seems to reflects the cardiovascular response to sudden raise in serum catecholamine concentrations, often in the context of acute emotional or physical stressful events.[3] In patients recovering and being discharged after the index event, long-term treatment with beta-blockers might reduce the sympathetic overdrive and the risk of adverse events at long term.

The main findings of this real-world multicenter study can be summarized as follows:

i) Beta-blockers were prescribed in about 60% of TTS patients at discharge;

ii) Beta-blocker treatment was associated with lower risk of overall mortality at long-term follow-up;

iii) the beneficial effect of beta-blockers on overall survival was significantly higher in patients with hypertension and in those who developed cardiogenic shock during the acute phase.

This observational study reports in a large multicenter real-world population the association of beta-blocker treatment with higher survival and identified specific categories of patients where the use of beta-blockers appears particularly advantageous, such as in TTS patients with hypertension and in those who developed cardiogenic shock during the acute phase.

Although needing confirmation by randomized clinical studies, these findings could have important implications for a more rationale use of beta-blockers in the long-term management of TTS patients.

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FIGURE LEGENDS

Figure 1. Kaplan-Meier curves for survival free from all-cause death (A), TTS recurrence (B), cardiac death (C), and non-cardiac death (D) in patients treated or not with beta-blockers at long-term follow-up.

aHR, adjusted hazard ratio; BB, beta-blockers; CI, confidence interval; HR, hazard ratio; TTS, takotsubo syndrome.

Figure 2. Study selection process and adjusted Cox regression analysis.

aHR, adjusted hazard ratio; BB, beta-blockers; CI, confidence interval; HR, hazard ratio; TIN, Takotsubo Italian Network; TTS, takotsubo syndrome.

Figure 3. Subgroup analysis for the risk of the primary outcome in patients treated or not with beta-blockers.

BB, beta-blockers; CAD, coronary artery disease; CI, confidence interval; CS, cardiogenic shock; HR, hazard ratio, TTS, takotsubo syndrome.

aHR, adjusted hazard ratio; BB, beta-blockers; CI, confidence interval; HR, hazard ratio; TTS, takotsubo syndrome.

The p-value expresses the statistical heterogeneity of the beta-blocker treatment effectiveness between the subgroups of interest.

FIgura-_1-1

Prevalence and clinical predictors of inappropriate direct oral anticoagulant dosage in octagenarians with atrial fibrillation

Andreina Carbone1 · Francesco Santelli2 · Roberta Bottino1 · Emilio Attena3 · Carmine Mazzone4 · Valentina Parisi5 · Antonello D’Andrea6 · Paolo Golino1 · Gerardo Nigro1 · Vincenzo Russo1

  1. Chair of Cardiology, Department of Translational Medical Sciences, University of Campania “Luigi Vanvitelli”, Monaldi Hospital, Piazzale Ettore Ruggeri, 80131 Naples, Italy
  2. Department of Political Sciences, University of Naples Federico II, Naples, Italy
  3. Department of Cardiology, Health Authority Naples 2 North, Naples, Italy
  4. Cardiovascular Centre, Health Authority, Trieste, Italy
  5. Department of Translational Medical Sciences, University of Naples Federico II, Naples, Italy
  6. Unit of Cardiology and Intensive Coronary Care, Umberto I Hospital, Nocera Inferiore, Italy

ABSTRACT

I DOACs (direct oral anticoagulants) rappresentano la strategia farmacologica di prima linea per la prevenzione dello stroke ischemico in pazienti con fibrillazione atriale (FA) in cui è indicata una terapia anticoagulante orale. La prevalenza della FA aumenta progressivamente con l’età. L’età avanzata rappresenta un fattore predittivo indipendente di outcome avversi nella FA ed è associata sia con una ridotta prescrizione dei DOACs che con dosaggio inappropriato (sovradosaggio e sottodosaggio). Numerosi studi supportano la sicurezza e l’efficacia dei DOACs nella popolazione anziana, evidenziando inoltre una ridotta efficacia del sottodosaggio prescrittivo nella prevenzione degli eventi tromboembolici nella FA [1]. L’obiettivo del presente studio è dunque quello di valutare la prevalenza e i predittori di un inappropriato dosaggio dei DOACs in pazienti con FA e di età > 80 anni.

