Central-Illustration

Transcatheter Aortic Valve Replacement In Aortic Stenosis And Cardiac Amyloidosis: A Systematic Review And Meta-Analysis

Francesco Cannata1,2, Mauro Chiarito1,2, Giuseppe Pinto1,2, Alessandro Villaschi1,2, Jorge Sanz-Sánchez3,4, Fabio Fazzari2, Damiano Regazzoli2, Antonio Mangieri2, Renato M Bragato2, Antonio Colombo2, Bernhard Reimers2, Gianluigi Condorelli1,2, Giulio G Stefanini1,2

1 Department of Biomedical Sciences, Humanitas University, Via Rita Levi Montalcini, 4, Pieve Emanuele-Milan, Italy.
2 IRCCS Humanitas Research Hospital, Rozzano-Milan, Italy.
3 Hospital Universitario y Politecnico La Fe, Valencia, Spain.
4 Centro de Investigación Biomedica en Red (CIBERCV), Madrid, Spain

ABSTRACT

Lo studio ha valutato i dati presenti in letteratura riguardo ad efficacia e sicurezza della procedura di TAVI nei pazienti con stenosi aortica ed amiloidosi cardiaca, nei quali l’utilità della procedura è stata messa in dubbio. Tramite metanalisi di sette studi osservazionali, è stato dimostrato che il rischio di mortalità è minore nei pazienti sottoposti a TAVI, rispetto ad un approccio di sola terapia medica (OR 0.23, 95%CI 0.07-0.73, P=0.001), E con un profilo di sicurezza comparabile a quello della TAVI nei pazienti senza amiloidosi cardiaca, fatta eccezione per un aumentato rischio di impianto di Pacemaker (OR 1.76, 95%CU 0.91-4.09, p=0.085).

COMMENTO

La presente metanalisi, già premiata come uno dei migliori abstract presentati al congresso della Società Italiana di Cardiologia 2021 e successivamente pubblicata a giugno 2022 su ESC Heart Failure, valuta l’impatto della procedura di TAVI nei pazienti con stenosi aortica severa e amiloidosi cardiaca (CA-AS).(1)

Fino al 16% dei pazienti candidati a TAVI può presentare un quadro di cardiopatia infiltrativa secondaria a deposito di amiloide.(2) L’associazione delle due patologie comporta una peggiore capacità funzionale e un’aumentata mortalità rispetto ai pazienti con stenosi aortica isolata; nonostante ciò l’impatto prognostico della TAVI in questa popolazione è stato in passato dibattuto.

Tramite revisione sistematica ed analisi metanalitica, è stato possibile identificare 7 studi osservazionali: 3 lavori riportavano dati riguardanti la mortalità dei pazienti con CA-AS sottoposti a TAVI rispetto alla sola terapia medica, altri 3 studi valutavano complicanze e outcome clinici della procedura in pazienti con CA-AS rispetto a pazienti con stenosi aortica isolata mentre un ultimo studio è stato incluso in entrambe le analisi. (3-8) Figura 1

È stato quindi dimostrato un ridotto rischio di mortalità (18.2% vs 55.6%, OR 0.23, 95%CI 0.07-0.73, P=0.001, NNT=3) nella sottopopolazione di pazienti con CA-AS trattati tramite procedura di TAVI (n=44) rispetto alla sola terapia medica (n=36).Figura 2

Nella seconda analisi, i pazienti con CA-AS (n=75) presentavano una mortalità comparabile (28.6% vs 23.9%, OR 1.11, 95% CI 0.67 – 1.85, p=0.687) ai pazienti con stenosi aortica isolata sottoposta a TAVI (n=536), così come un simile rischio di ospedalizzazione per cause cardiovascolari o scompenso cardiaco (21.4% vs 14.1%, OR 1.45, 95% CI 0.77 – 2.73, p=0.251); si notava solamente una tendenza ad un aumentato numero di impianti di pacemaker permanenti (16.1% vs 8.9%, OR 1.76, 95% CI 0.91 – 4.09, p=0.085).Figura 3

Pertanto, come riassunto nella Central Illustration, i principali risultati dello studio nel gruppo di pazienti con stenosi aortica severa sintomatica e cardiopatia amiloide trattati con procedura TAVI sono i seguenti:

  1. Una miglior sopravvivenza rispetto ai pazienti con CA-AS trattati con sola terapia medica, possibilmente legata alla riduzione del post-carico e delle pressioni di riempimento ventricolare sinistro conseguente alla risoluzione dell’ostruzione a livello della valvola aortica.
  2. Un rischio di complicanze periprocedurali paragonabile a quello dei pazienti con stenosi aortica severa isolata trattati con TAVI, fatta eccezione per una tendenza ad un aumentato rischio di impianto di pacemaker, che potrebbe essere spiegata dalla maggior degenerazione amiloide-relata del sistema di conduzione.
  3. Un rischio solo numericamente più elevato di riospedalizzazioni per cause cardiovascolari e mortalità a lungo termine, rispetto ai pazienti con stenosi aortica severa isolata trattati con TAVI.

In conclusione, pur con i limiti intrinseci ad una metanalisi study level di studi osservazionali, lo studio corrobora l’idea che la procedura di TAVI non debba essere considerata futile nella popolazione di pazienti con CA-AS, sebbene studi prospettici e randomizzati siano necessari per chiarire in maniera certa l’impatto della procedura sulla prognosi di questo sottogruppo di pazienti.

  • Cannata F, Chiarito M, Pinto G et al. Transcatheter aortic valve replacement in aortic stenosis and cardiac amyloidosis: a systematic review and meta-analysis. ESC Heart Fail 2022 Jun 29. doi: 10.1002/ehf2.13876.
  • Castaño A, Narotsky DL, Hamid N et al. Unveiling transthyretin cardiac amyloidosis and its predictors among elderly patients with severe aortic stenosis undergoing transcatheter aortic valve replacement. Eur Heart J 2017;38:2879–2887.
  • Nitsche  C,  Scully  PR,  Patel  KP, Prevalence and outcomes of concomitant aortic stenosis and cardiaca myloidosis. JACC 2021;77:128–139.7.
  • Cavalcante JL, Rijal S, Abdelkarim I et al Cardiac amyloidosis is prevalent in older patients with aortic stenosis and carries worse prognosis. J Cardiovasc Magn Reson 2017;19: 98
  • Scully  PR,  Patel  KP,  Treibel  TA, et al. Prevalence and outcome of dual aortic stenosis and cardiac amyloid pathology in patients referred for trans-catheter aortic valve implantation. Eur Heart J 2020;41: 2759–2767
  • Galat A, Guellich A, Bodez D et al Aortic stenosis and transthyretin cardiacamyloidosis: the chicken or the egg? Eur Heart J 2016;37: 3525–3531.13.
  • Chacko L, Martone R, Bandera F et al.  Echocardiographic phenotype and prognosis in transthyretin cardiac amyloidosis. Eur Heart  J 2020;0:1–10.14.
  • Rosenblum H, Masri A, Narotsky DL, et al.  Unveiling  outcomes  in coexisting severe aortic stenosis and transthyretin cardiac amyloidosis. Eur J Heart Fail2021;23: 250–258.15.
  •  Nitsche C, Aschauer S, KammerlanderAA et al. Light-chain and transthyretin cardiac amyloidosis in severe aortic stenosis: prevalence, screening possibilities, and outcome. Eur  J  Heart  Fail 2020;22:1852–1862
Figura-1-PRINCIPALE

Impatto della correzione del metodo PISA 2D per la quantificazione della severità dell’insufficienza tricuspidalica funzionale

Michele Tomaselli1,2, Luigi P. Badano1,2, Roberto Menè1,2, Mara Gavazzoni1, Francesca Heilbron1,2, Noela Radu3, Sergio Caravita2,4, Claudia Baratto1, Giorgio Oliverio1, Diana R. Florescu2,5, Gianfranco Parati2, and Denisa Muraru1,2

1Department of Medicine and Surgery, University of Milano-Bicocca, Milan, Italy;

2Department of Cardiology, Istituto Auxologico Italiano, IRCCS, P.le Brescia 20, 20149 Milan, Italy;

3Carol Davila University of Medicine and Pharmacy, Bucharest, Romania;

4Department of Management, Information and Production Engineering, University of Bergamo, Dalmine, Italy;

5University of Medicine and Pharmacy of Craiova, Craiova, Romania

Abstract

Nei pazienti con insufficienza tricuspidalica funzionale (FTR), il tethering dei lembi valvolari e la velocità relativamente bassa del jet di rigurgito possono alterare la geometria del flusso prossimale di rigurgito, causando quindi una sottostima dell’entità dell’insufficienza. La modifica che proponiamo all’equazione per il calcolo della proximal isovelocity surface area (PISA) bidimensionale potrebbe correggere questa sottostima. In una coorte di 102 pazienti con FTR abbiamo confrontato l’area effettiva di rigurgito (EROA) e il volume di rigurgito (RegVol) calcolati tramite metodo PISA convenzionale, metodo PISA corretto e metodo volumetrico tridimensionale (VM), usando quest’ultimo come metodo di riferimento. Quando calcolati tramite PISA corretto, rispetto al PISA convenzionale, sia l’EROA che il RegVol risultavano significativamente di maggior entità, e il 37% dei pazienti veniva riclassificato in gradi superiori di insufficienza valvolare. Il PISA corretto ha mostrato inoltre una migliore concordanza con il VM.