RISULTATI

Nello studio multicentrico sono stati arruolati 253 pazienti con FA (età media 83 anni; 58% donne). Tra questi, 178 pazienti (71%) assumevano un corretto dosaggio dei DOACs e 75 pazienti (29%) un dosaggio inappropriato (n=19 (25.6%) sovradosaggio; n=56 (74.4%) sottodosaggio). Il sovradosaggio e il sottodosaggio è stato definito come la somministrazione, rispettivamente, di una più bassa o una più alta dose di DOACs rispetto a quella raccomandata nel documento di consensus dell’EHRA [2]. L’analisi per sottogruppi (sovra e sottodosaggio) evidenziava  che il sottodosaggio dei DOACs era indipendentemente associato con il sesso maschile, con la malattia aterosclerotica coronarica (coronary artery disease, CAD) e con elevati valori di BMI (Tabella 1); il sovradosaggio dei DOACs, invece, si associava con età, diabete meillito e pregressi sanguinamenti (Tabella 1). Riguardo gli outcome clinici, il gruppo con sottodosaggio dei DOACs presentava una riduzione significativa della sopravvivenza rispetto al gruppo con appropriato dosaggio durante un follow-up medio di 32 ± 10 mesi (Figura 1). Non sono state riscontrate differenza significative tra i diversi gruppi riguardo l’insorgenza di eventi tromboembolici sistemici o dei sanguinamenti maggiori.

Tabella 1. Variabili predittive di sovra o sottodosaggio dei DOACs nella popolazione oggetto di studio.

Figura 1. Lecurve di Kaplan-Meier confrontano il tasso di sopravvivenza tra i 3 gruppi in studio (appropriato dosaggio, sovradosaggio e sottodosaggio dei NOACs).

COMMENTARY

Studi pregressi comprendenti pazienti affetti da FA di età inferiore, riportavano una prevalenza di sovradosaggio dei DOACs compresa tra 2% e 14% e di sottodosaggio tra il 14% e il 45%. Sugrue et al. [3] evidenziava una associazione tra sottodosaggio prescrittivo dei DOACs e il sesso maschile. Nel registro GARFIELD-AF [4], il sottodosaggio si associava alla presenza di  sindrome coronarica acuta. In linea con l’analisi di Ruiz et al. [5], questo studio ha messo in evidenza che elevati valori di BMI si associavano con sottodosaggio dei DOACs. Tuttavia è necessario considerare che il calcolo del BMI negli over 80 presenta alcuni limiti dovuti alla presenza di sarcopenia e ai possibili diversi cut-off presi in considerazione in questa popolazione [6]. Il diabete mellito si conferma predittore indipendente di sovradosaggio dei DOACs, in accordo con lo studio di Sugrue et al. [3] Questo risultato potrebbe in parte spiegare l’aumentato rischio di eventi ischemici cerebrali evidenziati in pazienti con FA affetti da diabete mellito [7]. Infine, nell’analisi per sottogruppi, anche la presenza di pregressi eventi emorragici era indipendentemente associata con il sovradosaggio dei  DOACs. Il dosaggio inappropriato dei DOACs presenta un importante impatto nella pratica clinica. E’ stato dimostrato, infatti, che un inappropriato sottodosaggio di apixaban si associava con un aumentato tasso di stroke [8], mentre un sovradosaggio dei DOACs si associava a un incremento di mortalità per tutte le cause [9].

In conclusione, i principali risultati dello studio sono i seguenti:

  • Pazienti con FA over 80 affetti diabete mellito o con pregressi eventi emorragici sono a rischio di sovradosaggio dei DOACs.
  • Pazienti  con FA over 80 di sesso maschile, con elevati valori di BMI oppure affetti da CAD sono a rischio di sottodosaggio dei DOACs.
  • Il gruppo con sottodosaggio dei DOACs presentava una riduzione significativa della sopravvivenza rispetto al gruppo con appropriato dosaggio.

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Atrial Fibrillation and Peri-Atrial Inflammation Measured through Adipose Tissue Attenuation on Cardiac Computed Tomography

Autori: Nicola Gaibazzi, Chiara Martini, Giorgio Benatti, Alessandro Anselmo Palumbo, Giovanna Cacciola, Domenico Tuttolomondo 

ABSTRACT

L’infiammazione del tessuto adiposo epicardico localizzato attorno all’atrio sinistro, alterando le proprietà morfo-funzionali di quest’ultimo, gioca un ruolo chiave nell’induzione della fibrillazione atriale. Lo scopo di questo studio è quello di valutare quanto il volume e/o la densità di tessuto adiposo peri-atriale  siano correlate all’insorgenza di FA, in maniera indipendente rispetto alle dimensioni atriali.

Figura 1. Ricostruzione di una proiezione trasversale dell’atrio sinistro, ove viene misurato il volume e il valore di attenuazione (in Hounsfield) del tessuto adiposo periatriale localizzato posteriormente ad esso.A) rappresenta la prima sezione, ricavata all’altezza del seno coronarico mentre B) corrisponde a una sezione medioatriale. C) rappresenta la regione di interesse (ROI) di una specifica sezione tracciata manualmente mentre D) mostra la ricostruzione 3D della ROI

Sebbene il volume di tessuto adiposo peri-atriale sia significativamente maggiore in termini assoluti nei pazienti con FA, al contrario una maggiore densità dello stesso risulta essere un parametro più affidabile associato all’insorgenza di FA, indipendentemente dalle dimensioni dell’atrio sinistro, considerando che i pazienti con FA presentano di per sé volumi atriali maggiori.

ARTICOLO

Diversi studi hanno riportato un’associazione tra tessuto adiposo epicardico-pericardico e la fibrillazione atriale; (1,2)  i meccanismi fisiopatologici ipotizzati alla base del trigger aritmico includono il rimodellamento elettrico  secondario all’infiltrazione adiposa dei miociti atriali e/o all’attività pro-infiammatoria degli adipociti stessi, oppure indotto dalla fibrosi del miocardio adiacente (3;4).

L’associazione infiammazione-FA si è basata sinora su assunti di tipo “indiretto”, derivati dal riscontro di aumentati livelli sistemici di PCR o citochine in corso di FA e/o dall’evidenza di una ridotta incidenza di tale aritmia nei pazienti trattati con colchicina nella prevenzione della PO-AF. [5].

Il ruolo dell’infiammazione è stato anche studiato mediante metodiche d’imaging: dapprima, sebbene con scarso rendimento diagnostico, tramite PET con 18-FDG, probabilmente per la scarsa selettività del tracciante per l’attività macrofagica indotta dall’infiammazione locale e/o per una possibile ridotta captazione in presenza di fibrosi atriale, caratteristica precipua del milieu atriale in corso di FA. [6].

Successivamente, uno studio più recente ha invece esaminato tramite tomografia cardiaca computerizzata (TC) la quota di tessuto adiposo situato posteriormente all’atrio sinistro, dimostrando come la massa di  grasso peri-atriale sia significativamente maggiore nei pazienti con FA, (7] seppur con il severo limite di una mancata correzione di tale valore per le dimensioni dell’atrio sinistro, rendendo in tal mondo non possibile concludere con certezza se il risultato ottenuto fosse semplicemente dovuto alla presenza di per sé di atri di più grandi dimensioni nei pazienti con fibrillazione atriale, o se le due variabili fossero effettivamente indipendenti tra loro.

Nel nostro studio abbiamo ipotizzato come il valore di densità media del grasso peri-atriale, misurato come area di “attenuazione” alla CT, possa essere considerato un marker dello stato infiammatorio locale, analogamente a quanto precedentemente dimostrato per il tessuto adiposo perivascolare coronarico. [8] .

L’analisi è stata condotta secondo un modello retrospettivo, caso-controllo, su un totale di 160 pazienti, suddivisi in 2 gruppi: 80 con storia di FA in predicato di eseguire ablazione trans-catetere vs 80 senza anamnesi positiva per FA selezionati casualmente come controlli con quadro di sospetta coronaropatia, entrambi sottoposti a CCTA dal Gennaio 2015 al Gennaio 2019, per la valutazione rispettivamente dell’anatomia delle vene polmonari e del circolo coronarico.

Sono stati esclusi dal presente studio pazienti con CAD nota o malattia infiammatoria/infettiva cronica o cancro attivo o indolente, pregresso MINOCA, precedente rivascolarizzazione coronarica chirurgica o percutanea o chirurgia aortica/vascolare, sindrome di Tako Tsubo, cardiopatia valvolare; sono stati selezionati come controlli solo i pazienti con evidenza alla CCTA di stenosi non significative, di lieve entità (≤ 30%) o circolo coronarico indenne.