Commento

L’ecocardiogramma transtoracico è la metodologia di scelta nella quantificazione della gravità dell’insufficienza tricuspidalica funzionale (FTR)1. Due dei parametri quantitativi utilizzati per determinare tale gravità sono l’area effettiva di rigurgito valvolare (EROA) e il volume di rigurgito (RV) calcolati tramite il metodo del proximal isovolumetric surface area (PISA). Questo metodo si basa su una serie di assunzione geometriche e fisiologiche che sono frequentemente disattese in quanto: (1) l’entità del rigurgito è dinamica e varia durante la sistole; (2) la viscosità del sangue fa sì che questo non si comporti come un fluido ideale; (3) la forma dell’orifizio di rigurgito non è necessariamente circolare ma, più frequentemente, ellissoidale o a stella; (4) infine, nei pazienti con FTR, la bassa velocità del jet di rigurgito e la deformazione del piano valvolare causato dal tethering dei lembi potrebbero portare ad un appiattimento della sfera del PISA e ad una conseguente sottostima della gravità dell’insufficienza2.

Sono state proposte delle correzioni al metodo PISA che, tenendo in considerazione l’angolo sotteso dai lembi tricuspidalici e la velocità relativamente bassa del jet di rigurgito, si è ipotizzato possano migliorare l’accuratezza di tale metodo3. Nello specifico, la formula convenzionale del metodo PISA (PISAconv) si basa sul prodotto fra il quadrato del raggio della sfera di rigurgito (r) e la velocità di aliasing al momento della misurazione del raggio (Va), diviso per la velocità massima del jet di rigurgito (Vp). Il metodo PISA corretto (PISAcorr) prevede la moltiplicazione di tale valore per la dimensione dell’angolo sotteso dai lembi tricuspidalici sul versante ventricolare (α), diviso per 180°, e per il rapporto ponderato fra velocità massima di rigurgito e velocità di aliasing (Figura 1).

L’obiettivo del nostro studio è stato verificare se queste correzioni portino effettivamente ad una stima più accurata dell’entità di rigurgito tricuspidalico.

Abbiamo arruolato retrospettivamente 102 pazienti con FTR sottoposti a ecocardiogramma transtoracico presso il nostro centro. In questi pazienti abbiamo calcolato l’EROA e il RegVol tramite PISAconv, PISAcorr e metodo volumetrico tridimensionale (VM), utilizzando quest’ultima come metodica di riferimento. Come da linee guida, i pazienti sono stati classificati in cinque differenti gradi di gravità di insufficienza tricuspidalica sulla base dell’EROA e del RegVol.

Quando calcolati tramite metodo PISAcorr, sia il RegVol (24.5+20 vs. 18.5+14.25 mL; p 0.001) che l’EROA (0.29+0.26 vs. 0.22+0.21 cm2; p 0.001) risultavano significativamente maggiori rispetto a quelli calcolati tramite PISAconv. Utilizzando l’EROA e il RegVol ottenuti tramite PISAcorr, 38 su 102 pazienti (37%, p 0.001) venivano riclassificati in un grado di insufficienza tricuspidalica di gravità maggiore (Figura 2).

I grafici Bland-Altman (Figura 3) hanno inoltre mostrato che EROA e RegVol calcolati tramite PISAcorr, piuttosto che con PISAconv, erano significativamente più simili a quelli calcolati con VM (bias = -3.7 vs. -11.3 ml, LOA ± 2.8 vs. 13.9 ml; bias = -0.05 vs. -0.16 cmq, LOA ± 0.03 vs. 0.30 cmq, rispettivamente).

In conclusione, nei pazienti con FTR l’utilizzo del metodo PISA corretto, rispetto a quello convenzionale, porta a una stima più accurata dell’EROA e del RegVol. Il metodo PISA convenzionale porta a una sottostima dell’entità dell’insufficienza tricuspidalica in un numero considerevole di pazienti.

Bibliografia

1.        Vahanian A, Beyersdorf F, Praz F, et al. 2021 ESC/EACTS Guidelines for the management of valvular heart disease: Developed by the Task Force for the management of valvular heart disease of the European Society of Cardiology (ESC) and the European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS). 2022;75(6):524. doi:10.1016/j.rec.2022.05.006

2.        Badano LP, Hahn R, Zanella H, Araiza Garaygordobil D, Ochoa-Jimenez RC, Muraru D. Morphological Assessment of the Tricuspid Apparatus and Grading Regurgitation Severity in Patients With Functional Tricuspid Regurgitation: Thinking Outside the Box. JACC Cardiovasc Imaging. 2019;12(4):652-664. doi:10.1016/J.JCMG.2018.09.029

3.        Rivera JM, Vandervoort PM, Mele D, et al. Quantification of tricuspid regurgitation by means of the proximal flow convergence method: a clinical study. Am Heart J. 1994;127(5):1354-1362. doi:10.1016/0002-8703(94)90056-6

FIgura-2

Incidence of Acute Myocarditis and Pericarditis during COVID19 pandemic: comparison with the pre-pandemic period.

Giovanni Donato Aquaro, MD1, Roberto Licordari, MD2, Giancarlo Todiere, MD PhD1, Umberto Ianni, MD3, Santo Dellegrotaglie MD4, Luca Restivo, MD5, Crysanthos Grigoratos, MD PhD1, Francesco Patanè, MD PhD6, Andrea Barison, MD PhD1, Antonio Micari, MD PhD7, Gianluca Di Bella, MD PhD2

1Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa, Italy

2 Department of Clinical and experimental medicine, University of Messina, Italy

3 Instituteof Cardiology, “G. D’Annunzio” University, Chieti, Italy,

4 Division of Cardiology, Ospedale Medico-Chirurgico Accreditato “Villa dei Fiori”, 80011 Acerra, Italy

5 Division of Cardiology Cardiothoracovascular Department, University of Trieste, Italy

6 Cardiac Surgery Unit, Papardo Hospital, Messina, Italy

7 Department of Biomedical and Dental Science and of Morphological and Functional Images, University of Messina, Italy

ABSTRACT

Alcuni autori suggeriscono che l’incidenza di miocarditi e pericarditi è aumentata durante la pandemia COVID19. Lo scopo dello studio è stato quello di analizzare l’incidenza di queste malattie comparando il periodo della pandemia con un simile periodo prepandemico. Si è notata una riduzione significativa dell’incidenza di miocarditi acute (8,1/100000/anno vs 5,9/100000 anno; p=0,047); corrispondente ad una riduzione del 27%. In particolare la maggiore riduzione è stata osservata nei pazienti giovani sotto i 34 anni di età. Simili sono state, invece le incidenze delle pericarditi acute negli stessi periodi (4,03/100000 vs 4,47/100000 p=0,61).

COMMENTO

Miocarditi e pericarditi sono state chiamate in causa come parte delle manifestazioni cardiologiche dell’infezione da Sars-Cov2.

Lo scopo dello studio è stata valutare l’incidenza e la prevalenza di queste patologie prima e durante la pandemia da COVID-19.

Questo è uno studio di coorte retrospettivo che valuta l’incidenza e la prevalenza di miocarditi, pericarditi, miopericarditi e perimiocarditi nelle province di Pisa, Lucca e Livorno (popolazione totale di 1141285 abitanti), confrontando due periodi: a) PRECOVID, dal 1giugno 2018 al 31 maggio 2019, e b) COVID, dal 1 giugno 2020 al 31 maggio 2021.

Per la diagnosi di miocardite acuta (AM) è stato usato un algoritmo diagnostico adattato dalle linee guida della Società Europea di Cardiologia.1

Una pericardite acuta (AP) è stata sospettata quando erano presenti almeno due dei seguenti criteri: dolore toracico tipico, sfregamento pericardico, modifiche ECG suggestive, versamento pericardico (nuovo o in peggioramento). 2,3 La diagnosi definitiva di AP è stata formulata con la Risonanza Magnetica (RM), in presenza di iperintensità dei foglietti pericardici nella sequenza T2-STIR e/o nelle immagini LGE con o senza versamento pericardico. 

In presenza di entrambi i segni di infiammazione miocardica e pericardica è stata definita come miopericardite in caso di pericardite con minimi segni di coinvolgimento miocardico e, al contrario, perimiocardite quando la miocardite era associata a lievi segni di coinvolgimento pericardico.4

In tutto sono stati evidenziati 259 casi. L’incidenza è stata di 11,3 casi per 100000 abitanti. 138 casi si sono verificati nel PRECOVID e 121 nel periodo COVID. Le incidenze totali nei due periodi non sono risultate significativamente diverse: 12,1/100000 in PRECOVID vs 10,3/100000 nel periodo COVID (IRT 1,17, IC 95% 0,91-1,5, p=0,22).