Il tessuto adiposo peri-atriale (Fat-LA) è stata identificato come tale per valori di unità di Hounsfield (HU) alla TC compresi −190 e −30 HU, e per ciascun paziente è stato fornito il valore medio di attenuazione del grasso, riportando anche le percentuali di tessuto adiposo all’interno del volume peri-atriale complessivamente campionato; il volume assoluto di Fat-LA è stato in seguito indicizzato per le dimensioni dell’atrio sinistro.

RISULTATI

I pazienti nel gruppo FA erano significativamente più anziani (61,4 ± 10,9 contro 55,5 ± 12,9 anni, p = 0,004), meno frequentemente femmine (30% contro 54%, p = 0,002), e presentavano un valore mediano di BMI simile tra i due gruppi (27 (25–30) vs. 25,9 (23,7–28,6) kg/m2, p = 0,189).

Tra i principali parametri ecocardiografici, il valore di LVEF non è risultato diverso tra i due gruppi (60 (55–64) vs. 60 (55–63)%, p = 0,723), mentre i valori di area e volume atriale sinistro nettamente maggiori rispetto ai controlli (rispettivamente di area pari a 22,4 (18,3–25,8) versus 18 (15–19,5 cm2, p<0,001) e di LAVI pari a 37 (33–43) versus 33 (23,5–37,5) ml, p = 0,030).

Il volume della regione di interesse (ROI) che è stato disegnato posteriormente all’atrio sinistro era significativamente più alto nei pazienti con FA rispetto ai controlli (26,4 (22,4 –32,5) vs 18 (14,1–23,6) ml, p <0,001. Il volume mediano di Fat-LA nella popolazione era di 4,2 (2,6–6,6) ml; la sua misura assoluta è risultata significativamente più alta nei casi (4,7 (3,2–7,5) vs 3,6 (2,2–5,5) ml, p= 0,007), per contro la percentuale di Fat-LA all’interno della ROI di interesse non era significativamente diversa tra i due gruppi (AF 19,48% ± 9,47 vs non AF 21,06% ± 9,54, p = 0,317).

FIGURA 2A

Come mostrato nella Figura 2a, rispetto all’intero volume della ROI designata, il volume assoluto di grasso peri-atriale è risultato ad esso significativamente correlato, con r = 0,531 (IC 95% da 0,404 a 0,638), p < 0,0001; la densità invece, solo lievemente relata, con r = 0,208 (IC 95% da 0,047 a 0,358) e un significato borderline di p = 0,01 (non mostrato). 

FIGURA 2B

I pazienti con FA presentavano valori significativamente più alti (più vicini a 0 HU) di densità di grasso peri-atriale rispetto al gruppo non-FA (attenuazione media -69,15 ± 8,28 vs -76,82 ± 8,54 HU, p < 0,001) (vedi Figura 2b). 

Il volume del grasso peri-atriale è risultato maggiore nei pazienti con FA (5,42 ± 2,94 ml) rispetto a quelli non affetti (4,16 ± 2,55 ml, p = 0,007), ma la quota relativa di tessuto adiposo non differiva dopo aggiustamento di tale valore per le dimensioni dell’atrio sinistro singolarmente analizzate. La media del valore di attenuazione del grasso si è rivelata significativamente più alta nei soggetti affetti da FA (-69,15 HU) rispetto ai controlli (-76,82 HU, p <0,0001). 

CONCLUSIONI

Il volume di tessuto adiposo peri-atriale è significativamente aumentato nei soggetti con burden aritmico rispetto a quelli senza: tuttavia questo dato perde di valenza statistica se si tiene conto del maggiore volume dell’atrio sinistro proprio dei pazienti fibrillanti.

 Di converso, la densità del grasso prospiciente l’atrio sinistro valutato alla TC cuore è risultata direttamente correlata con la coesistenza di FA indipendentemente dalle dimensioni atriali. 

Questa associazione potrebbe costituire in futuro una possibile variabile da valutare nei pazienti con FA che si sottopongono ad imaging cardiovascolare multimodale pre-ablazione.