Durante il periodo PRECOVID, sono stati evidenziati 89 casi (64,5%) di miocardite, 25 (18,1%) pericardite e 21 (15,2%) casi di miopericardite e 3 (2,2%) perimiocardite.

Nel periodo COVID sono stati registrati 64 casi (54,2%), con 29 (24,6%) pericardite e 22 (18,6%) casi di miopericardite e 3 (2,4%) perimiocardite.

Complessivamente, i casi di miocardite (incluse le perimiocarditi) sono stati 92 in PRECOVID e 67 nel periodo COVID. L’incidenza annuale di miocardite è stata significativamente più alta in PRECOVID rispetto al COVID: rispettivamente 8,1/100000/anno vs 5,9/100000 anno (IRT 1,37, IC 95% 0,99-1,99, p=0,047), consistente in una riduzione netta del 27% dei casi.

La massa del ventricolo sinistro era significativamente più alta nel gruppo COVID rispetto a PRECOVID (p=0,01). Le miocarditi COVID hanno avuto più frequentemente anomalie di cinetica (p=0,047) e più segmenti con LGE (p=0,02).

Come si evince in figura 1, l’incidenza di miocarditi è stata significativamente minore nel COVID rispetto al PRECOVID nella classe di età 18-24 anni (p=0,048).

l’incidenza annuale di pericardite (incluse le miopericarditi) non è stata significativamente diversa tra i due periodi di tempo (4,03/100000 vs 4,47/100000 p=0,61, IRT 0,9, IC 95% 0,5-1,4).

L’incidenza annuale di pericardite per 100000 abitanti è mostrata in figura 1 per tutte le classi di età dai 12 ai >74 anni.

I principali risultati sono:

1) rispetto al periodo PRECOVID, durante la pandemia è stata riscontrata una riduzione del 27% di incidenza di miocarditi;

2) la diminuzione dell’incidenza è stata evidenziata nei pazienti di età inferiore ai 34 anni;

3) Le miocarditi del periodo COVID avevano una maggiore gravità con più anomalie della cinetica, un numero maggiore di segmenti con LGE e un indice di massa ventricolare più elevato rispetto a quelli osservati nel periodo PRECOVID;

4) non è stata osservata alcuna differenza per quanto riguarda l’incidenza di pericarditi acute tra i due periodi.

Il distanziamento sociale e le restrizioni come anche le procedure profilattiche (mascherine, guanti e gel igienizzanti) potrebbero aver mitigato l’incidenza di miocarditi acute durante la pandemia da COVID19.

BIBLIOGRAFIA

1.         Caforio ALP, Pankuweit S, Arbustini E, et al. Current state of knowledge on aetiology, diagnosis, management, and therapy of myocarditis: a position statement of the European Society of Cardiology Working Group on Myocardial and Pericardial Diseases. European Heart Journal 2013;34(33):2636–48.

2.         Adler Y, Charron P, Imazio M, et al. 2015 ESC Guidelines for the diagnosis and management of pericardial diseases. European Heart Journal 2015;36(42):2921–64.

3.         Klein AL, Abbara S, Agler DA, et al. American Society of Echocardiography Clinical Recommendations for Multimodality Cardiovascular Imaging of Patients with Pericardial Disease. Journal of the American Society of Echocardiography 2013;26(9):965-1012.e15.

4.         Imazio M, Trinchero R. The spectrum of inflammatory myopericardial diseases. International Journal of Cardiology 2010;144(1):134.

FIGURA 1: Nel pannello superiore incidenza annuale di miocarditi acute per classi di età: rispetto al periodo PRECOVID (linea blu), l’incidenza di miocarditi acute nel periodo COVID (linea rossa) è diminuita significativamente, in particolare nella classe di età 18-24, ma è rimasta sostanzialmente invariata per i soggetti di età compresa tra > 35 anni.  Nel pannello inferiore incidenza annuale di pericardite acuta per classi di età: non è stata riscontrata alcuna differenza significativa in nessuna classe di età tra il COVID (linea rossa) e il periodo PRECOVID (linea blu).

FIGURA 2: miocarditi nel periodo PRECOVID e COVID: nei pannelli superiori immagini di risonanza magnetica cardiaca di un caso di miocardite acuta durante il periodo PRECOVID. Nei pannelli inferiori viene mostrato un caso di miocardite del periodo COVID.

Per saperne di più

Aquaro GD, Licordari R, Todiere G, Ianni U, Dellegrotaglie S, Restivo L, Grigoratos C, Patanè F, Barison A, Micari A, Di Bella G. Incidence of acute myocarditis and pericarditis during the coronavirus disease 2019 pandemic: comparison with the prepandemic period.

J Cardiovasc Med (Hagerstown). 2022 Jul 1;23(7):447-453. doi: 10.2459/JCM.0000000000001330. 

Figura 1

Durata della doppia terapia antipiastrinica e tipologia della successiva monoterapia in pazienti sottoposti ad impianto di stent medicato: una network meta-analisi.

Benenati S1, Crimi G2, Canale C1, Pescetelli F1, De Marzo V1, Vergallo R3, Galli M, Della Bona R, Canepa M1,2, Ameri P1,2, Crea F3,4, Porto I1,2

  1. Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche (DIMI), Università di Genova, Largo R. Benzi 15, 16132 Genova, Italy.
  1. Unità di Malattie Cardiovascolari, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova, Italy – IRCCS Cardiovascular Network.
  2. Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Italy.
  3. Università Cattolica del Sacro Cuore, Italy.

La doppia terapia antipiastrinica (dual antiplatelet therapy – DAPT), intesa come combinazione di aspirina e un bloccante del recettore P2Y12, rappresenta il gold standard per la prevenzione secondaria degli eventi aterotrombotici nei pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica percutanea (percutaneous coronary intervention – PCI) con impianto di stent medicato. Dal momento che la somministrazione di farmaci antipiastrinici predispone al sanguinamento, la strategia antipiastrinica ottimale dopo PCI andrebbe tuttavia stabilita non solo in relazione al rischio ischemico, ma anche a quello emorragico. I trial randomizzati controllati (randomized controlled trials – RCT) pubblicati fino ad oggi hanno testato due principali strategie: il semplice accorciamento del periodo di associazione di aspirina e P2Y12-inibitore ovvero l’impiego di monoterapie con P2Y12-inibitore dopo DAPT abbreviata. Nonostante le numerose evidenze accumulate negli anni, questa materia rimane ad oggi oggetto di acceso dibattito. Il gruppo dell’Università di Genova ha realizzato un’analisi comparativa delle diverse strategie antipiastriniche testate dopo PCI con impianto di stent medicato.

Il progetto ha incluso 21 RCT precedentemente pubblicati, per un totale di 110059 pazienti-anno. I risultati sono stati analizzati con la metodica della network meta-analysis, che ha consentito di effettuare un confronto di tutte le strategie di trattamento, anche quando queste non fossero mai state direttamente confrontate tra loro, sulla base di un solido approccio statistico. In particolare, l’analisi primaria ha confrontato una durata molto breve (≤3 mesi), breve (6 mesi), standard (12 mesi) ed estesa (>12 mesi) di DAPT. Gli endpoint primari erano un composito di morte cardiaca, infarto miocardico non fatale e trombosi di stent (endpoint di efficacia) e il sanguinamento maggiore (endpoint di sicurezza). Sono state condotte numerose sotto-analisi volte a testare la solidità dei risultati ottenuti ed esplorare le possibili fonti di eterogeneità.

I risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista European Heart Journal – Cardiovascular Pharmacotherapy. È stato dimostrato come la DAPT estesa si associ a minor incidenza di infarto miocardico non fatale e trombosi di stent rispetto alle altre strategie. Al contrario, la DAPT breve (6 mesi) riduce il sanguinamento minore, mentre solo la DAPT molto breve (≤3 mesi) si associa ad una riduzione dei sanguinamenti maggiori. In una sotto-analisi, i trattamenti sono stati ulteriormente stratificati tenendo conto delle monoterapie somministrate dopo DAPT molto breve. Si è potuto così dimostrare come la DAPT molto breve seguita da monoterapia con P2Y12-inibitore fosse la strategia associata al miglior compromesso tra rischio di infarto miocardico e rischio di sanguinamento maggiore.

Lo studio mette in discussione il concetto di terapia antipiastrinica “standardizzata” per tutti i pazienti sottoposti ad impianto di stent coronarico, evidenziando come la personalizzazione del trattamento sulla base del rischio ischemico ed emorragico del singolo individuo sia essenziale per garantire il migliore outcome del paziente. Secondo i risultati di questo studio, l’accorciamento della DAPT (fino addirittura ad 1 o 3 mesi) non espone, in casi selezionati, ad un incremento di rischio ischemico, pur salvaguardando il paziente da quello emorragico. Inoltre, molto promettente sembra essere il ruolo delle monoterapia con P2Y12-inibitori.