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FIgura-1

Prognostic Value of Non-Invasive Global Myocardial Work in Asymptomatic Aortic Stenosis

Federica Ilardi1,2, Adriana Postolache1, Raluca Dulgheru1, Mai-Linh Nguyen Trung1, Nils de Marneffe1, Tadafumi Sugimoto1,3, Yun Yun Go1,4, Cécile Oury1, Giovanni Esposito2 and Patrizio Lancellotti1,5.

1 Department of Cardiology and Radiology, GIGA Cardiovascular Sciences, CHU Sart Tilman, Liege University Hospital, 4000 Liege, Belgium;

2 Department of Advanced Biomedical Sciences, Federico II University Hospital, Via S. Pansini, 5, 80131 Napoli, Italy;

3 Clinical Laboratory, Mie University Hospital, Tsu 514-8507, Japan

4 Department of Cardiology, National Heart Research Institute Singapore, National Heart Centre Singapore, Singapore 169609, Singapore

5 Gruppo Villa Maria Care and Research, Anthea Hospital, 70124 Bari, Italy

ABSTRACT

Secondo le attuali linee guida, la sostituzione valvolare aortica in pazienti affetti da SA con frazione di eiezione (FE) preservata (>55%) ed asintomatici dovrebbe essere considerata in presenza di stenosi aortica (SA) very severe (definita da specifici parametri emodinamici quali: velocità di picco del jet aortico ≥5 m/sec, gradiente medio ≥60 mmHg, rapida progressione di malattia e severa ipertensione polmonare) data l’elevatissima mortalità in questi pazienti. Tuttavia, a prescindere dai sintomi, va considerato che anche i pazienti con SA moderata presentano un rischio di morte elevato, paragonabile a quelli con SA severa e di poco inferiore ai pazienti con SA very severe. Va altresì detto che quando pazienti con SA moderata-severa asintomatici venivano stratificati secondo la stadiazione del danno cardiaco proposto da Tastet et al (Figura 1), c‘era un’aumentata mortalità nei pazienti in stadio più avanzato. Ad oggi non è stato ancora investigato il ruolo degli indici di stima non-invasiva del myocardial work (MW) nei pazienti affetti da SA asintomatici. L’obiettivo dello studio è dunque quello di valutare la variazione degli indici del MW in relazione agli stadi del danno cardiaco ed il loro valore prognostico in questi pazienti.

Figura 1. Stadiazione del danno cardiaco nella SA secondo Tastet et al.

COMMENTO

Negli ultimi anni il MW è diventato uno strumento alternativo per la valutazione della funzione miocardica: infatti, valutando la funzione del ventricolo sinistro (VS) in una maniera meno dipendente dalle condizioni di carico, è molto utile in condizioni patologiche caratterizzate da un aumentato post-carico, come la SA.

In tale studio sono stati analizzati retrospettivamente i dati ecocardiografici di 170 pazienti affetti da SA moderata-severa (area valvolare aortica ≤1,5 cm2), FE preservata (>50%) ed asintomatici. Il gruppo di controllo includeva 50 pazienti paragonabili per età e sesso. L’endpoint primario dello studio era la morte per tutte le cause e la morte cardiovascolare. I pazienti affetti da SA sono stati poi gerarchicamente classificati nel peggior stadio del danno cardiaco se almeno uno dei criteri di assegnazione veniva soddisfatto.

Come proposto da Russel et al., il MW è stato stimato come l’area del pressure-strain loops (PSL), derivato dalla combinazione dei dati dello strain del VS (ottenuto con tecnica speckle-tracking) e delle curve di pressione del VS (ottenute in maniera non-invasiva). Il lavoro totale nell’area del PSL ha permesso la stima del global work index (GWI). Ulteriori indici del MW considerati sono stati: global constructive work (GCW), global wasted work (GWW) e global work efficiency (GWE).

Riguardo gli indici del MW al baseline, si è evinto che i pazienti affetti da SA presentavano un valore significativamente maggiore di GWI, GCW e GWW (p < 0.005); vi era poi, una significativa riduzione del GWI nei pazienti in stadio 3-4 rispetto agli stadi 0 (p = 0.05) e 2 (p = 0.024) (Figura 2).

Figura 2. Pressure-strain loops (pannelli di sinistra) e rappresentazione del GWI sotto forma di diagramma bull’s-eye dei 17 segmenti del VS (pannelli di destra) in un paziente in stato di salute (A, B) ed in due pazienti affetti da SA severa (C-F). Comparato al paziente di controllo, il paziente affetto da SA in stadio 2 del danno cardiaco (C,D) presenta un pressure-strain loops più largo da cui viene stimato un valore maggiore di GWI. Al contrario negli stadi avanzati del danno cardiaco (E,F), una riduzione del valore di GWI riflette una performance contrattile del VS maggiormente alterata.

Ad un follow-up medio di 30 mesi, 76 pazienti sono stati sottoposti ad AVR e 27 pazienti sono deceduti, dei quali 23 per cause cardiovascolari. I pazienti deceduti presentavano una significativa riduzione di GWI (p = 0.006) e GCW (p=0.002) che risultavano inoltre associati ad un’aumentata mortalità per tutte le cause e per cause cardiovascolari all’analisi di regressione multivariata.

Inoltre, quando usate come variabili categoriche, un valore di GWI ≤ 1951 mmHg% (HR: 13.0, 95% CI: 2.9-58.6, p=0.001) ed un valore di GCW ≤ 2475 mmHg% (HR: 21.5, 95% CI: 4.5-102.7, p <0.001) rimanevano significativamente predittivi di mortalità per tutte le cause e per cause cardiovascolari all’analisi multivariata ad un follow-up di 4 anni.

Infine, nei pazienti affetti da SA asintomatici con un valore di GWI ≤ 1951 mmHg% al baseline, paragonato ai pazienti con un valore maggiore di GWI (> 1951 mmHg%), vi era un maggior tasso di decessi per tutte le cause (37% vs 7.5%, log-rank p <0.001) e per cause cardiovascolari (34.8% vs 8.7% log-rank p<0.001) a 48 mesi di follow-up. Allo stesso modo, nei pazienti con un valore di GCW ≤ 2475 mmHg%, paragonato a quelli con un valore più alto di GCW (>2475 mmHg%), è stato riscontrato un tasso maggiore di morte per tutte le cause (48.1% vs 15.7, log-rank p <0.001) e per cause cardiovascolari (47.8% vs 16.7%, log-rank p <0.001) a 48 mesi di follow-up (Figura 3).

Figura 3. Curve di Kaplan-Meier in riferimento ai cutoff stabiliti per GWI e GCW rispetto alla mortalità per tutte le cause e per cause cardiovascolari.

Dunque, i principali risultati dello studio sono i seguenti:

  • Nei pazienti affetti da SA moderata-severa asintomatici con FE preservata, gli indici del MW, inclusi GWI, GCW e GWW erano significativamente aumentati rispetto ai controlli.
  • Negli stadi più avanzati del danno cardiaco il GWI è significativamente ridotto comparato ai pazienti senza segni di danno cardiaco.
  • Una riduzione del GWI ≤ 1951 mmHg% o del GCW ≤ 2475 mmHg% è un predittore indipendente di mortalità.

In conclusione, nei pazienti asintomatici con SA moderata-severa, ridotti valori di GWI e GCW sono associati ad un’aumentata mortalità. Quindi, l’analisi del MW si propone come un valido strumento per predire la prognosi in questa categoria di pazienti, prevedendo coloro con aumentato rischio di un peggior outcome nel corso del follow-up.

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FIg-2

The impact of continuous positive airway pressure on cardiac mechanics: findings from a meta-analysis of echocardiographic studies.

L’impatto della ventilazione a pressione positiva continua sulla meccanica cardiaca: risultati di una meta-analisi di studi ecocardiografici.

Marijana Tadic MD, PhD1 *; Elisa Gherbesi MD2; Andrea Faggiano MD2; Carla Sala MD2; Stefano Carugo MD2; Cesare Cuspidi MD3

1 University Clinical Hospital Centre “Dragisa Misovic”, Belgrade, Serbia.

2 Department of Clinical Sciences and Community Health, University of Milano and

Fondazione Ospedale Maggiore IRCCS Policlinico di Milano, Milan, Italy.

3 Department of Medicine and Surgery,University of Milano-Bicocca, Milano, Italy

*Correspondence

Marijana TadicMD, PhD, University Hospital “Dr. DragisaMisovic – Dedinje”, Department of Cardiology, Heroja Milana Tepica 1, Belgrade 11000, Serbia.