Abstract

La migliore strategia antipiastrinica dopo angioplastica coronarica percutanea con impianto di stent rimane dibattuta. Abbiamo eseguito una network meta-analisi di 21 trial randomizzati controllati (110059 pazienti-anno) che confrontavano strategie antipiastriniche diverse in termini di durata e monoterapie successive. L’impiego di doppia terapia antiaggregante estesa (>12 mesi) si associa ad una riduzione di infarto miocardico e trombosi di stent. Riducendo la durata a 6 mesi, si diminuisce la frequenza di sanguinamenti minori, mentre una doppia antiaggregazione di 1-3 mesi minimizza il rischio anche di sanguinamenti maggiori. L’impiego di una doppia antiaggregazione abbreviata seguita da monoterapia con inibitori di P2Y12 sembra essere la strategia di scelta per assicurare un compromesso tra rischio ischemico ed emorragico.

Figura-2

L’ischemia in assenza di malattia coronarica ostruttiva (INOCA): nuove evidenze

Autori: Alice Bonanni 1,2,† , Alessia d’Aiello 1,2,†, Daniela Pedicino 1,2,*, Marianna Di Sario 1, Ramona Vinci 1,2 , Myriana Ponzo 1 , Pellegrino Ciampi 1, Denise Lo Curto 1, Cristina Conte 1, Francesco Cribari 1, Francesco Canonico 2 , Giulio Russo 1,2, Rocco Antonio Montone 1,2, Carlo Trani 1,2, Anna Severino 1,2, Filippo Crea 1,2 and Giovanna Liuzzo 1,2

Affiliazioni

1 Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Polmonari, Università cattolica del Sacro Cuore ,00168 Roma, Italia

2 Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, 00168 Rome, Italia;

† Questi autori hanno contribuito equamente alla stesura del paper 

Fino al 50% dei pazienti sottoposti ad angiografia coronarica per angina non presentano malattia coronarica ostruttiva (1). Nonostante l’aspetto angiografico possa risultare rassicurante, sempre maggiori evidenze dimostrano che, in realtà, la prognosi di tale classe di pazienti non è così benigna (2).

Al momento attuale mancano linee guida internazionali concordi sulla diagnosi e sul trattamento dei pazienti con ischemia ed assenza di malattia coronarica ostruttiva (INOCA); è ragionevole quindi pensare che spesso tali pazienti non vengano correttamente individuati e, quindi, trattati.

Trentotto pazienti sintomatici per angina e ricoverati presso il nostro Nosocomio in regime di elezione sono stati arruolati prospettivamente e sottoposti a prelievo di sangue venoso periferico e studio coronarografico. Cellule mononucleate isolate da materiale biologico sono state sottoposte ad analisi array di espressione genica. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi in base ai risultati della coronarografia. In particolare, diciotto pazienti presentavano assenza di malattia coronarica ostruttiva e venti pazienti avevano malattia coronarica ostruttiva.

Nei pazienti con disfunzione microvascolare è stata osservata una ridotta produzione di molecole infiammatorie coinvolte nell’adesione cellulare (quali TNF, fattore di necrosi tumorale; VEGFA, fattore di crescita dell’endotelio vascolare A; CD31, Molecola di adesione delle piastrine e delle cellule endoteliali 1; ICAM1 e VCAM 1, Molecola di Adesione Intercellulare 1 e Vascolare) e nella risposta infiammatoria pro-aterogena (tra cui TFRC, recettore della transferrina).

L’aumentata produzione di TNF potenzia l’espressione di molecole di adesione vascolare e, a sua volta, induce la proliferazione e la trasmigrazione cellulare, noti fenomeni alla base della formazione e della crescita della placca aterosclerotica (3). Il VEGFA lavora simultaneamente al TNF stimolando la proliferazione e l’arrivo di cellule infiammatorie a livello dell’intima vascolare (4); molecole di adesione quali CD31 e ICAM1 consentono il recruitment, la transmigrazione vascolare e l’entrata dei leucociti a livello della tonaca vascolare (5; 6). Anche i livelli di espressione genica dei recettori della transferrina responsabili dell’uptake del ferro intracellularmente, sono risultati alterati; ad essi viene imputata una plausibile tossicità mitocodriale ferro-relata, che esita in un’ aumentata produzione di specie radicaliche ed ossitative e nella progressione dello stato infiammatorio locale e sistemico (7;8).

Parallelamente, in tali pazienti è stata evidenziata un’aumentata espressione genica di Ialuronidasi 2 (HYAL 2), una proteina implicata nel turnover della matrice extracellulare e nel metabolismo dell’acido ialuronico.

HYAL2 è una proteina nota ed ampiamente studiata nel contesto dello shear stress vascolare e nel meccanismo dell’erosione di placca aterosclerotica (9;10); di contro non ci sono ancora evidenze del suo ruolo nella disfunzione microcircolatoria.

Il principale meccanismo patogenetico degli INOCA è rappresentato dalla disfunzione dell’endotelio e delle cellule muscolari lisce; in tale setting, l’endotelina-1 (EDN1), attivando a valle una risposta infiammatoria e un disequilibrio ossidativo, ne risulta essere la principale responsabile (11;12;13). In aggiunta ad essa, lo stress di parete, co-responsabile della disfunzione microcircolatoria, induce la distruzione HYAL-mediata della matrice cellulare e tale meccanismo potrebbe spiegare almeno in parte la genesi e la progressione della disfunzione microcircolatoria, sino alla riduzione della riserva di flusso coronarica.  Le alterazioni del flusso coronarico locale potrebbero essere, infatti, uno stimolo aggiuntivo pro-infiammatorio che elicita l’espressione di HYAL2, responsabile a sua volta dell’ampliazione del danno (11,12).

Conclusioni: In base alle evidenze attuale, l’unico strumento diagnostico disponibile per distinguere pazienti affetti da angina con malattia coronarica ostruttiva versus non ostruttiva è l’angiografia coronarica con valutazione emodinamica del circolo coronarico ed i test di vasoreattività. Le profonde differenze molecolari tra i due gruppi di pazienti emerse nel nostro studio, oltre a chiarire i meccanismi fisiopatologici sottesi, potrebbero consentire una diagnosi differenziale precoce e non invasiva.

Figura 1. L’ Istogramma mostra e confronta i livelli di espressione genica delle molecole in esame nei due gruppi di pazienti (INOCA Vs ObCCS).

INOCA = ischemia in assenza di malattia coronarica ostruttiva

ObCCS = sindrome coronarica cronica ostruttiva

ADAMTS13 = ADAM Metallopeptidasi con Trombospondina Tipo 1 Motivo 13; ALOX5 = Arachidonato 5-Lipossigenasi; CD31 = Molecola di adesione delle piastrine e delle cellule endoteliali 1; CD44 = recettore ialuronico; EDN1 = Endotelina 1; GPX1 = Glutatione perossidasi 1; HYAL2 = Ialuronidasi 2; ICAM1 = Molecola di Adesione Intercellulare 1; LGALS8 = Galectina 8; MMP1 = metalloproteinasi di matrice 1; MMP2 = matrice metalloproteinasi 2; MMP9 = metalloproteinasi della matrice 9; NOS3 = ossido nitrico sintasi endoteliale; PI16 = inibitore della peptidasi 16; PLA2G7 = fosfolipasi A2 gruppo VII; SOD1 = Superossido dismutasi 1; TFRC = recettore della transferrina; TIMP1 = TIMP Inibitore della metallopeptidasi 1; TNF = fattore di necrosi tumorale; VCAM1 = Molecola di adesione delle cellule vascolari 1; VEGFA = fattore di crescita dell’endotelio vascolare A.

Figura 2. Gli istogrammi mostrano e confrontano i livelli di espressione genica delle molecole in esame nei due gruppi di pazienti (INOCA Vs ObCCS).

INOCA = ischemia in assenza di malattia coronarica ostruttiva

ObCCS = sindrome coronarica cronica ostruttiva

CD31 = Molecola di adesione delle piastrine e delle cellule endoteliali 1; HYAL2 = Ialuronidasi 2; ICAM1 = Molecola di Adesione Intercellulare 1; TFRC = recettore della transferrina; TNF = fattore di necrosi tumorale; VEGFA = fattore di crescita dell’endotelio vascolare A

Figura 3. IMMAGINE CHIAVE

Curva ROC (Receiver Operating Characteristic) per la previsione di INOCA/ObCCS basata sull’espressione genica di CD31, ICAM1, TFRC, TNF, VEGFA, HYAL2.

L’area sotto la curva (AUC) è uguale a 0,5 quando la curva ROC corrisponde a casualità e 1,0 per una perfetta precisione. Un AUC maggiore di 0,9 ha un’accuratezza elevata, mentre 0,7–0,9 indica un’accuratezza moderata e 0,5–0,7 bassa precisione.

CD31 = Molecola di adesione delle piastrine e delle cellule endoteliali 1; HYAL2 = Ialuronidasi 2;          ICAM1 = Molecola di Adesione Intercellulare 1; TFRC = recettore della transferrina; TNF = fattore di necrosi tumorale; VEGFA = fattore di crescita dell’endotelio vascolare A.