Email: marijana_tadic@hotmail.com

Pubblicazione : Aprile 2022 sul Journal of Clinical Hypertension, 2022;1-9. DOI: 10.1111/jch.14488  1

Abstract :

L’effetto della ventilazione a pressione positiva (CPAP) sulla meccanica cardiaca nei pazienti affetti da sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS) è ignoto. E’ stata condotta una metanalisi degli studi di ecocardiografia “speckle-tracking” che fornissero informazioni sulla meccanica del ventricolo sinistro (LV) e del ventricolo destro (RV), valutata mediante global longitudinal strain (GLS). La metanalisi, che includeva 337 pazienti con OSAS afferenti a 9 studi, ha mostrato un miglioramento significativo sia del LV-GLS ( SMD: 0.51±0.08; CI0.36-0.66), p=0.0001)  che della frazione d’eiezione (LVEF; SMD: 0.20±0.06,CI:0.08–0.33, p = 0.001 ) dopo CPAP.  Invece, per quanto concerne la funzione sistolica del RV, dopo CPAP si è assistito ad un miglioramento significativo limitato al RV-GLS (SMD: 0.28±0.07, CI:0.15–0.42, p = 0.0001) e non all’escursione sistolica del piano dell’anello tricuspidale (TAPSE; SMD 0.08±0.06, CI: -0.04/0.20, p = 0.21). In conclusione, nella valutazione dei pazienti affetti da OSAS l’ecocardiografia “speckle-tracking” permette di individuare alterazioni subcliniche della funzione sistolica e di monitorarne la risposta alla terapia con CPAP.

Articolo

La sindrome delle apnee ostruttive del sonno, una patologia sempre più diffusa e rilevante, è associata ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari e di mortalità per tutte le cause  2. La terapia con CPAP è raccomandata dalle linee guida come prima linea di trattamento nei pazienti affetti da OSAS di grado moderato e severo, e anche in coloro con OSAS lieve in cui le modifiche comportamentali si sono rivelate insufficienti 3. Numerosi studi hanno dimostrato che la CPAP, riducendo gli episodi ipossici notturni, comporta un miglioramento dei parametri emodinamici (ad es. pressione arteriosa, rigidità vascolare), ormonali (ad es. catecolamine) e cardio-metabolici (ad.es sindrome metabolica) 4. Non vi è invece chiara evidenza sul fatto che la CPAP possa migliorare la funzione cardiaca. Questo potrebbe essere anche imputabile al fatto che i canonici indici ecocardiografici utilizzati per esprimere la funzione biventricolare ( ad es. LVEF, TAPSE, FAC, S’) non siano sufficientemente sensibili nell’individuare modifiche subcliniche della funzione cardiaca. Il GLS, valutando la meccanica miocardica segmentaria, potrebbe invece essere in grado di rilevare modifiche subcliniche 5. Per tale motivo è stata condotta una metanalisi degli studi di ecocardiografia “speckle-tracking” che fornissero informazioni sulla meccanica miocardica biventricolare, valutata mediante GLS.

Tramite revisione sistematica ed analisi metanalitica, è stato possibile identificare 9 studi osservazionali ed un totale di 337 pazienti affetti da OSAS sottoposti a terapia con CPAP. La tabella 1 mostra i dati principali degli studi inclusi.

Author Year publication  OSA sample size (n)  CPAP  duration (months)Baseline AHI (h)  Final AHI (h)  Setting                                     Outcome  
Haruki                             2010                                                14356+195+8Moderate to severe OSA without CV diseaseLV GLS
Hammersting          2013                              82631+276+7Mild to severe OSA with prevalent CV diseaseRV GLS
Vitarelli                          201315459±94±2Severe OSA  without   comorbiditiesLV GLS
Vitarelli                           201515458+94+2Severe OSA  without    comorbiditiesRV GLS
D’Andrea                    201655635+155+8Mild to severe  OSA  without  CV diseaseLV and RV GLS
Vural                                2017                   2824nanaMild to severe OSA without pulmonary and CV diseaseLV GLS
Kim                                   2019263nanaSevere OSA without CV diseaseLV and RV GLS
Chou                          2020452450+165+2Severe OSA  without CV diseaseRV GLS
Zota                          2021                      57242+21naModerate to severe OSA with prevalent HTN, DM and obesityLV GLS

Dalla metanalisi emerge che per quanto riguarda la funzione del ventricolo sinistro, la terapia con CPAP permette un miglioramento significativo, osservabile sia mediante LVEF che GLS. Precisamente, i valori medi aggregati di LVEF incrementavano dal 59.9% ±1.6% del baseline al 61.9% ± 0.9% dopo terapia con CPAP , con una differenza media standardizzata (SMD) significativa (SMD 0.20±0.06, CI 0.08/0.33, p < 0.001). L’incremento della funzione ventricolare sinistra dopo CPAP risulta ancora più marcato quando oggettivato mediante LV-GLS ( -17.7%±0.6%  al baseline versus -19.6%±0.4% al follow-up) pari ad una SMD: 0.51±0.08, (CI 0.36/-0.66, p < 0.0001). Figura 1.

Riguardo la funzione ventricolare destra, la metanalisi non ha documentato modifiche significative del TAPSE, i cui valori medi aggregati corrispondevano a 21.8 mm ± 1.3 mm prima  e 21.1 mm ± 1.2 mm dopo terapia con CPAP ( SMD: 0.08±0.06, CI-0.04/0.20,p = 0.21). Invece, dalla metanalisi emerge un miglioramento significativo della meccanica ventricolare destra oggettivato dall’incremento del RV-GLS da -17.7±1.32% a -19.3±1.7% con una differenza media standardizzata pari a 0.28±0.07, CI 0.15/0.42, p < 0.0001). Figura 2 (Figura chiave)

Discussione e Conclusioni

Nei pazienti affetti da OSAS, i meccanismi sottostanti il miglioramento della funzione biventricolare indotto dalla terapia con CPAP  sembrerebbero essere relati alla:

  1. Riduzione della pressione negativa intratoracica. Tale meccanismo comporta una riduzione del ritorno venoso, del postcarico del ventricolo sinistro e del precarico del ventricolo destro.
  2. Riduzione degli eventi ipossici ed ipercapnici. Tale meccanismo comporta un’inibizione dell’attività ortosimpatica che a sua volta determina una riduzione della vasocostrizione periferica, della rigidità arteriosa di parete, della vasocostrizione ipossica del circolo polmonare e del postcarico del ventricolo destro.

I risultati della nostra metanalisi sottolineano la necessità di includere il LV-GLS e RV-GLS nella valutazione ecocardiografica di routine dei pazienti affetti da OSAS in modo da definire l’eventuale livello di disfunzione subclinica biventricolare. Infatti, LV-GLS e RV-GLS appaiono più sensibili dei convenzionali parametri ecocardiografici (LVEF e TAPSE, rispettivamente) nell’individuare fini cambiamenti della funzione sistolica nei pazienti affetti da OSAS, sia al basale che durante terapia con CPAP, permettendo così di ottenere un’affidabile valutazione riguardo l’efficacia della terapia e della compliance del paziente alla stessa.

Bibliografia

1.        Marijana Tadic MD P 1 EGMAFM 2, Carla Sala MD 2 Stefano Carugo MD1 Cesare Cuspidi MD 3. The impact of continuous positive airway pressure on cardiac mechanics: Findings from a meta-analysis of echocardiographic studies. J Clin Hypertens. 2022. doi:10.1111/jch.14488

2.        Jennum P, Tønnesen P, Ibsen R, Kjellberg J. Obstructive sleep apnea: effect of comorbidities and positive airway pressure on all-cause mortality. Sleep Med. 2017;36. doi:10.1016/j.sleep.2017.04.018

3.        Erratum: Obstructive sleep apnoea/hypopnoea syndrome and obesity hypoventilation syndrome in over 16s: Summary of NICE guidance (BMJ (2021) 375 (n2360) DOI: 10.1136/bmj.n2360). BMJ. 2022;376. doi:10.1136/bmj.o619

4.        Green M, Ken-Dror G, Fluck D, et al. Meta-analysis of changes in the levels of catecholamines and blood pressure with continuous positive airway pressure therapy in obstructive sleep apnea. J Clin Hypertens. 2021;23(1). doi:10.1111/jch.14061

5.        Tadic M, Cuspidi C, Grassi G, Mancia G. Obstructive sleep apnea and cardiac mechanics: how strain could help us? Heart Fail Rev. 2021;26(4). doi:10.1007/s10741-020-09924-0