BIBLIOGRAFIA

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Figure1

Adozione della litotrissia intravascolare per la preparazione dell’asse iliaco-femorale nelle procedure di TAVI: un registro Europeo, prospettico e multicentrico.

Lars Søndergaard2, MD, DMSc; Francesca Ristalli1, MD; Francesco Meucci1, MD; Miroslava Stolcova1, MD; Alessio Mattesini1, MD; Pierluigi Demola1, MD; Xi Wang2,4, MD; Anees Al Jabri5, MD; Tullio Palmerini3, MD; Antonio Giulio Bruno3, MD, FISC; Alfonso Ielasi6, MD, FESC; Eric Van Belle7, MD, PhD, FESC, FACC; Sergio Berti5, MD; Carlo Di Mario1*, MD, PhD, FACC, FSCAI, FRCP, FESC

1. Structural Interventional Cardiology, Department of Clinical & Experimental Medicine, University Hospital Careggi, Florence, Italy; 2. The Heart Center, Rigshospitalet, Copenhagen University Hospital, Copenhagen, Denmark; 3. Interventional Cardiology Unit, Cardio-Thoracic Vascular Department, University Hospital of Bologna, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, Bologna, Italy; 4. Department of Cardiology, West China Hospital, Sichuan University, Chengdu, Sichuan, China; 5. CNR Cardiovascular Centre, Massa, Italy; 6. Istituto Clinico Sant’Ambrogio, Gruppo Ospedaliero San Donato, Milan, Italy; 7. Department of Interventional Cardiology for Coronary, Valves and Structural Heart Diseases, Cardiology, Institut Cœur Poumon, CHU de Lille, Université Lille, Lille, France

Abstract

La presenza di severa calcificazione dell’asse iliaco-femorale può compromettere l’esecuzione di TAVI per via femorale, che rappresenta il gold standard dell’accesso. Questo registro multicentrico ha valutato prospetticamente tra il 2018 ed il 2020 l’utilizzo di litotrissia intravascolare per la preparazione dell’asse iliaco-femorale in 108 pazienti sottoposti a TAVI transfemorale in severa calcificazione periferica. Il delivery della valvola è stato ottenuto nella totalità dei casi a scapito di una perforazione e tre dissezioni maggiori a livello del sito di applicazione della litotrissia. La metodica si è rivelata efficace e sicura nel preservare l’accesso transfemorale permettendo una netta riduzione degli accessi alternativi.

Testo

La presenza di severa aterosclerosi calcifica dell’asse iliaco femorale può compromettere l’esecuzione di impianto di valvola aortica per via percutanea (TAVI) per via femorale, che rappresenta il gold standard per tale procedura.

La litotrissia intravascolare (IVL) si propone in questo contesto come una nuova e promettente tecnologia per il trattamento delle placche calcifiche intravascolari, sia periferiche che coronariche, favorendo così una adeguata la preparazione delle lesioni calcifiche in modo da aumentare la compliance vascolare e quindi di facilitare il passaggio dei comuni sistemi di delivery delle valvole per via percutanea. Attraverso l’emissione di onde meccaniche ad alta pressione mediante palloni di diverse dimensioni il sistema Shockwave è in grado di frantumare il calcio vasale sia a livello dell’intima che della media creando vere e proprie fratture circonferenziali e longitudinali per tutto lo spessore del calcio aumentando così la compliance vascolare.

Le onde sonore pulsatili agiscono in maniera selettiva sulla componente calcifica del vaso, esercitando in tale sede una pressione effettiva fino a 50 atm, risparmiando il tessuto soft dell’endotelio, pertanto tale tecnologia si è dimostrata essere non solo efficace ma anche dotata di un elevato profilo di sicurezza, associandosi ad un basso tasso di complicanze peri-procedurali.

L’obiettivo di questo registro multicentrico è stato quello di valutare prospetticamente per la prima volta in letteratura l’efficacia e la sicurezza della litotrissia intravascolare nel facilitare il passaggio per via transfemorale dei sistemi di delivery delle valvole di una popolazione di pazienti candidati a TAVI tra gennaio 2018 e dicembre 2020 con severa calcificazione periferica riportata alla angioTC pre-procedurale di studio degli accessi vascolari. La preparazione dell’asse iliaco-femorale mediante IVL è stata eseguita in 108 pazienti, mostrando un incremento del successo di TAVI per via transfemorale dal 2.4% al 6.5% nel periodo in esame. Inoltre è stato osservato un consensuale declino dell’utilizzo di accessi alternativi per TAVI a partire dal 2018, parallelo all’adozione della litotrissia a partire dal 2018, quando questa tecnologia è stata impiegata per la prima volta in questo contesto (Figura Chiave). La lesione target interessava l’arteria iliaca comune ed esterna nel 93.5% dei casi, con un diametro luminale minimo di 4.6±0.9 mm ed un’estensione pressoché circonferenziale della calcificazione (arco di calcio di 318 gradi in media). Grazie all’utilizzo di IVL (pallone Shockwave periferico 7 mm nella maggiorparte dei casi, 300 impulsi), il delivery della valvola per via transfemorale è stato ottenuto con successo nella totalità dei casi, seguito da un successo procedurale del 98.2% dovuto ad un caso di rottura dell’annulus valvolare ed ad un caso di embolizzazione distale della valvola dopo il rilascio. Per quanto riguarda le complicanze relative all’utilizzo della litotrissia, sono state riportate una perforazione vasale e tre dissezioni maggiori che hanno richiesto impianto di stent ricoperti. Sono stati inoltre descritti tre casi di sanguinamenti maggiori come complicanze legate al sito di accesso e tre casi di decesso intraospedaliero (rottura annulus valvolare, arresto cardiaco dopo dilatazione della valvola, insorgenza di iperkaliemia in paziente con riacutizzazione di insufficienza renale cronica).

La preparazione della calcificazione dell’asse iliaco-femorale mediante litotrissia intravascolare ha permesso negli ultimi anni di salvaguardare l’accesso femorale che rappresenta il gold standard nelle procedure di TAVI, evitando così di dover ricorrere ad accessi alternativi che spesso richiedono un accesso chirurgico e sono quindi associate ad un alto tasso di complicanze peri-procedurali. La tecnologia Shockwave si è rivelata non soltanto efficace nel facilitare il passaggio per via femorale dei grossi sistemi di delivery delle valvole ma anche sicura, con un numero relativamente basso di complicanze maggiori associate all’utilizzo di tale metodica.

Figure 1: AngioTC pre-procedurale di valutazione degli accessi mostra vasi severamente calcifici e tortuosi con lunga malattia calcifica quasi circonferenziale.

Figura 2: l’impiego della litotrissia intravascolare dell’asse iliaco-femorale bilateralmente permette il passaggio del sistema di delivery della valvola in assenza di complicanze al controllo angiografico finale.

Fiugra 3- Figura chiave: Da quando è stata introdotta la litotrissia nel 2018, si è progressivamente assistito ad un aumento delle TAVI per via femorale e ad una consensuale riduzione degli accessi alternativi.

Figura-1-corr

Implantable defibrillator-detected heart failure status predicts atrial fibrillation occurrence

Matteo Bertini, MD, PhD1, Francesco Vitali, MD1, Luca Santini, MD2, Vincenzo Tavoletta, MD3, Angelo Giano, MD4, Gianluca Savarese, MD5, Antonio Dello Russo, MD6, Vincenzo Ezio Santobuono, MD7, Agostino Mattera, MD8, Carlo Lavalle, MD9, Claudia Amellone, MD10, Domenico Pecora, MD11, Raimondo Calvanese, MD12, Antonio Rapacciuolo, MD13, Monica Campari, MS14, Sergio Valsecchi, PhD14, Leonardo Calò, MD15,

Affiliazioni:

1Cardiology Unit, Sant’Anna University Hospital, University of Ferrara, Ferrara, Italy,

2“Giovan Battista Grassi” Hospital, Rome, Italy,

3Unità Operativa di Elettrofisiologia, Studio e Terapia delle Aritmie”, Monaldi Hospital, Naples, Italy,

4OO.RR. San Giovanni di Dio Ruggi d’Aragona, Salerno, Italy

5S. Giovanni Battista Hospital, Foligno, Italy,

6Clinica di Cardiologia e Aritmologia, Università Politecnica delle Marche, “Ospedali Riuniti”, Ancona, Italy, 7University of Bari, Policlinico di Bari, Bari, Italy,

8S. Anna e S. Sebastiano Hospital, Caserta, Italy,

9Policlinico Umberto I, Rome, Italy,

10 ”Maria Vittoria” Hospital, Turin, Italy,

11Fondazione Poliambulanza, Brescia, Italy,

12Ospedale del Mare, ASL NA1, Naples, Italy,

13Policlinico Federico II, Naples, Italy,

14Boston Scientific Italia, Milan, Italy,

15Policlinico Casilino, Rome, Italy.

Commento di:

Rodolfo Francesco Massafra, Federico Gibiino, Alberto Boccadoro. Cardiology Unit, Sant’Anna University Hospital, University of Ferrara, Ferrara, Italy.

ABSTRACT

La fibrillazione atriale (FA) è frequente e prognosticamente impattante nel paziente con scompenso cardiaco (SC).[1] Tra queste due condizioni cliniche vi è un profondo e complesso legame bidirezionale basato su vie fisiopatologiche comuni. La diagnostica dei dispositivi cardiaci impiantabili permette di valutare l’insorgenza di FA subclinica, registrata come episodi di elevata frequenza atriale (AHRE) e la progressione del suo burden giornaliero. Inoltre, alcuni defibrillatori forniscono algoritmi di valutazione del compenso cardiocircolatorio efficaci nel predire episodi di SC con anticipo.[2]

Nel nostro studio abbiamo valutato l’associazione tra valori dell’indice HeartLogic come surrogato del compenso cardiocircolatorio e l’incidenza di FA subclinica valutata attraverso l’incidenza di AHRE.

COMMENTO

L’impatto prognostico peggiorativo dell’FA nello SC è ben noto. Oggi alcuni defibrillatori hanno a disposizione algoritmi in grado di anticipare l’insorgenza di SC. Inoltre, dispositivi con elettrocatetere atriale, sono in grado di registrare AHRE.

Il nostro è uno studio di registro multicentrico che ha arruolato pazienti con ICD o CRT-D con SC e FE ventricolare sinistra ≤35%. All’arruolamento è stato attivato HeartLogic, un algoritmo multiparametrico (frequenza cardiaca, primo e terzo tono, frequenza respiratoria, impedenza transtoracica, attività del paziente) di monitoraggio del compenso cardiocircolatorio, che fornisce un punteggio giornaliero e attiva un allarme di rischio di SC quando supera una certa soglia (valore nominale 16). Questo allarme è relato a rischio aumentato di episodi di SC a 30 giorni. È stato inoltre valutato il burden di AHRE, validati da parte di un elettrofisiologo, con incidenza cumulativa nel periodo di follow-up ≥5 minuti/die, ≥6 ore/die e ≥23 ore/die.

Sono stati valutati 568 pazienti per un follow-up di 25 mesi. L’indice HeartLogic superava il valore soglia 1200 volte (0.71 alert per paziente-anno) in 370 pazienti. Il tempo mediano IN-alert era il 7%. Il burden di FA subclinico giornaliero ≥5 minuti/die era documentato in 183 pazienti (32%), ≥6 ore/die in 118 pazienti (21%) e ≥23 ore/die in 89 pazienti (16%).

Una regressione multivariata tempo-dipendente aggiustata per le variabili cliniche associate allo sviluppo di AHRE all’univariata ha esaminato come covariata di interesse la media settimanale dell’indice HeartLogic nei periodi di allarme attivo (IN-alert) e inattivo (OUT-of-alert).

All’analisi multivariata lo stato IN-alert risultava indipendentemente associato con un burden di FA ≥5 minuti/die (HR 1.95, 95% CI 1.22–3.13; P = .005), ≥6 ore/die (HR 2.66, 95% CI 1.60–4.44; P <.001), e ≥23 ore/die (HR 3.32, 95% CI 1.83–6.02; P <.001), dopo correzione per età, storia di FA pregressa, insufficienza renale cronica e pneumopatia [Figura 1A].

Inoltre, comparando i burden di FA subclinica durante stato IN-alert rispetto ad OUT-of-alert all’analisi multivariata, l’HR era 1.57 (95% CI 1.04–2.50, P = .042) per un burden ≥5 minuti/die, 2.06 (CI 1.22–3.47, P = .007) per ≥6 ore/die e 3.11 (95% CI 1.73–5.57 (P< .001) per ≥23 ore/die. L’associazione temporale col primo episodio di allarme era già presente per burden di FA ≥5 minuti/die e aumentava al crescere del burden [Figura 2].

Con il nostro studio abbiamo dimostrato come lo stato di allerta dell’indice risultava associato indipendentemente con sviluppo di FA subclinica con una relazione bidirezionale. L’algoritmo in studio inoltre mostra capacità di stratificazione dinamica del rischio di FA subclinica nel paziente con SC. Lo stato IN-alert identificava indipendentemente pazienti 2-3 volte più a rischio di FA. Viceversa, anche il riconoscimento di AHRE si associava ad allarme per SC. Recenti evidenze mostrano l’efficacia degli interventi farmacologici guidati da allarme di scompenso cardiaco di ICD/CRT-D su tasso e durata degli episodi di SC.[3] Dal monitoraggio dei dispositivi potrebbe in futuro emergere il ruolo di tali trattamenti anche sull’insorgenza e sulla riduzione del burden di FA, rafforzando il ruolo ben noto della terapia upstream sulla progressione della patologia, così come potrebbe evidenziare il ruolo delle strategie di controllo del ritmo sugli outcome di SC. 

Figura 1 (Figura chiave)

  1. Analisi di regressione di Cox: associazione tra lo stato settimanale IN-alert e burden di FA ≥5 minuti/giorno, ≥6 ore/giorno e ≥23 ore/giorno, dopo aggiustamento per variabili cliniche. CKD = insufficienza renale cronica; COPD = broncopneumopatia cronica ostruttiva.
  2. Curva di Kaplan-Meier: tempo al primo AHRE secondo i burden di FA analizzati (≥5 minuti/giorno, ≥6 ore/giorno e ≥23 ore/giorno) negli stati IN-alert e OUT-of-alert.

Figura 2

Curva di Kaplan–Meier: tempo al primo alert HeartLogic dopo riconoscimento di un burden di FA rispettivo ≥5 minuti/giorno, ≥6 ore/giorno e ≥23 ore/giorno. Il Gruppo senza FA è mostrato per comparazione. AF = fibrillazione atriale; AHRE = episodi di elevate frequenza atriale

Per saperne di più:

Bertini M, Vitali F, Santini L, Tavoletta V, Giano A, Savarese G, Russo AD, Santobuono VE, Mattera A, Lavalle C, Amellone C, Pecora D, Calvanese R, Rapacciuolo A, Campari M, Valsecchi S, Calò L. Implantable defibrillator-detected heart failure status predicts atrial fibrillation occurrence. Heart Rhythm. 2022 May;19(5):790-797. doi: 10.1016/j.hrthm.2022.01.020. Epub 2022 Jan 20. PMID: 35066184.

Figure ristampate e modificate da: Heart Rhythm, Vol 19, No 5, May 2022, pages 790-797.

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FIgure-2

Predictive Value of Left Atrial and Ventricular Strain for the Detection of Atrial Fibrillation in Patients With Cryptogenic Stroke

Autori: Gabriella Bufano1,6, Francesco Radico2, Carolina D’Angelo2, Francesca Pierfelice1, Maria Vittoria De Angelis3, Massimiliano Faustino4, Sante Donato Pierdomenico1, Sabina Gallina5 and Giulia Renda5.

Affiliazioni:

1Department of Innovative Technologies in Medicine & Dentistry, Institute of Cardiology, G. d’Annunzio University Chieti-Pescara, Chieti, Italy

2Department of Cardiology, Renzetti Hospital, Lanciano, Italy

3Department of Neurology, Stroke Unit, SS Annunziata Hospital, Chieti, Italy

4Department of Cardiology, SS Annunziata Hospital, Chieti, Italy

5Department of Neuroscience, Imaging and Clinical Sciences, Institute of Cardiology, G. d’Annunzio University Chieti-Pescara, Chieti, Italy

6Cardiovascular Department, Azienda Ospedaliera Regionale “San Carlo,” Potenza, Italy.

Commento di:

  • Matteo De Rosa, Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Department of Neuroscience, Imaging and Clinical Sciences, Institute of Cardiology, G. d’Annunzio University Chieti-Pescara, Chieti, Italy
  • Gabriella Bufano, Dipartimento Cardiovascolare, Azienda Ospedaliera Regionale “San Carlo,” Potenza, precedentemente Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Department of Neuroscience, Imaging and Clinical Sciences, Institute of Cardiology, G. d’Annunzio University Chieti-Pescara, Chieti, Italy

ABSTRACT

L’ictus criptogenico è una forma di ictus ischemico acuto ad eziologia indeterminata con meccanismo dominante riconducibile ad un evento embolico a fonte indefinita. La fibrillazione atriale (FA) è identificata in circa il 30% dei casi nel follow-up, consentendo l’adozione di misure di prevenzione secondaria mirate. Recenti studi hanno descritto un ruolo potenziale di parametri morfo-funzionali ecocardiografici come marker surrogato predittivo di FA. Nel nostro studio, 72 pazienti con ictus criptogenico, sottoposti ad impianto di monitor cardiaco (ICM), hanno ricevuto un ecocardiogramma transtoracico, comprensivo di parametri standard e derivati dallo strain longitudinale di atrio e ventricolo sinistro. Tra quelli selezionati, il peak atrial contraction strain (PACS) e lo strain longitudinale del ventricolo sinistro (LVLS) si sono dimostrati solidi ed indipendenti predittori di FA. Lo studio suggerisce un valore aggiuntivo dello strain atriale e ventricolare sinistro nella selezione dei pazienti con ictus criptogenico da candidare ad ICM e nella personalizzazione delle strategie di prevenzione secondaria.

COMMENTO

L’ictus criptogenetico è caratterizzato da un alto tasso di recidive e da una prognosi infausta, aspetti in parte riconducibili all’eziologia incerta, che ostacola una prevenzione secondaria mirata. Negli ultimi anni vi è un crescente interesse verso il ruolo potenziale della FA subclinica nell’ictus criptogenico per le ovvie ripercussioni sul piano terapeutico. Coerentemente, le ultime Linee Guida Europee sulla FA consigliano l’utilizzo di ICM in casi selezionati di ictus ischemico in classe di raccomandazione IIa, livello di evidenza B, per lo screening della FA subclinica [1]. Alcune caratteristiche cliniche come l’età avanzata [2], un elevato CHA2DS2-VASC score [3] o alcuni pattern ECGrafici aiutano nella stratificazione del rischio, senza essere tuttavia risolutivi. Studi recenti hanno suggerito un ruolo potenziale di alcuni parametri ecocardiografici relativi a dimensioni e funzione atriale sinistra come marker surrogati predittivi di FA [4].

Abbiamo pertanto realizzato uno studio di coorte prospettico mono-centrico con l’obiettivo di valutare la relazione tra parametri ecocardiografici morfo-funzionali di atrio e ventricolo sinistro, con un focus su parametri derivati da metodica strain, e l’incidenza di FA, rivelata dal monitoraggio ECG continuo, in una coorte di pazienti con ictus criptogenico.

Tra Marzo 2016 e Settembre 2020, abbiamo arruolato tutti i pazienti consecutivi ammessi presso la clinica neurologica dell’Ospedale SS.Annunziata di Chieti con diagnosi di ictus criptogenico, in accordo con la classificazione TOAST’s [5], e sottoposti ad impianto di ICM (Reveal LINQTM) . Entro 30 giorni dall’evento ischemico indice, ogni paziente ha ricevuto un ecocardiogramma transtoracico (ETT) che ha valutato sia parametri standard morfo-funzionali 2D di atrio e ventricolo sinistro sia derivati da metodica strain: peak atrial longitudinal strain (PALS), peak atrial contraction strain (PACS), passive emptying (conduit) strain (PALS-PACS) e strain longitudinale del ventricolo sinistro (LVLS), ottenuti in accordo con le più recenti raccomandazioni [6-7]. 72 pazienti hanno completato il follow-up predefinito e sono stati inclusi nell’analisi finale.

La FA subclinica (definita come episodi di aritmia sopraventricolare, con assenza di onda P visibile ed intervallo R-R variabile, di durata > 2’) è stata individuata in 23 pazienti (32%), in media 6.5 ± 3.5 mesi dopo impianto di ICM. I pazienti con e senza FA erano omogenei per tutte le caratteristiche cliniche, ad eccezione del CHA2DS2-VASc, più alto nei primi. Numerosi parametri ecocardiografici si sono mostrati associati all’incidenza di FA, sebbene all’analisi di regressione logistica multivariata solo il PACS e l’LVLS si sono confermati fattori di rischio indipendenti.

L’analisi delle curve ROC ha, inoltre, mostrato che il PACS ha un’ottima performance diagnostica nel predire l’incidenza di FA (area under curve, AUC = 0.91, CI 0.51–0.95, p = 0.005; Figure 1A), con un cut-off ottimale di 10,4%. Il suo potenziale discriminativo è ancora maggiore quando combinato al LVLS (AUC 0,92, Figura 1C).

Figura 1: Analisi delle curve Receiver-operating characteristic (ROC) Peak Atrial Contractile Strain [PACS, (A)], Left Ventricular Longitudinal Strain [LVLS, (B)], and PACS combinato con LVLS (C) per la previsione dell’incidenza di FA. AUC, area under curve.

La compromissione della funzione contrattile atriale sinistra (PACS) e dell’LVLS, definita in base ai cut-off derivati dalle curve ROC, ha dimostrato di conferire un rischio significativo di FA nell’analisi di Kaplan-Meyer [HR 10.5 (95% CI 3.8–29.1) e 5.6 (95% CI 2.2–14.3) rispettivamente, log-rank P < 0.001 for entrambe] (Figura 2-Figura Chiave).

Figura 2: Ruolo dello strain atriale e ventricolare sinistra nella predizione dell’incidenza di FA nei pazienti con stroke criptogenetico. (A) Strain atriale sinistro di un paziente del gruppo con FA. (B) Strain ventricolare sinistro dello stesso paziente di A. (C) Strain atriale sinistro di un paziente nel gruppo senza FA. (D) Strain ventricolare sinistro dello stesso paziente di C. (E-F) Curve Kaplan–Meyer per la stima della probabilità di FA in base ai valori del PACS (E) e dell’LVLS (F). HR, Hazard Ratio.

I risultati presi in esame concordano con la letteratura scientifica preesistente nell’individuare nella compromissione dello strain dell’atrio sinistro un utile strumento per la stratificazione del rischio di FA nei pazienti con ictus criptogenico, verosimilmente come espressione di una cardiopatia atriale subclinica sottostante. Parallelamente, anche l’alterazione dello strain longitudinale del ventricolo sinistro, notoriamente correlata alla disfunzione diastolica, si è dimostrata predittiva di FA nella nostra serie confermando l’interdipendenza tra LVLS, disfunzione diastolica, rimodellamento atriale ed incidenza di FA.

L’implementazione nella pratica clinica dello strain atriale e ventricolare sinistro potrebbe consentire la precoce individuazione di miopatia e disfunzione atriale, che spesso accompagna e precede l’incidenza della FA. Tale approccio, sistematicamente eseguito nei pazienti ad alto rischio, come quelli con storia di ictus criptogenico, guiderebbe percorsi diagnostico-terapeutici specifici, mirati ad una più efficace prevenzione secondaria.

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Per approfondire:

Bufano G, Radico F, D’angelo C, Pierfelice F, De Angelis MV, Faustino M, Pierdomenico SD, Gallina S, Renda G. Predictive Value of Left Atrial and Ventricular Strain for the Detection of Atrial Fibrillation in Patients With Cryptogenic Stroke. Front Cardiovasc Med. 2022 Apr 25;9:869076. doi: 10.3389/fcvm.2022.869076. eCollection 2022c

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fcvm.2022.869076/full

Figure ristampate e modificate da: Front. Cardiovasc. Med, Vol 9 Articolo 869076, Bufano G, Radico F, D’Angelo C et al. Predictive Value of Left Atrial and Ventricular Strain for the Detection of Atrial Fibrillation in Patients With Cryptogenic Stroke, pages 268–277.

Presentazione standard4

Switch to SGLT2 Inhibitors and Improved Endothelial Function in Diabetic Patients with Chronic Heart Failure

Autori: Michele Correale1 · Pietro Mazzeo2 · Adriana Mallardi2 · Alessandra Leopizzi2 · Lucia Tricarico2 · Martino Fortunato2 · Michele Magnesa2 · Salvatore Tucci2 · Pasquale Maiellaro2 · Giuseppe Pastore2 · Olga Lamacchia2 · Massimo Iacoviello2 · Matteo Di Biase2 · Natale Daniele Brunetti2

1 Ospedali Riuniti University Hospital, Foggia, Italy

2 Department of Medical and Surgical Sciences, University of Foggia, Foggia, Italy

Negli ultimi decenni, la prevalenza del diabete mellito (DM) nel mondo è quasi raddoppiata, dal 4,7% nel 1984 al 9,3% nel 2019. Il DM di tipo 2 è un importante fattore di rischio per diverse condizioni cardiovascolari, tra cui l’ insufficienza cardiaca e la disfunzione endoteliale. Gli inibitori del sodio-glucosio-cotrasportatore-tipo-2 (SGLT2i) rappresentano una nuova classe di agenti anti-iperglicemici per il diabete mellito di tipo 2, che agiscono con meccanismo insulinoindipendente inibendo selettivamente il riassorbimento renale del glucosio, aumentandone così l’escrezione urinaria. Lo studio EMPA-REG OUTCOME è stato il primo a dimostrare gli effetti cardioprotettivi di un SGLT2i, l’ empaglifozin. L’ impressionante riduzione del 35% dei ricoveri per scompenso cardiaco ha supportato l’ipotesi di un possibile ruolo degli SGLT2i tra i farmaci per la terapia per lo scompenso cardiaco, con o senza diabete. Questa ipotesi è stata ulteriormente confermata in altri due ampi studi randomizzati controllati con placebo, il CANVAS con canagliflozin e il DECLARE TIMI 58 con dapagliflozin, ed ulteriori dati real life dal CVD-Real Study. L’uso degli SGLT2i è stato inoltre associato ad un miglioramento della funzione endoteliale in alcuni studi su modelli sperimentali non umani; questo miglioramento può rappresentare un importante meccanismo alla base dei benefici cardiovascolari del trattamento con SGLT2i. Tuttavia, si sa poco sul possibile effetto delle gliflozine sulla funzione endoteliale nell’uomo.

Lo scopo di questo studio osservazionale è stato quello di valutare i possibili effetti sulla funzione endoteliale, valutati mediante dilatazione flusso-mediata (FMD), in pazienti con scompenso cardiaco cronico e diabete mellito di tipo 2 che passano da altri ipoglicemizzanti orali alla terapia con SGLT2i.

Sono stati arruolati 45 pazienti con scompenso cardiaco cronico e DM, di questi 22 iniziavano la terapia con SGLT2i e 23 proseguivano la terapia originaria. Veniva effettuata sia all’arruolamento che al follow up una valutazione della funzione endoteliale mediante FMD.

Dopo un follow-up di 3 mesi, i pazienti che avevano iniziato terapia con SGLT2i hanno mostrato un miglioramento statisticamente significativo della funzione endoteliale (19,0 ± 5,7% vs 8,5 ± 4,1%, p < 0,0001); i livelli basali di FMD erano comparabili tra i gruppi (p n.s.). Il trattamento con SGLT2i è stato inoltre associato ad una riduzione statisticamente significativa dei livelli di emoglobina glicata (7,7 ± 1,0% vs 8,2 ± 1,2%, p <0,01) ed una riduzione non significativa della PCR (2,0 ± 2,2 vs 3,0 ± 3,6 mg/dl, p n.s. ) e dei livelli di NTproBNP (581,6 ± 564,5 vs 1609,3 ± 2543,3, p 0,09). I cambiamenti nei valori di FMD non erano proporzionali ai cambiamenti nei livelli di NTproBNP, CRP ed emoglobina glicata all’analisi univariata, ma erano correlati ai valori di FMD di base (r = – 0,62, p <0,05). Le variazioni dei valori di FMD non erano proporzionali ai livelli di emoglobina glicata al basale. L’inizio di terapia con SGLT2i correlava con il miglioramento dei livelli di FMD anche all’analisi di regressione multivariata in un modello che includeva età, sesso, livelli basali di FMD, valori di LVEF, EDV, NTproBNP, CRP, HbA1c, variazioni della percentuale di NTproBNP, CRP ed HbA1c ( p < 0,001).

In conclusione il passaggio a SGLT2i in pazienti con scompenso cardiaco cronico e T2DM è stato associato in questo studio osservazionale ad un miglioramento della funzione endoteliale valutata mediante dilatazione flusso – mediata (FMD).

Figura-1-principale

Early reduction of left atrial function predicts adverse clinical outcomes in patients with severe aortic stenosis undergoing transcatheter aortic valve replacement

Jolanda Sabatino1, Salvatore De Rosa1, Isabella Leo1, Antonio Strangio1, Sabrina La Bella1, Sabato Sorrentino1, Annalisa Mongiardo1, Carmen Spaccarotella1, Alberto Polimeni1, Ciro Indolfi1,2

1 Divisione di cardiologia, Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche, Università Magna Graecia di Catanzaro

2 Mediterranea Cardiocentro, Napoli

A cura di Antonio Bellantoni

La funzione sistolica del ventricolo sinistro è un marker prognostico ben riconosciuto nell’ambito delle malattie cardiovascolari. (1-2) Molto meno studiato è invece il ruolo della funzione atriale sinistra, nonostante alcuni studi abbiano mostrato come una precoce riduzione di funzionalità sia spesso presente prima che la dilatazione atriale diventi manifesta. (3-5) L’utilizzo dell’ecocardiografia 2D speckle-tracking (STE) si è dimostrato utile per analizzare la funzione atriale sinistra in adulti e bambini; nello specifico, parametri utili per la valutazione funzionale di questa camera cardiaca si sono rivelati lo strain (ovvero l’entità della deformazione delle fibre miocardiche) ed il relativo strain rate (ovvero la velocità della deformazione stessa). (6-14) È stato inoltre osservato come una ridotta funzionalità atriale sinistra sia associata ad una prognosi peggiore a lungo termine in pazienti affetti da varie cardiopatie, compresi i soggetti con stenosi aortica severa. (15-20)

Il seguente studio è andato ad investigare le modifiche ed il valore prognostico dello strain atriale sinistro nei pazienti con stenosi aortica severa sottoposti ad intervento di sostituzione valvolare aortica percutanea (TAVI). Sono stati inclusi pazienti sottoposti a TAVI nel nostro centro da dicembre 2016 a febbraio 2020, escludendo portatori di pacemaker, concomitante malattia valvolare significativa (stenosi od insufficienza valvolare almeno moderata), fibrillazione atriale al momento dell’esame, finestra acustica non ottimale. Il follow-up dopo la procedura è stato effettuato attraverso visite periodiche.

Oltre alle misurazioni ecocardiografiche di routine, per l’analisi speckle-tracking, sono state acquisite immagini in proiezione apicale 4 camere ed analizzate con un software dedicato. Sono quindi state create le curve dello strain longitudinale e dello strain rate durante il ciclo cardiaco: l’elongazione longitudinale della parete atriale sinistra durante la sistole ventricolare è stata misurata ed utilizzata per l’analisi (LA peak systolic strain, LAS). (13) Le modifiche del LAS dopo la TAVI rispetto al basale sono state calcolate come DLAS (fig. 1).

L’endpoint primario era l’insieme di mortalità per cause cardiovascolari e l’ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Endpoint secondari includevano: mortalità per altre cause, eventi cardiovascolari maggiori come infarto miocardico e stroke/TIA. Degno di nota il fatto che i pazienti che hanno presentato eventi maggiori al follow-up, tali da rientrare nell’endpoint primario, avevano caratteristiche cliniche ed ecocardiografiche di base comparabili con quelli che non rientravano in questo gruppo. Dopo la TAVI inoltre non sono state osservate modifiche significative della FE né del volume atriale indicizzato (LAVi); il LAS è lievemente migliorato, anche se questa modifica non è risultata statisticamente significativa.

Durante un follow-up medio di 31 mesi, su un totale di 100 pazienti inclusi, 35 hanno raggiunto l’endpoint primario (insieme di mortalità per cause cardiovascolari ed ospedalizzazione per scompenso cardiaco). Un minore DLAS post-procedurale è risultato significativamente associato con una maggiore incidenza di effetti avversi di questo tipo (HR = 0,76 (0,67-0,86); p < 0,001). Non sono invece state riscontrate differenze significative per quanto riguarda la frazione di eiezione (FE), il rapporto E/E’, la pressione polmonare (PAPs), ed il volume atriale indicizzato (LAVi) pre-TAVI (fig. 2). È stata effettuata un’analisi multivariata includendo il DLAS, l’EuroSCORE II e la FE, che ha evidenziato il DLAS come predittore indipendente dell’endpoint combinato. Inoltre, le curve di Kaplan-Maier, stratificando la popolazione oggetto di studio in base al DLAS, hanno mostrato che i pazienti con un delta maggiore rispetto al valore medio hanno avuto una sopravvivenza priva di eventi significativamente maggiore rispetto a quelli sotto la media (fig. 3).

Nel contesto dei soggetti studiati, i pazienti con stenosi aortica di tipo low-flow low-gradient (LFLG) avevano in media un LAS basale e post-TAVI minore, ed un DLAS inferiore rispetto ai soggetti con stenosi ad alto gradiente; tuttavia; la presenza di stenosi LFLG non è risultata associata con una più alta incidenza di eventi avversi durante il follow-up.

Per quanto riguarda i predittori del peak systolic strain atriale sinistro dopo TAVI, l’analisi di regressione multivariata ha individuato un maggiore diametro telesistolico ventricolare pre-procedurale ed il sesso femminile come predittori indipendenti di un minore DLAS dopo la procedura.

È noto che il volume e la funzione atriale non si modificano di pari passo, poiché di solito la disfunzione precede la vera e propria dilatazione. (12, 17) Lo strain atriale sinistro, e più nello specifico lo strain longitudinale telesistolico di picco valutato tramite ecocardiografica speckle-tracking 2D, che è espressione della funzione di reservoir di questa camera, è uno strumento promettente per la valutazione della funzionalità atriale sinistra, e permette maggiore accuratezza rispetto al semplice valore del volume atriale. (6-13) Studi recenti hanno già mostrato come lo strain atriale sinistro sia ridotto nei pazienti con stenosi aortica rispetto ai controlli sani (17); altri lavori hanno dimostrato come questo valore sia un predittore indipendente di outcome in questo tipo di pazienti. (18, 20) Il presente studio conferma l’ipotesi che la mancanza di miglioramento nella funzionalità di reservoir atriale dopo TAVI, misurata attraverso il DLAS, è associata ad un outcome peggiore al follow-up. Anche il DLAVi (ovvero il differenziale tra il volume atriale pre e post-procedurale) è risultato numericamente maggiore nei pazienti che hanno presentato eventi avversi, anche se questa associazione non è stata statisticamente significativa. Questo fatto suggerisce che il DLAS potrebbe essere un marker prognostico più sensibile rispetto al DLAVi, particolarmente nei pazienti che si presentano in uno stadio fisiopatologico più precoce della malattia.

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